ECONOMIA a cura di Nadia De Marco
Intesa e Unicredit.Proiezioni molto negative.
di Nadia De Marco
Le banche italiane non passano un periodo positivo.
Altra settimana nera per i mercati finanziari internazionali e soprattutto per la Borsa Italiana che sta incassando, al momento, un -3,9% dopo il -12,5% di venerdì. Molti affermano che la Brexit stia pesando sull’intero comparto bancario europeo, con i titoli delle maggiori banche del Vecchio Continente letteralmente presi d’assalto dalle vendite (ad esempio Deutsche Bank che ha aggiornato i minimi di sempre). In Italia, spiccano i ribassi di banca Montepaschi che attualmente perde un -13,23%, risultando così la peggiore delle blue-chip, Intesa che invece perde un -11,38% e Unicredit che lascia sul terreno un -8,33%. L’ effetto negativo del periodo si sta abbattendo particolarmente sui titoli degli istituti di credito in quanto gli investitori ritengono che potrebbe scatenarsi un effetto domino in Europa.
Cosa aspettarsi quindi per i prossimi giorni dalle azioni MPS, Unicredit e Intesa? Il titolo peggiore di oggi è quello di banca Montepaschi ma preoccupano anche le azioni delle banche sistema italiane come Intesa e Unicredit che stanno perdendo rispettivamente il -11,38% e un -8,33%. Il premier Matteo Renzi sembra stia pensando di iniettare liquidità nelle banche per cercare di aiutare il comparto con €40 miliardi di debito, mossa che potrebbe essere avallata dalle autorità europee ma che servirebbe a poco. L’uscita del Regno Unito dall’UE potrebbe sancire un primo passo per la disgregazione dell’Europa Unita e dell’area Euro ed è per questo che gli investitori stanno vendendo titoli di tutte le banche europee soprattutto di quelle dei Paesi periferici considerati più vulnerabili ad uno shock.
Oltre a questo, MPS sta venendo presa di mira soprattutto per l’ingente massa di crediti deteriorati in pancia all’istituto di credito che in un contesto del genere rischia seriamente di mettere in difficoltà la banca senese. Unicredit invece ha una situazione diversa. Da tempo si vocifera di un aumento di capitale da 7 miliardi per riportare il CET1 ratio sui livelli richiesti dalla BCE. Inoltre, l’assenza di chiarezza riguardo alla nuova guida dell’istituto di piazza Cordusio sta innervosendo sempre di più gli investitori. Intesa, unitamente ad Unicredit, paga la scarsa fiducia degli operatori riguardo la tenuta del sistema Italia. Se il mercato ritiene che l’Euro possa non reggere all’urto dello shock causato dalla Brexit, allora le banche italiane che detengono un gran numero di bond sovereign italiani potrebbero essere a serio rischio.Analizzando i grafici di MPS, Intesa e Unicredit la situazione che emerge è abbastanza grave.
Altra settimana nera per i mercati finanziari internazionali e soprattutto per la Borsa Italiana che sta incassando, al momento, un -3,9% dopo il -12,5% di venerdì. Molti affermano che la Brexit stia pesando sull’intero comparto bancario europeo, con i titoli delle maggiori banche del Vecchio Continente letteralmente presi d’assalto dalle vendite (ad esempio Deutsche Bank che ha aggiornato i minimi di sempre). In Italia, spiccano i ribassi di banca Montepaschi che attualmente perde un -13,23%, risultando così la peggiore delle blue-chip, Intesa che invece perde un -11,38% e Unicredit che lascia sul terreno un -8,33%. L’ effetto negativo del periodo si sta abbattendo particolarmente sui titoli degli istituti di credito in quanto gli investitori ritengono che potrebbe scatenarsi un effetto domino in Europa.
Cosa aspettarsi quindi per i prossimi giorni dalle azioni MPS, Unicredit e Intesa? Il titolo peggiore di oggi è quello di banca Montepaschi ma preoccupano anche le azioni delle banche sistema italiane come Intesa e Unicredit che stanno perdendo rispettivamente il -11,38% e un -8,33%. Il premier Matteo Renzi sembra stia pensando di iniettare liquidità nelle banche per cercare di aiutare il comparto con €40 miliardi di debito, mossa che potrebbe essere avallata dalle autorità europee ma che servirebbe a poco. L’uscita del Regno Unito dall’UE potrebbe sancire un primo passo per la disgregazione dell’Europa Unita e dell’area Euro ed è per questo che gli investitori stanno vendendo titoli di tutte le banche europee soprattutto di quelle dei Paesi periferici considerati più vulnerabili ad uno shock.
Oltre a questo, MPS sta venendo presa di mira soprattutto per l’ingente massa di crediti deteriorati in pancia all’istituto di credito che in un contesto del genere rischia seriamente di mettere in difficoltà la banca senese. Unicredit invece ha una situazione diversa. Da tempo si vocifera di un aumento di capitale da 7 miliardi per riportare il CET1 ratio sui livelli richiesti dalla BCE. Inoltre, l’assenza di chiarezza riguardo alla nuova guida dell’istituto di piazza Cordusio sta innervosendo sempre di più gli investitori. Intesa, unitamente ad Unicredit, paga la scarsa fiducia degli operatori riguardo la tenuta del sistema Italia. Se il mercato ritiene che l’Euro possa non reggere all’urto dello shock causato dalla Brexit, allora le banche italiane che detengono un gran numero di bond sovereign italiani potrebbero essere a serio rischio.Analizzando i grafici di MPS, Intesa e Unicredit la situazione che emerge è abbastanza grave.
MPS.L'orizzonte si fa sempre più buio.
di Nadia De Marco
La banca toscana le prova tutte per ottenere la ricapitalizzazione.
Sono mesi davvero duri per la dirigenza di Monte Paschi Siena, l'altro ieri infatti la Bce ha respinto la richiesta di Mps di concedere più tempo per l'aumento di capitale. La notizia, attesa con il fiato sospeso da Piazza Affari, si è subito diffusa nei vari ambienti della finanza mentre dalla banca si fa sapere che non sono ancora giunte comunicazioni ufficiali. Dall'Eurotower l'unica comunicazione che giunge è un granitico "no comment", come sempre accade nei confronti delle banche vigilate.E sul fronte del governo non è prevista per domani alcuna riunione del consiglio dei ministri. Secondo fonti da Palazzo Chigi, "lo schema di decreto legge sulle banche è sostanzialmente pronto per essere varato, laddove fosse necessario".
La giornata si è chiusa con una nota in cui il cda di Mps, aggiornato ad oggi alle 17 "informa di non aver ricevuto alcuna comunicazione da parte della Banca centrale europea" e comunica che "la banca prosegue pertanto tutte le attività propedeutiche al completamento" della ricapitalizzazione. L'istituto senese quindi non si arrende e mantiene aperta la porta a una soluzione di mercato che potrebbe passare dalla riapertura della conversione dei bond al pubblico retail, oltre 40 mila risparmiatori che hanno in mano 2 miliardi di obbligazioni subordinate e che finora non hanno potuto aderire alla conversione per via degli stringenti paletti posti dalla Consob a tutela degli investitori non professionali.
L'istituto senese aveva chiesto tempo per provare a chiudere la ripatrimonializzazione da 5 miliardi contando interamente sulle forze di mercato. Sarebbe servita per quell'obiettivo la base di un pool di investitori, in aggiunta al miliardo già arrivato dalla conversione dei bond subordinati. Ma a questo punto, secondo quanto previsto dal piano messo a punto dagli advisor Jp Morgan e Mediobanca, questa strada sembra preclusa. Per mettere in sicurezza Mps e aiutarlo a raccogliere capitali servirà dunque l'intervento dello Stato, con il Tesoro al lavoro per un decreto legge che potrebbe vedere la luce nei prossimi giorni. Al salvataggio dovranno con ogni probabilità contribuire anche i titolari delle obbligazioni subordinate emesse dalla banca, e gli azionisti.
Sono mesi davvero duri per la dirigenza di Monte Paschi Siena, l'altro ieri infatti la Bce ha respinto la richiesta di Mps di concedere più tempo per l'aumento di capitale. La notizia, attesa con il fiato sospeso da Piazza Affari, si è subito diffusa nei vari ambienti della finanza mentre dalla banca si fa sapere che non sono ancora giunte comunicazioni ufficiali. Dall'Eurotower l'unica comunicazione che giunge è un granitico "no comment", come sempre accade nei confronti delle banche vigilate.E sul fronte del governo non è prevista per domani alcuna riunione del consiglio dei ministri. Secondo fonti da Palazzo Chigi, "lo schema di decreto legge sulle banche è sostanzialmente pronto per essere varato, laddove fosse necessario".
La giornata si è chiusa con una nota in cui il cda di Mps, aggiornato ad oggi alle 17 "informa di non aver ricevuto alcuna comunicazione da parte della Banca centrale europea" e comunica che "la banca prosegue pertanto tutte le attività propedeutiche al completamento" della ricapitalizzazione. L'istituto senese quindi non si arrende e mantiene aperta la porta a una soluzione di mercato che potrebbe passare dalla riapertura della conversione dei bond al pubblico retail, oltre 40 mila risparmiatori che hanno in mano 2 miliardi di obbligazioni subordinate e che finora non hanno potuto aderire alla conversione per via degli stringenti paletti posti dalla Consob a tutela degli investitori non professionali.
L'istituto senese aveva chiesto tempo per provare a chiudere la ripatrimonializzazione da 5 miliardi contando interamente sulle forze di mercato. Sarebbe servita per quell'obiettivo la base di un pool di investitori, in aggiunta al miliardo già arrivato dalla conversione dei bond subordinati. Ma a questo punto, secondo quanto previsto dal piano messo a punto dagli advisor Jp Morgan e Mediobanca, questa strada sembra preclusa. Per mettere in sicurezza Mps e aiutarlo a raccogliere capitali servirà dunque l'intervento dello Stato, con il Tesoro al lavoro per un decreto legge che potrebbe vedere la luce nei prossimi giorni. Al salvataggio dovranno con ogni probabilità contribuire anche i titolari delle obbligazioni subordinate emesse dalla banca, e gli azionisti.
Borsa in calo.Pesa l'incertezza FED.
di Madia De Marco
Condizionamenti esterni e paure frenano la borsa.
Settimana altalenante a Piazza Affari,l'ennesima del periodo.Prima una lentissima partenza, poi un leggero tentativo di rialzo, infine Piazza Affari si avvia a concludere la settimana sulla scia delle altre Borse europee in un contesto condizionato dai pochi volumi per la chiusura della piazza londinese e dall’incertezza sui tassi Usa dopo l’ultimo discorso della presidente della Fed Janet Yellen. Le parole di Yellen sono state lette molto male. C’è molta incertezza sulla tempistica del rialzo dei tassi.Il Tesoro ha venduto in asta tutti i sei miliardi di euro del Bot a sei mesi con tassi in discesa avvicinandosi al record negativo di -0,2% registrato lo scorso luglio.
La domanda ha superato i nove miliardi. Intanto, il rendimento dei Bund a 10 anni ha toccato il livello più alto dal voto sulla Brexit del 23 giugno. Incide la porta aperta per un rialzo dei tassi lasciata dalla Fed già per il prossimo mese. A Piazza Affari, si muove in controtendenza Mps, ma senza volumi rispetto a un settore bancario debole, grazie alle indiscrezioni stampa su un piano di conversione dei bond subordinati per ridurre il peso dell’aumento di capitale. I riflettori sono puntati su Siena dove oggi si riunisce il consiglio di amministrazione per un aggiornamento sull’attività dell’istituto e sul piano che dovrebbe essere presentato a fine settembre. Ben comprata anche Banca Carige (+1,21%).
Deboli, invece, gli altri titoli del settore con Bper che guida i ribassi con un -3%. Volatile Unicredit sulle notizie contrastanti in merito alla possibile vendita di Pekao. Male la galassia Agnelli con ribassi superiori al 2%.Hanno chiuso in negativo tutte le Borse asiatiche, con l’esclusione di Tokyo in deciso rialzo. Sull’andamento delle piazze asiatiche hanno inciso le parole della presidente della Fed Janet Yellen, che ha aperto a un possibile rialzo dei tassi. Al contrario Tokyo ha chiuso la seduta con un rialzo superiore al 2%.
Settimana altalenante a Piazza Affari,l'ennesima del periodo.Prima una lentissima partenza, poi un leggero tentativo di rialzo, infine Piazza Affari si avvia a concludere la settimana sulla scia delle altre Borse europee in un contesto condizionato dai pochi volumi per la chiusura della piazza londinese e dall’incertezza sui tassi Usa dopo l’ultimo discorso della presidente della Fed Janet Yellen. Le parole di Yellen sono state lette molto male. C’è molta incertezza sulla tempistica del rialzo dei tassi.Il Tesoro ha venduto in asta tutti i sei miliardi di euro del Bot a sei mesi con tassi in discesa avvicinandosi al record negativo di -0,2% registrato lo scorso luglio.
La domanda ha superato i nove miliardi. Intanto, il rendimento dei Bund a 10 anni ha toccato il livello più alto dal voto sulla Brexit del 23 giugno. Incide la porta aperta per un rialzo dei tassi lasciata dalla Fed già per il prossimo mese. A Piazza Affari, si muove in controtendenza Mps, ma senza volumi rispetto a un settore bancario debole, grazie alle indiscrezioni stampa su un piano di conversione dei bond subordinati per ridurre il peso dell’aumento di capitale. I riflettori sono puntati su Siena dove oggi si riunisce il consiglio di amministrazione per un aggiornamento sull’attività dell’istituto e sul piano che dovrebbe essere presentato a fine settembre. Ben comprata anche Banca Carige (+1,21%).
Deboli, invece, gli altri titoli del settore con Bper che guida i ribassi con un -3%. Volatile Unicredit sulle notizie contrastanti in merito alla possibile vendita di Pekao. Male la galassia Agnelli con ribassi superiori al 2%.Hanno chiuso in negativo tutte le Borse asiatiche, con l’esclusione di Tokyo in deciso rialzo. Sull’andamento delle piazze asiatiche hanno inciso le parole della presidente della Fed Janet Yellen, che ha aperto a un possibile rialzo dei tassi. Al contrario Tokyo ha chiuso la seduta con un rialzo superiore al 2%.
Le SICAV.Caratteristiche e funzionalità.
di Nadia De Marco
Investimenti collettivi tramite società create ad hoc.
Spesso in tv o suoi giornali sentiamo la parola SICAV, ma di cosa si tratta con precisione?Sicav è l'acronimo di società di investimento a capitale variabile. Si tratta di una società per azioni a capitale che per statuto ha come unico scopo l'investimento collettivo del patrimonio raccolto mediante offerta pubblica delle proprie azioni. Data la definizione e il significato di Sicav, possiamo inoltre sottolineare che le SICAV esistono nell'ordimento italiano dal 1992 successivamente a una direttiva europea e attualmente le Sicav quotate italiane vengono regolamentate dal TUF, Testo Unico della Finanza, considerato principale fonte normativa in ambito finanziario. Le azioni della Sicav, il cui valore viene stabilito mediante modalità previste dallo statuto, possono essere nominative o al portatore. Le azioni al portatore attribuiscono un solo voto indipendentemente dal loro numero. La Sicav è costituita solo dopo esplicita e necessaria autorizzazione della Banca d’Italia dopo un confronto con la Consob, ed entrambe devono assicurarsi che siano presenti determinate caratteristiche quali: forma di società per azioni; sede legale e direzionale nel territorio italiano; capitale sociale non inferiore a quello stabilito dalla Banca d’Italia; possesso dei requisiti di onorabilità e professionalità.
Il cliente può sottoscrivere quote di fondi comuni, acquistare azioni o investire in una SICAV. Si tratta di prodotti che consentono di investire, anche con piccoli importi, sui mercati finanziari di tutto il mondo. Attraverso i fondi comuni di investimento gli investitori affidano i propri risparmi a una società specializzata che gestisce collettivamente le somme versate, rappresentate da quote. La gestione collettiva garantisce una serie di vantaggi generalmente preclusi al singolo investitore: una gestione delegata a professionisti, dai costi ridotti, con un’ampia diversificazione e, di conseguenza, una riduzione dei rischi connessi all’investimento. I proventi realizzati dalle Sicav inoltre sono tassati quotidianamente e il valore della quota è sempre al lordo delle ritenute fiscali e degli altri costi.
Questi strumenti permettono, inoltre, di investire o disinvestire in ogni momento a seconda delle proprie esigenze. Le Sicav sono, infatti, organismi di tipo “aperto” e un investitore può sempre sottoscrivere nuove azioni o chiedere il rimborso delle stesse. Per i fondi comuni vale la stessa regola se l’investimento è stato effettuato in fondi comuni aperti; nel caso di fondi comuni di tipo chiuso il rimborso delle quote viene riconosciuto solo a scadenze predeterminate.
Spesso in tv o suoi giornali sentiamo la parola SICAV, ma di cosa si tratta con precisione?Sicav è l'acronimo di società di investimento a capitale variabile. Si tratta di una società per azioni a capitale che per statuto ha come unico scopo l'investimento collettivo del patrimonio raccolto mediante offerta pubblica delle proprie azioni. Data la definizione e il significato di Sicav, possiamo inoltre sottolineare che le SICAV esistono nell'ordimento italiano dal 1992 successivamente a una direttiva europea e attualmente le Sicav quotate italiane vengono regolamentate dal TUF, Testo Unico della Finanza, considerato principale fonte normativa in ambito finanziario. Le azioni della Sicav, il cui valore viene stabilito mediante modalità previste dallo statuto, possono essere nominative o al portatore. Le azioni al portatore attribuiscono un solo voto indipendentemente dal loro numero. La Sicav è costituita solo dopo esplicita e necessaria autorizzazione della Banca d’Italia dopo un confronto con la Consob, ed entrambe devono assicurarsi che siano presenti determinate caratteristiche quali: forma di società per azioni; sede legale e direzionale nel territorio italiano; capitale sociale non inferiore a quello stabilito dalla Banca d’Italia; possesso dei requisiti di onorabilità e professionalità.
Il cliente può sottoscrivere quote di fondi comuni, acquistare azioni o investire in una SICAV. Si tratta di prodotti che consentono di investire, anche con piccoli importi, sui mercati finanziari di tutto il mondo. Attraverso i fondi comuni di investimento gli investitori affidano i propri risparmi a una società specializzata che gestisce collettivamente le somme versate, rappresentate da quote. La gestione collettiva garantisce una serie di vantaggi generalmente preclusi al singolo investitore: una gestione delegata a professionisti, dai costi ridotti, con un’ampia diversificazione e, di conseguenza, una riduzione dei rischi connessi all’investimento. I proventi realizzati dalle Sicav inoltre sono tassati quotidianamente e il valore della quota è sempre al lordo delle ritenute fiscali e degli altri costi.
Questi strumenti permettono, inoltre, di investire o disinvestire in ogni momento a seconda delle proprie esigenze. Le Sicav sono, infatti, organismi di tipo “aperto” e un investitore può sempre sottoscrivere nuove azioni o chiedere il rimborso delle stesse. Per i fondi comuni vale la stessa regola se l’investimento è stato effettuato in fondi comuni aperti; nel caso di fondi comuni di tipo chiuso il rimborso delle quote viene riconosciuto solo a scadenze predeterminate.
Fondi comuni d'investimento.Cosa sono?
di Nadia De Marco
Un importante mezzo per investire.Ma va usato con attenzione.
I fondi comuni di investimento sono istituti di intermediazione finanziaria cha hanno lo scopo di investire i capitali raccolti dai risparmiatori. Il fine è quello di creare valore, attraverso la gestione di una serie di asset, per i gestori del fondo e per i risparmiatori che vi hanno investito. Tre sono le principali componenti che caratterizzano un fondo comune di investimento: I partecipanti del fondo, detti anche fondisti sono i risparmiatori che investono nelle attività del fondo acquisendone quote tramite i propri capitali. La società di gestione, ossia il fulcro gestionale dell’attività del fondo che ha la funzione di avviare il fondo stesso, di stabilirne il regolamento e di gestirne il portafoglio.Le banche depositarie che custodiscono materialmente i titoli del fondo e ne tengono in cassa le disponibilità liquide.
La banche hanno inoltre un ruolo di controllo sulla legittimità delle attività del fondo sulla base di quanto prescritto dalle norme della Banca d’Italia e dal regolamento del fondo stesso. I costi sostenuti da chi entra in un fondo comune di investimento sono i seguenti: La commissione d’ingresso o di sottoscrizione che viene pagata al momento del primo versamento. In genere è inversamente proporzionale all’entità del proprio investimento (più si investe, meno si paga) ed è più elevata per i cosiddetti fondi azionari che per quelli bilanciati. Esistono anche dei fondi che non prevedono una commissione di ingresso: sono i cosiddetti fondi no load. La commissione di gestione è invece il costo sostenuto dal fondista per la gestione del fondo. È calcolata su base annua, ma in genere corrisposta a cadenza semestrale, trimestrale o mensile. L’extra commissione di performance è invece una commissione opzionale che alcuni fondi auto deliberano al fine premiarsi se grazie alla loro abilità il rendimento del fondo supera una certa soglia basata su parametri prestabiliti.
Quotidianamente è pubblicato sui giornali il valore unitario di ogni singola quota dei diversi fondi. Sul sito di Borsa Italiana è inoltre possibile seguire l’andamento dei prezzi delle quote dei vari fondi esattamente allo stesso modo in cui si segue l’andamento dei titoli azionari. I prezzi in questione incorporano già il rendimento del fondo. Esistono varie tipologie di fondi comuni, le più note sono le tre seguenti. Fondi azionari, investono principalmente in azioni o in obbligazioni convertibili. Sono in genere più rischiosi, ma tendono a garantire rendimenti più elevati e garantiscono comunque oscillazioni inferiori a quelle dei titoli azionari semplici. Fondi obbligazionari, si tratta di fondi che investono prevalentemente in obbligazioni ordinarie e in titoli di Stato: questo genere di fondi ha in genere il vantaggio di essere meno rischiosi, ma lo svantaggio di essere meno redditizi. Fondi bilanciati, sono dei fondi che mirano a bilanciare le diverse forme di investimento in modo da ottenere prestazioni e profili di rischio intermedi fra quelli dei fondi azionari e obbligazionari.
I fondi comuni di investimento sono istituti di intermediazione finanziaria cha hanno lo scopo di investire i capitali raccolti dai risparmiatori. Il fine è quello di creare valore, attraverso la gestione di una serie di asset, per i gestori del fondo e per i risparmiatori che vi hanno investito. Tre sono le principali componenti che caratterizzano un fondo comune di investimento: I partecipanti del fondo, detti anche fondisti sono i risparmiatori che investono nelle attività del fondo acquisendone quote tramite i propri capitali. La società di gestione, ossia il fulcro gestionale dell’attività del fondo che ha la funzione di avviare il fondo stesso, di stabilirne il regolamento e di gestirne il portafoglio.Le banche depositarie che custodiscono materialmente i titoli del fondo e ne tengono in cassa le disponibilità liquide.
La banche hanno inoltre un ruolo di controllo sulla legittimità delle attività del fondo sulla base di quanto prescritto dalle norme della Banca d’Italia e dal regolamento del fondo stesso. I costi sostenuti da chi entra in un fondo comune di investimento sono i seguenti: La commissione d’ingresso o di sottoscrizione che viene pagata al momento del primo versamento. In genere è inversamente proporzionale all’entità del proprio investimento (più si investe, meno si paga) ed è più elevata per i cosiddetti fondi azionari che per quelli bilanciati. Esistono anche dei fondi che non prevedono una commissione di ingresso: sono i cosiddetti fondi no load. La commissione di gestione è invece il costo sostenuto dal fondista per la gestione del fondo. È calcolata su base annua, ma in genere corrisposta a cadenza semestrale, trimestrale o mensile. L’extra commissione di performance è invece una commissione opzionale che alcuni fondi auto deliberano al fine premiarsi se grazie alla loro abilità il rendimento del fondo supera una certa soglia basata su parametri prestabiliti.
Quotidianamente è pubblicato sui giornali il valore unitario di ogni singola quota dei diversi fondi. Sul sito di Borsa Italiana è inoltre possibile seguire l’andamento dei prezzi delle quote dei vari fondi esattamente allo stesso modo in cui si segue l’andamento dei titoli azionari. I prezzi in questione incorporano già il rendimento del fondo. Esistono varie tipologie di fondi comuni, le più note sono le tre seguenti. Fondi azionari, investono principalmente in azioni o in obbligazioni convertibili. Sono in genere più rischiosi, ma tendono a garantire rendimenti più elevati e garantiscono comunque oscillazioni inferiori a quelle dei titoli azionari semplici. Fondi obbligazionari, si tratta di fondi che investono prevalentemente in obbligazioni ordinarie e in titoli di Stato: questo genere di fondi ha in genere il vantaggio di essere meno rischiosi, ma lo svantaggio di essere meno redditizi. Fondi bilanciati, sono dei fondi che mirano a bilanciare le diverse forme di investimento in modo da ottenere prestazioni e profili di rischio intermedi fra quelli dei fondi azionari e obbligazionari.
Titoli derivati.Analisi di pregi e difetti.
di Nadia De Marco
Uno strumento speculativo che può diventare pericolosissimo.
I derivati sono titoli di credito particolari, nello specifico sono strumenti finanziari complessi che, per la loro enorme diffusione sui mercati di capitali hanno finito per acquisire un ruolo di assoluta centralità nell’intera economia globale. Come si può capire dalla loro stessa denominazione, i derivati non sono titoli che posseggono un proprio valore intrinseco bensì derivano il loro valore da altri prodotti finanziari ovvero da beni reali alla cui variazione di prezzo essi sono agganciati. Il titolo o il bene la cui quotazione imprime il valore al derivato assume il nome di sottostante.In generale quindi, i derivati possono assolvere tanto ad una funzione protettiva (ossia di copertura) da uno specifico rischio di mercato quanto ad una finalità meramente speculativa.
E' ormai opinione consolidata che sui mercati finanziari globali i derivati si siano affermati soprattutto quale mezzo di speculazione. Ogni derivato ha ad oggetto una previsione (o, se si vuole, una scommessa) sull’andamento futuro di un particolare indice di prezzo, come ad esempio quotazioni di titoli, tassi d’interesse, tassi di cambio tra valute diverse, prezzi di merci o di materie prime. Una delle caratteristiche peculiari del derivato è quella di essere uno strumento finanziario acquistabile sui mercati da un numero indefinito di scommettitori che non vantano alcun rapporto diretto col titolo (o col bene) sottostante o che, in altre parole, non sono direttamente coinvolti nell’operazione finanziaria dal cui andamento il prodotto derivato trae il suo valore.
E’ un po’ come se a mille persone fosse concesso di accendere una polizza assicurativa scommettendo sulla possibilità che un medesimo bene reale, di cui essi non sono titolari, vada in deperimento. Pertanto, nella pratica finanziaria è permesso a chiunque di comprare un derivato il cui valore è collegato al rischio di solvibilità di un altro soggetto (come il titolare di un prestito). In quest’ultimo caso, gli acquirenti di un derivato scelgono di scommettere sulla capacità del debitore di onorare quel determinato prestito. La conseguenza è che, se l’operazione sottostante va male per gli scommettitori, l’effetto di leva del derivato moltiplica il rischio finanziario fino a fargli assumere una portata sistemica, come in effetti sta accadendo nel corso della grande crisi che stiamo vivendo.
I derivati sono titoli di credito particolari, nello specifico sono strumenti finanziari complessi che, per la loro enorme diffusione sui mercati di capitali hanno finito per acquisire un ruolo di assoluta centralità nell’intera economia globale. Come si può capire dalla loro stessa denominazione, i derivati non sono titoli che posseggono un proprio valore intrinseco bensì derivano il loro valore da altri prodotti finanziari ovvero da beni reali alla cui variazione di prezzo essi sono agganciati. Il titolo o il bene la cui quotazione imprime il valore al derivato assume il nome di sottostante.In generale quindi, i derivati possono assolvere tanto ad una funzione protettiva (ossia di copertura) da uno specifico rischio di mercato quanto ad una finalità meramente speculativa.
E' ormai opinione consolidata che sui mercati finanziari globali i derivati si siano affermati soprattutto quale mezzo di speculazione. Ogni derivato ha ad oggetto una previsione (o, se si vuole, una scommessa) sull’andamento futuro di un particolare indice di prezzo, come ad esempio quotazioni di titoli, tassi d’interesse, tassi di cambio tra valute diverse, prezzi di merci o di materie prime. Una delle caratteristiche peculiari del derivato è quella di essere uno strumento finanziario acquistabile sui mercati da un numero indefinito di scommettitori che non vantano alcun rapporto diretto col titolo (o col bene) sottostante o che, in altre parole, non sono direttamente coinvolti nell’operazione finanziaria dal cui andamento il prodotto derivato trae il suo valore.
E’ un po’ come se a mille persone fosse concesso di accendere una polizza assicurativa scommettendo sulla possibilità che un medesimo bene reale, di cui essi non sono titolari, vada in deperimento. Pertanto, nella pratica finanziaria è permesso a chiunque di comprare un derivato il cui valore è collegato al rischio di solvibilità di un altro soggetto (come il titolare di un prestito). In quest’ultimo caso, gli acquirenti di un derivato scelgono di scommettere sulla capacità del debitore di onorare quel determinato prestito. La conseguenza è che, se l’operazione sottostante va male per gli scommettitori, l’effetto di leva del derivato moltiplica il rischio finanziario fino a fargli assumere una portata sistemica, come in effetti sta accadendo nel corso della grande crisi che stiamo vivendo.
Wall Street.La Brexit già spaventa le borse.
di Nadia De Marco
Fondo Monetario e Fed pronte a decisioni drastiche.
Un week-end davvero negativo per l'indice di borsa a Wall Stree.Già pesa e non poco la paura per l'esito referendario della Brexit, che da giorni ormai sta mettendo sotto pressione i mercati internazionali in vista del referendum del 23 giugno, e dall’altra l’attesa per la decisione della Fed.La riunione del Fondo Monetario che domani si concluderà con annessa decisione sul costo del denaro e con gli aggiornamenti delle stime economiche e la conferenza stampa di Janet Yellen. Gli analisti prevedono però una decisione interlocutoria a causa di numerosi problemi in essere come le tensioni dei mercati e i deludenti dati sull’occupazione americana.Si ritiene che a muovere gli indici potranno essere le indicazioni sulle previsioni e sulla traiettoria delle decisioni della Fed. Intanto a tenere schiacciati verso il basso i listini e’ anche il petrolio che ha chiuso in calo la seduta di oggi.
Nel finale,il Dow Jones cede lo 0,33%,il Nasdaq lascia sul terreno lo 0,10%, a quota 4.843. Il contratto a luglio del petrolio al Nymex e’ scivolato dello 0,8%, 39 centesimi, a 48,49 dollari al barile.I listini confermano i ribassi nonostante i dati macro positivi pubblicati finora: le vendite al dettaglio sono cresciute piu’ delle stime e i prezzi all’importazione sono aumentati a un passo doppio rispetto alle previsioni.Per il quarto giorno di fila il petrolio ha chiuso la seduta in ribasso. A tenere il contratto sotto pressione sono l’aumento per i timori per una uscita della Gran Bretagna dall’Europa, scelta che causerebbe un terremoto sui mercati azionari mondiali.
Questa condizione ha messo in ombra una previsione piu’ ottimista da parte della International Energy Agency: ha detto che il mercato del petrolio e’ sostanzialmente in equilibrio, dopo due anni di scorte eccessive. Il contratto a luglio al Nymex e’ scivolato dello 0,8%, 39 centesimi, a 48,49 dollari al barile.I titoli di stato americani tirano il freno dopo il dato migliore delle previsioni sulle vendite al dettaglio e i prezzi all’importazione negli Stati Uniti. Gli investitori preferiscono incassare i guadagni e optano per le vendite. I riflettori sono puntati sull’inizio della riunione del Fomc, con la Federal Reserve che domani annuncera’ le proprie decisioni sul costo del denaro e dara’ gli aggiornamenti delle stime sull’economia.
Un week-end davvero negativo per l'indice di borsa a Wall Stree.Già pesa e non poco la paura per l'esito referendario della Brexit, che da giorni ormai sta mettendo sotto pressione i mercati internazionali in vista del referendum del 23 giugno, e dall’altra l’attesa per la decisione della Fed.La riunione del Fondo Monetario che domani si concluderà con annessa decisione sul costo del denaro e con gli aggiornamenti delle stime economiche e la conferenza stampa di Janet Yellen. Gli analisti prevedono però una decisione interlocutoria a causa di numerosi problemi in essere come le tensioni dei mercati e i deludenti dati sull’occupazione americana.Si ritiene che a muovere gli indici potranno essere le indicazioni sulle previsioni e sulla traiettoria delle decisioni della Fed. Intanto a tenere schiacciati verso il basso i listini e’ anche il petrolio che ha chiuso in calo la seduta di oggi.
Nel finale,il Dow Jones cede lo 0,33%,il Nasdaq lascia sul terreno lo 0,10%, a quota 4.843. Il contratto a luglio del petrolio al Nymex e’ scivolato dello 0,8%, 39 centesimi, a 48,49 dollari al barile.I listini confermano i ribassi nonostante i dati macro positivi pubblicati finora: le vendite al dettaglio sono cresciute piu’ delle stime e i prezzi all’importazione sono aumentati a un passo doppio rispetto alle previsioni.Per il quarto giorno di fila il petrolio ha chiuso la seduta in ribasso. A tenere il contratto sotto pressione sono l’aumento per i timori per una uscita della Gran Bretagna dall’Europa, scelta che causerebbe un terremoto sui mercati azionari mondiali.
Questa condizione ha messo in ombra una previsione piu’ ottimista da parte della International Energy Agency: ha detto che il mercato del petrolio e’ sostanzialmente in equilibrio, dopo due anni di scorte eccessive. Il contratto a luglio al Nymex e’ scivolato dello 0,8%, 39 centesimi, a 48,49 dollari al barile.I titoli di stato americani tirano il freno dopo il dato migliore delle previsioni sulle vendite al dettaglio e i prezzi all’importazione negli Stati Uniti. Gli investitori preferiscono incassare i guadagni e optano per le vendite. I riflettori sono puntati sull’inizio della riunione del Fomc, con la Federal Reserve che domani annuncera’ le proprie decisioni sul costo del denaro e dara’ gli aggiornamenti delle stime sull’economia.
Bank of China.La scalata continua.
di Nadia De Marco
Piani strategici molto aggressivi da parte della banca cinese.
Il Governatore cinese Zhou Xiaochuan lo ha affermato poco tempo fa,la Bank of China è pronta a piazzarsi nella Borsa Italiana continuando a diversificare gli asset in portafoglio e a puntare con determinazione sul sistema Europa.Dalle comunicazioni Consob sulle partecipazioni rilevanti pubblicate la settimana scorsa emerge infatti che Bank of China detiene dal 29 Marzo scorso il 2,005% di UniCredit e dal 30 Gennaio il 2,01% di Monte dei Paschi di Siena. In entrambi i casi le partecipazioni sono a titolo di diretta proprietà. Fin qui il laconico comunicato che segue di due settimane quello, identico, sulle partecipazioni rilevanti in Intesa Sanpaolo. Una manovra a tenaglia sulle banche italiane da parte di Pechino, proprio nel momento in cui si allarga il numero di banche cinesi in arrivo in Italia, l'ultima è China construction bank che si aggiunge ad Icbc e Bank of China, mentre si vocifera di un possibile arrivo anche di Bocom, ovvero Bank of communication. Non solo.
Alcune di queste banche collaborano già o stanno collaborando in Italia e in Cina con banche cinesi, la stessa operazione ChinaChem-Pirelli ha visto in prima linea China construction bank insieme alle italiane Intesa Sanpaolo e Unicredit. I tempi cambiano al punto che Banca d'Italia ha dichiarato per la prima volta di aver acquistato nelle sue riserve la moneta di Pechino che, in teoria, non è nemmeno considerata ascrivibile a riserva non essendo convertibile.Per i cinesi, dunque, quella soglia del 2% che fa scattare l'obbligo di denuncia alla Consob per le partecipazioni rilevanti considerata troppo bassa, è anche la spia delle decisioni di investimento cinesi. I cinesi al contrario sono per tradizione molto riservati sulla composizione delle loro risorse: per quelle valutarie si va a spanne, è un segreto di Stato vero e proprio, tuttavia si stima che una percentuale tra il 60 e il 70 per cento è destinata ad asset in dollari, in gran parte titoli del Tesoro.
Insomma il governatore Zhou al premier Matteo Renzi aveva fatto capire che la Bank of China fosse davvero pronta ad investire anche di più tradendo questa storica riservatezza. Zhou s'era rammaricato, racconta chi c'era, in quel contesto ma quella soglia del 2% è troppo bassa per noi, soltanto l'Italia ne ha una così alta in Europa. La soglia del 2% com'è noto non ha impedito a Safe, l'agenzia che che si occupa non solo della valuta estera ma anche degli investimenti esteri, di continuare a pianificare gli acquisti sui mercati finanziari italiani e a diversificare gli investimenti. Con il risultato di mettere sullo scacchiere, dopo le tre banche italiane, tutte le pedine disponibili.
Il Governatore cinese Zhou Xiaochuan lo ha affermato poco tempo fa,la Bank of China è pronta a piazzarsi nella Borsa Italiana continuando a diversificare gli asset in portafoglio e a puntare con determinazione sul sistema Europa.Dalle comunicazioni Consob sulle partecipazioni rilevanti pubblicate la settimana scorsa emerge infatti che Bank of China detiene dal 29 Marzo scorso il 2,005% di UniCredit e dal 30 Gennaio il 2,01% di Monte dei Paschi di Siena. In entrambi i casi le partecipazioni sono a titolo di diretta proprietà. Fin qui il laconico comunicato che segue di due settimane quello, identico, sulle partecipazioni rilevanti in Intesa Sanpaolo. Una manovra a tenaglia sulle banche italiane da parte di Pechino, proprio nel momento in cui si allarga il numero di banche cinesi in arrivo in Italia, l'ultima è China construction bank che si aggiunge ad Icbc e Bank of China, mentre si vocifera di un possibile arrivo anche di Bocom, ovvero Bank of communication. Non solo.
Alcune di queste banche collaborano già o stanno collaborando in Italia e in Cina con banche cinesi, la stessa operazione ChinaChem-Pirelli ha visto in prima linea China construction bank insieme alle italiane Intesa Sanpaolo e Unicredit. I tempi cambiano al punto che Banca d'Italia ha dichiarato per la prima volta di aver acquistato nelle sue riserve la moneta di Pechino che, in teoria, non è nemmeno considerata ascrivibile a riserva non essendo convertibile.Per i cinesi, dunque, quella soglia del 2% che fa scattare l'obbligo di denuncia alla Consob per le partecipazioni rilevanti considerata troppo bassa, è anche la spia delle decisioni di investimento cinesi. I cinesi al contrario sono per tradizione molto riservati sulla composizione delle loro risorse: per quelle valutarie si va a spanne, è un segreto di Stato vero e proprio, tuttavia si stima che una percentuale tra il 60 e il 70 per cento è destinata ad asset in dollari, in gran parte titoli del Tesoro.
Insomma il governatore Zhou al premier Matteo Renzi aveva fatto capire che la Bank of China fosse davvero pronta ad investire anche di più tradendo questa storica riservatezza. Zhou s'era rammaricato, racconta chi c'era, in quel contesto ma quella soglia del 2% è troppo bassa per noi, soltanto l'Italia ne ha una così alta in Europa. La soglia del 2% com'è noto non ha impedito a Safe, l'agenzia che che si occupa non solo della valuta estera ma anche degli investimenti esteri, di continuare a pianificare gli acquisti sui mercati finanziari italiani e a diversificare gli investimenti. Con il risultato di mettere sullo scacchiere, dopo le tre banche italiane, tutte le pedine disponibili.
Unicredit.Pronto il piano Spagna.
di Nadia De Marco
L'alta finanza guarda al futuro con notevole ottimismo.
Unicredit è una delle poche banche che sembra non subire alcuna forma di regresso finanziario,anzi i suoi dividendi sono sempre tra i più corposi del comparto.Il mese prossimo la banca italiana è pronta a scommettere suon di milioni sulla ripresa di Spagna e Portogallo, puntando al mercato dei capitali e i servizi alle imprese. Questa notizia è stata resa nota dall'amministratore delegato, Federico Ghizzoni, al termine del consiglio di amministrazione riunitosi venerdì a Milano. La nuova filiale corporate di Madrid sarà guidata da un manager interno al gruppo, Pedro Fernandez de Santaella, e si aggiunge alle oltre 40 sedi presenti nel mondo, che diventano 50 considerando le attività di Pioneer. Secondo la Unicredit siamo dinanzi ad uno dei primi passi della strategia di rafforzamento internazionale approvata dal consiglio 2-3 mesi fa e altre possibili aperture potrebbero avvenire nei prossimi mesi.
L’obiettivo della nuova filiale iberica (per la cui apertura si attendono gli ok finali di Bankitalia e Banca Centrale Spagnola) sono 30-50 grandi clienti spagnoli, molti dei quali già presenti nel portafoglio di gruppo. Unicredit può offrire una presenza geografica in Europa e nell’Europa centro-orientale che dovrebbe fare la differenza rispetto ai rivali. Unicredit, del resto, ha già filiali a Londra, Parigi, in Svizzera e ad Oslo, offrendo quindi una copertura a 360 gradi nell’intero Vecchio Continente. E' comunque escluso di voler fare concorrenza alle banche locali sulla clientela retail.Il consiglio di Unicredit ha inoltre definito «molto positivo» l’ingresso della Banca Popolare Cinese nel capitale di Unicredit con il 2%, avvenuto lo scorso 29 Gennaio.
I cinesi sono investitori di lungo periodo ed il recente crollo delle Borse asiatiche non deve spaventare.Bisogna distinguere tra mercati azionari e tutto il resto: in Cina sono crollate le Borse nell’ultima settimana, ma non i titoli di Stato.Questa situazione non testimonia il crollo per la Cina, perchè si tratta di un Paese che ha riserve valutarie enormi che gestisce la Banca centrale.
Unicredit è una delle poche banche che sembra non subire alcuna forma di regresso finanziario,anzi i suoi dividendi sono sempre tra i più corposi del comparto.Il mese prossimo la banca italiana è pronta a scommettere suon di milioni sulla ripresa di Spagna e Portogallo, puntando al mercato dei capitali e i servizi alle imprese. Questa notizia è stata resa nota dall'amministratore delegato, Federico Ghizzoni, al termine del consiglio di amministrazione riunitosi venerdì a Milano. La nuova filiale corporate di Madrid sarà guidata da un manager interno al gruppo, Pedro Fernandez de Santaella, e si aggiunge alle oltre 40 sedi presenti nel mondo, che diventano 50 considerando le attività di Pioneer. Secondo la Unicredit siamo dinanzi ad uno dei primi passi della strategia di rafforzamento internazionale approvata dal consiglio 2-3 mesi fa e altre possibili aperture potrebbero avvenire nei prossimi mesi.
L’obiettivo della nuova filiale iberica (per la cui apertura si attendono gli ok finali di Bankitalia e Banca Centrale Spagnola) sono 30-50 grandi clienti spagnoli, molti dei quali già presenti nel portafoglio di gruppo. Unicredit può offrire una presenza geografica in Europa e nell’Europa centro-orientale che dovrebbe fare la differenza rispetto ai rivali. Unicredit, del resto, ha già filiali a Londra, Parigi, in Svizzera e ad Oslo, offrendo quindi una copertura a 360 gradi nell’intero Vecchio Continente. E' comunque escluso di voler fare concorrenza alle banche locali sulla clientela retail.Il consiglio di Unicredit ha inoltre definito «molto positivo» l’ingresso della Banca Popolare Cinese nel capitale di Unicredit con il 2%, avvenuto lo scorso 29 Gennaio.
I cinesi sono investitori di lungo periodo ed il recente crollo delle Borse asiatiche non deve spaventare.Bisogna distinguere tra mercati azionari e tutto il resto: in Cina sono crollate le Borse nell’ultima settimana, ma non i titoli di Stato.Questa situazione non testimonia il crollo per la Cina, perchè si tratta di un Paese che ha riserve valutarie enormi che gestisce la Banca centrale.
Credito Cooperativo.Arriva una rivoluzione.
di Nadia De Marco
Alle porte una radicale riforma del credico cooperativo.
Le BCC, le cosiddette banche di credito cooperativo stanno per subire una radicale rivoluzione e il testo legislativo che le modificherà è ormai redatto nella sua completezza, pronto ad essere discusso a breve dalle commissioni competenti.I principi normativi di base su cui c'è stata comunanza di vedute sul Credito cooperativo sono molti chiari e tutti improntati alla funzionalità.Il Governo ha scelto di posticipare il tutto al dopo estate ma la convinzione di essere vicini alla svolta è enorme.
Tornando alle linee guida delle BCC lo scopo è sempre quello di favorire i territori e le comunità locali preservando lo spirito mutualistico che le contraddistingue ma q ciò vanno sostenute forme di integrazione basate sull’appartenenza a gruppi bancari,così come aveva ribadito anche la stessa Banca d’Italia, specificando che l’associazione di categoria è impegnata a formulare proposte concrete, che saranno valutate alla luce della loro capacità di rimuovere gli ostacoli alla ricapitalizzazione e di risolvere i problemi di questi intermediari.
Parole che hanno avuto il plauso delle associazioni di categoria e che sono una vera svolta per l'intero sistema delle Bcc.Biodiversità del Credito cooperativo, autonomia responsabile di ogni singola banca, esaltazione della mutualità e della dimensione territoriale, maggiore integrazione dentro al sistema per rispondere a quanto chiede l’Europa, soprattutto in termini di capitale:questi sono i veri capisaldi della riforma che a breve sarà formalizzata nell'accordo di coesione che ogni singola Bcc firmerà con la capogruppo. Insomma nasce un nuovo progetto bancario che sarà basato solo sulla meritevolezza. La regola principale sarà quella secondo cui più una banca è solida, efficiente e trasparente, tanto maggiori saranno gli spazi di autonomia ele agevolazioni fiscali ad essa concesse.
Le BCC, le cosiddette banche di credito cooperativo stanno per subire una radicale rivoluzione e il testo legislativo che le modificherà è ormai redatto nella sua completezza, pronto ad essere discusso a breve dalle commissioni competenti.I principi normativi di base su cui c'è stata comunanza di vedute sul Credito cooperativo sono molti chiari e tutti improntati alla funzionalità.Il Governo ha scelto di posticipare il tutto al dopo estate ma la convinzione di essere vicini alla svolta è enorme.
Tornando alle linee guida delle BCC lo scopo è sempre quello di favorire i territori e le comunità locali preservando lo spirito mutualistico che le contraddistingue ma q ciò vanno sostenute forme di integrazione basate sull’appartenenza a gruppi bancari,così come aveva ribadito anche la stessa Banca d’Italia, specificando che l’associazione di categoria è impegnata a formulare proposte concrete, che saranno valutate alla luce della loro capacità di rimuovere gli ostacoli alla ricapitalizzazione e di risolvere i problemi di questi intermediari.
Parole che hanno avuto il plauso delle associazioni di categoria e che sono una vera svolta per l'intero sistema delle Bcc.Biodiversità del Credito cooperativo, autonomia responsabile di ogni singola banca, esaltazione della mutualità e della dimensione territoriale, maggiore integrazione dentro al sistema per rispondere a quanto chiede l’Europa, soprattutto in termini di capitale:questi sono i veri capisaldi della riforma che a breve sarà formalizzata nell'accordo di coesione che ogni singola Bcc firmerà con la capogruppo. Insomma nasce un nuovo progetto bancario che sarà basato solo sulla meritevolezza. La regola principale sarà quella secondo cui più una banca è solida, efficiente e trasparente, tanto maggiori saranno gli spazi di autonomia ele agevolazioni fiscali ad essa concesse.
OPEC.Cambiamenti in tema petrolio.
di Nadia De Marco
La vecchia organizzazione cambia la sua influenza.
Da alcuni anni sembra evidente che l'OPEC abbia quasi perso la sua forte influenza sulle vicende del mercato petrolifero. Quello che sembra certo è che abbia deciso di esercitare i suoi poteri di vigilanza in maniera molto meno penetrante.Il forte potere oggi è esercitato dagli United Shale of America, gli Stati Uniti dello shale oil, potenza petrolifera che è venuta a far sfoggio di sé proprio a casa dei concorrenti: all’Opec Seminar, convegno triennale che si è concluso ieri a Vienna, alla vigilia del vertice dell’Organizzazione.Lo shale è qui per restarci, ha proclamato Ryan Lance, ceo di ConocoPhillips, che nella precedente edizione del convegno era stato guardato con sufficienza dalla platea quando aveva messo in guardia dal sottostimare il fenomeno.
Era il maggio del 2012, praticamente una vita fa ma da allora gli Usa - proprio grazie allo shale - hanno aumentato l’estrazione di greggio di oltre 3 milioni di barili al giorno, ricollocandosi tra i maggiori produttori mondiali con ben 9,6 mbg. In barba alle norme in vigore - che tuttora non consentono al greggio made in Usa di varcare i confini - Washington sta aumentando il suo peso anche come esportatore: lo scorso aprile ha venduto all’estero 586.379 bg secondo dati appena pubblicati dal Census Bureau, un record dal 1920. Si tratta di una quantità superiore a quella di alcuni Paesi dell’Opec, come la Libia e l’Ecuador, che nello stesso mese non hanno superato 350mila bg, o il Qatar, che esporta circa mezzo milione di bg.Idea di molti alti dirigenti oggi è che sia opportuno per gli Stati Uniti considerare attentamente l’ipotesi di togliere il bando di esportazione, come ha affermato recente mente lo stesso Lance al Senato Usa dove è stato presentato un disegno di legge che punta a superare un divieto che risale agli shock petroliferi degli anni ’70.
Nei prossimi due anni dai giacimenti di petrolio non convenzionale arriverà un eccesso di petrolio di qualità che il sistema di raffinazione Usa, così com’è configurato oggi, non sarà in grado di utilizzare.Insomma davvero grossi cambiamenti in arrivo.Come reagirà l'OPEC?
Da alcuni anni sembra evidente che l'OPEC abbia quasi perso la sua forte influenza sulle vicende del mercato petrolifero. Quello che sembra certo è che abbia deciso di esercitare i suoi poteri di vigilanza in maniera molto meno penetrante.Il forte potere oggi è esercitato dagli United Shale of America, gli Stati Uniti dello shale oil, potenza petrolifera che è venuta a far sfoggio di sé proprio a casa dei concorrenti: all’Opec Seminar, convegno triennale che si è concluso ieri a Vienna, alla vigilia del vertice dell’Organizzazione.Lo shale è qui per restarci, ha proclamato Ryan Lance, ceo di ConocoPhillips, che nella precedente edizione del convegno era stato guardato con sufficienza dalla platea quando aveva messo in guardia dal sottostimare il fenomeno.
Era il maggio del 2012, praticamente una vita fa ma da allora gli Usa - proprio grazie allo shale - hanno aumentato l’estrazione di greggio di oltre 3 milioni di barili al giorno, ricollocandosi tra i maggiori produttori mondiali con ben 9,6 mbg. In barba alle norme in vigore - che tuttora non consentono al greggio made in Usa di varcare i confini - Washington sta aumentando il suo peso anche come esportatore: lo scorso aprile ha venduto all’estero 586.379 bg secondo dati appena pubblicati dal Census Bureau, un record dal 1920. Si tratta di una quantità superiore a quella di alcuni Paesi dell’Opec, come la Libia e l’Ecuador, che nello stesso mese non hanno superato 350mila bg, o il Qatar, che esporta circa mezzo milione di bg.Idea di molti alti dirigenti oggi è che sia opportuno per gli Stati Uniti considerare attentamente l’ipotesi di togliere il bando di esportazione, come ha affermato recente mente lo stesso Lance al Senato Usa dove è stato presentato un disegno di legge che punta a superare un divieto che risale agli shock petroliferi degli anni ’70.
Nei prossimi due anni dai giacimenti di petrolio non convenzionale arriverà un eccesso di petrolio di qualità che il sistema di raffinazione Usa, così com’è configurato oggi, non sarà in grado di utilizzare.Insomma davvero grossi cambiamenti in arrivo.Come reagirà l'OPEC?
Allianz pronta ad investire anche in Italia.
di Nadia De Marco
Il colosso tedesco spinge verso il mercato italiano.
Il nome di Allianz Bank è sinonimo di efficienza e competenza tedesca,del resto in Europa sono il terzo gruppo di asset management per patrimonio in gestione, ma il nuovo obiettivo per Allianz è quello di guadagnare nuove quote di mercato. Per questo motivo Elizabeth Corley, ceo di Allianz Global Investors, ha voluto essere presente all’evento organizzato dalla Borsa Italiana per incontrare i professionisti che lavorano nel suo gruppo.L’Italia sta diventando un mercato appetibile per velocità di crescita dei nuovi clienti, per questo Allianz punta ad aumentare la sua quota di mercato in tempi brevi. Si tratta, poi, di un mercato estremamente vivace e innovativo: capita spesso che nuove idee e prodotti nati in Italia vengano poi esportati in altri mercati.
I driver dell’andamento del settore nei prossimi 10 anni saranno due e di segno opposto: da un lato aumenterà la quota di risparmi a causa delle incertezze per il futuro e allo stesso tempo ci sarà una crescita demografica che permetterà un’espansione del settore; di contro però la generazione del babyboom arriverà all’età pensionabile e andranno crescendo le richieste di rimborsi di quanto investito. Nel complesso il ceo di Allianza crede che il comparto dell’asset management possa continuare a crescere ad un tasso attorno al 5%. Si tratta di un’opportunità importante per le società del risparmio gestito.
Dal canto suo Allianz è già da alcuni anni operativa nel finanziamento di progetti in infrastrutture e haraggiunto i 2,5 miliardi di euro con 14 operazioni. Inoltre, da due anni investe moltissimo in progetti del comparto energetico. La finalità strategica è chiara,diversificare l'offerta. Il primo trimestre dell’anno ha avuto un’evoluzione positiva sia a livello di raccolta che di profittabilità. Si stimano circa 454 miliardi di masse gestite, con una raccolta positiva per 6,2 miliardi. I risultati a livello di commissioni hanno avuto un andamento misto a seconda dei fondi: se, infatti, per gli hedge fund e il private equity le fees sono cresciute, per i fondi obbligazionari, invece, c’è stato un rallentamento.Allianz Global Investors nell’esercizio 2014 pesava per il 4% sul risultato operativo del gruppo Allianz. La percentuale è salita al 5% nel primo trimestre di quest’anno.Risultati soddisfacenti che spingono ad alzare il tiro.
Il nome di Allianz Bank è sinonimo di efficienza e competenza tedesca,del resto in Europa sono il terzo gruppo di asset management per patrimonio in gestione, ma il nuovo obiettivo per Allianz è quello di guadagnare nuove quote di mercato. Per questo motivo Elizabeth Corley, ceo di Allianz Global Investors, ha voluto essere presente all’evento organizzato dalla Borsa Italiana per incontrare i professionisti che lavorano nel suo gruppo.L’Italia sta diventando un mercato appetibile per velocità di crescita dei nuovi clienti, per questo Allianz punta ad aumentare la sua quota di mercato in tempi brevi. Si tratta, poi, di un mercato estremamente vivace e innovativo: capita spesso che nuove idee e prodotti nati in Italia vengano poi esportati in altri mercati.
I driver dell’andamento del settore nei prossimi 10 anni saranno due e di segno opposto: da un lato aumenterà la quota di risparmi a causa delle incertezze per il futuro e allo stesso tempo ci sarà una crescita demografica che permetterà un’espansione del settore; di contro però la generazione del babyboom arriverà all’età pensionabile e andranno crescendo le richieste di rimborsi di quanto investito. Nel complesso il ceo di Allianza crede che il comparto dell’asset management possa continuare a crescere ad un tasso attorno al 5%. Si tratta di un’opportunità importante per le società del risparmio gestito.
Dal canto suo Allianz è già da alcuni anni operativa nel finanziamento di progetti in infrastrutture e haraggiunto i 2,5 miliardi di euro con 14 operazioni. Inoltre, da due anni investe moltissimo in progetti del comparto energetico. La finalità strategica è chiara,diversificare l'offerta. Il primo trimestre dell’anno ha avuto un’evoluzione positiva sia a livello di raccolta che di profittabilità. Si stimano circa 454 miliardi di masse gestite, con una raccolta positiva per 6,2 miliardi. I risultati a livello di commissioni hanno avuto un andamento misto a seconda dei fondi: se, infatti, per gli hedge fund e il private equity le fees sono cresciute, per i fondi obbligazionari, invece, c’è stato un rallentamento.Allianz Global Investors nell’esercizio 2014 pesava per il 4% sul risultato operativo del gruppo Allianz. La percentuale è salita al 5% nel primo trimestre di quest’anno.Risultati soddisfacenti che spingono ad alzare il tiro.
In Grecia pronto il patto con i creditori.
di Nadia De Marco
Fosche nubi sul futuro economico dello Stato greco.
Sono giorni davvero importanti per il mondo economico greco.La Grecia è all'ultima fase del negoziato con i creditori,questo ha affermato il premier greco Alexis Tsipras in Parlamento, sottolineando che Atene ha presentato una proposta complessiva in cui il punto di forza è la riduzione del target sul surplus primario. Il capo del governo greco ha ribadito di voler un accordo con i creditori e che le parti sono «vicine» a un'intesa sulla base di una proposta realistica del governo ellenico. Tsipras però ha ammesso che esistono delle divergenze. Il premier greco Alexis Tsipras ha anche chiesto a Unione europea e Fmi di «ritirare» le loro proposte che ha definito «irrealistiche». Tra i punti di massima divergenza, l'intervento sulle pensioni e sulla massima flessibilità nel mercato del lavoro (assunzioni, licenziamenti e contrattazione).
La mossa di Atene di prendere tempo e accorpare i pagamenti a fine mese ha contraddetto l'impegno che il premier greco Alexis Tsipras, sottolineano le fonti, aveva espresso pubblicamente al termine dell'incontro di mercoledì notte con il presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker.
E per di più questa,sottolineano i ben informati, non è la prima volta che Tsipras cambia idea. Il mancato pagamento al Fmi è quindi percepito a Bruxelles come un nuovo irrigidimento delle posizioni negoziali, che getta inoltre ulteriore incertezza sulla volontà greca di onorare gli impegni finanziari aumentando ancora l'instabilità finanziaria. Oggi si sarebbe dovuto tenere inoltre un incontro dei presidenti delle diverse istituzioni Ue (Consiglio, Commissione, Eurogruppo, Bce, Europarlamento) per discutere del futuro dell'Unione monetaria ma è stato rinviato già da qualche giorno senza un preciso motivo.
Sono giorni davvero importanti per il mondo economico greco.La Grecia è all'ultima fase del negoziato con i creditori,questo ha affermato il premier greco Alexis Tsipras in Parlamento, sottolineando che Atene ha presentato una proposta complessiva in cui il punto di forza è la riduzione del target sul surplus primario. Il capo del governo greco ha ribadito di voler un accordo con i creditori e che le parti sono «vicine» a un'intesa sulla base di una proposta realistica del governo ellenico. Tsipras però ha ammesso che esistono delle divergenze. Il premier greco Alexis Tsipras ha anche chiesto a Unione europea e Fmi di «ritirare» le loro proposte che ha definito «irrealistiche». Tra i punti di massima divergenza, l'intervento sulle pensioni e sulla massima flessibilità nel mercato del lavoro (assunzioni, licenziamenti e contrattazione).
La mossa di Atene di prendere tempo e accorpare i pagamenti a fine mese ha contraddetto l'impegno che il premier greco Alexis Tsipras, sottolineano le fonti, aveva espresso pubblicamente al termine dell'incontro di mercoledì notte con il presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker.
E per di più questa,sottolineano i ben informati, non è la prima volta che Tsipras cambia idea. Il mancato pagamento al Fmi è quindi percepito a Bruxelles come un nuovo irrigidimento delle posizioni negoziali, che getta inoltre ulteriore incertezza sulla volontà greca di onorare gli impegni finanziari aumentando ancora l'instabilità finanziaria. Oggi si sarebbe dovuto tenere inoltre un incontro dei presidenti delle diverse istituzioni Ue (Consiglio, Commissione, Eurogruppo, Bce, Europarlamento) per discutere del futuro dell'Unione monetaria ma è stato rinviato già da qualche giorno senza un preciso motivo.
ENI rinasce grazie a scelte coraggiose.
di Nadia De Marco
La Marcegaglia spinge verso la rivoluzione il colosso italiano.
Presidente dell’Eni da poco più di un anno, Emma Marcegaglia, una vita nell’industria privata, sta dedicando tutto il suo impegno al vertice del più grande gruppo pubblico italiano. Effettivamente in molti aspetti è cambiata l’Eni negli ultimi dodici mesi:da una parte la rifocalizzazione sul core business, su quell’upstream che resta sempre centrale, e, dall’altra, la forte ristrutturazione degli altri segmenti (il gas, la raffinazione e la chimica).
In questi tre settori, dal 2009 al 2013,Eni aveva perso 10 miliardi di euro e la scelta non poteva che essere quella di ristrutturarli fortemente con la riduzione della capacità produttiva, il contenimento dei costi e, per la chimica, la forte rifocalizzazione sulla specialità.L’Italia, da sola, ha una produzione di circa 90 milioni di tonnellate e un consumo di 56 milioni e, oltretutto, sconta una logistisca poco efficiente, con raffinerie costose e prezzi ormai appiattiti che non garantiscono più margini.
Quindi, anche se i margini nel breve sono risaliti, nel giro di qualche tempo, la situazione cambierà ancora e, in termini di visione di piano c'è la convinzione che la scelta più corretta non possa che essere quella delineata in anticipo rispetto ad altri grazie alla lungimiranza e al coraggio,ossia la rifocalizzazione sul core business e laristrutturazione degli altri segmenti, accompagnati, da un lato, da un’organizzazione veloce, snella, flessibile, meno divisionalizzata.
Presidente dell’Eni da poco più di un anno, Emma Marcegaglia, una vita nell’industria privata, sta dedicando tutto il suo impegno al vertice del più grande gruppo pubblico italiano. Effettivamente in molti aspetti è cambiata l’Eni negli ultimi dodici mesi:da una parte la rifocalizzazione sul core business, su quell’upstream che resta sempre centrale, e, dall’altra, la forte ristrutturazione degli altri segmenti (il gas, la raffinazione e la chimica).
In questi tre settori, dal 2009 al 2013,Eni aveva perso 10 miliardi di euro e la scelta non poteva che essere quella di ristrutturarli fortemente con la riduzione della capacità produttiva, il contenimento dei costi e, per la chimica, la forte rifocalizzazione sulla specialità.L’Italia, da sola, ha una produzione di circa 90 milioni di tonnellate e un consumo di 56 milioni e, oltretutto, sconta una logistisca poco efficiente, con raffinerie costose e prezzi ormai appiattiti che non garantiscono più margini.
Quindi, anche se i margini nel breve sono risaliti, nel giro di qualche tempo, la situazione cambierà ancora e, in termini di visione di piano c'è la convinzione che la scelta più corretta non possa che essere quella delineata in anticipo rispetto ad altri grazie alla lungimiranza e al coraggio,ossia la rifocalizzazione sul core business e laristrutturazione degli altri segmenti, accompagnati, da un lato, da un’organizzazione veloce, snella, flessibile, meno divisionalizzata.
BCE.Presentato il nuovo piano economico.
di Nadia De Marco
Nuove strategie economiche per la grande Europa.
La BCE di recente ha reso noto il suo piano di interventi per frenare la forte deflazione nel Vecchio continente, ritoccando al ribasso il tasso principale della Banca centrale portandolo allo 0,15%, il nuovo minimo storico, dal precedente 0,25%. Il piano strategico prevede anche un insieme di strumenti specifici per rilanciare il credito, fra cui nuove aste di liquidità a lungo termine e operazioni preparatorie per favorire la vendita di Abs, ovvero titoli garantiti a sostegno delle imprese. Le uniche critiche potrebbero riguardare il fatto che nel piano mancano misure per il quantitative easing in stile Fed, cioè l'acquisto di titoli su larga scala, ma a ciò si porebbe rispondere che comunque in situazioni di necessità la BCE sarà sempre pronta ad interventi di emergenza,insomma tutto pur di salvare l'euro.
Le decisioni sul nuovo piano sono state prese nel corso della riunione del consiglio direttivo che si è svolto a Francoforte, decisioni che hanno subito condizionato l'andamento dei listini, che hanno accelerato, mentre è calato lo spread e l'euro ha ritoccato quota 1,35 dollari, salvo poi risalire. La vera minaccia per l'Euro resta comunque il rimbalzo dei prezzi nella zona della moneta unica, costantemente debole con l'inflazione che a dicembre è tornata a stabilizzarsi sullo 0,5%. A ciò va comunque aggiunto che la Bce ha precauzionalmente abbassato le sue stime di crescita per l'Eurozona.Infine un piccolo spazio nel piano è dedicato al taglio dei tassi d'interesse, già compiuto lo novembre scorso, quando il tasso di riferimento era stato abbassato di un quarto di punto.
Il tasso sui prestiti marginali viene adesso portato allo 0,4% dallo 0,75%. Il tasso sui depositi "overnight" delle banche, cioè la liquidità che resta presso la Bce , scende per la prima volta in negativo a -0,1%. In questo modo, per le banche non è più conveniente lasciare il denaro nelle loro casseforti ma impiegarlo. L'insieme delle scelte fatte insomma sono in linea con le attese del mercato e lo stesso Draghi ha affermato che i tassi resteranno ai livelli attuali per lungo tempo.
La BCE di recente ha reso noto il suo piano di interventi per frenare la forte deflazione nel Vecchio continente, ritoccando al ribasso il tasso principale della Banca centrale portandolo allo 0,15%, il nuovo minimo storico, dal precedente 0,25%. Il piano strategico prevede anche un insieme di strumenti specifici per rilanciare il credito, fra cui nuove aste di liquidità a lungo termine e operazioni preparatorie per favorire la vendita di Abs, ovvero titoli garantiti a sostegno delle imprese. Le uniche critiche potrebbero riguardare il fatto che nel piano mancano misure per il quantitative easing in stile Fed, cioè l'acquisto di titoli su larga scala, ma a ciò si porebbe rispondere che comunque in situazioni di necessità la BCE sarà sempre pronta ad interventi di emergenza,insomma tutto pur di salvare l'euro.
Le decisioni sul nuovo piano sono state prese nel corso della riunione del consiglio direttivo che si è svolto a Francoforte, decisioni che hanno subito condizionato l'andamento dei listini, che hanno accelerato, mentre è calato lo spread e l'euro ha ritoccato quota 1,35 dollari, salvo poi risalire. La vera minaccia per l'Euro resta comunque il rimbalzo dei prezzi nella zona della moneta unica, costantemente debole con l'inflazione che a dicembre è tornata a stabilizzarsi sullo 0,5%. A ciò va comunque aggiunto che la Bce ha precauzionalmente abbassato le sue stime di crescita per l'Eurozona.Infine un piccolo spazio nel piano è dedicato al taglio dei tassi d'interesse, già compiuto lo novembre scorso, quando il tasso di riferimento era stato abbassato di un quarto di punto.
Il tasso sui prestiti marginali viene adesso portato allo 0,4% dallo 0,75%. Il tasso sui depositi "overnight" delle banche, cioè la liquidità che resta presso la Bce , scende per la prima volta in negativo a -0,1%. In questo modo, per le banche non è più conveniente lasciare il denaro nelle loro casseforti ma impiegarlo. L'insieme delle scelte fatte insomma sono in linea con le attese del mercato e lo stesso Draghi ha affermato che i tassi resteranno ai livelli attuali per lungo tempo.
Euro.Un 2014 davvero molto negativo.
di Nadia De Marco
Dati negativi sulle varie economie dell'euro-zona.
Gli ultimi tre mesi del 2014 sono stati molto negativi per lo stato dell'economia dei paesi della zona euro; molti analisti hanno parlato del peggior trimestre dell'anno, nonostante un notevole taglio dei prezzi non sia riuscito a far riprendere l'attività delle imprese,anzi non ha fatto altro che aggiungere pressione sulla Banca centrale europea.La società Markit cui la Commissione europea ha dato compito di stilare il piano di valutazione dell'anno ha dato i suoi dati e hanno lasciato davvero una sensazione di crisi generalizzata.
Lo studio economico ha infatti evidenziato la crisi ancora galoppante in Francia e Italia e solo una performance a singhiozzo in Germania, la più grande economia europea, ha permesso di elevare il dato generale.La debolezza sembra strutturale e a Gennaio sicuramente la Banca Centrale sarà costretta a studiare interventi generali, compreso il quantitative easing su vasta scala, da adottare il prima possibile.Questo almeno è il parere di molti economisti.La zona euro guarderà al 2014 come a un anno in cui la recessione è stata evitata per poco, ma la debolezza dei dati suggerisce che non ci sono garanzie sul fatto che non ci sarà un nuovo calo nel 2015,soprattutto a livello finanziario.
Guardando il piano presentato dalla Markit si evince chiaro come le imprese hanno tagliato i prezzi per tre anni e la crescita sia stata davvero minima in molti paesi europei.Gli sconti sul prezzo del denaro hanno avuto solo un effetto marginale sull'indice dei servizi all'industria,a testimonianza che la crescità dell'economia non è direttamente collegata alle decisioni prese dalla BCE, ma dipende da molteplici fattori strutturali.
Gli ultimi tre mesi del 2014 sono stati molto negativi per lo stato dell'economia dei paesi della zona euro; molti analisti hanno parlato del peggior trimestre dell'anno, nonostante un notevole taglio dei prezzi non sia riuscito a far riprendere l'attività delle imprese,anzi non ha fatto altro che aggiungere pressione sulla Banca centrale europea.La società Markit cui la Commissione europea ha dato compito di stilare il piano di valutazione dell'anno ha dato i suoi dati e hanno lasciato davvero una sensazione di crisi generalizzata.
Lo studio economico ha infatti evidenziato la crisi ancora galoppante in Francia e Italia e solo una performance a singhiozzo in Germania, la più grande economia europea, ha permesso di elevare il dato generale.La debolezza sembra strutturale e a Gennaio sicuramente la Banca Centrale sarà costretta a studiare interventi generali, compreso il quantitative easing su vasta scala, da adottare il prima possibile.Questo almeno è il parere di molti economisti.La zona euro guarderà al 2014 come a un anno in cui la recessione è stata evitata per poco, ma la debolezza dei dati suggerisce che non ci sono garanzie sul fatto che non ci sarà un nuovo calo nel 2015,soprattutto a livello finanziario.
Guardando il piano presentato dalla Markit si evince chiaro come le imprese hanno tagliato i prezzi per tre anni e la crescita sia stata davvero minima in molti paesi europei.Gli sconti sul prezzo del denaro hanno avuto solo un effetto marginale sull'indice dei servizi all'industria,a testimonianza che la crescità dell'economia non è direttamente collegata alle decisioni prese dalla BCE, ma dipende da molteplici fattori strutturali.
Donne nell'industria in forte crescita.
di Nadia De Marco
Interessanti dati sulla presenza femminile nell'industria italiana.
Gli ultimi dati di Confindustria sono i seguenti:un’impresa su quattro è capitanata da una donna e il valore aggiunto totale prodotto ammonta a 280 miliardi di euro l’anno. La media però ha dentro se una serie di significatina diversi a seconda dei settori. Dall’indagine sul oltre 80 distretti emerge che roccaforti femminili sono particolari settori come il tessile, dove le quote rosa superano il 45%, il settore di pelli e calzature al 32% e quello alimentare al 30 per cento.Sono il distretto dell’abbigliamento del Frusinate, nel Lazio, e quello tessile della Maiella, in Abruzzo, i due nuclei dell’imprenditoria femminile: qui le donne al timone delle aziende finiscono per superare gli uomini con un’incidenza percentuale del 56% e del 52 per cento.La presenza di donne a capo di aziende è davvero notevole anche in altri comparti: si arriva al 40% tra i produttori di pelli, cuoio e calzature nella Toscana e al 35% nell’agroindustria delle Marche.
Nell'ultimo anno poi anche in comparti maschili si nota un forte avanzamento delle donne nell'industria. Come il mobile della Brianza, la sedia del Friuli, la metalmeccanica ed elettronica del Lecchese e Canavese. In Basilicata i due distretti dell’agroalimentare sono roccaforti femminili e in Campania si distinguono cinque aree con un peso delle donne superiore alla media nazionale, che nel settore manifatturiero è pari al 24%. In generale, poi, i vertici femminili originano un valore aggiunto annuo di 280 miliardi di euro (dato ottenuto in base al numero di imprese femminili totali al 30 settembre 2014).
I risultati di questo particolare dossier di Confindustria è molto fedele alla realtà perchè come detto riguarda oltre 70 distretti produttivi in tutto il territorio nazionale. Utilizzando la banca dati di Infocamere aggiornata al terzo trimestre 2014, sono state analizzate, per genere, le persone fisiche titolari di cariche nelle imprese attive registrate alle Camere di commercio.Il dato complessivo è il seguente: su un arco di 5 anni, si evidenzia una maggiore presenza di donne tra i soci: sono il 38% del totale, in crescita dell’1,1% rispetto al 2009.Davvero molto bene così.
Gli ultimi dati di Confindustria sono i seguenti:un’impresa su quattro è capitanata da una donna e il valore aggiunto totale prodotto ammonta a 280 miliardi di euro l’anno. La media però ha dentro se una serie di significatina diversi a seconda dei settori. Dall’indagine sul oltre 80 distretti emerge che roccaforti femminili sono particolari settori come il tessile, dove le quote rosa superano il 45%, il settore di pelli e calzature al 32% e quello alimentare al 30 per cento.Sono il distretto dell’abbigliamento del Frusinate, nel Lazio, e quello tessile della Maiella, in Abruzzo, i due nuclei dell’imprenditoria femminile: qui le donne al timone delle aziende finiscono per superare gli uomini con un’incidenza percentuale del 56% e del 52 per cento.La presenza di donne a capo di aziende è davvero notevole anche in altri comparti: si arriva al 40% tra i produttori di pelli, cuoio e calzature nella Toscana e al 35% nell’agroindustria delle Marche.
Nell'ultimo anno poi anche in comparti maschili si nota un forte avanzamento delle donne nell'industria. Come il mobile della Brianza, la sedia del Friuli, la metalmeccanica ed elettronica del Lecchese e Canavese. In Basilicata i due distretti dell’agroalimentare sono roccaforti femminili e in Campania si distinguono cinque aree con un peso delle donne superiore alla media nazionale, che nel settore manifatturiero è pari al 24%. In generale, poi, i vertici femminili originano un valore aggiunto annuo di 280 miliardi di euro (dato ottenuto in base al numero di imprese femminili totali al 30 settembre 2014).
I risultati di questo particolare dossier di Confindustria è molto fedele alla realtà perchè come detto riguarda oltre 70 distretti produttivi in tutto il territorio nazionale. Utilizzando la banca dati di Infocamere aggiornata al terzo trimestre 2014, sono state analizzate, per genere, le persone fisiche titolari di cariche nelle imprese attive registrate alle Camere di commercio.Il dato complessivo è il seguente: su un arco di 5 anni, si evidenzia una maggiore presenza di donne tra i soci: sono il 38% del totale, in crescita dell’1,1% rispetto al 2009.Davvero molto bene così.
Il prezzo del petrolio continua crollare.
di Nadia De Marco
Il petrolio scende ma l'economia potrebbe risentirne.
Negli ultimi mesi il prezzo del greggio sta subendo fortissimi ribassi.Anche in questa settimana notevoli sono state le variazioni in negativo.Sia l'indice Brent che il Wti cedono oltre tre dollari e toccano nuovi minimi pluriennali. I futures sul Brent cedono quasi il 4% e arrivano a toccare quota 65 dollari, flessione simile per il Wti a quota 63 dollari. Sono livelli bassissimi,i più bassi degli ultimi sei anni.
Secondo gli analisti ci sono motivazioni strutturali collegate al crollo del prezzo del petrolio di questi mesi.Si parla ad esempio del boom dello shale oil americano, ma anche della guerra dei prezzi all’interno dell’Opec, fino alla frenata dell’economia cinese, sono tutte cause più o meno note alle quali va aggiunto il flusso forte di movimenti speculativi sui mercati finanziari, come era già avvenuto nel precedente ciclo ribassista del 2008.Tutto ciò ha portato alla diminuzione dei prezzi iniziata a Maggio.
Da pochi giorni la banca Morgan Stanley, come già altre banche d’investimento nei giorni scorsi, ha deciso di tagliare le sue previsioni sul prezzo del Brent, portandole da 98 a 80 dollari nel 2015 e da 102 a 89 dollari nel 2016. Molti esperti invocano un deciso intervento dell’Opec poichè i mercati rischiano di diventare sbilanciati, con un picco di eccesso di offerta probabile nel secondo trimestre del 2015.Il governo del Kuwait è giunto a previsioni ancora più negative sottolineando che a breve il prezzo del barile potrebbe toccare quota 66 dollari e restarci per almeno sei mesi dell'anno.Il crollo dei prezzi del petrolio produce reazioni anche sugli stessi titoli energetici, come dimostra il forte calo che la settimana scorsa ha subito Eni (-3,55%) a Piazza Affari. Le azioni dell'azienda petrolifera italiana dall'estate ad oggi ha perso il 20% del suo valore rispetto all'anno precedente.Un dato davvero molto negativo.
Negli ultimi mesi il prezzo del greggio sta subendo fortissimi ribassi.Anche in questa settimana notevoli sono state le variazioni in negativo.Sia l'indice Brent che il Wti cedono oltre tre dollari e toccano nuovi minimi pluriennali. I futures sul Brent cedono quasi il 4% e arrivano a toccare quota 65 dollari, flessione simile per il Wti a quota 63 dollari. Sono livelli bassissimi,i più bassi degli ultimi sei anni.
Secondo gli analisti ci sono motivazioni strutturali collegate al crollo del prezzo del petrolio di questi mesi.Si parla ad esempio del boom dello shale oil americano, ma anche della guerra dei prezzi all’interno dell’Opec, fino alla frenata dell’economia cinese, sono tutte cause più o meno note alle quali va aggiunto il flusso forte di movimenti speculativi sui mercati finanziari, come era già avvenuto nel precedente ciclo ribassista del 2008.Tutto ciò ha portato alla diminuzione dei prezzi iniziata a Maggio.
Da pochi giorni la banca Morgan Stanley, come già altre banche d’investimento nei giorni scorsi, ha deciso di tagliare le sue previsioni sul prezzo del Brent, portandole da 98 a 80 dollari nel 2015 e da 102 a 89 dollari nel 2016. Molti esperti invocano un deciso intervento dell’Opec poichè i mercati rischiano di diventare sbilanciati, con un picco di eccesso di offerta probabile nel secondo trimestre del 2015.Il governo del Kuwait è giunto a previsioni ancora più negative sottolineando che a breve il prezzo del barile potrebbe toccare quota 66 dollari e restarci per almeno sei mesi dell'anno.Il crollo dei prezzi del petrolio produce reazioni anche sugli stessi titoli energetici, come dimostra il forte calo che la settimana scorsa ha subito Eni (-3,55%) a Piazza Affari. Le azioni dell'azienda petrolifera italiana dall'estate ad oggi ha perso il 20% del suo valore rispetto all'anno precedente.Un dato davvero molto negativo.
Moody's boccia il sistema bancario UE.
di Nadia De Marco
Arriva il parere dell'agenzia di rating sulle banche europee.
La settimana scorsa è arrivata puntuale e severa la periodica analisi della situazione bancaria UE fatta dall'agenzia Moody's.Sulla base del parere tecnico le prospettive per il sistema bancario europeo sono per la maggiore parte negative, anche se forse tra qualche mese si potranno vedere leggere miglioramenti in tema di stabilità finanziaria. Pesa, inoltre, la debole redditività.Per l'agenzia la nuova normativa Ue sul settore ha obbligato a rafforzare i livelli di capitale, il che comporta automaticamente una riduzione degli asset di rischio e un migliore equilibrio tra attività e passività che dovrebbe sostenere nel lungo termine la performance delle banche.
Tuttavia,persistono in modo forte le deboli condizioni macro-economiche che continuano ad avere un impatto negativo sulle banche del Vecchio Continente unita alla scarsità degli utili che comporta che il settore bancario europeo resta strutturalmente vulnerabile. Moody's ipotizza però nuove iniziative di riduzione dei costi e anche possibili cambiamenti del modello di business. Gli utili delle banche europee dovrebbero godere tra qualche mese di forti riduzioni degli oneri da accantonamenti nel 2015, ma i costi da contenziosi e di conduzione resteranno comunque elevati per il periodo immediato.
A ciò va aggiunto il fatto che il regime di bail-in, ovvero il salvataggio senza ricorso a fondi pubblici, porterà ad un aumento dei costi di provvista.La curiosità sarà quella di capire se le varie banche trasferiranno ai loro clienti i maggiori costi della normativa e in particolare quelli di bail-in,cosa altamente probabile.
La settimana scorsa è arrivata puntuale e severa la periodica analisi della situazione bancaria UE fatta dall'agenzia Moody's.Sulla base del parere tecnico le prospettive per il sistema bancario europeo sono per la maggiore parte negative, anche se forse tra qualche mese si potranno vedere leggere miglioramenti in tema di stabilità finanziaria. Pesa, inoltre, la debole redditività.Per l'agenzia la nuova normativa Ue sul settore ha obbligato a rafforzare i livelli di capitale, il che comporta automaticamente una riduzione degli asset di rischio e un migliore equilibrio tra attività e passività che dovrebbe sostenere nel lungo termine la performance delle banche.
Tuttavia,persistono in modo forte le deboli condizioni macro-economiche che continuano ad avere un impatto negativo sulle banche del Vecchio Continente unita alla scarsità degli utili che comporta che il settore bancario europeo resta strutturalmente vulnerabile. Moody's ipotizza però nuove iniziative di riduzione dei costi e anche possibili cambiamenti del modello di business. Gli utili delle banche europee dovrebbero godere tra qualche mese di forti riduzioni degli oneri da accantonamenti nel 2015, ma i costi da contenziosi e di conduzione resteranno comunque elevati per il periodo immediato.
A ciò va aggiunto il fatto che il regime di bail-in, ovvero il salvataggio senza ricorso a fondi pubblici, porterà ad un aumento dei costi di provvista.La curiosità sarà quella di capire se le varie banche trasferiranno ai loro clienti i maggiori costi della normativa e in particolare quelli di bail-in,cosa altamente probabile.
Ministro Padoan:l'Italia crescerà.
di Nadia De Marco
Nasce la Legge di Stabilità e il paese può crescere.
Ieri il Ministro Padoan ha reso noto il suo parere qualificato sull'attuale situazione economica nazionale e sugli effetti immediati della nuova legge di stabilità.Secondo il ministro la nuova legge donerà una forte inversione di tendenza favorendo il vortice di crescita economica e di occupazione,permettendo quindi di affrontare il 2015 con una fiducia accresciuta.Dal rapporto interno del ministero economico si evince che è possibile conciliare la stabilità dei conti con le politiche di sostegno alla crescita e all'occupazione, indispensabili per contrastare la fase prolungata di recessione.La nuova legge di stabilità è uscita migliorata dalle camere senza alterare la struttura base della riforma.Tutti i gruppi parlamentari hanno dato il loro contributo e alla fine ne è uscita una legge completa e molto ambiziosa.
Gli emendamenti approvati hanno rafforzato gli aspetti della manovra legati alle politiche per la famiglia e alle persone più disagiate, al reperimento delle risorse per i lavoratori svantaggiati, al sostegno delle imprese italiane, alla ricerca e alla cultura.Il Governo è riuscito nel suo percorso rimodulando il bonus bebè per venire incontro alle esigenze dei nuclei familiari a più basso reddito ed ha previsto in più l'incremento del fondo per le non autosufficienze di 150 milioni di euro nel 2015.Il ministro ha stanziato poi circa 400 milioni di euro per il finanziamento degli ammortizzatori sociali, servizi per il lavoro e politiche attive nel biennio 2015-2016 in attuazione del Jobs Act.
Molto attesa poi la decisione di stanziare anche 230 milioni nel triennio 2015-2017 per l'adozione di un piano straordinario per la promozione del made in Italy e per la valorizzazione, la promozione e la tutela in Italia e all'estero delle imprese e dei prodotti agroalimentari sostenendo le piccole e medie imprese per l'acquisto di nuovi macchinari, impianti e attrezzature.Infine la legge contiene un plafond di 525 milioni per gli enti locali nel periodo 2015-2020 quale contributo sugli interessi per agevolare l'attivazione di mutui che garantiscano per i prossimi anni un volume di investimenti pubblici pari a circa 3 miliardi di euro; Padoan ne è sicuro,il paese ripartirà con fiducia grazie ai nuovi interventi economici.Questa è la speranza anche di noi italiani.
Ieri il Ministro Padoan ha reso noto il suo parere qualificato sull'attuale situazione economica nazionale e sugli effetti immediati della nuova legge di stabilità.Secondo il ministro la nuova legge donerà una forte inversione di tendenza favorendo il vortice di crescita economica e di occupazione,permettendo quindi di affrontare il 2015 con una fiducia accresciuta.Dal rapporto interno del ministero economico si evince che è possibile conciliare la stabilità dei conti con le politiche di sostegno alla crescita e all'occupazione, indispensabili per contrastare la fase prolungata di recessione.La nuova legge di stabilità è uscita migliorata dalle camere senza alterare la struttura base della riforma.Tutti i gruppi parlamentari hanno dato il loro contributo e alla fine ne è uscita una legge completa e molto ambiziosa.
Gli emendamenti approvati hanno rafforzato gli aspetti della manovra legati alle politiche per la famiglia e alle persone più disagiate, al reperimento delle risorse per i lavoratori svantaggiati, al sostegno delle imprese italiane, alla ricerca e alla cultura.Il Governo è riuscito nel suo percorso rimodulando il bonus bebè per venire incontro alle esigenze dei nuclei familiari a più basso reddito ed ha previsto in più l'incremento del fondo per le non autosufficienze di 150 milioni di euro nel 2015.Il ministro ha stanziato poi circa 400 milioni di euro per il finanziamento degli ammortizzatori sociali, servizi per il lavoro e politiche attive nel biennio 2015-2016 in attuazione del Jobs Act.
Molto attesa poi la decisione di stanziare anche 230 milioni nel triennio 2015-2017 per l'adozione di un piano straordinario per la promozione del made in Italy e per la valorizzazione, la promozione e la tutela in Italia e all'estero delle imprese e dei prodotti agroalimentari sostenendo le piccole e medie imprese per l'acquisto di nuovi macchinari, impianti e attrezzature.Infine la legge contiene un plafond di 525 milioni per gli enti locali nel periodo 2015-2020 quale contributo sugli interessi per agevolare l'attivazione di mutui che garantiscano per i prossimi anni un volume di investimenti pubblici pari a circa 3 miliardi di euro; Padoan ne è sicuro,il paese ripartirà con fiducia grazie ai nuovi interventi economici.Questa è la speranza anche di noi italiani.
Wall Street ed Europa in leggero calo.
di Angela Perez
Dinamiche borsistiche collegate tra USA ed Europa.
La settimana scorda è stata per la Borsa mondiale un piccolo campo di battaglia.Wall Street ha chiuso molto in ribasso dopo che il rapporto di ottobre sull'occupazione americana ha un pò spaventato gli investitori: il Dow Jones è salito di appena lo 0,10% a il Nasdaq ha perso lo 0,13% mentre lo S&P 500 è invariato.Anche i vari listini continentali hanno chiuso in calo la seduta dopo la riunione dell'esecutivo Bce in cui il presidente Mario Draghi ha ipotizzato una vera iniezione di liquidità da circa novecento miliardi di euro. Dagli Stati Uniti però sono giunte buone notizie sui dati del mercato del lavoro. Il numero di nuovi occupati si è stabilito a 214 mila unità ad ottobre.
Sono ben nove mesi consecutivi che il tasso occupazione sale in America è fino ad oggi c’è stato un incremento di oltre 200mila unità. Un dato che tuttavia è inferiore alle attese stabilite dal Dipartimento del Lavoro che aveva ipotizzato circa 300 mila posti in più.Il tasso di disoccupazione è risultato in calo dal 5,9 al 5,8 per cento. Dopo la pubblicazione del dato l’euro è stranamente sceso per poi tornare oltre la soglia di 1,24 dollari. La spinta ribassista sulla moneta unica dei dati Usa (che rafforzano il dollaro) è stata controbilanciata dalle dichiarazioni del presidente della Bundesbank Jens Weidmann. Commentando le parole pronunciate ieri dal presidente Draghi circa la volontà della Bce di ampliare il suo bilancio di mille miliardi di euro il banchiere rigorista tedesco ha sostenuto che si tratta di una «ipotesi» e non un «obiettivo».
A differenza delle banche che navigavano in acque di negatività, i titoli in rialzo sono stati vari tra cui Prysmian,Luxottica e Pirelli che nonostante il trimestre in calo di utili ha segnato un buon livello di crescita nel mese di novembre.Debito pubblico UE.Ecco i veri dati.
La settimana scorda è stata per la Borsa mondiale un piccolo campo di battaglia.Wall Street ha chiuso molto in ribasso dopo che il rapporto di ottobre sull'occupazione americana ha un pò spaventato gli investitori: il Dow Jones è salito di appena lo 0,10% a il Nasdaq ha perso lo 0,13% mentre lo S&P 500 è invariato.Anche i vari listini continentali hanno chiuso in calo la seduta dopo la riunione dell'esecutivo Bce in cui il presidente Mario Draghi ha ipotizzato una vera iniezione di liquidità da circa novecento miliardi di euro. Dagli Stati Uniti però sono giunte buone notizie sui dati del mercato del lavoro. Il numero di nuovi occupati si è stabilito a 214 mila unità ad ottobre.
Sono ben nove mesi consecutivi che il tasso occupazione sale in America è fino ad oggi c’è stato un incremento di oltre 200mila unità. Un dato che tuttavia è inferiore alle attese stabilite dal Dipartimento del Lavoro che aveva ipotizzato circa 300 mila posti in più.Il tasso di disoccupazione è risultato in calo dal 5,9 al 5,8 per cento. Dopo la pubblicazione del dato l’euro è stranamente sceso per poi tornare oltre la soglia di 1,24 dollari. La spinta ribassista sulla moneta unica dei dati Usa (che rafforzano il dollaro) è stata controbilanciata dalle dichiarazioni del presidente della Bundesbank Jens Weidmann. Commentando le parole pronunciate ieri dal presidente Draghi circa la volontà della Bce di ampliare il suo bilancio di mille miliardi di euro il banchiere rigorista tedesco ha sostenuto che si tratta di una «ipotesi» e non un «obiettivo».
A differenza delle banche che navigavano in acque di negatività, i titoli in rialzo sono stati vari tra cui Prysmian,Luxottica e Pirelli che nonostante il trimestre in calo di utili ha segnato un buon livello di crescita nel mese di novembre.Debito pubblico UE.Ecco i veri dati.
Debito Pubblico UE.Ecco i veri dati.
di Angela Perez
Il capo della BCE espone le sue linee future.
Mario Draghi dal pulpito del Fondo monetario internazionale, rivolge parole severe sull'andamento economico nei paesi europei,sottolineando però che il vento di ripresa economica è vicino,spira lento,ma è pur sempre vicino.Bisogna andare avanti con le riforme strutturali,questo il sunto di Draghi,queste sono fondamentali per l'Europa, nei paesi in cui sono state fatte i risultati sono stati evidenti.Un vero rimprovero quello del presidente della Bce. Che sottolinea come dopo l'austerity degli ultimi anni gli sforzi sul fronte del consolidamento dei bilanci nel futuro, nei mesi che verranno, potranno essere più tenui.
A patto di non vanificare i risultati raggiunti. Anche se dare un giudizio sulle leggi di bilancio che i Paesi europei stanno per approvare e inviare a Bruxelles è ancora prematuro.La Bce può fare ancora molto e il nuovo piano di sostegno sarà a breve esposto in sede di convegno con la presidente della Fed Janet Yellen e tutti gli altri governatori del G20. Si intuisce che c'è accordo sul fatto che la politica monetaria debba continuare a sostenere la ripresa in corso. E la Bce è pronta a ulteriori azioni se necessario, è pronta ad agire nell'ambito del suo mandato, dopo le misure 'non convenzionali' prese nell'ultimo anno e che andranno avanti per almeno due anni. Dunque, innanzitutto, tassi di interesse vicini allo zero.
Anche con tutti i rischi che può comportare e su cui bisogna vigilare, come ha ricordato il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco. Potrebbe capitare però che i tassi così bassi per un periodo prolungato portano alla ricerca di rendimenti più alti, in parte anche rischiosi. E non sono una soluzione permanente. Insomma, il pericolo di bolle può essere sempre dietro l'angolo. Per questo servono "strumenti per affrontare i rischi di bolle", che vanno affrontati "con interventi specifici da un punto di vista macro-prudenziale". Detto cio', i tassi resteranno così bassi ancora per molto tempo, è la soluzione più immediata per spingere verso la ripresa economica.
Mario Draghi dal pulpito del Fondo monetario internazionale, rivolge parole severe sull'andamento economico nei paesi europei,sottolineando però che il vento di ripresa economica è vicino,spira lento,ma è pur sempre vicino.Bisogna andare avanti con le riforme strutturali,questo il sunto di Draghi,queste sono fondamentali per l'Europa, nei paesi in cui sono state fatte i risultati sono stati evidenti.Un vero rimprovero quello del presidente della Bce. Che sottolinea come dopo l'austerity degli ultimi anni gli sforzi sul fronte del consolidamento dei bilanci nel futuro, nei mesi che verranno, potranno essere più tenui.
A patto di non vanificare i risultati raggiunti. Anche se dare un giudizio sulle leggi di bilancio che i Paesi europei stanno per approvare e inviare a Bruxelles è ancora prematuro.La Bce può fare ancora molto e il nuovo piano di sostegno sarà a breve esposto in sede di convegno con la presidente della Fed Janet Yellen e tutti gli altri governatori del G20. Si intuisce che c'è accordo sul fatto che la politica monetaria debba continuare a sostenere la ripresa in corso. E la Bce è pronta a ulteriori azioni se necessario, è pronta ad agire nell'ambito del suo mandato, dopo le misure 'non convenzionali' prese nell'ultimo anno e che andranno avanti per almeno due anni. Dunque, innanzitutto, tassi di interesse vicini allo zero.
Anche con tutti i rischi che può comportare e su cui bisogna vigilare, come ha ricordato il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco. Potrebbe capitare però che i tassi così bassi per un periodo prolungato portano alla ricerca di rendimenti più alti, in parte anche rischiosi. E non sono una soluzione permanente. Insomma, il pericolo di bolle può essere sempre dietro l'angolo. Per questo servono "strumenti per affrontare i rischi di bolle", che vanno affrontati "con interventi specifici da un punto di vista macro-prudenziale". Detto cio', i tassi resteranno così bassi ancora per molto tempo, è la soluzione più immediata per spingere verso la ripresa economica.
Fiat.Grande rivoluzione in arrivo a breve.
di Angela Perez
Nuovi asset e decisioni per il futuro di Fiat Auto.
La Fiat sta per compiere una serie di cambiamenti strategici che rivoluzioneranno il suo asset societario.I soci hanno approvato la fusione con Fiat Investiments NV, la società olandese che con il nome di Fiat Chrysler Automobiles diventerà la nuova holding del gruppo e avrà domicilio fiscale in Gran Bretagna. All'assemblea tenutasi al Lingotto hanno partecipato soci rappresentanti il 50% del capitale e il voto dell'84% dei presenti ha permesso l'approvazione della delibera.Contrari sono stati l'8% del capitale.Sulla strada della fusione l'unico pericolo è adesso il diritto di recesso concesso a soci e creditori dal codice civile. Se esercitando tale diritto si avrà una spesa superiore ai 500 milioni per Fiat, l'operazione potrebbe saltare.John Elkann, presidente Fiat,ha sottolineato che in tal caso non sarebbe un dramma,ma la medesima operazione verrebbe riproposta dopo sei mesi.
L'a.d. del Lingotto,Sergio Marchionne, ha dedicato gran parte della sua relazione proprio nel sottolineare i pericoli di un eventuale esercizio del diritto di recesso,con perdita del valore delle azioni originarie fino al 4%.Elkann ha comunque rassicurato tutti affermando il continuo appoggio della famiglia Agnelli verso Fca e il suo management, a maggior ragione ora che si profilano all'orizzonte grandi opportunità.Se tutto segue le previsioni fatte le potenzialità della fusione saranno davvero ben riposte.
Secondo le previsioni di Marchionne,la produzione della Jeep Renegade nella fabbrica di Melfi, nell'ultimo trimestre di quest'anno, porterà il bilancio del comparto Europa in positivo,mentre lo stabilimento di Mirafiori, dovrebbe produrre da fine 2015 la Maserati Levante,il vero annuncio di queste novità dovrebbe arrivare da Elkann verso fine settembre.
La Fiat sta per compiere una serie di cambiamenti strategici che rivoluzioneranno il suo asset societario.I soci hanno approvato la fusione con Fiat Investiments NV, la società olandese che con il nome di Fiat Chrysler Automobiles diventerà la nuova holding del gruppo e avrà domicilio fiscale in Gran Bretagna. All'assemblea tenutasi al Lingotto hanno partecipato soci rappresentanti il 50% del capitale e il voto dell'84% dei presenti ha permesso l'approvazione della delibera.Contrari sono stati l'8% del capitale.Sulla strada della fusione l'unico pericolo è adesso il diritto di recesso concesso a soci e creditori dal codice civile. Se esercitando tale diritto si avrà una spesa superiore ai 500 milioni per Fiat, l'operazione potrebbe saltare.John Elkann, presidente Fiat,ha sottolineato che in tal caso non sarebbe un dramma,ma la medesima operazione verrebbe riproposta dopo sei mesi.
L'a.d. del Lingotto,Sergio Marchionne, ha dedicato gran parte della sua relazione proprio nel sottolineare i pericoli di un eventuale esercizio del diritto di recesso,con perdita del valore delle azioni originarie fino al 4%.Elkann ha comunque rassicurato tutti affermando il continuo appoggio della famiglia Agnelli verso Fca e il suo management, a maggior ragione ora che si profilano all'orizzonte grandi opportunità.Se tutto segue le previsioni fatte le potenzialità della fusione saranno davvero ben riposte.
Secondo le previsioni di Marchionne,la produzione della Jeep Renegade nella fabbrica di Melfi, nell'ultimo trimestre di quest'anno, porterà il bilancio del comparto Europa in positivo,mentre lo stabilimento di Mirafiori, dovrebbe produrre da fine 2015 la Maserati Levante,il vero annuncio di queste novità dovrebbe arrivare da Elkann verso fine settembre.
Sistema bancario italiano in difficoltà.
di Angela Perez
Un reparto creditizio afflitto dalla sottocapitalizzazione.
Le banche italiane sono in grande difficoltà di liquidità.Basti pensare che dal 2010 al 2013 sono ben 50 i miliardi di euro utilizzati dai vari istituti per aumentare il loro capitale sociale causa perdite di gestione.Molte sono le scusanti,dalla crisi economica nata dal fallimento di Lehman Brothers,alla grande recessione che ha fatto schizzare la soglia di disoccupazione e crollare il pil interno con relativa diminuzione della domanda di beni.Per limitare queste situazioni i vari organi di controllo del settore creditizio hanno imposto nuovi limiti e controlli e più stringenti criteri prudenziali.Le banche si sono trovate costrette quindi ad aumenti di capitale anche pesanti.
Da ciò si capisce però come il sitema bancario italiano versasse in un vero universo di sottocapitalizzazione già prima che fosse travolto dall’onda d’urto della crisi.Con una iniezione di capitale di 14,5 miliardi tra il 2008 e la metà del 2014, l’UniCredit è il gruppo che ha maggiormente consolidato il proprio patrimonio, seguito a distanza da Intesa Sanpaolo con 5 miliardi. Parliamo dei due maggiori istituti di credito italiani. UniCredit ha dovuto scontare sia il peso dell'acquisizione della tedesca HypoVereins, che le portò in dote uno stock considerevole di crediti deteriorati, ma anche il peso notevole di Capitalia, acquisita senza nemmeno una due diligence.Nel stesso arco temporale, il Banco Popolare è stato costretto a compiere movimenti sul proprio capitale per un totale di quasi tre miliardi e mezzo. A ciò si aggiunge il fatto che lo stesso Banco Popolare ha dovuto salvare l’Italease dal fallimento dopo averla finanziata e ricapitalizzata per anni.
Se a queste spese aggiungiamo che 2 miliardi e un 1,75 miliardi sono stati adoperati per Banca Carige e Banca Popolare di Milano,le somme diventano davvero notevoli. Ed è stato aumentato di un miliardo anche il capitale di Ubi Banca.L’altro istituto coinvolto in esosi aumenti è il Monte dei Paschi, che dal 2008 ad oggi ha ricapitalizzato la cifra record di 13 miliardi di nuovo capitale. Con un ammontare di crediti deteriorati uguali al quadruplo del suo stesso patrimonio netto, la banca senese ancora oggi è un istituto sull'orlo del fallimento finanziario.
Le banche italiane sono in grande difficoltà di liquidità.Basti pensare che dal 2010 al 2013 sono ben 50 i miliardi di euro utilizzati dai vari istituti per aumentare il loro capitale sociale causa perdite di gestione.Molte sono le scusanti,dalla crisi economica nata dal fallimento di Lehman Brothers,alla grande recessione che ha fatto schizzare la soglia di disoccupazione e crollare il pil interno con relativa diminuzione della domanda di beni.Per limitare queste situazioni i vari organi di controllo del settore creditizio hanno imposto nuovi limiti e controlli e più stringenti criteri prudenziali.Le banche si sono trovate costrette quindi ad aumenti di capitale anche pesanti.
Da ciò si capisce però come il sitema bancario italiano versasse in un vero universo di sottocapitalizzazione già prima che fosse travolto dall’onda d’urto della crisi.Con una iniezione di capitale di 14,5 miliardi tra il 2008 e la metà del 2014, l’UniCredit è il gruppo che ha maggiormente consolidato il proprio patrimonio, seguito a distanza da Intesa Sanpaolo con 5 miliardi. Parliamo dei due maggiori istituti di credito italiani. UniCredit ha dovuto scontare sia il peso dell'acquisizione della tedesca HypoVereins, che le portò in dote uno stock considerevole di crediti deteriorati, ma anche il peso notevole di Capitalia, acquisita senza nemmeno una due diligence.Nel stesso arco temporale, il Banco Popolare è stato costretto a compiere movimenti sul proprio capitale per un totale di quasi tre miliardi e mezzo. A ciò si aggiunge il fatto che lo stesso Banco Popolare ha dovuto salvare l’Italease dal fallimento dopo averla finanziata e ricapitalizzata per anni.
Se a queste spese aggiungiamo che 2 miliardi e un 1,75 miliardi sono stati adoperati per Banca Carige e Banca Popolare di Milano,le somme diventano davvero notevoli. Ed è stato aumentato di un miliardo anche il capitale di Ubi Banca.L’altro istituto coinvolto in esosi aumenti è il Monte dei Paschi, che dal 2008 ad oggi ha ricapitalizzato la cifra record di 13 miliardi di nuovo capitale. Con un ammontare di crediti deteriorati uguali al quadruplo del suo stesso patrimonio netto, la banca senese ancora oggi è un istituto sull'orlo del fallimento finanziario.
Fineco.La Consob approva l'OPV.
di Angela Perez
Offerta pubblica per la banca del gruppo Unicredit.
Fineco, la banca di investimento del gruppo Unicredit, ha ottenuto dalla Consob il placet necessario per il proprio prospetto relativo all’offerta pubblica di vendita (opv). L'autorizzazione dell’authority presieduta da Giuseppe Vegas è stato accompagnato dall'atto con cui sempre ieri, la Borsa Italiana ha deliberato l’ammissione alla quotazione delle azioni dela banca guidata da Alessandro Foti. L’offerta globale di vendita riguarderà le 181.883.000 azioni ordinarie Fineco, corrispondenti al 30% del capitale sociale, poste in vendita da Unicredit, quale azionista venditore. L’istituto bancario comunque rimarrà azionista della società anche dopo la quotazione, con una partecipazione in caso di integrale collocamento delle azioni oggetto dell’offerta globale pari a 70% del capitale sociale senza esercizio dell’opzione greenshoe e al 65,5% a seguito dell’eventuale esercizio integrale dell’opzione greenshoe.
Unicredit, anche mediante i dati analitici giunti da coordinatori dell’offerta globale (Ubs Investment Bank, Unicredit Corporate & Mediobanca), allo scopo di raccogliere presso il pubblico le manifestazioni di interesse da parte degli investitori istituzionali nell’ambito del collocamento istituzionale, ha scelto alla fine un intervallo di valorizzazione indicativa del capitale economico di Fineco compreso tra un minimo non vincolante di 2,12 miliardi e un massimo vincolante di 2,66 miliardi di Euro, pari ad un minimo non vincolante di 3,5 euro per azione e un massimo vincolante di 4,4 euro per azione, quest’ultimo pari al prezzo massimo.L’offerta pubblica vera e propria ha avuto inizio il 16 luglio 2014 e termineranno il 30 luglio 2014.
Le domande di adesione all’offerta pubblica presentate dal pubblico indistinto dovranno essere depositare solo presso i collocatori per quantitativi minimi di 1.000 azioni o suoi multipli, ovvero per quantitativi minimi di 10.000 azioni o suoi multipli. Il pagamento delle azioni assegnate avverrà entro il 21 luglio 2014 presso il collocatore cui è stata presentata l’adesione, senza accollare spese a carico dell’aderente.
Fineco, la banca di investimento del gruppo Unicredit, ha ottenuto dalla Consob il placet necessario per il proprio prospetto relativo all’offerta pubblica di vendita (opv). L'autorizzazione dell’authority presieduta da Giuseppe Vegas è stato accompagnato dall'atto con cui sempre ieri, la Borsa Italiana ha deliberato l’ammissione alla quotazione delle azioni dela banca guidata da Alessandro Foti. L’offerta globale di vendita riguarderà le 181.883.000 azioni ordinarie Fineco, corrispondenti al 30% del capitale sociale, poste in vendita da Unicredit, quale azionista venditore. L’istituto bancario comunque rimarrà azionista della società anche dopo la quotazione, con una partecipazione in caso di integrale collocamento delle azioni oggetto dell’offerta globale pari a 70% del capitale sociale senza esercizio dell’opzione greenshoe e al 65,5% a seguito dell’eventuale esercizio integrale dell’opzione greenshoe.
Unicredit, anche mediante i dati analitici giunti da coordinatori dell’offerta globale (Ubs Investment Bank, Unicredit Corporate & Mediobanca), allo scopo di raccogliere presso il pubblico le manifestazioni di interesse da parte degli investitori istituzionali nell’ambito del collocamento istituzionale, ha scelto alla fine un intervallo di valorizzazione indicativa del capitale economico di Fineco compreso tra un minimo non vincolante di 2,12 miliardi e un massimo vincolante di 2,66 miliardi di Euro, pari ad un minimo non vincolante di 3,5 euro per azione e un massimo vincolante di 4,4 euro per azione, quest’ultimo pari al prezzo massimo.L’offerta pubblica vera e propria ha avuto inizio il 16 luglio 2014 e termineranno il 30 luglio 2014.
Le domande di adesione all’offerta pubblica presentate dal pubblico indistinto dovranno essere depositare solo presso i collocatori per quantitativi minimi di 1.000 azioni o suoi multipli, ovvero per quantitativi minimi di 10.000 azioni o suoi multipli. Il pagamento delle azioni assegnate avverrà entro il 21 luglio 2014 presso il collocatore cui è stata presentata l’adesione, senza accollare spese a carico dell’aderente.
Wall Street ed Europa in fase negativa.
di Angela Perez
In calo netto sia gli indici americani ed europei
Ieri c'è stata una notevole chiusura contrastata per Wall Street, col Dow Jones che ha perso lo 0,18% e il Nasdaq che ha guadagnato solo lo 0,23%.Un leggero ribasso quindi anche per l'indice S&P500, che cede lo 0,05% per via dei cali congiunti di Microsoft, Verizon e Boeing.Piazza Affari ha chiuso in serata con una debole negatività ma il semestre ultimo è stato davvero da primato. Molto condizionato anche dal dato preoccupante sull'inflazione italiana (ai minimi dal 2009) il Ftse Mib è calato dello 0,17%, recuperando solo in parte le perdite del mattino. Molto contradditori invece gli altri listini europei.In rialzo lo spread BTp-Bund a 150 punti base, con il rendimento del decennale italiano al 2,70% (rispettivamente 160 e 2,85% per il benchmark utilizzato dei terminali Mts). L'euro migliora sempre e costantemente tornando a sfiorare 1,37 dollari.
L'inflazione per fortuna cala in Italia, resta stabile nell'Eurozona.In Europa i prezzi a giugno sono cresciuti dello 0,6% annuo, stesso dato di maggio ma inferiore alle attese degli analisti che stimavano un rialzo dello 0,8% specialmente dopo il dato più alto delle attese registrato in Germania venerdì. In Italia si è verificato un rallentamento con l'nflazione allo 0,3% tendenziale che rappresenta il minimo dal 2009. Aumenta notevolmenye allora in Europa la differenza fra i paesi in ripresa, e quelli della «periferia», vicini (se non già) alla deflazione. La questione è scottante esarà oggetto di lungo dibattito fra gli analisti e i banchieri della Bce che la prossima settimana si incontreranno di nuovo a Francoforte dopo la riunione della svolta di inizio giugno.
Pare però impossibile che vi siano ulteriori scossoni nella politica monetaria dell'Eurotower fin da subito, però è altamente probabie che l'attenzione di tutti sarà poi sulla conferenza che terrà poco dopo il Presidente Mario Draghi. Il listino milanese ha ribadito oggi la tendenza della scorsa settimana (chiusa in ribasso di poco più del 3% registrando la terza ottava di ribassi consecutiva) e dimostrando quindi un forte affanno dopo aver toccato in giugno i massimi dal febbraio 2011. Ad influire molto su tutto è stato anche l'andamento dei titoli del settore bancario: da Mps a Banco Popolare, passando per Bpm e Ubi. In calo evidente pure i titoli industriali quali Fiat e Italcementi, mentre Enel si è mantenuta alta con un andamento positivo cosa che accade da almeno due mesi.
Ieri c'è stata una notevole chiusura contrastata per Wall Street, col Dow Jones che ha perso lo 0,18% e il Nasdaq che ha guadagnato solo lo 0,23%.Un leggero ribasso quindi anche per l'indice S&P500, che cede lo 0,05% per via dei cali congiunti di Microsoft, Verizon e Boeing.Piazza Affari ha chiuso in serata con una debole negatività ma il semestre ultimo è stato davvero da primato. Molto condizionato anche dal dato preoccupante sull'inflazione italiana (ai minimi dal 2009) il Ftse Mib è calato dello 0,17%, recuperando solo in parte le perdite del mattino. Molto contradditori invece gli altri listini europei.In rialzo lo spread BTp-Bund a 150 punti base, con il rendimento del decennale italiano al 2,70% (rispettivamente 160 e 2,85% per il benchmark utilizzato dei terminali Mts). L'euro migliora sempre e costantemente tornando a sfiorare 1,37 dollari.
L'inflazione per fortuna cala in Italia, resta stabile nell'Eurozona.In Europa i prezzi a giugno sono cresciuti dello 0,6% annuo, stesso dato di maggio ma inferiore alle attese degli analisti che stimavano un rialzo dello 0,8% specialmente dopo il dato più alto delle attese registrato in Germania venerdì. In Italia si è verificato un rallentamento con l'nflazione allo 0,3% tendenziale che rappresenta il minimo dal 2009. Aumenta notevolmenye allora in Europa la differenza fra i paesi in ripresa, e quelli della «periferia», vicini (se non già) alla deflazione. La questione è scottante esarà oggetto di lungo dibattito fra gli analisti e i banchieri della Bce che la prossima settimana si incontreranno di nuovo a Francoforte dopo la riunione della svolta di inizio giugno.
Pare però impossibile che vi siano ulteriori scossoni nella politica monetaria dell'Eurotower fin da subito, però è altamente probabie che l'attenzione di tutti sarà poi sulla conferenza che terrà poco dopo il Presidente Mario Draghi. Il listino milanese ha ribadito oggi la tendenza della scorsa settimana (chiusa in ribasso di poco più del 3% registrando la terza ottava di ribassi consecutiva) e dimostrando quindi un forte affanno dopo aver toccato in giugno i massimi dal febbraio 2011. Ad influire molto su tutto è stato anche l'andamento dei titoli del settore bancario: da Mps a Banco Popolare, passando per Bpm e Ubi. In calo evidente pure i titoli industriali quali Fiat e Italcementi, mentre Enel si è mantenuta alta con un andamento positivo cosa che accade da almeno due mesi.
Eni-Cina accordo in campo petrolifero.
di Angela Perez
Importante accordo strategico stipulato col colosso cinese.
Anche Eni ha deciso di volgere lo sguardo verso la Cina per il futuro.Già collocata nel Mar Cinese Meridionale dal 1984 con una modesta attività estrattiva, 12 mila barili di petrolio al giorno su un totale azienda di 18 milioni, il gigante italiano ha scelto di optare per una nuova sfida ai mercati energetici del futuro puntando sullo "shale" gas (quello contenuto in alcune pietre porose) e impostando con Pechino nuove esplorazione congiunte in Africa.L'amministratore delegato Paolo Scaroni ha firmato ieri un accordo ufficiale con Cncp-Petrochina, prima compagnia d'idrocarburi al mondo, che stabilisce "un ampio spettro di possibili opportunità di business sia in Cina che a livello internazionale".
Il contratto di collaborazione prevede un grande impegno di Eni in Oriente, a livello economico, di ricerca, di tecnologia e d'esperienza nell'estrazione di gas non convenzionale, in cambio di una partnership italo-cinese nei Paesi africani energetici, dove Eni è il produttore leader.L'accordo avrà un valore giuridico di almeno sei anni e mezzo nel Mare Cinese. La società eneregetica italiana ha inoltre anche firmato un contratto con CNOOC (China National Offshore Oil Corporation) per l’esplorazione al largo dell’isola di Hainan, che si trova nella parte Mare Cinese Meridionale.
La tipologia di accordo è un Production Sharing Contract (PSC) e il blocco, denominato 50/34, si estende su una superficie di circa 2.000 chilometri quadrati nel bacino di Qiongdongnan in acque convenzionali.Il periodo di esplorazione invece sarà strutturato in 3 fasi, e durerà 7 anni e mezzo. Questo nuovo accordo contrattuale ribadisce la forte volontà di Eni a proseguire e consolidare la propria presenza in Cina, in particolare nel Mare Cinese Meridionale, dove la società collabora con le National Oil Companies cinesi dalla metà degli anni ’80, sia nell’esplorazione sia nella produzione.Nuove strategie energetiche per un futuro più stabile.
Anche Eni ha deciso di volgere lo sguardo verso la Cina per il futuro.Già collocata nel Mar Cinese Meridionale dal 1984 con una modesta attività estrattiva, 12 mila barili di petrolio al giorno su un totale azienda di 18 milioni, il gigante italiano ha scelto di optare per una nuova sfida ai mercati energetici del futuro puntando sullo "shale" gas (quello contenuto in alcune pietre porose) e impostando con Pechino nuove esplorazione congiunte in Africa.L'amministratore delegato Paolo Scaroni ha firmato ieri un accordo ufficiale con Cncp-Petrochina, prima compagnia d'idrocarburi al mondo, che stabilisce "un ampio spettro di possibili opportunità di business sia in Cina che a livello internazionale".
Il contratto di collaborazione prevede un grande impegno di Eni in Oriente, a livello economico, di ricerca, di tecnologia e d'esperienza nell'estrazione di gas non convenzionale, in cambio di una partnership italo-cinese nei Paesi africani energetici, dove Eni è il produttore leader.L'accordo avrà un valore giuridico di almeno sei anni e mezzo nel Mare Cinese. La società eneregetica italiana ha inoltre anche firmato un contratto con CNOOC (China National Offshore Oil Corporation) per l’esplorazione al largo dell’isola di Hainan, che si trova nella parte Mare Cinese Meridionale.
La tipologia di accordo è un Production Sharing Contract (PSC) e il blocco, denominato 50/34, si estende su una superficie di circa 2.000 chilometri quadrati nel bacino di Qiongdongnan in acque convenzionali.Il periodo di esplorazione invece sarà strutturato in 3 fasi, e durerà 7 anni e mezzo. Questo nuovo accordo contrattuale ribadisce la forte volontà di Eni a proseguire e consolidare la propria presenza in Cina, in particolare nel Mare Cinese Meridionale, dove la società collabora con le National Oil Companies cinesi dalla metà degli anni ’80, sia nell’esplorazione sia nella produzione.Nuove strategie energetiche per un futuro più stabile.
Le Banche centrali pronte a scelte dure.
di Angela Perez
La Banca d'Inghilterra e FED pronte a scelte rigide.
Ieri le parole di Mark Carney, il governatore della Bank of England, hanno sancito un forte cambio di rotta nella politica monetaria britannica ed europea;gli analisti si interrogano se anche i vertici del settore monetario americano opteranno per misure simili. In ogni caso, pare che la lunga stagione dei tassi a quota zero si stia avviando alla fine.Tutti attendevano novità in Gran Bretagna quasi a voler essere la prima nazione europea a voltare pagina.A parte il caso della Nuova Zelanda, che ha già alzato i tassi, era davvero palese che l'economia britannica era giunta ad un momento tale che necessitasse di una vera normalizzazione della politica monetaria: il pil del primo trimestre è cresciuto del 3,1% rispetto a un anno prima (e dello 0,8% rispetto al quarto trimestre 2014), la disoccupazione era al 6,6% a febbraio, mentre l'inflazione era all'1,8% ad aprile, vicino quindi all'obiettivo del 2% (e martedì 17 arriverà il nuovo dato). I prezzi immobiliari inoltre sono in forte rialzo. Le parole di Carney però sembrano aver spiazzato i grossi investitori, e non poteva essere altrimenti.
Il primo rialzo dei tassi, dall'attuale livello dello 0,5% è una scelta già presa e potrebbe accadere a giorni prima di quanto si aspettino i mercati attuali.Prima quindi della seconda metà del 2015 indicato da molti analisti. Il governatore, pur volendo mantene grande ottimismo ha mantenuto grande calma spiegando che la decisione sul rialzo sta diventando più bilanciata all'interno del board – il comitato di politica monetaria,questo probabilmente vuol dire che già nei verbali pubblicati il 10 luglio emergerà qualche voto a favore di una stretta. Queste nuove idee monetarie sono largamente accettate anche da David Bloom e Daragh Maher di Hsbc. Carney ha poi precisato che la Bank of England non ha dinanzi una strada stretta e obbligata ma potrà muoversi liberamente,ogni decisione dipenderà dai dati economici in arrivo. Poi sarà ovviamente la volta della Fed,è inevitabile che gli analisti si chiedano, ora, se anche la Federal Reserve deciderà una polita monetaria simile.
Il tutto in America sarà anticipato dal Fomc (il Federal open market committee, il comitato americano di politica monetaria) che sarà importante perché accompagnata dalle nuove previsioni su crescita, inflazione, occupazione e tassi ufficiali. Harm Bandholz di UniCredit Group ha sottolineato come i governatori americani hanno previsto per il secondo semestre del 2016 un'inflazione e un tasso di disoccupazione a livelli "normali" ma, nello stesso tempo, indicano un tasso ufficiale al 2,25%, meno di quel 4% che – secondo la stessa Fed – indicherebbe in modo netto il vero tasso neutrale per gli Stati Uniti. Molti esperti restano però del pare che riportare coerenza tra i dati, l'unica possibilità sembra quindi essere un anticipo del rialzo dei tassi, poichè comunque sembrerebbe davvero impossibile un peggioramento drastico delle previsioni sull'attività economica globale.
Ieri le parole di Mark Carney, il governatore della Bank of England, hanno sancito un forte cambio di rotta nella politica monetaria britannica ed europea;gli analisti si interrogano se anche i vertici del settore monetario americano opteranno per misure simili. In ogni caso, pare che la lunga stagione dei tassi a quota zero si stia avviando alla fine.Tutti attendevano novità in Gran Bretagna quasi a voler essere la prima nazione europea a voltare pagina.A parte il caso della Nuova Zelanda, che ha già alzato i tassi, era davvero palese che l'economia britannica era giunta ad un momento tale che necessitasse di una vera normalizzazione della politica monetaria: il pil del primo trimestre è cresciuto del 3,1% rispetto a un anno prima (e dello 0,8% rispetto al quarto trimestre 2014), la disoccupazione era al 6,6% a febbraio, mentre l'inflazione era all'1,8% ad aprile, vicino quindi all'obiettivo del 2% (e martedì 17 arriverà il nuovo dato). I prezzi immobiliari inoltre sono in forte rialzo. Le parole di Carney però sembrano aver spiazzato i grossi investitori, e non poteva essere altrimenti.
Il primo rialzo dei tassi, dall'attuale livello dello 0,5% è una scelta già presa e potrebbe accadere a giorni prima di quanto si aspettino i mercati attuali.Prima quindi della seconda metà del 2015 indicato da molti analisti. Il governatore, pur volendo mantene grande ottimismo ha mantenuto grande calma spiegando che la decisione sul rialzo sta diventando più bilanciata all'interno del board – il comitato di politica monetaria,questo probabilmente vuol dire che già nei verbali pubblicati il 10 luglio emergerà qualche voto a favore di una stretta. Queste nuove idee monetarie sono largamente accettate anche da David Bloom e Daragh Maher di Hsbc. Carney ha poi precisato che la Bank of England non ha dinanzi una strada stretta e obbligata ma potrà muoversi liberamente,ogni decisione dipenderà dai dati economici in arrivo. Poi sarà ovviamente la volta della Fed,è inevitabile che gli analisti si chiedano, ora, se anche la Federal Reserve deciderà una polita monetaria simile.
Il tutto in America sarà anticipato dal Fomc (il Federal open market committee, il comitato americano di politica monetaria) che sarà importante perché accompagnata dalle nuove previsioni su crescita, inflazione, occupazione e tassi ufficiali. Harm Bandholz di UniCredit Group ha sottolineato come i governatori americani hanno previsto per il secondo semestre del 2016 un'inflazione e un tasso di disoccupazione a livelli "normali" ma, nello stesso tempo, indicano un tasso ufficiale al 2,25%, meno di quel 4% che – secondo la stessa Fed – indicherebbe in modo netto il vero tasso neutrale per gli Stati Uniti. Molti esperti restano però del pare che riportare coerenza tra i dati, l'unica possibilità sembra quindi essere un anticipo del rialzo dei tassi, poichè comunque sembrerebbe davvero impossibile un peggioramento drastico delle previsioni sull'attività economica globale.
Per MPS un maxi aumento di capitale.
di Angela Perez
La banca toscana sceglie una nuova strategia finanziaria.
La decisione è presa e Monte dei Paschi di Siena ha scelto un vero maxi aumento di capitale. Dopo aver ottenuto con facilità il via libera dalla Consob la scorsa settimana e dopo aver redatto il documento informativo, ieri il cda della banca riunitosi in pompa magna a Milano ha determinato il prezzo: alla fine, sarà utilizzato uno sconto del 35% sul Terp, il il prezzo teorico dell'azione dopo lo stacco del diritto. Una cifra tutto sommato ancora in linea con lo sconto applicato agli altri aumenti in corso o appena terminati, dal Banco Popolare (30%) a Bpm (31%) e fino al CreVal (34%).
Domani vedemo cosa accadrà sui mercati e quali saranno le reazioni degli investitori.A partire da lunedì, invece, agli azionisti verranno offerte 214 azioni di nuova emissione ogni 5 già possedute, al prezzo di un euro ciascuna. Come già detto prima i titoli azionari dell'istituto senese saranno sul mercato con uno sconto del 35% sul Terp (calcolato sul prezzo di chiusura di ieri). Il calendario dell'offerta stabilisce in modo chiaro che i diritti di opzione saranno esercitabili da lunedì fino a venerdì 27 giugno compresi; sempre da lunedì e fino al 20 giugno compreso, ci sarà tempo anche per negoziare diritti di opzione in Borsa.
La scelta di questo mazu aumento permetterà a MPS di versare subito al Tesoro buona parte dei 4 miliardi incassati con la ricapitalizzazione. Per bloccare gli interessi (la banca verserà circa 200 milioni per i primi sei mesi del 2014) il termine da rispettare è quello del 30 giugno e – anche se dal Ministero hanno affermato che alla fine verrà concesso un ulteriore margine temporale di tolleranza,sarà necessario non discostarsi troppo. Una volta rimborsati i 3 miliardi, alla banca resteranno in cassaforte altri 1,5 miliardi di Monti bond.La dirigenza della banca ha sottolineato più volte nelle ultime settimane, che solamente dopo gli stress test della Bce si deciderà se saldare tutto il debito entro la fine di quest'anno.
La decisione è presa e Monte dei Paschi di Siena ha scelto un vero maxi aumento di capitale. Dopo aver ottenuto con facilità il via libera dalla Consob la scorsa settimana e dopo aver redatto il documento informativo, ieri il cda della banca riunitosi in pompa magna a Milano ha determinato il prezzo: alla fine, sarà utilizzato uno sconto del 35% sul Terp, il il prezzo teorico dell'azione dopo lo stacco del diritto. Una cifra tutto sommato ancora in linea con lo sconto applicato agli altri aumenti in corso o appena terminati, dal Banco Popolare (30%) a Bpm (31%) e fino al CreVal (34%).
Domani vedemo cosa accadrà sui mercati e quali saranno le reazioni degli investitori.A partire da lunedì, invece, agli azionisti verranno offerte 214 azioni di nuova emissione ogni 5 già possedute, al prezzo di un euro ciascuna. Come già detto prima i titoli azionari dell'istituto senese saranno sul mercato con uno sconto del 35% sul Terp (calcolato sul prezzo di chiusura di ieri). Il calendario dell'offerta stabilisce in modo chiaro che i diritti di opzione saranno esercitabili da lunedì fino a venerdì 27 giugno compresi; sempre da lunedì e fino al 20 giugno compreso, ci sarà tempo anche per negoziare diritti di opzione in Borsa.
La scelta di questo mazu aumento permetterà a MPS di versare subito al Tesoro buona parte dei 4 miliardi incassati con la ricapitalizzazione. Per bloccare gli interessi (la banca verserà circa 200 milioni per i primi sei mesi del 2014) il termine da rispettare è quello del 30 giugno e – anche se dal Ministero hanno affermato che alla fine verrà concesso un ulteriore margine temporale di tolleranza,sarà necessario non discostarsi troppo. Una volta rimborsati i 3 miliardi, alla banca resteranno in cassaforte altri 1,5 miliardi di Monti bond.La dirigenza della banca ha sottolineato più volte nelle ultime settimane, che solamente dopo gli stress test della Bce si deciderà se saldare tutto il debito entro la fine di quest'anno.
In Telecom si prospettano grosse novità.
di Angela Perez
Il colosso italiano in odore di aumento di capitale.
Tempi nuovi per la Telecom in questi giorni.Proprio mentre la Bce forse deciderà tra poco di intervenire sui tassi che darebbe una nuova spinta al piano di rifinanziamento del gruppo. Inoltre il titolo Telecom che a inizio mese aveva superato quota 0,94 euro, nonostante la conferma del prossimo scioglimento di Telco,torna ad avere un forte appeal speculativo.Venerdì il presidente di Generali, Gabriele Galateri, ha evidenziato in pubblico che la compagnia dovrebbe dare disdetta ai patti Telco alla prossima finestra tecnica che si apre dal 15 al 30 giugno. E ieri Tarak Ben Ammar, consigliere di Mediobanca e di Telecom, ha confermato ciò che molti ipottizzavano: Mediobanca ha sempre affermato di volere uscire da Telecom senza la volontà di restare azionisti. Intesa è sulla stessa linea. A maggior ragione, dopo il formale reclamo fatto alla Consob da Marco Fossati che critica il controllo di fatto che la Telco avrebbe.Fossati è ritenuto da molti un investitore che ha investito molto, che conosce l’azienda, che conosce il Brasile e quindi le sue parole non vanno ignorate.
Telecom, come dice Ben Ammar, si avvia a diventare «una public company». Le quote dei soci italiani – il 4,32% di Generali e l’1,63% ciascuna di Mediobanca e Intesa – una volta liberate forse verranno cedute progressivamente sul mercato quando ce ne saranno le condizioni (così come sta avvenendo in Rcs post-patto). In teoria non esistono vere alternative,il pacchetto azioni di Fossati (4,99%) unito a Mediobanca e Intesa non supererebbe il 12,6%. Due punti meno di Telefonica che resterà comunque il primo singolo azionista di Telecom con una quota del 14,8%.Questa situazione autorizzerà la Telefonica a confutare la posizione dell’Antitrust brasiliano che, dopo gli accordi di settembre che assegnavano al gruppo spagnolo la facoltà di salire al 100% di Telco, aveva imposto l’alternativa tra uscire da Telecom o cedere il 50% di Vivo, primo operatore mobile brasiliano. Ma la cosa resta molto aperta e Telefonica ha come priorità la salvaguardia della sua posizione in Brasile, gli spagnoli non eserciteranno l’opzione per acquistare dai soci italiani di Telco le quote della holding.
Gli esperti analisti sottolineano che da qui a fine anno – sono necessari fino a sei mesi per realizzare la scissione della holding con la consegna fisica delle azioni ai partecipanti e l’attribuzione del debito pro-quota – sperando che l’accordo Telco rimanga comunque in vigore, tutelando pro-tempore la posizione di Telefonica in Telecom da eventuali incursioni esterne. In attesa di ciò la Telecom potrebbe aprire il dossier Gvt, la rete in fibra ottica brasiliana che fa capo a Vivendi. In questo caso particolare servirebbe verificare la reazione di Telefonica che, sempre nell’ultima conference call, aveva comunicato la sua idea di credere nei benefici di un consolidamento del settore nel Paese sudamericano. Ma adesso la logica non pare un criterio base delle valutazioni finanziarie.
Tempi nuovi per la Telecom in questi giorni.Proprio mentre la Bce forse deciderà tra poco di intervenire sui tassi che darebbe una nuova spinta al piano di rifinanziamento del gruppo. Inoltre il titolo Telecom che a inizio mese aveva superato quota 0,94 euro, nonostante la conferma del prossimo scioglimento di Telco,torna ad avere un forte appeal speculativo.Venerdì il presidente di Generali, Gabriele Galateri, ha evidenziato in pubblico che la compagnia dovrebbe dare disdetta ai patti Telco alla prossima finestra tecnica che si apre dal 15 al 30 giugno. E ieri Tarak Ben Ammar, consigliere di Mediobanca e di Telecom, ha confermato ciò che molti ipottizzavano: Mediobanca ha sempre affermato di volere uscire da Telecom senza la volontà di restare azionisti. Intesa è sulla stessa linea. A maggior ragione, dopo il formale reclamo fatto alla Consob da Marco Fossati che critica il controllo di fatto che la Telco avrebbe.Fossati è ritenuto da molti un investitore che ha investito molto, che conosce l’azienda, che conosce il Brasile e quindi le sue parole non vanno ignorate.
Telecom, come dice Ben Ammar, si avvia a diventare «una public company». Le quote dei soci italiani – il 4,32% di Generali e l’1,63% ciascuna di Mediobanca e Intesa – una volta liberate forse verranno cedute progressivamente sul mercato quando ce ne saranno le condizioni (così come sta avvenendo in Rcs post-patto). In teoria non esistono vere alternative,il pacchetto azioni di Fossati (4,99%) unito a Mediobanca e Intesa non supererebbe il 12,6%. Due punti meno di Telefonica che resterà comunque il primo singolo azionista di Telecom con una quota del 14,8%.Questa situazione autorizzerà la Telefonica a confutare la posizione dell’Antitrust brasiliano che, dopo gli accordi di settembre che assegnavano al gruppo spagnolo la facoltà di salire al 100% di Telco, aveva imposto l’alternativa tra uscire da Telecom o cedere il 50% di Vivo, primo operatore mobile brasiliano. Ma la cosa resta molto aperta e Telefonica ha come priorità la salvaguardia della sua posizione in Brasile, gli spagnoli non eserciteranno l’opzione per acquistare dai soci italiani di Telco le quote della holding.
Gli esperti analisti sottolineano che da qui a fine anno – sono necessari fino a sei mesi per realizzare la scissione della holding con la consegna fisica delle azioni ai partecipanti e l’attribuzione del debito pro-quota – sperando che l’accordo Telco rimanga comunque in vigore, tutelando pro-tempore la posizione di Telefonica in Telecom da eventuali incursioni esterne. In attesa di ciò la Telecom potrebbe aprire il dossier Gvt, la rete in fibra ottica brasiliana che fa capo a Vivendi. In questo caso particolare servirebbe verificare la reazione di Telefonica che, sempre nell’ultima conference call, aveva comunicato la sua idea di credere nei benefici di un consolidamento del settore nel Paese sudamericano. Ma adesso la logica non pare un criterio base delle valutazioni finanziarie.
Ecco i nuovi dati sugli studi di settore.
di Angela Perez
I redditi vanno giù per colpa della congiuntura economica.
Gli studi di settore nel 2013 hanno riguardato circa 4 milioni di persone, il 6% in più rispetto al 2012 ma, nonostante la crescita, il reddito che è stato dichiarato, una somma di circa 100 miliardi, manifesta una piccola diminuzione (-5% rispetto al 2012) probabilmente causata dalla forte e continua recessione economica.Questi sono i dati che emergono dalle statistiche del Dipartimento delle Finanze del ministero dell'Economia.Molti sono i redditi che sfiorano il limite della povertà,come sarti, calzolai, corniciai, ma anche estetiste, cartolai e profumieri. Queste secondo l'Agenzia delle Entrate sono le categorie che, secondo i dati sugli studi di settore, hanno dichiarato nel 2013 redditi inferiori ai 10.000 euro. Il dato della povertà,ovvero rewdditi inferiori a 7.000 euro,comprende anche professioni come commercianti di scarpe e abbigliamento e giocattolai. Lavori che invece in passato toccavano vette reddituali notevoli,come taxi, bar, pasticcerie e gioiellerie, oggi devono accontentarsi di sfiorare i 20.000 euro annui.
Secondo il Dipartimento delle Finanze sugli studi di settore, le dichiarazioni di moltissimi di questi lavoratori non raggiungono i 20.000 euro l'anno. Al contrario invece è impressionante il reddito degli studi notarili, il cui valore medio è stato di 233.000 euro. Per le farmacie si è arrivati invece a 90.000 euro.Una causa è da implicare anche all'annuale calo del Pil.Facendo valutazioni generiche,l'aumento dei contribuenti si registra principalmente nel settore dei professionisti (+19,3%),ma nonostante la crescita del numero dei contribuenti, il reddito totale dichiarato, pari a 100 miliardi di euro, registra comunque una diminuzione (-5,8% rispetto al 2012).Alla fine il reddito medio dichiarato è risultato pari a 25.700 euro per le persone fisiche (-8,1% rispetto al 2012) , 35.900 euro per le società di persone (-6,4%) e 23.600 euro per le società di capitali ed enti, che registrano un notevole calo rispetto all'anno precedente.
Un chiaro aumento si è invece avuto per i contribuenti che hanno presentato la dichiarazione Iva per l'anno d'imposta 2013, circa 5,5 milioni,con un aumento del 6% dovuto molto probabilmente anche ai soggetti fuoriusciti dal vecchio regime dei minimi che erano esonerati dagli adempimenti Iva. Continuando nel rapporto con l'annualità precedente emerge che, sia il volume d'affari complessivo dichiarato (pari a 3.157 miliardi di euro), sia gli acquisti e le importazioni (pari a 2.551 miliardi di euro) hanno manifestato una diminuzione pari al 3,2%,e tutte le colpe sono ancora dell'attuale e lunghissima crisi economica.
Gli studi di settore nel 2013 hanno riguardato circa 4 milioni di persone, il 6% in più rispetto al 2012 ma, nonostante la crescita, il reddito che è stato dichiarato, una somma di circa 100 miliardi, manifesta una piccola diminuzione (-5% rispetto al 2012) probabilmente causata dalla forte e continua recessione economica.Questi sono i dati che emergono dalle statistiche del Dipartimento delle Finanze del ministero dell'Economia.Molti sono i redditi che sfiorano il limite della povertà,come sarti, calzolai, corniciai, ma anche estetiste, cartolai e profumieri. Queste secondo l'Agenzia delle Entrate sono le categorie che, secondo i dati sugli studi di settore, hanno dichiarato nel 2013 redditi inferiori ai 10.000 euro. Il dato della povertà,ovvero rewdditi inferiori a 7.000 euro,comprende anche professioni come commercianti di scarpe e abbigliamento e giocattolai. Lavori che invece in passato toccavano vette reddituali notevoli,come taxi, bar, pasticcerie e gioiellerie, oggi devono accontentarsi di sfiorare i 20.000 euro annui.
Secondo il Dipartimento delle Finanze sugli studi di settore, le dichiarazioni di moltissimi di questi lavoratori non raggiungono i 20.000 euro l'anno. Al contrario invece è impressionante il reddito degli studi notarili, il cui valore medio è stato di 233.000 euro. Per le farmacie si è arrivati invece a 90.000 euro.Una causa è da implicare anche all'annuale calo del Pil.Facendo valutazioni generiche,l'aumento dei contribuenti si registra principalmente nel settore dei professionisti (+19,3%),ma nonostante la crescita del numero dei contribuenti, il reddito totale dichiarato, pari a 100 miliardi di euro, registra comunque una diminuzione (-5,8% rispetto al 2012).Alla fine il reddito medio dichiarato è risultato pari a 25.700 euro per le persone fisiche (-8,1% rispetto al 2012) , 35.900 euro per le società di persone (-6,4%) e 23.600 euro per le società di capitali ed enti, che registrano un notevole calo rispetto all'anno precedente.
Un chiaro aumento si è invece avuto per i contribuenti che hanno presentato la dichiarazione Iva per l'anno d'imposta 2013, circa 5,5 milioni,con un aumento del 6% dovuto molto probabilmente anche ai soggetti fuoriusciti dal vecchio regime dei minimi che erano esonerati dagli adempimenti Iva. Continuando nel rapporto con l'annualità precedente emerge che, sia il volume d'affari complessivo dichiarato (pari a 3.157 miliardi di euro), sia gli acquisti e le importazioni (pari a 2.551 miliardi di euro) hanno manifestato una diminuzione pari al 3,2%,e tutte le colpe sono ancora dell'attuale e lunghissima crisi economica.
Borse giù.Milano in forte calo -1,57.
di Angela Perez
Il flusso dei titoli varia in negativo questo mese.
Nelle settimane scorse le chiare parole del presidente della Banca centrale europea (Bce), Mario Draghi, avevano avuto un forte effetto sulle Borse europee e anche due giorni fa sempre Draghi aveva sottolineato che un intervento di politica monetaria è ipotizzabile già a partire da giugno prossimo.Il giorno dopo le sue parole sulle Borse europee si sono verificati ottimi guadagni, anche grazie alle varie news positive sul versante macroeconomico e su quello societario.Perdite pesanti, a Piazza Affari, per il comparto bancario: tra i titoli peggiori Bper, maglia nera del listino, che ha chiuso in Va progressivamente riducendosi sui mercati l'effetto delle parole del presidente della Banca centrale europea (Bce), Mario Draghi, che ieri ha lasciato intendere che un intervento di politica monetaria è possibile fin dalla prossima riunione di giugno.
Il giorno dopo sulle Borse europee sono infatti scattati i realizzi, complici anche le notizie poco positive sul versante macroeconomico e su quello societario.Perdite pesanti, a Piazza Affari, per il comparto bancario: tra i titoli peggiori Bper, maglia nera del listino, che ha chiuso in ribasso del 7%. Mediobanca dl 5,39% e Bpm del 5%. L'indice Ftse Mib ha terminato in calo dell'1,56%, registrando la peggior performance.Anche il rendimento del BTp, che in mattinata era sceso al livello record del 2,90%, si è riportato qualche punto più in su, mentre lo spread col Bund è tornato a 150 punti. Debole infine l'euro, sceso sotto 1,38 dollari (cambio euro/dollaro e convertitore di valute).Anche il tenore delle notizie provenienti dal fronte societario non ha aiutato.
La trimestrale di Telefonica ha deluso le attese e insieme a Belgacom ha appesantito il settore delle telecomunicazioni. In Italia spazio invece fra le altre ad Atlantia, Buzzi Unicem, Banca Popolare Milano e Italcementi. Mps ha terminato invece l'operazione di raggruppamento di azioni (un nuovo titolo ordinario ogni 100 posseduti). Sul listino milanese è balzata Seat Pagine Gialle dopo le anticipazioni sull'offerta della cordata guidata da Dmail. Ancora debole invece Prysmian dopo le deludenti stime sui margini per il 2014 e le voci stampa su un possibile interesse per la francese Nexans.
Nelle settimane scorse le chiare parole del presidente della Banca centrale europea (Bce), Mario Draghi, avevano avuto un forte effetto sulle Borse europee e anche due giorni fa sempre Draghi aveva sottolineato che un intervento di politica monetaria è ipotizzabile già a partire da giugno prossimo.Il giorno dopo le sue parole sulle Borse europee si sono verificati ottimi guadagni, anche grazie alle varie news positive sul versante macroeconomico e su quello societario.Perdite pesanti, a Piazza Affari, per il comparto bancario: tra i titoli peggiori Bper, maglia nera del listino, che ha chiuso in Va progressivamente riducendosi sui mercati l'effetto delle parole del presidente della Banca centrale europea (Bce), Mario Draghi, che ieri ha lasciato intendere che un intervento di politica monetaria è possibile fin dalla prossima riunione di giugno.
Il giorno dopo sulle Borse europee sono infatti scattati i realizzi, complici anche le notizie poco positive sul versante macroeconomico e su quello societario.Perdite pesanti, a Piazza Affari, per il comparto bancario: tra i titoli peggiori Bper, maglia nera del listino, che ha chiuso in ribasso del 7%. Mediobanca dl 5,39% e Bpm del 5%. L'indice Ftse Mib ha terminato in calo dell'1,56%, registrando la peggior performance.Anche il rendimento del BTp, che in mattinata era sceso al livello record del 2,90%, si è riportato qualche punto più in su, mentre lo spread col Bund è tornato a 150 punti. Debole infine l'euro, sceso sotto 1,38 dollari (cambio euro/dollaro e convertitore di valute).Anche il tenore delle notizie provenienti dal fronte societario non ha aiutato.
La trimestrale di Telefonica ha deluso le attese e insieme a Belgacom ha appesantito il settore delle telecomunicazioni. In Italia spazio invece fra le altre ad Atlantia, Buzzi Unicem, Banca Popolare Milano e Italcementi. Mps ha terminato invece l'operazione di raggruppamento di azioni (un nuovo titolo ordinario ogni 100 posseduti). Sul listino milanese è balzata Seat Pagine Gialle dopo le anticipazioni sull'offerta della cordata guidata da Dmail. Ancora debole invece Prysmian dopo le deludenti stime sui margini per il 2014 e le voci stampa su un possibile interesse per la francese Nexans.
Intesa e BlackRock patto tra giganti.
di Angela Perez
Nuove strategie per due colossi bancari mondiali.
La categoria degli investitori istituzionali è spesso pervasa dalla voglia forte di una buona redditività, ma senza perdere il controllo anche su scopi perseguibili e di lungo termine, come l'innovazione o anche lo sviluppo del capitale umano. BlackRock, è dal mese scorso diventato con il suo 5% secondo azionista di Intesa, e nei giorni scorsi ha elencato una serie di appunti inseriti in uno specifico patto verso la banca italiana. Stando alla missiva letta questa mattina in assemblea dal presidente del Consiglio di Gestione, Gian Maria Gros-Pietro, l'idea non è quella di una presenza mordi e fuggi, giusto per cavalcare il buon andamento in Borsa del titolo (come di buona parte delle banche italiane).Contento del parere del proprio azionista americano che invita a guardare lontano, è sembrato Gros-Pietro, nel corso di un'assemblea – che ha registrato il record degli ultimi anni in in termine di capitale presente, oltre il 60% - in cui la presenza maggiore è stata proprio quella degli investitori internazionali, che hanno depositato complessivamente quote pari al 31,5%.
Una presenza sempre più significativa, dunque. Per uno scenario che somiglia molto a quello che si è manifestato la settimana scorsa a Trieste, all'assemblea di Generali: anche lì per la prima volta il "partito" più pesante è stato quello dei soci esteri. Nel caso di Intesa, come ha ricordato Carlo Messina al suo debutto da consigliere delegato davanti ai soci riuniti a Torino, si pensa (e si spera) che il consolidamento della pattuglia estera sia il risultato del piano industriale presentato il 28 marzo scorso dallo stesso Messina. Oggi in assemblea il manager ne ha offerto una sintesi ai soci, soffermandosi sul primato di Intesa quanto a patrimonio ("Siamo una delle prime banche al mondo in regola con Basilea 3"), sui 9 miliardi di riserva di capitale, sul ritorno alla crescita e alla redditività (in quattro anni Ca' de Sass punta a distribuirne per 10 miliardi) e sulla valorizzazione del capitale umano.
Un primo passo, nei fatti, si è compiuto proprio oggi, visto che l'assemblea ha approvato la distribuzione gratuita ai 90mila dipendenti del gruppo (65mila in Italia) di azioni per un controvalore di 920 euro a testa. "Siamo convinti di aver innescato, di concerto con le rappresentanze sindacali, un processo di cambiamento di grande portata degli strumenti storicamente utilizzati come di concerto con le rappresentanze sindacali, con strumenti storicamente utilizzati come il premio aziendale, con un piano di investimento che si estende per l'intera durata del piano d'impresa, basato su logiche estremamente innovative a tutela dei colleghi che sottoscriveranno questo programma", ha dichiarato al riguardo Francesco Micheli, chief operating officer di Intesa Sanpaolo, a margine dell'assemblea.
La categoria degli investitori istituzionali è spesso pervasa dalla voglia forte di una buona redditività, ma senza perdere il controllo anche su scopi perseguibili e di lungo termine, come l'innovazione o anche lo sviluppo del capitale umano. BlackRock, è dal mese scorso diventato con il suo 5% secondo azionista di Intesa, e nei giorni scorsi ha elencato una serie di appunti inseriti in uno specifico patto verso la banca italiana. Stando alla missiva letta questa mattina in assemblea dal presidente del Consiglio di Gestione, Gian Maria Gros-Pietro, l'idea non è quella di una presenza mordi e fuggi, giusto per cavalcare il buon andamento in Borsa del titolo (come di buona parte delle banche italiane).Contento del parere del proprio azionista americano che invita a guardare lontano, è sembrato Gros-Pietro, nel corso di un'assemblea – che ha registrato il record degli ultimi anni in in termine di capitale presente, oltre il 60% - in cui la presenza maggiore è stata proprio quella degli investitori internazionali, che hanno depositato complessivamente quote pari al 31,5%.
Una presenza sempre più significativa, dunque. Per uno scenario che somiglia molto a quello che si è manifestato la settimana scorsa a Trieste, all'assemblea di Generali: anche lì per la prima volta il "partito" più pesante è stato quello dei soci esteri. Nel caso di Intesa, come ha ricordato Carlo Messina al suo debutto da consigliere delegato davanti ai soci riuniti a Torino, si pensa (e si spera) che il consolidamento della pattuglia estera sia il risultato del piano industriale presentato il 28 marzo scorso dallo stesso Messina. Oggi in assemblea il manager ne ha offerto una sintesi ai soci, soffermandosi sul primato di Intesa quanto a patrimonio ("Siamo una delle prime banche al mondo in regola con Basilea 3"), sui 9 miliardi di riserva di capitale, sul ritorno alla crescita e alla redditività (in quattro anni Ca' de Sass punta a distribuirne per 10 miliardi) e sulla valorizzazione del capitale umano.
Un primo passo, nei fatti, si è compiuto proprio oggi, visto che l'assemblea ha approvato la distribuzione gratuita ai 90mila dipendenti del gruppo (65mila in Italia) di azioni per un controvalore di 920 euro a testa. "Siamo convinti di aver innescato, di concerto con le rappresentanze sindacali, un processo di cambiamento di grande portata degli strumenti storicamente utilizzati come di concerto con le rappresentanze sindacali, con strumenti storicamente utilizzati come il premio aziendale, con un piano di investimento che si estende per l'intera durata del piano d'impresa, basato su logiche estremamente innovative a tutela dei colleghi che sottoscriveranno questo programma", ha dichiarato al riguardo Francesco Micheli, chief operating officer di Intesa Sanpaolo, a margine dell'assemblea.
Ad aprile la produzione industriale sale.
di Angela Perez
Un dato positivo segna l'inizio della crescita economica.
Dopo un periodo di netta flessione come marzo dove l'indice di crescita era calato dello 0,5%,adesso la produzione industriale per il mese di aprile fa segnare un dato positivo,lo 0,2% in aumento rispetto al mese precedente.Questa è la cifra che ci comunica Confindustria, in un'indagine esplicita portata avanti dal Centro Studi.Un altro elemento positivo è che sempre ad aprile la distanza dal massimo di attivita' pre-crisi (aprile 2008) e' -23,5%. Gli economisti della Confindustria sottolineano che ad aprile l'indice destagionalizzato sia maggiore dello 0,3% rispetto al medesimo periodo del 2013. Un dato incoraggiante.
Nei primi tre mesi di questo 2014 quindi l'attivita' industriale ha registrato un aumento dello 0,1% sul quarto del 2013, quando aveva recuperato lo 0,5% sul precedente (rivalutato al ribasso dal +0,7% comunicato dall'Istat il mese scorso).Ad aprile, quindi, risulta evidente che ci sia stata una variazione congiunturale per il secondo trimestre 2014 dello -0,3%.Nel Rapporto presentato gli esperti di Confindustria descrivono un periodo che va da marzo 2013 ad oggi in cui si è manifestato un divario enorme tra il profilo piatto della produzione e il netto miglioramento configurato dai giudizi sui livelli di produzione, il cui differenziale netto è perciò aumentato di circa 18 punti (da -38 a -20), individuati dall'Istat nell'indagine mensile sulla fiducia delle imprese manifatturiere.
Secondo molti si tratta di una situazione molto anomala,poichè nel passato c'erano state variazioni nell'entita' del movimento, non certamente nel segno. Cio' però secondo alcuni esperti potrebbe portare a ridurre la valenza degli indicatori qualitativi che continuano a indicare un livello di recupero dell'attivita' industriale nei prossimi mesi. In particolare, secondo le ipotesi dei direttori degli acquisti sugli ordini ricevuti dalle imprese manifatturiere italiane comunque hanno portato per il mese di aprile un significativo incremento: la specifica voce di PMI si e' attestata a 53,9 (da 52,8, soglia neutrale=50), un dato massimo da aprile 2011; il tutto è stato possibile grazie soprattutto agli ordini giunti dall'estero.
Dopo un periodo di netta flessione come marzo dove l'indice di crescita era calato dello 0,5%,adesso la produzione industriale per il mese di aprile fa segnare un dato positivo,lo 0,2% in aumento rispetto al mese precedente.Questa è la cifra che ci comunica Confindustria, in un'indagine esplicita portata avanti dal Centro Studi.Un altro elemento positivo è che sempre ad aprile la distanza dal massimo di attivita' pre-crisi (aprile 2008) e' -23,5%. Gli economisti della Confindustria sottolineano che ad aprile l'indice destagionalizzato sia maggiore dello 0,3% rispetto al medesimo periodo del 2013. Un dato incoraggiante.
Nei primi tre mesi di questo 2014 quindi l'attivita' industriale ha registrato un aumento dello 0,1% sul quarto del 2013, quando aveva recuperato lo 0,5% sul precedente (rivalutato al ribasso dal +0,7% comunicato dall'Istat il mese scorso).Ad aprile, quindi, risulta evidente che ci sia stata una variazione congiunturale per il secondo trimestre 2014 dello -0,3%.Nel Rapporto presentato gli esperti di Confindustria descrivono un periodo che va da marzo 2013 ad oggi in cui si è manifestato un divario enorme tra il profilo piatto della produzione e il netto miglioramento configurato dai giudizi sui livelli di produzione, il cui differenziale netto è perciò aumentato di circa 18 punti (da -38 a -20), individuati dall'Istat nell'indagine mensile sulla fiducia delle imprese manifatturiere.
Secondo molti si tratta di una situazione molto anomala,poichè nel passato c'erano state variazioni nell'entita' del movimento, non certamente nel segno. Cio' però secondo alcuni esperti potrebbe portare a ridurre la valenza degli indicatori qualitativi che continuano a indicare un livello di recupero dell'attivita' industriale nei prossimi mesi. In particolare, secondo le ipotesi dei direttori degli acquisti sugli ordini ricevuti dalle imprese manifatturiere italiane comunque hanno portato per il mese di aprile un significativo incremento: la specifica voce di PMI si e' attestata a 53,9 (da 52,8, soglia neutrale=50), un dato massimo da aprile 2011; il tutto è stato possibile grazie soprattutto agli ordini giunti dall'estero.
Alitalia-Etihad.Sono ore davvero decisive.
di Angela Perez
Trattativa serrata e in dirittura d'arrivo tra le due compagnie aeree.
La questione Alitalia prosegue in modo spedito dopo che la compagnia di Abu Dabi Etihad ha reso pubblico il suo piano di acquisire almeno il 49% del capitale della compagnia di bandiera.Ieri è stata una lunghissima giornata di lavoro per i vertici di Alitalia. Lo scopo è dare una forte accelerata alla trattativa e verificare se vi siano o meno margini per apportare modifiche al contratto di acquisto degli arabi.In programma ci sono stati gli incontri con i presidenti di alcuni colossi bancari come Intesa Sanpaolo e Unicredit, che sono anche azioniste insieme a Mps,del capitale AliItalia.L' AD di Alitalia ha esposto la struttura dell'accordo avanzato da Etihad sulla ristrutturazione del debito, con la trasformazione in equity di una cifra che, ora, sarebbe cresciuta a 500 milioni di debiti della compagnia.
Si ipotizza che la settimana prossima AD e Presidente della compagnia italiana raggiungano Dubai allo scopo di dare una forte spinta alle negoziazioni. Un tema che comunque rimane caldissimo è poi quello dei rapporti tra azienda e sindacati,una questione sempre spinosissima.A Roma la settimana scorsa c'è stato un primo approccio di dialogo con la CIGL per la posizione di piloti, assistenti di volo e lavoratori di terra sui quali la compagnia vorrebbe riuscire a risparmiare una cifra di circa 40 milioni e portare il numero di esuberi a 1800,300 in più rispetto alle prime cifre.Alla CIGL non va giù che senza concertazione esplicita Alitalia abbia innalzato la soglia dei risparmi che spera di realizzare da 300 a 400 milioni,senza chiedere nulla ai sindacati di categoria.
La speranza è che l'accordo tra Alitalia e Etihad cambi il piano di ristrutturazione e abbassi la soglia degli esuberi originariamente previsti. Insomma la CIGL ha fatto capire che la discussione è tutta da fare,che c'è anche disponibiltià ad arrivare a un accordo ma a patto che Etihad entri nel capitale e garantisca liquidità all'azienda.Il sogno è abbassare la quota di esuberi fino a 200 persone.Questa è la speranza dei sindacati e degli stessi lavoratori di Alitalia.
La questione Alitalia prosegue in modo spedito dopo che la compagnia di Abu Dabi Etihad ha reso pubblico il suo piano di acquisire almeno il 49% del capitale della compagnia di bandiera.Ieri è stata una lunghissima giornata di lavoro per i vertici di Alitalia. Lo scopo è dare una forte accelerata alla trattativa e verificare se vi siano o meno margini per apportare modifiche al contratto di acquisto degli arabi.In programma ci sono stati gli incontri con i presidenti di alcuni colossi bancari come Intesa Sanpaolo e Unicredit, che sono anche azioniste insieme a Mps,del capitale AliItalia.L' AD di Alitalia ha esposto la struttura dell'accordo avanzato da Etihad sulla ristrutturazione del debito, con la trasformazione in equity di una cifra che, ora, sarebbe cresciuta a 500 milioni di debiti della compagnia.
Si ipotizza che la settimana prossima AD e Presidente della compagnia italiana raggiungano Dubai allo scopo di dare una forte spinta alle negoziazioni. Un tema che comunque rimane caldissimo è poi quello dei rapporti tra azienda e sindacati,una questione sempre spinosissima.A Roma la settimana scorsa c'è stato un primo approccio di dialogo con la CIGL per la posizione di piloti, assistenti di volo e lavoratori di terra sui quali la compagnia vorrebbe riuscire a risparmiare una cifra di circa 40 milioni e portare il numero di esuberi a 1800,300 in più rispetto alle prime cifre.Alla CIGL non va giù che senza concertazione esplicita Alitalia abbia innalzato la soglia dei risparmi che spera di realizzare da 300 a 400 milioni,senza chiedere nulla ai sindacati di categoria.
La speranza è che l'accordo tra Alitalia e Etihad cambi il piano di ristrutturazione e abbassi la soglia degli esuberi originariamente previsti. Insomma la CIGL ha fatto capire che la discussione è tutta da fare,che c'è anche disponibiltià ad arrivare a un accordo ma a patto che Etihad entri nel capitale e garantisca liquidità all'azienda.Il sogno è abbassare la quota di esuberi fino a 200 persone.Questa è la speranza dei sindacati e degli stessi lavoratori di Alitalia.
FMI.Lagarde indica la nuova rotta.
di Angela Perez
La francese Làgarde detta le nuove linee di condotta monetaria.
Dopo le forti raccomandazioni della settimana scorsa ad opera della BCE questa volta è toccato al Fondo Monetario Internazionale nella figura della sua presidentessa,Christine Làgarde, chiedere esplicitamente all'Italia di attuare il più velocemente possibile la riforma del lavoro.È necessaria una concreta ed efficace riforma del lavoro, così come lo è anche in altri Paesi come Spagna e Portogallo,poichè una grossa fetta di popolazione, soprattutto giovani, è sotto occupata o disoccupata.Queste frasi si ascoltano dalla bocca della Lagarde che ha sottolineato come le riforme del lavoro sono basilari ed importanti anche per innalzare in modo netto la percentuale di partecipazione femminile che necessariamente va aumentata per bilanciare le conseguenze dell'invecchiamento della popolazione. Secondo il FMI anche Stati come Germania, Giappone e Corea hanno bisogno di una verifica del loro sistema di lavoro per renderlo a prova di crisi.La presidentessa del Fmi ha rimarcato con decisione che nell'eurozona c'è bisogno di un maggiore allentamento monetario, anche utilizzando misure non convenzionali,come Draghi aveva accennato il mese scorso.La bassa inflazione sembra essere troppo resistente e il rischio è che si muti in vera deflazione, con danni pericolosi per la crescita.
Questo grande rischio è particolarmente grave anche in quelle zone dell'euro dove c'è una disoccupazione molto alta e l'economia ha una lentissima crescita,al centro sarebbero i Paesi sotto stress,afferma nel suo rapporto Lagarde. A dire il vero il FMI la settimana scorsa aveva subito dure critiche da parte della Federal Reserve Bank di Washington sul tema dell'allentamento monetario.Gli americani infatti da almeno un anno propendono per tale decisione ma il FMI aveva sempre rifiutato ogni forma di allentamento sulla moneta.Adesso i tempi sono cambiati e il fatto che la BCE sia disposta a prendere misure non convenzionali contro la bassa inflazione è un fatto positivo per risolvere i problemi economici attuali. Làgarde torna poi sull'argomento crescita generale e afferma che nell'agenda 2014 è stato evidenziato come la ripresa economica sia in fase di rafforzamento, ma comunque mantiene strutture incerte e deboli. Rimangono evidenti rischi al ribasso, provenienti dalle tensioni geopolitiche e dalla disordinata normalizzazione delle politiche monetarie; ma anche dalla eccessiva dinamicità dei flussi di capitale provenienti dai Paesi emergenti,fino ovviamente all'inflazione bassa.
Per combattere i rischi di deflazione la Banca centrale dovrebbe abbassare e di molto i tassi di interesse.Questo aiuterebbe a rasserenare l'effetto di contrazione delle aspettative del settore privato sul tema della produzione e dei prezzi unita al pericolo di una fase di liquidità di moneta troppo alta.La stabilità dei prezzi è lo scopo verso cui tendere,la rotta da seguire con convinzione,il fine primario della politica monetaria, ma la crisi ha dimostrato anche che tutto ciò può pure non essere sufficiente alla stabilità macroeconomica. Un'inflazione che abbia un livello stabile mantiene la produzione a un livello efficiente, questo è l'insegnamento che è stato dedotto negli ultimi cinquant'anni di politiche economiche.Seguendo le direttive del Fmi,però, fare degli strumenti di politica monetaria non convenzionali strumenti convenzionali potrebbe causare benefici certi, con costi che si assesterebbero in diminuzione.Almeno questo è il progetto teorico della Làgarde.
Dopo le forti raccomandazioni della settimana scorsa ad opera della BCE questa volta è toccato al Fondo Monetario Internazionale nella figura della sua presidentessa,Christine Làgarde, chiedere esplicitamente all'Italia di attuare il più velocemente possibile la riforma del lavoro.È necessaria una concreta ed efficace riforma del lavoro, così come lo è anche in altri Paesi come Spagna e Portogallo,poichè una grossa fetta di popolazione, soprattutto giovani, è sotto occupata o disoccupata.Queste frasi si ascoltano dalla bocca della Lagarde che ha sottolineato come le riforme del lavoro sono basilari ed importanti anche per innalzare in modo netto la percentuale di partecipazione femminile che necessariamente va aumentata per bilanciare le conseguenze dell'invecchiamento della popolazione. Secondo il FMI anche Stati come Germania, Giappone e Corea hanno bisogno di una verifica del loro sistema di lavoro per renderlo a prova di crisi.La presidentessa del Fmi ha rimarcato con decisione che nell'eurozona c'è bisogno di un maggiore allentamento monetario, anche utilizzando misure non convenzionali,come Draghi aveva accennato il mese scorso.La bassa inflazione sembra essere troppo resistente e il rischio è che si muti in vera deflazione, con danni pericolosi per la crescita.
Questo grande rischio è particolarmente grave anche in quelle zone dell'euro dove c'è una disoccupazione molto alta e l'economia ha una lentissima crescita,al centro sarebbero i Paesi sotto stress,afferma nel suo rapporto Lagarde. A dire il vero il FMI la settimana scorsa aveva subito dure critiche da parte della Federal Reserve Bank di Washington sul tema dell'allentamento monetario.Gli americani infatti da almeno un anno propendono per tale decisione ma il FMI aveva sempre rifiutato ogni forma di allentamento sulla moneta.Adesso i tempi sono cambiati e il fatto che la BCE sia disposta a prendere misure non convenzionali contro la bassa inflazione è un fatto positivo per risolvere i problemi economici attuali. Làgarde torna poi sull'argomento crescita generale e afferma che nell'agenda 2014 è stato evidenziato come la ripresa economica sia in fase di rafforzamento, ma comunque mantiene strutture incerte e deboli. Rimangono evidenti rischi al ribasso, provenienti dalle tensioni geopolitiche e dalla disordinata normalizzazione delle politiche monetarie; ma anche dalla eccessiva dinamicità dei flussi di capitale provenienti dai Paesi emergenti,fino ovviamente all'inflazione bassa.
Per combattere i rischi di deflazione la Banca centrale dovrebbe abbassare e di molto i tassi di interesse.Questo aiuterebbe a rasserenare l'effetto di contrazione delle aspettative del settore privato sul tema della produzione e dei prezzi unita al pericolo di una fase di liquidità di moneta troppo alta.La stabilità dei prezzi è lo scopo verso cui tendere,la rotta da seguire con convinzione,il fine primario della politica monetaria, ma la crisi ha dimostrato anche che tutto ciò può pure non essere sufficiente alla stabilità macroeconomica. Un'inflazione che abbia un livello stabile mantiene la produzione a un livello efficiente, questo è l'insegnamento che è stato dedotto negli ultimi cinquant'anni di politiche economiche.Seguendo le direttive del Fmi,però, fare degli strumenti di politica monetaria non convenzionali strumenti convenzionali potrebbe causare benefici certi, con costi che si assesterebbero in diminuzione.Almeno questo è il progetto teorico della Làgarde.
Borsa e BCE e il mercato italiano si rialza.
di Angela Perez
Tornano gli investimenti e la crescita.Quali i motivi?
Sono trascorsi ben sei anni di crisi economico-finanziaria mista a recessione forte,l'Italia ha avuto molti governi più o meno stabili ma nonostante tutti questi elementi facciano disperare da alcuni mesi il mercato economico nazionale sembra in netta ripresa. Tre anni quasi tutti i grandi investitori erano convinti del default dell'Italia oggi invece quegli stessi investitori comprano azioni a Piazza Affari. La Borsa di Milano infatti guida l'Europa tra le borse europee, i tassi dei BTp sono scesi molto e perfino lo spread sui Bund tedeschi,giunto a 150 punti,non è più qualcosa che spaventa. Chi ha investito sui BTp emessi dall'Italia nel 2011 adesso ha un capitale raddoppiato ed anche il mercato secondario dei BoT è tornato ad attrarre capitali senza tassi d'interesse bassissimi.Molti si chiedono come sia successo ciò soprattutto visto che la vera crescita economica del paese è ancora solo accennata e debole e che le riforme strutturali ancora languono.
Di sicuro un plauso va fatto alla forte tenacia delle imprese che sono ancora in grado di competere e di fare investimenti in Italia e all'estero anche se il credito bancario è spesso zoppicante e non hanno ad appoggiarle un solido sistema-Paese.Un confronto lascia di sasso,mentre il Pil italiano cresce dello «0,2%» e i consumi si bloccano,invece l'indice degli ordini interni è salito dell'80% nel primo trimestre, una enormità sorprendente che alimenta la ripresa economica e la fiducia dei mercati. Si potrebbe dire che gli investitori esteri ipotizzino che se si rimette in moto l'industria manifatturiera a ripartire sarà dopo poco anche l'intera Italia,se a ciò uniamo l'atteggiamento meno intransigente delle banche il più è fatto.In queste settimane infatti vi sono state le maxi-svalutazioni sui crediti in sofferenza da parte dei colossi Intesa e Unicredit e soprattutto la scelta di occuparsi da sole della gestione dei prestiti poco esigibili che ancora affossa spesso i bilanci bancari.Queste situazioni hanno rafforzato il sistema bancario nazionale e ovviamente i loro titoli in Borsa sono aumentati insieme alla voglia degli investitori di rischiare sul settore.
Bastano questi motivi per capire il fenomeno Italia di questi mesi? Sono davvero questi gli elementi che hanno portato decine di miliardi su azioni, bond aziendali, BoT e BtP? Certamente no. Ma sono una parziale spiegazione che unita alla instabilità internazionale di alcune zone europee,ad esempio per le tensioni in Ucraina e alla solita stagnazione economica del Paese,diventa una spiegazione chiara.Se poi aggiungiamo a ciò il nuovo atteggiamento della BCE con un Mario Draghi voglioso di rivoluzionare l'economia comunitaria si può comprendere meglio.Il Governatore ha infatti deciso di garantire liquidità al sistema bancario europeo, di proteggere i mercati deboli come quello italiano, dagli attacchi speculativi sui titoli di Stato e soprattutto di opporsi al rigorismo tedesco sia a livello monetario che valutario.Ciò ha garantito quell'afflusso di liquidità e di capitali sui mercati che hanno fatto rialzare la finanza italiana.
Sono trascorsi ben sei anni di crisi economico-finanziaria mista a recessione forte,l'Italia ha avuto molti governi più o meno stabili ma nonostante tutti questi elementi facciano disperare da alcuni mesi il mercato economico nazionale sembra in netta ripresa. Tre anni quasi tutti i grandi investitori erano convinti del default dell'Italia oggi invece quegli stessi investitori comprano azioni a Piazza Affari. La Borsa di Milano infatti guida l'Europa tra le borse europee, i tassi dei BTp sono scesi molto e perfino lo spread sui Bund tedeschi,giunto a 150 punti,non è più qualcosa che spaventa. Chi ha investito sui BTp emessi dall'Italia nel 2011 adesso ha un capitale raddoppiato ed anche il mercato secondario dei BoT è tornato ad attrarre capitali senza tassi d'interesse bassissimi.Molti si chiedono come sia successo ciò soprattutto visto che la vera crescita economica del paese è ancora solo accennata e debole e che le riforme strutturali ancora languono.
Di sicuro un plauso va fatto alla forte tenacia delle imprese che sono ancora in grado di competere e di fare investimenti in Italia e all'estero anche se il credito bancario è spesso zoppicante e non hanno ad appoggiarle un solido sistema-Paese.Un confronto lascia di sasso,mentre il Pil italiano cresce dello «0,2%» e i consumi si bloccano,invece l'indice degli ordini interni è salito dell'80% nel primo trimestre, una enormità sorprendente che alimenta la ripresa economica e la fiducia dei mercati. Si potrebbe dire che gli investitori esteri ipotizzino che se si rimette in moto l'industria manifatturiera a ripartire sarà dopo poco anche l'intera Italia,se a ciò uniamo l'atteggiamento meno intransigente delle banche il più è fatto.In queste settimane infatti vi sono state le maxi-svalutazioni sui crediti in sofferenza da parte dei colossi Intesa e Unicredit e soprattutto la scelta di occuparsi da sole della gestione dei prestiti poco esigibili che ancora affossa spesso i bilanci bancari.Queste situazioni hanno rafforzato il sistema bancario nazionale e ovviamente i loro titoli in Borsa sono aumentati insieme alla voglia degli investitori di rischiare sul settore.
Bastano questi motivi per capire il fenomeno Italia di questi mesi? Sono davvero questi gli elementi che hanno portato decine di miliardi su azioni, bond aziendali, BoT e BtP? Certamente no. Ma sono una parziale spiegazione che unita alla instabilità internazionale di alcune zone europee,ad esempio per le tensioni in Ucraina e alla solita stagnazione economica del Paese,diventa una spiegazione chiara.Se poi aggiungiamo a ciò il nuovo atteggiamento della BCE con un Mario Draghi voglioso di rivoluzionare l'economia comunitaria si può comprendere meglio.Il Governatore ha infatti deciso di garantire liquidità al sistema bancario europeo, di proteggere i mercati deboli come quello italiano, dagli attacchi speculativi sui titoli di Stato e soprattutto di opporsi al rigorismo tedesco sia a livello monetario che valutario.Ciò ha garantito quell'afflusso di liquidità e di capitali sui mercati che hanno fatto rialzare la finanza italiana.
Confindustria dispensa elogi e critiche.
di Angela Perez
I pareri sul nuovo Def restano contraddittori.
La Confindustria ieri nella figura del suo Direttore Generale Panucci,ha espresso le prime impressioni sul Def svelato dal Governo.Sono state parole positive ma anche chiare critiche a determinati aspetti del documento che sono apparsi poco efficaci e degni di aggiustamenti.In primis servirebbe fare di più sul taglio all'Irap,vitale per le industrie italiane;affrontare in modo schietto il problema dei debiti della Pa, anticipando se possibile il pagamento dei rimborsi alle imprese; infine scelte più coraggiose per sostenere con investimenti pubblici e privati la ricerca e l'innovazione. Il Def interviene bene sui principali fattori che frenano la crescita,afferma Confindustria,ma la linea seguita non è sempre coerente e condivisibile.Queste parole pesanti sono state dette da Panucci nel corso dell' audizione in Parlamento sul documento di economia e finanza.Il taglio al cuneo fiscale è una misura che le imprese invocano da anni e diventa adesso basilare per dare ossigeno e vigore alla competitività con i principali partner europei. Il Governo ha svelato che la sua idea è mettere in campo risorse in modo da abbassare di 2,4 punti il cuneo fiscale e contributivo, che resterà comunque fra i più alti europei.Questa è la motivazione per cui viene criticata la decisione del Ministero dell'Economia di dedicare quasi tutte le risorse sulla riduzione dell'Irpef per i lavoratori dipendenti a basso reddito e di dedicare pochissimo al taglio dell'Irap.
Confindustria sottolinea la speranza in questi mesi che comunque una forma di riduzione dell'Irap, concentrandola sui settori maggiormente esposti alla concorrenza internazionale e attuandola escludendo il costo del lavoro dalla base imponibile,venga fatta da chi di dovere.Quando le risorse da usare sono poche,sprecarle su tutte le imprese, non produce alcun effetto benefico mentre, un intervento generale sulla base imponibile, avrebbe effetti positivi sulla domanda di lavoro.Un'altra questione che non piace alla Confindustria è il voler coprire la piccola riduzione programmata dell'Irap con l'aumento dell'aliquota sulle rendite finanziarie, non toccando invece la tassazione sui titoli di Stato. Il risultato di ciò sarebbe uno squilibrio che favorirebbe il finanziamento dello Stato a discapito del finanziamento delle imprese produttive che finirebbe per ricevere un ulteriore stretta.Nel DEF di molto positivo invece vi è la scelta di intervenire sul pagamento dei debiti Pa. Ma è importante, secondo Confindustria, che si proceda a ciò anche in tempi più brevi per dare linfa alle industrie,sperando che le risorse destinate al pagamento dei residui debiti della PA,di cui ancora oggi si sa poco,non vengano sottratte ad altre circostanze a danno delle imprese.
Un elogio arriva poi alla voglia dimostrata di internazionalizzare le imprese italiane e l'export, e le scelte precise finalizzate a rilanciare gli investimenti, soprattutto nel Mezzogiorno, attraverso un utilizzo completo e certificato dei fondi strutturali europei. Appaiono, invece, poco chiare le idee del governo su come supportare gli investimenti pubblici e privati in ricerca e innovazione. Positivo infine il parere di Confindustria sul progetto del governo di sostenere gran parte degli interventi con i tagli di spesa derivanti dalla spending review. Stando così le cose però è ovvio che la revisione della spesa non può ridursi a una semplice attività contabile di taglio dei costi, ma serve una vera e propria rivoluzione delle metodiche di erogazione dei servizi.Un obiettivo questo si ancora lungi dal divenire realtà.
La Confindustria ieri nella figura del suo Direttore Generale Panucci,ha espresso le prime impressioni sul Def svelato dal Governo.Sono state parole positive ma anche chiare critiche a determinati aspetti del documento che sono apparsi poco efficaci e degni di aggiustamenti.In primis servirebbe fare di più sul taglio all'Irap,vitale per le industrie italiane;affrontare in modo schietto il problema dei debiti della Pa, anticipando se possibile il pagamento dei rimborsi alle imprese; infine scelte più coraggiose per sostenere con investimenti pubblici e privati la ricerca e l'innovazione. Il Def interviene bene sui principali fattori che frenano la crescita,afferma Confindustria,ma la linea seguita non è sempre coerente e condivisibile.Queste parole pesanti sono state dette da Panucci nel corso dell' audizione in Parlamento sul documento di economia e finanza.Il taglio al cuneo fiscale è una misura che le imprese invocano da anni e diventa adesso basilare per dare ossigeno e vigore alla competitività con i principali partner europei. Il Governo ha svelato che la sua idea è mettere in campo risorse in modo da abbassare di 2,4 punti il cuneo fiscale e contributivo, che resterà comunque fra i più alti europei.Questa è la motivazione per cui viene criticata la decisione del Ministero dell'Economia di dedicare quasi tutte le risorse sulla riduzione dell'Irpef per i lavoratori dipendenti a basso reddito e di dedicare pochissimo al taglio dell'Irap.
Confindustria sottolinea la speranza in questi mesi che comunque una forma di riduzione dell'Irap, concentrandola sui settori maggiormente esposti alla concorrenza internazionale e attuandola escludendo il costo del lavoro dalla base imponibile,venga fatta da chi di dovere.Quando le risorse da usare sono poche,sprecarle su tutte le imprese, non produce alcun effetto benefico mentre, un intervento generale sulla base imponibile, avrebbe effetti positivi sulla domanda di lavoro.Un'altra questione che non piace alla Confindustria è il voler coprire la piccola riduzione programmata dell'Irap con l'aumento dell'aliquota sulle rendite finanziarie, non toccando invece la tassazione sui titoli di Stato. Il risultato di ciò sarebbe uno squilibrio che favorirebbe il finanziamento dello Stato a discapito del finanziamento delle imprese produttive che finirebbe per ricevere un ulteriore stretta.Nel DEF di molto positivo invece vi è la scelta di intervenire sul pagamento dei debiti Pa. Ma è importante, secondo Confindustria, che si proceda a ciò anche in tempi più brevi per dare linfa alle industrie,sperando che le risorse destinate al pagamento dei residui debiti della PA,di cui ancora oggi si sa poco,non vengano sottratte ad altre circostanze a danno delle imprese.
Un elogio arriva poi alla voglia dimostrata di internazionalizzare le imprese italiane e l'export, e le scelte precise finalizzate a rilanciare gli investimenti, soprattutto nel Mezzogiorno, attraverso un utilizzo completo e certificato dei fondi strutturali europei. Appaiono, invece, poco chiare le idee del governo su come supportare gli investimenti pubblici e privati in ricerca e innovazione. Positivo infine il parere di Confindustria sul progetto del governo di sostenere gran parte degli interventi con i tagli di spesa derivanti dalla spending review. Stando così le cose però è ovvio che la revisione della spesa non può ridursi a una semplice attività contabile di taglio dei costi, ma serve una vera e propria rivoluzione delle metodiche di erogazione dei servizi.Un obiettivo questo si ancora lungi dal divenire realtà.
Il Def è realtà.Vediamo pregi e difetti.
di Angela Perez
I piani economici svelati dall'Esecutivo.Diamo uno sguardo.
Il Def, il Documento di economia e di finanza approvato martedì 9 aprile dal consiglio dei ministri, ha da subito suscitato chiacchiere e critiche.Alla sua base vi è una forte riduzione dell'Irpef sui lavoratori dipendenti che raggiunge picchi di 6,7 miliardi di euro tra maggio e dicembre 2014, tale somma equivale su indice annuale ad un enorme taglio strutturale alla spesa pubblica da 10 miliardi di euro in programma per il 2015.La copertura di tali cifre giungerà per la maggior parte da un ambizioso piano programmatico. Il Def indica poi una serie di elementi in relazione alla crescita del Paese nel medio termine. Le istituzioni europee guardano con curiosità a tale provvedimento per capire le prime indicazioni economiche che investiranno il nostro paese.Il documento a breve sarà anche inviato al Parlamento e alla Commissione europea per un parere generale.Il Pil dell'Italia nel 2014,secondo il Def ed il Governo aumenterà dello 0,8% (il governo Letta aveva addirittura parlato del 1,1%). La crescita economica sarà però costante e nel 2015 arriverà al +1,3%, nel 2016 +1,6%, nel 2017 +1,8% e nel 2018 +1,9 per cento,tutte cifre davvero ottime se dovessero essere confermate.
Sul tema del debito sovrano secondo il governo questi passerà dal 2,6% del 2014 all'1,8% del 2015 e infine allo 0,9% nel 2016.Un ruolo decisiovo lo avrannogli interventi di spending review che dovranno portare nelle casse dello Stato 17 e 32 miliardi di euro di ulteriori risparmi per il 2015 e 2016 in termini cumulati. Il beneficio di queste somme risparmiate sarà a vantaggio dei lavoratori dipendenti sotto i 25 mila euro di reddito lordi, circa 10 milioni di persone, che potranno così godere in busta paga di una somma totale di 1.000 euro netti annui a persona.Nella conferenza stampa seguita alla pubblicazione del Def, Renzi ha affermato che i 6 mld di euro necessari per aiutare i salari dei lavoratori arriveranno dalla spending review nell'ambito dei tagli alla spesa pubblica (4,5 miliardi), ma anche dall'aumento delle cifre Iva e dal raddoppio al 26% della tassa sulle plusvalenze delle quote Bankitalia (altri 2 miliardi di euro).
Dalle cifre del Def si evince una Italia economicamente in ripresa e vicina alla media europea del 3% nel rapporto tra deficit e Pil.L'avanzo primario in termini nominali avrà un sensibile aumento progressivo, raggiungendo il 5% nel 2018. Seguendo le pagine del Def, infine, il rapporto tra debito e pil partirà nella sua riduzione solo nel 2015.Vi è poi l'argomento spinosissimo del deficit strutturale. Lo scopo di pareggiare i dati è rinviato ad altra data: in base ai programmi dell'Esecutivo infatti si ridurrà progressivamente, e raggiungerà un concreto equilibrio solo nel 2015 (-0,1%) per poi stabilizzarsi in pareggio negli anni successivi. La decisione di rinviare al nuovo anno il pareggio di bilancio strutturale dal 2015 al 2016, è stata però molto criticata e potrebbe non convincere Bruxelles spingendo la Commissione a diramare pareri critici.
Il Def, il Documento di economia e di finanza approvato martedì 9 aprile dal consiglio dei ministri, ha da subito suscitato chiacchiere e critiche.Alla sua base vi è una forte riduzione dell'Irpef sui lavoratori dipendenti che raggiunge picchi di 6,7 miliardi di euro tra maggio e dicembre 2014, tale somma equivale su indice annuale ad un enorme taglio strutturale alla spesa pubblica da 10 miliardi di euro in programma per il 2015.La copertura di tali cifre giungerà per la maggior parte da un ambizioso piano programmatico. Il Def indica poi una serie di elementi in relazione alla crescita del Paese nel medio termine. Le istituzioni europee guardano con curiosità a tale provvedimento per capire le prime indicazioni economiche che investiranno il nostro paese.Il documento a breve sarà anche inviato al Parlamento e alla Commissione europea per un parere generale.Il Pil dell'Italia nel 2014,secondo il Def ed il Governo aumenterà dello 0,8% (il governo Letta aveva addirittura parlato del 1,1%). La crescita economica sarà però costante e nel 2015 arriverà al +1,3%, nel 2016 +1,6%, nel 2017 +1,8% e nel 2018 +1,9 per cento,tutte cifre davvero ottime se dovessero essere confermate.
Sul tema del debito sovrano secondo il governo questi passerà dal 2,6% del 2014 all'1,8% del 2015 e infine allo 0,9% nel 2016.Un ruolo decisiovo lo avrannogli interventi di spending review che dovranno portare nelle casse dello Stato 17 e 32 miliardi di euro di ulteriori risparmi per il 2015 e 2016 in termini cumulati. Il beneficio di queste somme risparmiate sarà a vantaggio dei lavoratori dipendenti sotto i 25 mila euro di reddito lordi, circa 10 milioni di persone, che potranno così godere in busta paga di una somma totale di 1.000 euro netti annui a persona.Nella conferenza stampa seguita alla pubblicazione del Def, Renzi ha affermato che i 6 mld di euro necessari per aiutare i salari dei lavoratori arriveranno dalla spending review nell'ambito dei tagli alla spesa pubblica (4,5 miliardi), ma anche dall'aumento delle cifre Iva e dal raddoppio al 26% della tassa sulle plusvalenze delle quote Bankitalia (altri 2 miliardi di euro).
Dalle cifre del Def si evince una Italia economicamente in ripresa e vicina alla media europea del 3% nel rapporto tra deficit e Pil.L'avanzo primario in termini nominali avrà un sensibile aumento progressivo, raggiungendo il 5% nel 2018. Seguendo le pagine del Def, infine, il rapporto tra debito e pil partirà nella sua riduzione solo nel 2015.Vi è poi l'argomento spinosissimo del deficit strutturale. Lo scopo di pareggiare i dati è rinviato ad altra data: in base ai programmi dell'Esecutivo infatti si ridurrà progressivamente, e raggiungerà un concreto equilibrio solo nel 2015 (-0,1%) per poi stabilizzarsi in pareggio negli anni successivi. La decisione di rinviare al nuovo anno il pareggio di bilancio strutturale dal 2015 al 2016, è stata però molto criticata e potrebbe non convincere Bruxelles spingendo la Commissione a diramare pareri critici.
La BCE e la sua strategia economica.
di Angela Perez
La Banca Europea è pronta a nuove azioni strategiche.
Secondo molti analisti europei la Bce avrebbe già iniziato a compiere serie valutazioni anche con differenti prospettive e conseguenze per verificare cosa potrebbe accadere sull'alto tasso di inflazione generale in seguito ad un abbondante acquisto di titoli di stato dei vari paesi membri.La Bce vuole insomma dare una scossa all'economia dell'eurozona e contribuire in modo diretto alla produzione di effetti sulle economie stagnanti di molti paesi europei.Questa è la nuova strategia che il presidente della Bce, Mario Draghi, in conferenza stampa ha indicato come possibile azione futura da porre in essere.Dalla conferenza è emersa la volontà anche dei vari ministri economici dell'Unione di usare tutti gli strumenti possibili, compresi quelli non convenzionali come l'acquisto di titoli, per contrastare i pericoli connessi ad un tasso inflazionistico così alto per un lasso di tempo lungo come quello attuale.
Secondo il centro analisi e statistiche della BCE le simulazioni di acquisto sono state condotte su volumi di titoli fino a un massimo di 1.000 miliardi di euro nel giro di un anno, quindi una somma di circa 80 miliardi al mese.I risultati di tale azione però sarebbero alquanto contrastanti: nel caso di conseguenze negative la super-iniezione di liquidità della Bce causerebbe una variazione del tasso di solo lo 0.3% davvero poco consoderando le enormi somme erogate.Ecco perchè lo stesso Draghi non ha rilasciato opinioni sulle ipotesi fatte ma ha parlato di azioni ancora da valutare e di dettagli ancora non discussi pienamente.Ieri si è intanto avuta una riunione del direttivo della BCE e secondo indiscrezioni non si sarebbe affrontato il tema di un eventuale intervento sui mercati attraverso una manovra di acquisto di titoli.
E lo stesso vice presidente dell'istituto, Vitor Constancio, al forum Ambrosetti,avrebbe confermato tale situazione di indecisione generale. Secondo Constancio la riunione del direttivo avrebbe solo affrontato l'idea generale per l'acquisto di titoli nazionali ma lo scopo era solo verificare l'unanimità o meno dei votanti.Cosa che peraltro è stata trovata anche se con difficoltà.I dettagli dell'azione strategica non sarebbero stati affrontati anche perchè mancherebbero ancora le vere condizioni per dare applicazione a questa nuova scelta strategica.Una cosa è positiva,la BCE a differenza che in passato pare molto più attiva e intraprendente per il bene delle economie dell'eurozona.
Secondo molti analisti europei la Bce avrebbe già iniziato a compiere serie valutazioni anche con differenti prospettive e conseguenze per verificare cosa potrebbe accadere sull'alto tasso di inflazione generale in seguito ad un abbondante acquisto di titoli di stato dei vari paesi membri.La Bce vuole insomma dare una scossa all'economia dell'eurozona e contribuire in modo diretto alla produzione di effetti sulle economie stagnanti di molti paesi europei.Questa è la nuova strategia che il presidente della Bce, Mario Draghi, in conferenza stampa ha indicato come possibile azione futura da porre in essere.Dalla conferenza è emersa la volontà anche dei vari ministri economici dell'Unione di usare tutti gli strumenti possibili, compresi quelli non convenzionali come l'acquisto di titoli, per contrastare i pericoli connessi ad un tasso inflazionistico così alto per un lasso di tempo lungo come quello attuale.
Secondo il centro analisi e statistiche della BCE le simulazioni di acquisto sono state condotte su volumi di titoli fino a un massimo di 1.000 miliardi di euro nel giro di un anno, quindi una somma di circa 80 miliardi al mese.I risultati di tale azione però sarebbero alquanto contrastanti: nel caso di conseguenze negative la super-iniezione di liquidità della Bce causerebbe una variazione del tasso di solo lo 0.3% davvero poco consoderando le enormi somme erogate.Ecco perchè lo stesso Draghi non ha rilasciato opinioni sulle ipotesi fatte ma ha parlato di azioni ancora da valutare e di dettagli ancora non discussi pienamente.Ieri si è intanto avuta una riunione del direttivo della BCE e secondo indiscrezioni non si sarebbe affrontato il tema di un eventuale intervento sui mercati attraverso una manovra di acquisto di titoli.
E lo stesso vice presidente dell'istituto, Vitor Constancio, al forum Ambrosetti,avrebbe confermato tale situazione di indecisione generale. Secondo Constancio la riunione del direttivo avrebbe solo affrontato l'idea generale per l'acquisto di titoli nazionali ma lo scopo era solo verificare l'unanimità o meno dei votanti.Cosa che peraltro è stata trovata anche se con difficoltà.I dettagli dell'azione strategica non sarebbero stati affrontati anche perchè mancherebbero ancora le vere condizioni per dare applicazione a questa nuova scelta strategica.Una cosa è positiva,la BCE a differenza che in passato pare molto più attiva e intraprendente per il bene delle economie dell'eurozona.
Ottimo rialzo per Piazza Affari + 0,9.
di Roberta Perez
Davvero un ottimo periodo per la Borsa Italiana.
La scorsa settimana è stata una settimana di notevoli rialzi nei mercati europei in attesa della decisione della Bce sui tassi di interesse in programma tra alcuni giorni.Milano ad esempio ieri ha chiuso con un ottimo dato, +0,9% sostenuto soprattutto dalle banche, e che è stato il risultato maggiormente positivo delle borse europee. L'accelerazione decisiva agli scambi è partita dall'avvio favorevole di Wall Street, che da ben tre giorni consecutivi sta chiudendo in positivo i propri scambi. Un elemento di ulteriore importanza è la diminuzione costante del differenziale fra i BTp e Bund che adesso è giunto a 172 punti base,vicino al minimo del 2011. Sempre la settimana scorsa poi è giunto anche un leggerissimo miglioramento dell'inflazione dell'Eurozona che ha rallentato passando da +0,6 a +0,5.
Anche nello specifico italiano si è avuta la notizia positiva di un abbassamento del dato sull'inflazione anche se rimane comunque alta per la media nazionale. Molti analisti sono convinti che nei prosismi mesi la situazione in Europa migliorerà molto e ad esempio in Spagna si attendono dati positivi con un calo dell'inflazione di ben 0,3 punti ed una media di crescita degli scambi borsistici intorno all'1%. Nonostante queste speranze però molti sono dubbiosi sulle decisioni della Bce nel tentativo di scongiurare il rischio deflazione di cui alcuni Paesi stanno soffrendo vedi Grecia,Irlanda e Portogallo.
Alcuni economisti ritengono che non vi sia l'urgenza di una risposta di politica monetaria della Bce ma che anzi bisognerebbe intervenire il meno possibile ora che i mercati sembrano essersi autonomamente ripresi.Tanto è vero che l'euro ha ricominciato la sua crescita ed è ritornato a valere 1,38 dollari (cambio euro/dollaro).Piazza Affari , che negli ultimi mesi ha nel complesso guadagnato un bel 14% è la migliore nel primo trimestre dell'anno fra le Borse avanzate, e ieri è stata una giornata ancora una volta favorevole per le azioni del settore bancario. Una spinta notevolissima è arrivata dall'aumento di capitale da 1,5 miliardi di euro, da parte del Banco Popolare i cui titoli si sono attestati a 15,78 euro, in aumento del 16% rispetto al prezzo teorico iniziale.Un vero esempio di scelte amministrative lungimiranti.
La scorsa settimana è stata una settimana di notevoli rialzi nei mercati europei in attesa della decisione della Bce sui tassi di interesse in programma tra alcuni giorni.Milano ad esempio ieri ha chiuso con un ottimo dato, +0,9% sostenuto soprattutto dalle banche, e che è stato il risultato maggiormente positivo delle borse europee. L'accelerazione decisiva agli scambi è partita dall'avvio favorevole di Wall Street, che da ben tre giorni consecutivi sta chiudendo in positivo i propri scambi. Un elemento di ulteriore importanza è la diminuzione costante del differenziale fra i BTp e Bund che adesso è giunto a 172 punti base,vicino al minimo del 2011. Sempre la settimana scorsa poi è giunto anche un leggerissimo miglioramento dell'inflazione dell'Eurozona che ha rallentato passando da +0,6 a +0,5.
Anche nello specifico italiano si è avuta la notizia positiva di un abbassamento del dato sull'inflazione anche se rimane comunque alta per la media nazionale. Molti analisti sono convinti che nei prosismi mesi la situazione in Europa migliorerà molto e ad esempio in Spagna si attendono dati positivi con un calo dell'inflazione di ben 0,3 punti ed una media di crescita degli scambi borsistici intorno all'1%. Nonostante queste speranze però molti sono dubbiosi sulle decisioni della Bce nel tentativo di scongiurare il rischio deflazione di cui alcuni Paesi stanno soffrendo vedi Grecia,Irlanda e Portogallo.
Alcuni economisti ritengono che non vi sia l'urgenza di una risposta di politica monetaria della Bce ma che anzi bisognerebbe intervenire il meno possibile ora che i mercati sembrano essersi autonomamente ripresi.Tanto è vero che l'euro ha ricominciato la sua crescita ed è ritornato a valere 1,38 dollari (cambio euro/dollaro).Piazza Affari , che negli ultimi mesi ha nel complesso guadagnato un bel 14% è la migliore nel primo trimestre dell'anno fra le Borse avanzate, e ieri è stata una giornata ancora una volta favorevole per le azioni del settore bancario. Una spinta notevolissima è arrivata dall'aumento di capitale da 1,5 miliardi di euro, da parte del Banco Popolare i cui titoli si sono attestati a 15,78 euro, in aumento del 16% rispetto al prezzo teorico iniziale.Un vero esempio di scelte amministrative lungimiranti.
Fiscal Compact.Il perchè di un grave errore.
di Roberta Perez
Un patto di finanza europea pieno di dilemmi e difetti.
Il Fiscal Compact è un termine che negli utlimi anni sentiamo pronunciare molto spesso e a volte non in termini lusinghieri.Si tratta di un vero trattato finanziario,una specie di grande patto stilato a livello comunitario fra gli stati membri.Il testo si divide in sedici articoli che messi insieme formano i principi base di bilancio Ue, intitolato "Trattato sulla stabilità, il coordinamento e la governance nell’Unione economica e monetaria". Lo scopo del Fiscal Compact,almeno inizialmente,era quello di potenziare la disciplina di bilancio ed il coordinamento delle politiche economiche e migliorare la governance europea.In che modo realizzare questi obiettivi?Innanzitutto inasprendo le regole sul deficit degli stati.Le nuove norme comunitarie infatti affermano che i paesi Ue debbano necessariamente avere un deficit sostanzialmente in equilibrio, con un valore massimo dello 0,5% rispetto al PIL.Questa norma comunitaria dovrà essere inserita nell'ordinamento nazionale di ciascuno stato. La Corte di giustizia Europea si occuperà di verificare che tale regola venga o meno applicata dai paesi europei.Ma cosa accade se il deficit di un Paese supera il limite del 3%?Ovviamente tale paese verrà sanzionato in maniera automatica.
Gli altri Stati avranno la possibilità di approvare le raccomandazioni della Commissione Ue, e al limite anche arrivare a bloccarle solo con un voto a maggioranza qualificata.Sul tema del debito il Fiscal Compact conferma la soglia del 60% e l'indicazione secondo cui tale debito va ridotto velocemente al ritmo di un ventesimo all’anno, ma la questione è ancora molto dibattuta perchè tiene poco conto delle varie differenze tra le nazioni europee e le reali e diverse esigenze anche in relazione alle sanzioni semiautomatiche dell’articolo 7. In entrambi i casi la Commissione darà una specifica valutazione complessiva sull’andamento del ciclo economico e dei "fattori rilevanti" come la stessa Italia aveva richiesto. I Paesi con debito superiore al tetto fissato da Maastricht nel 60% del Pil hanno deciso di impegnarsi direttamente in un piano di rientro pari a un ventesimo l’anno, tenendo anche in considerazione i fattori inseriti nel six-pack, il celebre pacchetto di regole imposte dalla governance economica.
Insomma, dando una valutazione non ideologica, il Fiscal Compact finirà con il favorire gli stati come la Germania è indebolire fortemente nazioni in difficoltà che con un dato Debito/PIL superiore al 100% si troveranno in una situazione obbligata nelle scelte politiche.Per rispettare le norme del nuovo trattato economico quindi bisognerà ridurre il debito pubblico di una cifra spaventosa, circa 50 miliardi all’anno puntando essenzilamente sui tagli drastici alla Spesa Pubblica,ma i paesi in recessione come Grecia,Spagna,Italia,Portogallo e Irlanda necessitano di una Spesa Pubblica alta per rimettere in moto le loro economie.Ecco il drammatico paradosso. Attualmente i vari governi italiani non hanno messo a punto nessun vero piano di rientro e quindi non si spiega come potrà essere ridotto il rapporto Debito/PIL.Ci chiediamo allora come mai l’Italia ha firmato, sapendo che sarebbe stata un’ impresa quasi impossibile ridurre il nostro Debito Pubblico, il Fiscal Compact? Quali saranno le strategie da porre in atto negli anni futuri?Le tasse verranno ancora una volta innalzate per trovare le somme necessarie?Tutte domande a cui nessuno ha il coraggio di rispondere.
Il Fiscal Compact è un termine che negli utlimi anni sentiamo pronunciare molto spesso e a volte non in termini lusinghieri.Si tratta di un vero trattato finanziario,una specie di grande patto stilato a livello comunitario fra gli stati membri.Il testo si divide in sedici articoli che messi insieme formano i principi base di bilancio Ue, intitolato "Trattato sulla stabilità, il coordinamento e la governance nell’Unione economica e monetaria". Lo scopo del Fiscal Compact,almeno inizialmente,era quello di potenziare la disciplina di bilancio ed il coordinamento delle politiche economiche e migliorare la governance europea.In che modo realizzare questi obiettivi?Innanzitutto inasprendo le regole sul deficit degli stati.Le nuove norme comunitarie infatti affermano che i paesi Ue debbano necessariamente avere un deficit sostanzialmente in equilibrio, con un valore massimo dello 0,5% rispetto al PIL.Questa norma comunitaria dovrà essere inserita nell'ordinamento nazionale di ciascuno stato. La Corte di giustizia Europea si occuperà di verificare che tale regola venga o meno applicata dai paesi europei.Ma cosa accade se il deficit di un Paese supera il limite del 3%?Ovviamente tale paese verrà sanzionato in maniera automatica.
Gli altri Stati avranno la possibilità di approvare le raccomandazioni della Commissione Ue, e al limite anche arrivare a bloccarle solo con un voto a maggioranza qualificata.Sul tema del debito il Fiscal Compact conferma la soglia del 60% e l'indicazione secondo cui tale debito va ridotto velocemente al ritmo di un ventesimo all’anno, ma la questione è ancora molto dibattuta perchè tiene poco conto delle varie differenze tra le nazioni europee e le reali e diverse esigenze anche in relazione alle sanzioni semiautomatiche dell’articolo 7. In entrambi i casi la Commissione darà una specifica valutazione complessiva sull’andamento del ciclo economico e dei "fattori rilevanti" come la stessa Italia aveva richiesto. I Paesi con debito superiore al tetto fissato da Maastricht nel 60% del Pil hanno deciso di impegnarsi direttamente in un piano di rientro pari a un ventesimo l’anno, tenendo anche in considerazione i fattori inseriti nel six-pack, il celebre pacchetto di regole imposte dalla governance economica.
Insomma, dando una valutazione non ideologica, il Fiscal Compact finirà con il favorire gli stati come la Germania è indebolire fortemente nazioni in difficoltà che con un dato Debito/PIL superiore al 100% si troveranno in una situazione obbligata nelle scelte politiche.Per rispettare le norme del nuovo trattato economico quindi bisognerà ridurre il debito pubblico di una cifra spaventosa, circa 50 miliardi all’anno puntando essenzilamente sui tagli drastici alla Spesa Pubblica,ma i paesi in recessione come Grecia,Spagna,Italia,Portogallo e Irlanda necessitano di una Spesa Pubblica alta per rimettere in moto le loro economie.Ecco il drammatico paradosso. Attualmente i vari governi italiani non hanno messo a punto nessun vero piano di rientro e quindi non si spiega come potrà essere ridotto il rapporto Debito/PIL.Ci chiediamo allora come mai l’Italia ha firmato, sapendo che sarebbe stata un’ impresa quasi impossibile ridurre il nostro Debito Pubblico, il Fiscal Compact? Quali saranno le strategie da porre in atto negli anni futuri?Le tasse verranno ancora una volta innalzate per trovare le somme necessarie?Tutte domande a cui nessuno ha il coraggio di rispondere.
Lo scandalo fixing coinvolge anche UBS.
di Roberta Perez
Il cartello delle banche sul prezzo dell'oro è sotto indagine.
Dall'America arriva una nuova notizia che crea scandalo nel mondo della finanza in particolare nel settore bancario.Secondo il Wall Street Journal la Ais Capital Management, società del Connecticut con circa 400 milioni di dollari in gestione a fine 2013 e titolare di molti fondi specializzati in materie prime avrebbe pronta una seconda denuncia dopo quella singola presentata la settimana scorsa dal capitalista Kevin Maher di New York.Oggetto della denuncia è il medesimo,si accusano banche come Barclays, Bank of Nova Scotia, Deutsche Bank, Hsbc e Société Générale di aver dal 2004, cospirato e manovrato a proprio interesse il fixing. Solo Deutsche Bank ha respinto con vigore l'accusa affermando che tra due mesi uscirà dal cosiddetto "club" del fixing.Agli inizi dello scandalo solo la società finanziaria Libor era stata la prima ad ammettere le proprie colpe. Ieri però c'è stato un nuovo colpo di scena,la banca d'affari Ubs è la prima banca ad aver deciso di iniziare un'indagine interna mirante a verificare la regolarità o meno del mercato dell'oro.
La banca elvetica afferma che si tratterebe di una sorta di revisione interna collegata a quelle sulle operazioni nei mercati valutari e negli stessi business del settore dei metalli preziosi.L' A.D.di Ubs assicura che verranno intraprese azioni appropriate nei confronti del personale qualora venisse accertato un coinvolgimento.La notizia ha sorpreso molti addetti ai lavori soprattutto perchè Ubs non partecipa all'elaborazione del fixing dell'oro, l'unica attività che era stata oggetto della banca era finalizzata ai regolatori e comunque su di essi negli Stati Uniti sono già state messe in atto due diverse class action. Il principale benchmark dell'oro è invece stabilito da soggeti quali Barclays, Deutsche Bank, Bank of Nova Scotia, Hsbc e Société Générale, mentre l'istituto svizzero fa parte del gruppo più allargato dei market makers della London Bullion Market Association. Inotre accanto a tali 5 banche del fixing, insieme a Goldman Sachs e JpMorgan, si occupa anche di stabilizzare il Gold Forward Offer Rate: un particolare tasso di interesse per i prestiti in oro.
E quindi è proprio in questa chiave che l'azione della Ubs diventa più concreta e su cui vertiranno le indagini interne iniziate ieri,qui si cercheranno eventuali irregolarità gestionali. E' però importante sottolineare una cosa,ovvero che le banche del fixing che manipolano il prezzo dell'oro sono poi obbligate a utilizzarlo anche per le proprie operazioni e lo stesso tasso non è fortemente discrezionale ma frutto di transazioni reali che le banche compiono in proprio o per conto dei clienti.Circostanze particolare che non cancellano però la poca trasparenza di alcune banche d'affari in questi ultimi anni.
Dall'America arriva una nuova notizia che crea scandalo nel mondo della finanza in particolare nel settore bancario.Secondo il Wall Street Journal la Ais Capital Management, società del Connecticut con circa 400 milioni di dollari in gestione a fine 2013 e titolare di molti fondi specializzati in materie prime avrebbe pronta una seconda denuncia dopo quella singola presentata la settimana scorsa dal capitalista Kevin Maher di New York.Oggetto della denuncia è il medesimo,si accusano banche come Barclays, Bank of Nova Scotia, Deutsche Bank, Hsbc e Société Générale di aver dal 2004, cospirato e manovrato a proprio interesse il fixing. Solo Deutsche Bank ha respinto con vigore l'accusa affermando che tra due mesi uscirà dal cosiddetto "club" del fixing.Agli inizi dello scandalo solo la società finanziaria Libor era stata la prima ad ammettere le proprie colpe. Ieri però c'è stato un nuovo colpo di scena,la banca d'affari Ubs è la prima banca ad aver deciso di iniziare un'indagine interna mirante a verificare la regolarità o meno del mercato dell'oro.
La banca elvetica afferma che si tratterebe di una sorta di revisione interna collegata a quelle sulle operazioni nei mercati valutari e negli stessi business del settore dei metalli preziosi.L' A.D.di Ubs assicura che verranno intraprese azioni appropriate nei confronti del personale qualora venisse accertato un coinvolgimento.La notizia ha sorpreso molti addetti ai lavori soprattutto perchè Ubs non partecipa all'elaborazione del fixing dell'oro, l'unica attività che era stata oggetto della banca era finalizzata ai regolatori e comunque su di essi negli Stati Uniti sono già state messe in atto due diverse class action. Il principale benchmark dell'oro è invece stabilito da soggeti quali Barclays, Deutsche Bank, Bank of Nova Scotia, Hsbc e Société Générale, mentre l'istituto svizzero fa parte del gruppo più allargato dei market makers della London Bullion Market Association. Inotre accanto a tali 5 banche del fixing, insieme a Goldman Sachs e JpMorgan, si occupa anche di stabilizzare il Gold Forward Offer Rate: un particolare tasso di interesse per i prestiti in oro.
E quindi è proprio in questa chiave che l'azione della Ubs diventa più concreta e su cui vertiranno le indagini interne iniziate ieri,qui si cercheranno eventuali irregolarità gestionali. E' però importante sottolineare una cosa,ovvero che le banche del fixing che manipolano il prezzo dell'oro sono poi obbligate a utilizzarlo anche per le proprie operazioni e lo stesso tasso non è fortemente discrezionale ma frutto di transazioni reali che le banche compiono in proprio o per conto dei clienti.Circostanze particolare che non cancellano però la poca trasparenza di alcune banche d'affari in questi ultimi anni.
UniCredit.Anno di perdite record.
di Roberta Perez
Dati davvero preoccupanti dalla principale banca italiana.
UniCredit ha reso pubblico il suo bilancio 2013 con una perdita netta di 14 miliardi di euro rispetto all'utile del 2012,un vero record. Il dato è davvero pesante e soprattutto sorprendente visto che alcuni esperti ipotizzavano addirittura una chiusura in positivo. Hanno pesato le svalutazioni degli avviamenti (4 miliardi) e gli accantonamenti sui crediti (13 miliardi). I dati sui ricavi sono stati di 24 miliardi, i costi operativi di 14,8 miliardi, Mol a 9,2 miliardi (-9,9% su base annuale) ma i dirigenti escludono la necessita' di un aumento di capitale,almeno per ora. In deciso aumento il dato coverage salito al 50%, davvero un dato ottimo,affermano, vicino alle migliori banche europee. .Intanto la prima mossa è la cessione della Unicredit Ucraina,da compiersi nei prossimi mesi.
Nell'est Europa infatti in questi mesi c'è stato un approccio all’investimento molto frenato e che mal si è declinato con la costante razionalizzazione dei processi economici in tutte quelle aree geografiche. In occasione dell'Assemblea annuale degli azionisti che si terrà a Maggio il Cda di UniCredit sembra deciso a chiedere all'Assemblea per l'esercizio 2013 il pagamento di un dividendo da riserve di utili da accompagnare anche con una nuova attribuzione di azioni UniCredit di nuova emissione oppure, se gli azionisti ne facessero formale richiesta, mediante versamento in contanti,il cosiddetto metodo scrip dividend. La data di elargizione del dividendo stabilita e' il 19 maggio,mentra la data di registrazione dovrebbe essere fissata per il 21 maggio e la data dell'effettivo pagamento invece al 6 giugno 2014.Passata la chiusura del bilancio con questa perdita record secondo molti dovuta alla revisione delle poste di bilancio, per il 2014 UniCredit conferma di tornare a produrre utili netti di gruppo intorno ai 2 miliardi di euro.
Il nuovo piano strategico 2013-2018 si basa su stime di utile netto di 6 miliardi al 2018, con un Rot di gruppo del 13% e un Cet1 Ratio al 10%.Nel piano gli amministratori avrebbero anche inserito una distribuzione di dividendo con un pay out medio del 40%. Raggiungere un dato attivo è la vera priorità di Unicredit garantendo su ogni azione un costo del rischio al di sotto di 70 punti base nel 2018.La ristrutturazione della rete commerciale di Unicredit prevede inoltre la diminuzioni di circa 8.000 dipendenti entro il 2018, di cui circa 5.000 solo in Italia, in questo modo si otterrà un risparmio di 300 milioni nel 2016 e 700 milioni fino al 2018.Una stretegia rischiosa da mettere alla prova.
UniCredit ha reso pubblico il suo bilancio 2013 con una perdita netta di 14 miliardi di euro rispetto all'utile del 2012,un vero record. Il dato è davvero pesante e soprattutto sorprendente visto che alcuni esperti ipotizzavano addirittura una chiusura in positivo. Hanno pesato le svalutazioni degli avviamenti (4 miliardi) e gli accantonamenti sui crediti (13 miliardi). I dati sui ricavi sono stati di 24 miliardi, i costi operativi di 14,8 miliardi, Mol a 9,2 miliardi (-9,9% su base annuale) ma i dirigenti escludono la necessita' di un aumento di capitale,almeno per ora. In deciso aumento il dato coverage salito al 50%, davvero un dato ottimo,affermano, vicino alle migliori banche europee. .Intanto la prima mossa è la cessione della Unicredit Ucraina,da compiersi nei prossimi mesi.
Nell'est Europa infatti in questi mesi c'è stato un approccio all’investimento molto frenato e che mal si è declinato con la costante razionalizzazione dei processi economici in tutte quelle aree geografiche. In occasione dell'Assemblea annuale degli azionisti che si terrà a Maggio il Cda di UniCredit sembra deciso a chiedere all'Assemblea per l'esercizio 2013 il pagamento di un dividendo da riserve di utili da accompagnare anche con una nuova attribuzione di azioni UniCredit di nuova emissione oppure, se gli azionisti ne facessero formale richiesta, mediante versamento in contanti,il cosiddetto metodo scrip dividend. La data di elargizione del dividendo stabilita e' il 19 maggio,mentra la data di registrazione dovrebbe essere fissata per il 21 maggio e la data dell'effettivo pagamento invece al 6 giugno 2014.Passata la chiusura del bilancio con questa perdita record secondo molti dovuta alla revisione delle poste di bilancio, per il 2014 UniCredit conferma di tornare a produrre utili netti di gruppo intorno ai 2 miliardi di euro.
Il nuovo piano strategico 2013-2018 si basa su stime di utile netto di 6 miliardi al 2018, con un Rot di gruppo del 13% e un Cet1 Ratio al 10%.Nel piano gli amministratori avrebbero anche inserito una distribuzione di dividendo con un pay out medio del 40%. Raggiungere un dato attivo è la vera priorità di Unicredit garantendo su ogni azione un costo del rischio al di sotto di 70 punti base nel 2018.La ristrutturazione della rete commerciale di Unicredit prevede inoltre la diminuzioni di circa 8.000 dipendenti entro il 2018, di cui circa 5.000 solo in Italia, in questo modo si otterrà un risparmio di 300 milioni nel 2016 e 700 milioni fino al 2018.Una stretegia rischiosa da mettere alla prova.
Wall Street fa volare tutte le Borse.
di Roberta Perez
La Borsa americana trascina l'economia mondiale.
In questi giorni tutte le Borse mondiali guardano verso Wall Street che col suo flusso condiziona ogni singola seduta. Martedì ad esempio,le azioni a New York hanno avuto una forte impennata collegata al picco quadriennale dell'indice di Markit per gli Usa e il giorno dopo un netto incremento del superindice ha trascinato diversi comparti dell'economia. Stranamente le cattive notizie che arrivavano dalla zona di Philadelphia, causate dalla forte diminuzione della produzione e degli occupati, non hanno causato danni e le dinamiche macroeconomiche hanno ben ammortizzato. Nonostante si siano diffuse molte paure come la débacle del settore immobiliare statunitense, la volontà della Federal Reserve di modificare in aumento i bassi tassi di interesse,la frenata dell'industria cinese e la probabile guerra civile in Ucraina che renderebbe molto precario l'equilibrio in UE,i titoli azionari hanno galoppato.
I dati macro, compreso il notevole deficit commerciale giapponese, sembrano non interessare a Wall Street che mira verso i dati primaverili per correre ancora. In concreto, la Borsa americana ha avuto profitti aumentati del 6% nel 2013, ma il buon andamento è dipeso forse da altri fattori che ben spiega l’ a.d. di Bespoke Investment Group,secondo il quale la reazione recente delle quotazioni agli utili aziendali è stata davvero positiva grazie all’ascesa dei listini. L’unica Borsa a non correre è stata quella giapponese dove il Nikkei, ha beneficiato poco ed è rimasto ancorato agli altri Paesi asiatici, nonostante la Banca del Giappone avesse scelto di aumentare le agevolazioni alle banche come conseguenza della bassa crescita del Pil nazionale. In Europa l’onda di Wall Street è stata evidente. Gli indici azionari hanno seguito il tragitto d'oltreoceano non curandosi del piccolo avviso del Fondo Monetario Internazionale riguardo la deflazione.
Alcune circostanze negative si sono comunque palesate come il calo delle aspettative sulla crescita in Germania o le indicazioni precarie sul livello industriale in Francia. Detto ciò l'Euro rimane tonico sul dollaro (oltre 1,37) anche grazie alle richieste della Bundesbank alla Banca Centrale Europea di concedere un allentamento monetario agli Stati membri. Così già da ieri i titoli di Stato della zona europea hanno raccolto molti consensi tra gli investitori, contribuendo a far calare il premio di rischio. Così quindi il tasso del BTp decennale è sceso sotto il 3% e si è posizionato a solo 1,8% di differenza dal poderoso Bund tedesco. Testimonianza della positiva ondata di Wall Street in Europa sono i seguenti dati: Parigi ha chiuso a +0,9%, Milano a +1,3%, Francoforte a -0,1%, Madrid a +0,6%, mentre Londra è schizzata al +2,6%, grazie alla congiuntura favorevole.
In questi giorni tutte le Borse mondiali guardano verso Wall Street che col suo flusso condiziona ogni singola seduta. Martedì ad esempio,le azioni a New York hanno avuto una forte impennata collegata al picco quadriennale dell'indice di Markit per gli Usa e il giorno dopo un netto incremento del superindice ha trascinato diversi comparti dell'economia. Stranamente le cattive notizie che arrivavano dalla zona di Philadelphia, causate dalla forte diminuzione della produzione e degli occupati, non hanno causato danni e le dinamiche macroeconomiche hanno ben ammortizzato. Nonostante si siano diffuse molte paure come la débacle del settore immobiliare statunitense, la volontà della Federal Reserve di modificare in aumento i bassi tassi di interesse,la frenata dell'industria cinese e la probabile guerra civile in Ucraina che renderebbe molto precario l'equilibrio in UE,i titoli azionari hanno galoppato.
I dati macro, compreso il notevole deficit commerciale giapponese, sembrano non interessare a Wall Street che mira verso i dati primaverili per correre ancora. In concreto, la Borsa americana ha avuto profitti aumentati del 6% nel 2013, ma il buon andamento è dipeso forse da altri fattori che ben spiega l’ a.d. di Bespoke Investment Group,secondo il quale la reazione recente delle quotazioni agli utili aziendali è stata davvero positiva grazie all’ascesa dei listini. L’unica Borsa a non correre è stata quella giapponese dove il Nikkei, ha beneficiato poco ed è rimasto ancorato agli altri Paesi asiatici, nonostante la Banca del Giappone avesse scelto di aumentare le agevolazioni alle banche come conseguenza della bassa crescita del Pil nazionale. In Europa l’onda di Wall Street è stata evidente. Gli indici azionari hanno seguito il tragitto d'oltreoceano non curandosi del piccolo avviso del Fondo Monetario Internazionale riguardo la deflazione.
Alcune circostanze negative si sono comunque palesate come il calo delle aspettative sulla crescita in Germania o le indicazioni precarie sul livello industriale in Francia. Detto ciò l'Euro rimane tonico sul dollaro (oltre 1,37) anche grazie alle richieste della Bundesbank alla Banca Centrale Europea di concedere un allentamento monetario agli Stati membri. Così già da ieri i titoli di Stato della zona europea hanno raccolto molti consensi tra gli investitori, contribuendo a far calare il premio di rischio. Così quindi il tasso del BTp decennale è sceso sotto il 3% e si è posizionato a solo 1,8% di differenza dal poderoso Bund tedesco. Testimonianza della positiva ondata di Wall Street in Europa sono i seguenti dati: Parigi ha chiuso a +0,9%, Milano a +1,3%, Francoforte a -0,1%, Madrid a +0,6%, mentre Londra è schizzata al +2,6%, grazie alla congiuntura favorevole.
In Borsa il made in Italy attira sempre.
di Roberta Perez
Grandi investimenti ed operazioni su aziende italiane.
Il "made in Italy" è un settore ancora molto ambito dai grossi investitori e lo scambio azionario e commerciale con le aziende in questione negli ultimi mesi si è fatto davvero notevole. Da un lato, l’operazione più importante potrebbe essere sicuramente quella inerente Ethiad su Alitalia che, se portata a termine come sembra, porterà la parola fine sulla questione della compagnia di bandiera da vari anni sull'orlo del precipizio finanziario. Più piccola ma non meno rilevante è stata l’acquisizione di pochi giorni fa compiuta dal fondo sovrano del Qatar che ha rilevato il 65% della Forral di Vicenza, gruppo che possiede i prestigiosi marchi di Pal Zileri e le licenze di Moschino e Cerruti. Quindi ciò che era accaduto per altri brand italiani come Bulgari e Poltrona Frau, adesso capita anche ad un'altra societa i cui soci di maggioranza saranno appunto fuori dalle Alpi.
Per fortuna gli investitori che acquisiscono i grandi marchi italiani non sono folli e per non perdere l'eccellenza italiana del settore lasceranno le produzioni creative nel nostro paese, però è innegabile che gli alti costi di gestione delle società e il calo delle vendite sta costringendo gli investitori italiani,anche celebri,a fuggire o a cedere alle offerte estere.Spostando il discorso sul piani finanziario e borsistico,la settimana scorsa la nuova obbligazione UBI Banca è andata a ruba. Molti gli i investitori italiani, ma soprattutto quelli stranieri che l’hanno sottoscritta per il 55% dell’ammontare offerto: 1 miliardo tondo di euro nelle casse di UBI Banca. Le obbligazioni sono state assegnate in prevalenza ai fondi d’investimento, seguiti da quelli delle assicurazioni, delle banche e di altri investitori . In totale Piazza Affari ha contato ben 280 sottoscrittori del nuovo prestito obbligazionario che avrà una durata di 5 anni,fino al 2019 e una cedolare fissa del 2,8%.Novità sono poi giunte da SIAS, Società Iniziative Autostradali e Servizi, che ha finalmente deciso di arrivare sul mercato dei capitali con un nuovo bond da 500 milioni.
La cedola di partenza sarà di 3.3% e la scadenza decennale.Il collocamento su piazza è stato ottimo ricevendo domande ben sette volte maggiori dell'offerta,portanto il titolo ad un valore di 99,466, per un rendimento del 3,4%. Ben l’80% dei sottoscrittori, fanno sapere da SIAS è straniero e l'azienda in un giorno ha racimolato un guadagno di un punto. Sono poi arrivati alcuni rumors da oltre oceano dove sembra che Raffaisen Bank e la banca d'investimento FCE Bank abbiano deciso di collocare una nuova operazione a 5 anni per 2.5 miliardi di euro e rendimento si vocifera del 1,9%.Investitori italiani fatevi sotto altrimenti gli arabi o i russi lasceranno anche in questo caso solo le briciole.La Borsa è coraggio e rischio.
Il "made in Italy" è un settore ancora molto ambito dai grossi investitori e lo scambio azionario e commerciale con le aziende in questione negli ultimi mesi si è fatto davvero notevole. Da un lato, l’operazione più importante potrebbe essere sicuramente quella inerente Ethiad su Alitalia che, se portata a termine come sembra, porterà la parola fine sulla questione della compagnia di bandiera da vari anni sull'orlo del precipizio finanziario. Più piccola ma non meno rilevante è stata l’acquisizione di pochi giorni fa compiuta dal fondo sovrano del Qatar che ha rilevato il 65% della Forral di Vicenza, gruppo che possiede i prestigiosi marchi di Pal Zileri e le licenze di Moschino e Cerruti. Quindi ciò che era accaduto per altri brand italiani come Bulgari e Poltrona Frau, adesso capita anche ad un'altra societa i cui soci di maggioranza saranno appunto fuori dalle Alpi.
Per fortuna gli investitori che acquisiscono i grandi marchi italiani non sono folli e per non perdere l'eccellenza italiana del settore lasceranno le produzioni creative nel nostro paese, però è innegabile che gli alti costi di gestione delle società e il calo delle vendite sta costringendo gli investitori italiani,anche celebri,a fuggire o a cedere alle offerte estere.Spostando il discorso sul piani finanziario e borsistico,la settimana scorsa la nuova obbligazione UBI Banca è andata a ruba. Molti gli i investitori italiani, ma soprattutto quelli stranieri che l’hanno sottoscritta per il 55% dell’ammontare offerto: 1 miliardo tondo di euro nelle casse di UBI Banca. Le obbligazioni sono state assegnate in prevalenza ai fondi d’investimento, seguiti da quelli delle assicurazioni, delle banche e di altri investitori . In totale Piazza Affari ha contato ben 280 sottoscrittori del nuovo prestito obbligazionario che avrà una durata di 5 anni,fino al 2019 e una cedolare fissa del 2,8%.Novità sono poi giunte da SIAS, Società Iniziative Autostradali e Servizi, che ha finalmente deciso di arrivare sul mercato dei capitali con un nuovo bond da 500 milioni.
La cedola di partenza sarà di 3.3% e la scadenza decennale.Il collocamento su piazza è stato ottimo ricevendo domande ben sette volte maggiori dell'offerta,portanto il titolo ad un valore di 99,466, per un rendimento del 3,4%. Ben l’80% dei sottoscrittori, fanno sapere da SIAS è straniero e l'azienda in un giorno ha racimolato un guadagno di un punto. Sono poi arrivati alcuni rumors da oltre oceano dove sembra che Raffaisen Bank e la banca d'investimento FCE Bank abbiano deciso di collocare una nuova operazione a 5 anni per 2.5 miliardi di euro e rendimento si vocifera del 1,9%.Investitori italiani fatevi sotto altrimenti gli arabi o i russi lasceranno anche in questo caso solo le briciole.La Borsa è coraggio e rischio.
Dati ABI allarmanti sulla salute delle banche.
di Roberta Perez
Ecco le statistiche di inizio anno.Sensazioni negative.
Questo inizio anno segnala una certa sofferenza per il settore bancario in particolare nel settore bilanci. A gennaio, si evince dai dati Abi, l’elemento di rapporto tra prodotti lordi e impieghi è aumentato fino all' 8%. Il medesimo rapporto nel 2013 era stato al massimo 6,7% mentre prima della spirale recessiva iniziata nel 2008 era addirittura di solo il 2 per cento. Solo nel lontano 1998,afferma l’ufficio statistico dell’Abi, si ebbe un dato così alto, l’8,2%. Le perdite lorde delle banche con sede in Italia a Gennaio sono giunte a quota 150 miliardi, 31 miliardi in più se paragoniamo lo stesso periodo del 2013. Anche le perdite al valore di realizzo sono molto elevate,arrivate ad 80 Gennaio 2013. Dati che allarmano e non poco. Discorso diverso per ciò che attiene alla soglia prestiti erogati. L’ Abi sottolinea che in questo inizio 2014 la diminuzione dei prestiti in Italia si è assestata anche se non è ancora il tempo di gioire.
Passando alle cifre inerenti il il rapporto mensile dell'Abi, la somma degli impieghi a residenti in Italia si è stabilizzato da dicembre intorno ai 1.853,2 miliardi di euro (-3,3% la variazione annua, contro il -3,9% di novembre). Nello specifico i prestiti a famiglie e imprese risultano essere di a 1.416,5 miliardi di euro (-3,9% contro il -4% di dicembre). I prestiti a breve termine invece sono scesi di molto fino a 7,5%, quelli a lungo termine del 2,6%. Un elemento che pare contrastante è invece quello sui tassi d’interesse. Nel gennaio 2014, il tasso medio sulle nuove operazioni per acquisto di abitazioni si è stabilizzato sul 3,54% rispetto al 3,42% del mese precedente e allo stesso valore dello scorso novembre (a fine 2007 era al 5,72%). Dando uno sguardo ampio possiamo affermare che il tasso medio sul totale dei prestiti è arrivato a toccare il 3,9% (da 3,82% il mese precedente e 6,18% a fine 2007).
Il tasso medio sulle nuove operazioni di finanziamento alle imprese invece si è posizionato al 3,4% (lo stesso valore di dicembre 2013). Grosso calo invece sul tema delle offerte sui bond. A gennaio vi è stata una forte frenata anche nella raccolta della clientela. Secondo le cifre riferite dall’ Abi il calo é stato del 1,9% annuo (-1,8% in dicembre). All’aumento della raccolta depositi, pari al 2,1%,ha risposto il forte calo delle obbligazioni bancarie. Il mese scorso infatti vi è stata la diminuzione maggiore degli ultimi tre anni: -10% annuo a 512 miliardi con una contrazione di ben 50 miliardi rispetto al gennaio del 2013. Dando una valutazione complessiva in dodici mesi la raccolta da clientela in Italia é diminuita di ben 30 miliardi,un dato che mette agitazione per il futuro nel comparto bancario.
Questo inizio anno segnala una certa sofferenza per il settore bancario in particolare nel settore bilanci. A gennaio, si evince dai dati Abi, l’elemento di rapporto tra prodotti lordi e impieghi è aumentato fino all' 8%. Il medesimo rapporto nel 2013 era stato al massimo 6,7% mentre prima della spirale recessiva iniziata nel 2008 era addirittura di solo il 2 per cento. Solo nel lontano 1998,afferma l’ufficio statistico dell’Abi, si ebbe un dato così alto, l’8,2%. Le perdite lorde delle banche con sede in Italia a Gennaio sono giunte a quota 150 miliardi, 31 miliardi in più se paragoniamo lo stesso periodo del 2013. Anche le perdite al valore di realizzo sono molto elevate,arrivate ad 80 Gennaio 2013. Dati che allarmano e non poco. Discorso diverso per ciò che attiene alla soglia prestiti erogati. L’ Abi sottolinea che in questo inizio 2014 la diminuzione dei prestiti in Italia si è assestata anche se non è ancora il tempo di gioire.
Passando alle cifre inerenti il il rapporto mensile dell'Abi, la somma degli impieghi a residenti in Italia si è stabilizzato da dicembre intorno ai 1.853,2 miliardi di euro (-3,3% la variazione annua, contro il -3,9% di novembre). Nello specifico i prestiti a famiglie e imprese risultano essere di a 1.416,5 miliardi di euro (-3,9% contro il -4% di dicembre). I prestiti a breve termine invece sono scesi di molto fino a 7,5%, quelli a lungo termine del 2,6%. Un elemento che pare contrastante è invece quello sui tassi d’interesse. Nel gennaio 2014, il tasso medio sulle nuove operazioni per acquisto di abitazioni si è stabilizzato sul 3,54% rispetto al 3,42% del mese precedente e allo stesso valore dello scorso novembre (a fine 2007 era al 5,72%). Dando uno sguardo ampio possiamo affermare che il tasso medio sul totale dei prestiti è arrivato a toccare il 3,9% (da 3,82% il mese precedente e 6,18% a fine 2007).
Il tasso medio sulle nuove operazioni di finanziamento alle imprese invece si è posizionato al 3,4% (lo stesso valore di dicembre 2013). Grosso calo invece sul tema delle offerte sui bond. A gennaio vi è stata una forte frenata anche nella raccolta della clientela. Secondo le cifre riferite dall’ Abi il calo é stato del 1,9% annuo (-1,8% in dicembre). All’aumento della raccolta depositi, pari al 2,1%,ha risposto il forte calo delle obbligazioni bancarie. Il mese scorso infatti vi è stata la diminuzione maggiore degli ultimi tre anni: -10% annuo a 512 miliardi con una contrazione di ben 50 miliardi rispetto al gennaio del 2013. Dando una valutazione complessiva in dodici mesi la raccolta da clientela in Italia é diminuita di ben 30 miliardi,un dato che mette agitazione per il futuro nel comparto bancario.
Rc Auto.Ecco la riforma,sarà sufficiente?
di Roberta Perez
Novità interessanti per le polizze auto.Sarà davvero così?
Il governo Letta ha deciso nei giorni scorsi di stralciare dal decreto denominato Destinazione Italia il provvedimento in materia di Rc auto e di inserirlo in uno specifico Ddl ad hoc,come alcuni mezzi di informazione giò ipotizzavano da giorni. La proposta dell’attuale ministro dello Sviluppo economico, Flavio Zanonato, è stata protocollata e verrà sintetizzata in un particolare disegno di legge mirante ad abbassare i costi dell'assicurazione auto, permettendo in particolare di inserire nel contratto di polizza alcune clausole contrattuali finalizzate a neutralizzare gli intenti spesso fraudolenti di risarcimento e a garantire direttamente agli assicurati riduzioni del premio.
Il sistema che il disegno legge introdurrebbe permetterebbe di ridurre da subito il prezzo finale della polizza per il consumatore, rispetto all'anno precedente. Nel frattempo però le associazioni delle varie compagnie assicuratrici mirano esclusivamente a tutelare i propri interessi di categoria e minacciano critiche ed obiezioni alla proposta normativa. La paura di molti è che i veti incrociati obblighino a parcheggiare il ddl per molti mesi in commissione ala Camera. Tornando alle caratteristiche della proposta Zanonato, gli analisti ritengono che essa permetterebbe un abbassamento dei premi almeno del 20% grazie ad una serie di opzioni contrattuali come il "divieto" di cessione del credito dal danneggiato al suo carrozziere di fiducia, che era stato in passato molto dibattuto e criticato anche dai sindacati Cobas di categoria; oppure altre opzioni come gli sconti per i consumatori non sinistrati e sanzioni più dure , in caso di violazioni, per le assicurazioni.
Il meccanismo degli sconti dovrebbe avere la seguente struttura: sconto del 6%, sulla media dei prezzi regionali, per l'applicazione della scatola nera,sconto del 5% e del 10% per risarcimento in forma specifica presso carrozzerie collegate alla compagnia assicuratrice, sconto del 4% per il divieto di cessione del diritto al risarcimento,sconto del 8% per prestazioni medico-sanitarie rese da professionisti convenzionati con le imprese assicurative. In totale si arriverebbe a quote di risparmio che oscillano tra il 20 e il 25%; quindi un consumatore che versava un premio annuo di 1.000 euro, avrà un risparmio tale da arrivare a pagare 770/800 euro. Il Consiglio dei Ministri è certo della prossima approvazione del disegno legge,bisogna solo trovare il tempo di arrivare nelle aule parlamentari per la votazione finale.
Il governo Letta ha deciso nei giorni scorsi di stralciare dal decreto denominato Destinazione Italia il provvedimento in materia di Rc auto e di inserirlo in uno specifico Ddl ad hoc,come alcuni mezzi di informazione giò ipotizzavano da giorni. La proposta dell’attuale ministro dello Sviluppo economico, Flavio Zanonato, è stata protocollata e verrà sintetizzata in un particolare disegno di legge mirante ad abbassare i costi dell'assicurazione auto, permettendo in particolare di inserire nel contratto di polizza alcune clausole contrattuali finalizzate a neutralizzare gli intenti spesso fraudolenti di risarcimento e a garantire direttamente agli assicurati riduzioni del premio.
Il sistema che il disegno legge introdurrebbe permetterebbe di ridurre da subito il prezzo finale della polizza per il consumatore, rispetto all'anno precedente. Nel frattempo però le associazioni delle varie compagnie assicuratrici mirano esclusivamente a tutelare i propri interessi di categoria e minacciano critiche ed obiezioni alla proposta normativa. La paura di molti è che i veti incrociati obblighino a parcheggiare il ddl per molti mesi in commissione ala Camera. Tornando alle caratteristiche della proposta Zanonato, gli analisti ritengono che essa permetterebbe un abbassamento dei premi almeno del 20% grazie ad una serie di opzioni contrattuali come il "divieto" di cessione del credito dal danneggiato al suo carrozziere di fiducia, che era stato in passato molto dibattuto e criticato anche dai sindacati Cobas di categoria; oppure altre opzioni come gli sconti per i consumatori non sinistrati e sanzioni più dure , in caso di violazioni, per le assicurazioni.
Il meccanismo degli sconti dovrebbe avere la seguente struttura: sconto del 6%, sulla media dei prezzi regionali, per l'applicazione della scatola nera,sconto del 5% e del 10% per risarcimento in forma specifica presso carrozzerie collegate alla compagnia assicuratrice, sconto del 4% per il divieto di cessione del diritto al risarcimento,sconto del 8% per prestazioni medico-sanitarie rese da professionisti convenzionati con le imprese assicurative. In totale si arriverebbe a quote di risparmio che oscillano tra il 20 e il 25%; quindi un consumatore che versava un premio annuo di 1.000 euro, avrà un risparmio tale da arrivare a pagare 770/800 euro. Il Consiglio dei Ministri è certo della prossima approvazione del disegno legge,bisogna solo trovare il tempo di arrivare nelle aule parlamentari per la votazione finale.
Tensioni nel settore delle comunicazioni.
di Roberta Perez
Un comparto economico con equilibri delicati e fragilissimi.
La compagnia spagnola Telefonica che detiene sostanziose fette del capitale sociale di Telecom Italia ha reso noto che intende collaborare con il governo italiano sulle recenti vicende societarie che riguardano la compagnia telefonica nazionale. Tutto è stato confermato anche dal ministro dello sviluppo Flavio Zanonato, che dopo aver incontrato il ministro dell'industria spagnolo Jose Manuel Soria afferma di aver avuto garanzie dal governo spagnolo che la società Telefonica agirà sempre e comunque in linea con la volontà del governo italiano. A differenza dell’Italia però,i rapporti tra Telefonica e le istituzioni brasiliane sono molto tesi. Ieri Telefonica ha sottolineato che presenterà ricorso contro la decisione del Cade, che ha obbligato agli spagnoli o a cedere le parti di capitale di Telecom Brasile acquistate oppure a cedere una parte della controllata brasiliana Vivo, per risolvere il conflitto d'interesse venutosi a creare dal momento che Telefonica risulta essere anche il maggior azionista di Telco. Una situazione complessa dove sembrerebbe inserirsi anche il magnate egiziano Naguib Sawiris, ex patron di Wind pronto ad un’offerta si vocifera di 10 miliardi di euro.
Sawiris ha svelato ad un quotidiano brasiliano di essere molto attratto dall’affare e di voler investire in Telecom a patto che Telefonica esca dal gruppo, e che la società decida di restare in Brasile. Da settembre Sawiris è stato protagonista di un’operazione finanziari molto discussa e al limite della morale. Di nascosto ha deciso di scommettere contro Telecom, vendendo allo scoperto le azioni del gruppo italiano di cui egli stesso era possessore, una rischiosa scommessa che sembra essergli andata male poiché da allora ad oggi il titolo Telecom in borsa ha racimolato nel complesso finora guadagni netti per il 30%. L’amministratore delegato di Telecom Marco Patuano anche ieri ha evidenziato che ciò che accade intorno a Telecom è solo tattica finanziaria e che il gruppo non necessita assolutamente di un aumento di capitale. Anzi dopo le dismissioni annunciate a novembre nel nuovo piano strategico Telecom potrà compiere corposi investimenti e ridurre i suo debiti sotto i livelli di guardia. Inoltre è nell’aria anche un possibile mescolamento del Consiglio di Amministrazione che forse verrà rivoluzionato nell’assemblea dei soci di fine Febbraio comunque non oltre il 6 marzo data di approvazione del bilancio Telecom.
Un’altra notizia finanziaria importante è inerente al colosso americano At&t. Il governo inglese ha ribadito che la legge britannica vieta al colosso Usa di lanciare un'Opa ostile nei prossimi sei mesi verso Vodafone,una notizia che nei mercati circolava già da un po’. Molto diversa invece la questione riguardante la società russa Vimpelcom che in questo mese avrà molti incontri con gli investitori e spera di inserirsi nel progetto di integrazione tra la controllata italiana Wind e 3 Italia, il gruppo controllato dal magnate anglo-cinese Li Ka-Shing.Lo scopo russo è quello di accaparrarsi almeno il 30% del capitale della futura società nascente. Un universo fluido ruota intorno alla finanza nel settore delle telecomunicazioni. Gli squali sono molti e gli interessi in gioco moltissimi,l’etica,come spesso accade in questo mondo,solo un fastidioso optional.
La compagnia spagnola Telefonica che detiene sostanziose fette del capitale sociale di Telecom Italia ha reso noto che intende collaborare con il governo italiano sulle recenti vicende societarie che riguardano la compagnia telefonica nazionale. Tutto è stato confermato anche dal ministro dello sviluppo Flavio Zanonato, che dopo aver incontrato il ministro dell'industria spagnolo Jose Manuel Soria afferma di aver avuto garanzie dal governo spagnolo che la società Telefonica agirà sempre e comunque in linea con la volontà del governo italiano. A differenza dell’Italia però,i rapporti tra Telefonica e le istituzioni brasiliane sono molto tesi. Ieri Telefonica ha sottolineato che presenterà ricorso contro la decisione del Cade, che ha obbligato agli spagnoli o a cedere le parti di capitale di Telecom Brasile acquistate oppure a cedere una parte della controllata brasiliana Vivo, per risolvere il conflitto d'interesse venutosi a creare dal momento che Telefonica risulta essere anche il maggior azionista di Telco. Una situazione complessa dove sembrerebbe inserirsi anche il magnate egiziano Naguib Sawiris, ex patron di Wind pronto ad un’offerta si vocifera di 10 miliardi di euro.
Sawiris ha svelato ad un quotidiano brasiliano di essere molto attratto dall’affare e di voler investire in Telecom a patto che Telefonica esca dal gruppo, e che la società decida di restare in Brasile. Da settembre Sawiris è stato protagonista di un’operazione finanziari molto discussa e al limite della morale. Di nascosto ha deciso di scommettere contro Telecom, vendendo allo scoperto le azioni del gruppo italiano di cui egli stesso era possessore, una rischiosa scommessa che sembra essergli andata male poiché da allora ad oggi il titolo Telecom in borsa ha racimolato nel complesso finora guadagni netti per il 30%. L’amministratore delegato di Telecom Marco Patuano anche ieri ha evidenziato che ciò che accade intorno a Telecom è solo tattica finanziaria e che il gruppo non necessita assolutamente di un aumento di capitale. Anzi dopo le dismissioni annunciate a novembre nel nuovo piano strategico Telecom potrà compiere corposi investimenti e ridurre i suo debiti sotto i livelli di guardia. Inoltre è nell’aria anche un possibile mescolamento del Consiglio di Amministrazione che forse verrà rivoluzionato nell’assemblea dei soci di fine Febbraio comunque non oltre il 6 marzo data di approvazione del bilancio Telecom.
Un’altra notizia finanziaria importante è inerente al colosso americano At&t. Il governo inglese ha ribadito che la legge britannica vieta al colosso Usa di lanciare un'Opa ostile nei prossimi sei mesi verso Vodafone,una notizia che nei mercati circolava già da un po’. Molto diversa invece la questione riguardante la società russa Vimpelcom che in questo mese avrà molti incontri con gli investitori e spera di inserirsi nel progetto di integrazione tra la controllata italiana Wind e 3 Italia, il gruppo controllato dal magnate anglo-cinese Li Ka-Shing.Lo scopo russo è quello di accaparrarsi almeno il 30% del capitale della futura società nascente. Un universo fluido ruota intorno alla finanza nel settore delle telecomunicazioni. Gli squali sono molti e gli interessi in gioco moltissimi,l’etica,come spesso accade in questo mondo,solo un fastidioso optional.
L’ economia solidale.Carattere e finalità.
di Roberta Perez
Una nuova forma economica per salvare la modernità.
Negli ultimi anni si sente sempre più parlare del termine Economia Solidale ma pochissime sono le persone che sanno di cosa si stia parlando e quali siano scopo e peculiarità di questa particolare forma di economia. Per definizione l’economia solidale è un sistema di relazioni economiche e sociali che fanno dell’ uomo e dell'ambiente il fulcro centrale,finalizzando le attività nel coniugare sviluppo con equità, occupazione con solidarietà e risparmio con qualità. Si tratta di un’economia il cui schema base pone al vertice non il profitto ma la relazione umana,un sistema dove all'individualismo fa da contraltare il concetto della gratuità e della condivisione. Il termine "economia solidale e anche sociale" fu adoperato per la prima volta agli inizi del’900 in Francia e con esso si faceva riferimento a tutte quelle attività cooperative e mutualistiche che sorgevano tra lo Stato e il mercato allo scopo di dare soddisfazione alle necessità primarie,vero humus giuridico da cui poi sorgeranno i diritti sociali dei cittadini. Molti studiosi sono convinti che lo schema dell’economia solidale non sia alternativo all’economia capitalistica ma bensì integrativo poiché è proprio in esso che trova la sua ragione e parte dei suoi stessi principi di funzionamento.
L’attuale schema teorico dell'economia "solidale" è un concetto molto chiaro e recente che fu teorizzato sul finire degli anni '90,soprattutto come mezzo necessario con cui trovare soluzioni alla crisi dei sistemi di welfare e al problema della crescita senza occupazione,arrivando ad adoperare lo strumento del terzo settore.Uno dei massimi economisti di questo nuovo sistema è certamente Jean Louis Laville, per il quale l'economia solidale può nascere da un particolarissimo equilibrio tra azione pubblica, reti informatiche private e imprese cooperative e no-profit. Laville la teorizza come ibridazione del sistema e può permettere la completa rigenerazione del tessuto sociale e finalmente reinserire politica e società all'interno dell'economia. Tornando sul concetto di terzo settore,si tratta di un termine adoperato per distinguere ciò che si trova in una zona grigia tra stato e mercato, un' area molto varia che va dalla filantropia al centro sociale, insomma un gran contenitore di soggetti che semplicemente non effettuano la distribuzione degli utili ai propri soci. Questo è il punto di contatto degli enti del terzo settore ma è l’unico punto in comune poiché perseguono in realtà differenti finalità, metodologie di intervento, settori di attività. Di recente c’è stato un vero intervento legislativo per tipizzare questa forma di attività (terzo settore ristretto, solidale, produttore di utilità sociale) ma i risultati non sono stati positivi.
Il terzo settore resta complesso e variegato,sfuggente a tipizzazioni o positivizzazioni. In Italia vi sono più di 235 mila istituzioni senza scopo di lucro. Questo dato riguarda sia le associazioni non riconosciute sia quelle riconosciute (circa il 28%), le fondazioni (1%), i comitati (2%) e le cooperative sociali (2%). La metà di queste organizzazioni è sorta dopo il 1992 e quasi l'80% dopo il 1980. Volendo trarre affermazioni chiare e conclusive potremmo definire l’economia solidale come il sistema di attività economiche che producono beni e servizi sul mercato e attività sociali che hanno il fine di migliorare il benessere dei cittadini, la solidarietà sociale e la sostenibilità ambientale senza essere finalizzate al lucro come unico scopo sociale. I soggetti protagonisti ed operatori sono organizzazioni economiche (imprese e cooperative) o sociali (associazioni, comitati,fondazioni) che non operano nel campo della produzione di mercato indirizzata al guadagno ma nonostante ciò sono autonome dallo Stato. L’economia solidale è quella che alcuni studiosi chiamano il tentativo di ricostruire il ponte tra comportamenti economici e dimensione sociale, il tutto nell’ambito di una dimensione di sostenibilità ambientale.
Negli ultimi anni si sente sempre più parlare del termine Economia Solidale ma pochissime sono le persone che sanno di cosa si stia parlando e quali siano scopo e peculiarità di questa particolare forma di economia. Per definizione l’economia solidale è un sistema di relazioni economiche e sociali che fanno dell’ uomo e dell'ambiente il fulcro centrale,finalizzando le attività nel coniugare sviluppo con equità, occupazione con solidarietà e risparmio con qualità. Si tratta di un’economia il cui schema base pone al vertice non il profitto ma la relazione umana,un sistema dove all'individualismo fa da contraltare il concetto della gratuità e della condivisione. Il termine "economia solidale e anche sociale" fu adoperato per la prima volta agli inizi del’900 in Francia e con esso si faceva riferimento a tutte quelle attività cooperative e mutualistiche che sorgevano tra lo Stato e il mercato allo scopo di dare soddisfazione alle necessità primarie,vero humus giuridico da cui poi sorgeranno i diritti sociali dei cittadini. Molti studiosi sono convinti che lo schema dell’economia solidale non sia alternativo all’economia capitalistica ma bensì integrativo poiché è proprio in esso che trova la sua ragione e parte dei suoi stessi principi di funzionamento.
L’attuale schema teorico dell'economia "solidale" è un concetto molto chiaro e recente che fu teorizzato sul finire degli anni '90,soprattutto come mezzo necessario con cui trovare soluzioni alla crisi dei sistemi di welfare e al problema della crescita senza occupazione,arrivando ad adoperare lo strumento del terzo settore.Uno dei massimi economisti di questo nuovo sistema è certamente Jean Louis Laville, per il quale l'economia solidale può nascere da un particolarissimo equilibrio tra azione pubblica, reti informatiche private e imprese cooperative e no-profit. Laville la teorizza come ibridazione del sistema e può permettere la completa rigenerazione del tessuto sociale e finalmente reinserire politica e società all'interno dell'economia. Tornando sul concetto di terzo settore,si tratta di un termine adoperato per distinguere ciò che si trova in una zona grigia tra stato e mercato, un' area molto varia che va dalla filantropia al centro sociale, insomma un gran contenitore di soggetti che semplicemente non effettuano la distribuzione degli utili ai propri soci. Questo è il punto di contatto degli enti del terzo settore ma è l’unico punto in comune poiché perseguono in realtà differenti finalità, metodologie di intervento, settori di attività. Di recente c’è stato un vero intervento legislativo per tipizzare questa forma di attività (terzo settore ristretto, solidale, produttore di utilità sociale) ma i risultati non sono stati positivi.
Il terzo settore resta complesso e variegato,sfuggente a tipizzazioni o positivizzazioni. In Italia vi sono più di 235 mila istituzioni senza scopo di lucro. Questo dato riguarda sia le associazioni non riconosciute sia quelle riconosciute (circa il 28%), le fondazioni (1%), i comitati (2%) e le cooperative sociali (2%). La metà di queste organizzazioni è sorta dopo il 1992 e quasi l'80% dopo il 1980. Volendo trarre affermazioni chiare e conclusive potremmo definire l’economia solidale come il sistema di attività economiche che producono beni e servizi sul mercato e attività sociali che hanno il fine di migliorare il benessere dei cittadini, la solidarietà sociale e la sostenibilità ambientale senza essere finalizzate al lucro come unico scopo sociale. I soggetti protagonisti ed operatori sono organizzazioni economiche (imprese e cooperative) o sociali (associazioni, comitati,fondazioni) che non operano nel campo della produzione di mercato indirizzata al guadagno ma nonostante ciò sono autonome dallo Stato. L’economia solidale è quella che alcuni studiosi chiamano il tentativo di ricostruire il ponte tra comportamenti economici e dimensione sociale, il tutto nell’ambito di una dimensione di sostenibilità ambientale.
Scade la mini-Imu.Sale la confusione.
di Roberta Perez
Scadenza per l'aliquota Imu.Ma c'è ineguaglianza.
Il 24 gennaio è una data importante in termini fiscali in Italia.Si tratta della data di scadenza della Mini-Imu 2013-2014 che riguarderà una notevole massa di contribuenti. A pochi giorni dalla data molti italiani sono ancora alle prese con gli ultimi calcoli da compiersi in modo preciso per non rischiare di effettuare versamenti errati o anche solo parziali da cui poi scaturirebbero in modo inflessibile interessi,more e sanzioni amministrative. Ieri il Ministro dell’Economia Saccomanni ha sottolineato che il pagamento della Mini-Imu 2013-2014 sarà meno pesante per moltissimi contribuenti considerando che qualora non fosse stata compiuta la cancellazione della seconda rata Imu 2013 ( da cui è sorto l’obbligo di versare il mini conguaglio) i cittadini avrebbero dovuto sborsare una cifrà superiore a circa il 90%.
Comunque sia tornando a noi la Mini-Imu 2013-2014 non interesserà per fortuna ogni proprietario di immobili residente in Italia ma i 10 milioni di contribuenti che hanno domicilio nei Comuni che hanno scelto in piena autonomia di aumentare l’aliquota base originariamente imposta dalla Legge. Gli effetti diretti di questa decisione sono stati che coloro i quali pagano quest’anno la Mini-Imu 2013-2014 saranno costretti a pagare un’aliquota maggiore rispetto al precedente regime. Un discorso a parte merita poi anche l’azione del governo Letta che non si è opposto alla scelta di alcuni Comuni di aumentare la soglia né si è offerto di versare ad essi la differenza tra i due diversi regimi fiscali in modo da non gravare sulle spalle dei cittadini.
Andando nello specifico se partiamo dalle abitazioni che hanno una dimensione più ridotta, va evidenziato che in alcuni capoluoghi,almeno una ventina in tutto, non si pagherà nulla, mentre, Milano 80 euro di media circa, Torino e Genova invece rappresentano le città più care per ciò che attiene all’ammontare della Mini-Imu 2013-2014. Ovviamente il contribuente deve ben effettuare il conteggio e considerare la tipologia di immobile e solo dopo la sua estensione in metri quadrati. Infine è importante ricordare che sempre il 24 gennaio i contribuenti saluteranno la Mini-Imu 2013-2014 e la stessa Tares, che verranno sostituiti da subito con due nuove imposte: Iuc e Tari e da una nuova aliquota Tasi sulla quale però sia i Comuni che il governo fino ad oggi non hanno uno specifico accordo cui dare applicazione.
Il 24 gennaio è una data importante in termini fiscali in Italia.Si tratta della data di scadenza della Mini-Imu 2013-2014 che riguarderà una notevole massa di contribuenti. A pochi giorni dalla data molti italiani sono ancora alle prese con gli ultimi calcoli da compiersi in modo preciso per non rischiare di effettuare versamenti errati o anche solo parziali da cui poi scaturirebbero in modo inflessibile interessi,more e sanzioni amministrative. Ieri il Ministro dell’Economia Saccomanni ha sottolineato che il pagamento della Mini-Imu 2013-2014 sarà meno pesante per moltissimi contribuenti considerando che qualora non fosse stata compiuta la cancellazione della seconda rata Imu 2013 ( da cui è sorto l’obbligo di versare il mini conguaglio) i cittadini avrebbero dovuto sborsare una cifrà superiore a circa il 90%.
Comunque sia tornando a noi la Mini-Imu 2013-2014 non interesserà per fortuna ogni proprietario di immobili residente in Italia ma i 10 milioni di contribuenti che hanno domicilio nei Comuni che hanno scelto in piena autonomia di aumentare l’aliquota base originariamente imposta dalla Legge. Gli effetti diretti di questa decisione sono stati che coloro i quali pagano quest’anno la Mini-Imu 2013-2014 saranno costretti a pagare un’aliquota maggiore rispetto al precedente regime. Un discorso a parte merita poi anche l’azione del governo Letta che non si è opposto alla scelta di alcuni Comuni di aumentare la soglia né si è offerto di versare ad essi la differenza tra i due diversi regimi fiscali in modo da non gravare sulle spalle dei cittadini.
Andando nello specifico se partiamo dalle abitazioni che hanno una dimensione più ridotta, va evidenziato che in alcuni capoluoghi,almeno una ventina in tutto, non si pagherà nulla, mentre, Milano 80 euro di media circa, Torino e Genova invece rappresentano le città più care per ciò che attiene all’ammontare della Mini-Imu 2013-2014. Ovviamente il contribuente deve ben effettuare il conteggio e considerare la tipologia di immobile e solo dopo la sua estensione in metri quadrati. Infine è importante ricordare che sempre il 24 gennaio i contribuenti saluteranno la Mini-Imu 2013-2014 e la stessa Tares, che verranno sostituiti da subito con due nuove imposte: Iuc e Tari e da una nuova aliquota Tasi sulla quale però sia i Comuni che il governo fino ad oggi non hanno uno specifico accordo cui dare applicazione.
Investire in modo giusto al momento giusto.
di Roberta Perez
Regole e segreti per un business insider di successo.
Uno dei segreti che maggiormente si desidera scoprire è quale sia la ricetta perfetta per compiere investimenti finanziari di successo. Qual è la formula esatta che garantisce pochi rischi ma moltissimi profitti?Questa è la domanda su cui spesso si concentrano consulenti ed esperti di financial business. Punto di partenza è una specie di comandamento ovvero per fare soldi servono soldi. Ma non è il solo comandamento. Serve anche un piano strategico di azione che sia rigido e analizzato attentamente. Soldi e mosse giuste queste sono le regole iniziali. Prendiamo ad esempio Warren Buffett,il consulente insider che negli ultimi vent’anni ha sempre ottenuto dai suoi investimenti una crescita annua fissa del 17%,una vera enormità. Il suo piano strategico è semplice nella sua complessità. Serve infatti incanalare le somme da investire su società caratterizzate da un grande flusso di cassa e analizzare nello specifico che suddette aziende siano tecnologicamente avanzate e non desuete.L’esempio perfetto sono le società assicurative ed infatti nei primi anni di investimenti i grandi insider si concentrano quasi sempre su di esse.
Ma la via del business sicuro dopo un po’ deve diversificarsi e ad esempio una buona strada può portare verso società di telecomunicazioni e media oppure le sempre floride aziende di cura e assistenza medica,ovviamente di grosse e solide dimensioni. Discorso diverso vale invece per la durata dell’ investimento. I grandi strateghi della borsa consigliano investimenti lunghi e duraturi nel tempo ad esempio appoggiandosi su colossi del loro settore come Apple, Coca-Cola, Ibm e American Express. Un’altra regola molto importante e seguita è il margine d’errore. Selezionare bene le aziende e scegliere investimenti sicuri solo su società che non corrono il rischio di perdere di valore,anche se questo significa temporeggiare e rimanere con i contanti depositati. Meglio conservarli che perderli in pochi giorni. Alcuni insider particolarmente spericolati ma coraggiosi optano per l’alto tasso di rischio investendo in colossi della finanza in preda a crisi o difficoltà. Lampante è il caso degli investimenti su British Petroleum poggiandosi su co dopo l’incidente del Golfo del Messico,o su Deutsche Bank dopo le gravi difficoltà di liquidità attraversate l’anno scorso.
Ci sono poi gli esperti che riescono ad avere una chiara e particolare visione delle forze macroeconomiche che mettono in circolo azioni, obbligazioni e beni. Solo dopo avere uno scenario nitido allora si effettuano investimenti adatti. Questi esperti non accettano consigli o informazioni da giornali,tv o altro ma seguono solo la loro visione dell’andamento globale dell’economia. Infine ecco gli investitori in&out.Questi sono convinti che i veri affari sono tali solo per lassi di tempo minimi ecco allora che investono in maniera rapida approfittando solo di eventi rari come un aumento di capitale o dei tassi d’interesse. Lo scopo principale è minimizzare le perdite ma senza concentrare le forze solo su azioni,anzi le options sono il vero campo di raccolta. Ecco le tecniche e le strategie tutte diverse con cui far fiorire il proprio investimento ben sapendo che alla fine solo il nostro fiuto può portarci alla meta sognata.
Uno dei segreti che maggiormente si desidera scoprire è quale sia la ricetta perfetta per compiere investimenti finanziari di successo. Qual è la formula esatta che garantisce pochi rischi ma moltissimi profitti?Questa è la domanda su cui spesso si concentrano consulenti ed esperti di financial business. Punto di partenza è una specie di comandamento ovvero per fare soldi servono soldi. Ma non è il solo comandamento. Serve anche un piano strategico di azione che sia rigido e analizzato attentamente. Soldi e mosse giuste queste sono le regole iniziali. Prendiamo ad esempio Warren Buffett,il consulente insider che negli ultimi vent’anni ha sempre ottenuto dai suoi investimenti una crescita annua fissa del 17%,una vera enormità. Il suo piano strategico è semplice nella sua complessità. Serve infatti incanalare le somme da investire su società caratterizzate da un grande flusso di cassa e analizzare nello specifico che suddette aziende siano tecnologicamente avanzate e non desuete.L’esempio perfetto sono le società assicurative ed infatti nei primi anni di investimenti i grandi insider si concentrano quasi sempre su di esse.
Ma la via del business sicuro dopo un po’ deve diversificarsi e ad esempio una buona strada può portare verso società di telecomunicazioni e media oppure le sempre floride aziende di cura e assistenza medica,ovviamente di grosse e solide dimensioni. Discorso diverso vale invece per la durata dell’ investimento. I grandi strateghi della borsa consigliano investimenti lunghi e duraturi nel tempo ad esempio appoggiandosi su colossi del loro settore come Apple, Coca-Cola, Ibm e American Express. Un’altra regola molto importante e seguita è il margine d’errore. Selezionare bene le aziende e scegliere investimenti sicuri solo su società che non corrono il rischio di perdere di valore,anche se questo significa temporeggiare e rimanere con i contanti depositati. Meglio conservarli che perderli in pochi giorni. Alcuni insider particolarmente spericolati ma coraggiosi optano per l’alto tasso di rischio investendo in colossi della finanza in preda a crisi o difficoltà. Lampante è il caso degli investimenti su British Petroleum poggiandosi su co dopo l’incidente del Golfo del Messico,o su Deutsche Bank dopo le gravi difficoltà di liquidità attraversate l’anno scorso.
Ci sono poi gli esperti che riescono ad avere una chiara e particolare visione delle forze macroeconomiche che mettono in circolo azioni, obbligazioni e beni. Solo dopo avere uno scenario nitido allora si effettuano investimenti adatti. Questi esperti non accettano consigli o informazioni da giornali,tv o altro ma seguono solo la loro visione dell’andamento globale dell’economia. Infine ecco gli investitori in&out.Questi sono convinti che i veri affari sono tali solo per lassi di tempo minimi ecco allora che investono in maniera rapida approfittando solo di eventi rari come un aumento di capitale o dei tassi d’interesse. Lo scopo principale è minimizzare le perdite ma senza concentrare le forze solo su azioni,anzi le options sono il vero campo di raccolta. Ecco le tecniche e le strategie tutte diverse con cui far fiorire il proprio investimento ben sapendo che alla fine solo il nostro fiuto può portarci alla meta sognata.
Lo Spread scende ma i tassi reali no.
di Roberta Perez
Dati che cambiano ma la realtà resta invariata.Perchè?
Una notizia positiva è giunta ieri.Lo spread,il famoso differenziale tra l'interesse sui titoli di stato italiani e quelli tedeschi,risulta essere diminuito ed essersi assestato sui 100/120 punti.Ma molto si dibatte sulla reale portata di questi dati.Una componente molto estrema delle accademie di economisti ritengono che la crisi di questi anni con susseguente innalzamento dei tassi del denaro sia in realtà stata pilotata per finanziare il mercato tedesco e rimanere stabili i tassi di Germania.Ecco spiegata quindi la grande anomalia dello spread che cala,anche vistosamente,ma non provoca una riduzione del costo del denaro.Il Governo nazionale di recente ha elogiato la propria politica economica e trionfalmente celebrato la diminuzione dello spread come risultato ottenuto grazie alla politica del rigore.Ma analizzando la questione da vicino ci accorgiamo a sorpresa che non sono tanto i tassi d'interesse sui bot italiani a scendere ma piuttosto lo spread tedesco a salire negli ultimi mesi.
A causa dei limiti dell'Unione Europea non possiamo fare come accade ad esempio in America dove in caso di aumento dei tassi interviene la FED e acquisisce all'ingrosso, dai primary dealers, i titoli di stato,con somme elevatissime,circa 40 miliardi di dollari al mese.Alcuni studiosi dei flussi sottolineano che il panico provocato dai venti di crisi in Grecia,Irlanda,Portogallo,Spagna e le continue critiche alla tenuta finanziaria italiana altro non siano che uno schema,un progetto complesso atto a influenzare i mercati dei titoli e pilotarli verso il mercato tedesco,dipinto come più stabile e conveniente. Il risultato di questo panico generalizzato è stato il trasferimento nel giro di due anni di una enorme liquidità di denaro dai paesi in crisi verso le banche tedesche.Una sorta di gigantesco finanziamento del sistema bancario tedesco che fortemente danneggiato nel primo anno dal crollo dei mutui subprime americani,si è rapidamente rigenerato sulle spalle degli altri paesi comunitari in difficoltà economica.
A ciò va poi aggiunta l'abile politica economica interna della Cancelliera Merkel che ha permesso alle aziende che operano in Germania di finanziarsi a tasso reale negativo, per riuscire a riequilibrare l'aumento del debito pubblico resosi necessario per salvare le banche in crisi e per ridurre i costi di produzione.Una situazione davvero poco chiara che ha creato una palese violazione della concorrenza nel settore bancario ma sulla quale le istituzioni europee non hanno vigilato abbastanza poichè tutte impegnate a fare le pulci ai bilanci in default di Grecia e Spagna.Infine va considerato che lo stato tedesco godeva di grandi investimenti esteri nel proprio portafoglio e che ha dovuto ritirarli per riempire le gravi perdite inerenti l'acquisto di titoli americani tramutatisi in titoli tossici.Il ritorno di tali fondi investiti all'estero sommati all'immensa liquidità che dagli altri stati europei è giunta in Germania ha prodotto la grande crescita tedesca di questo biennio ed ecco svelato il mistero del perchè in Italia lo spread cala ma i tassi di interesse sul denaro restano immutati,semplicemente perchè non conviene alla Germania.
Una notizia positiva è giunta ieri.Lo spread,il famoso differenziale tra l'interesse sui titoli di stato italiani e quelli tedeschi,risulta essere diminuito ed essersi assestato sui 100/120 punti.Ma molto si dibatte sulla reale portata di questi dati.Una componente molto estrema delle accademie di economisti ritengono che la crisi di questi anni con susseguente innalzamento dei tassi del denaro sia in realtà stata pilotata per finanziare il mercato tedesco e rimanere stabili i tassi di Germania.Ecco spiegata quindi la grande anomalia dello spread che cala,anche vistosamente,ma non provoca una riduzione del costo del denaro.Il Governo nazionale di recente ha elogiato la propria politica economica e trionfalmente celebrato la diminuzione dello spread come risultato ottenuto grazie alla politica del rigore.Ma analizzando la questione da vicino ci accorgiamo a sorpresa che non sono tanto i tassi d'interesse sui bot italiani a scendere ma piuttosto lo spread tedesco a salire negli ultimi mesi.
A causa dei limiti dell'Unione Europea non possiamo fare come accade ad esempio in America dove in caso di aumento dei tassi interviene la FED e acquisisce all'ingrosso, dai primary dealers, i titoli di stato,con somme elevatissime,circa 40 miliardi di dollari al mese.Alcuni studiosi dei flussi sottolineano che il panico provocato dai venti di crisi in Grecia,Irlanda,Portogallo,Spagna e le continue critiche alla tenuta finanziaria italiana altro non siano che uno schema,un progetto complesso atto a influenzare i mercati dei titoli e pilotarli verso il mercato tedesco,dipinto come più stabile e conveniente. Il risultato di questo panico generalizzato è stato il trasferimento nel giro di due anni di una enorme liquidità di denaro dai paesi in crisi verso le banche tedesche.Una sorta di gigantesco finanziamento del sistema bancario tedesco che fortemente danneggiato nel primo anno dal crollo dei mutui subprime americani,si è rapidamente rigenerato sulle spalle degli altri paesi comunitari in difficoltà economica.
A ciò va poi aggiunta l'abile politica economica interna della Cancelliera Merkel che ha permesso alle aziende che operano in Germania di finanziarsi a tasso reale negativo, per riuscire a riequilibrare l'aumento del debito pubblico resosi necessario per salvare le banche in crisi e per ridurre i costi di produzione.Una situazione davvero poco chiara che ha creato una palese violazione della concorrenza nel settore bancario ma sulla quale le istituzioni europee non hanno vigilato abbastanza poichè tutte impegnate a fare le pulci ai bilanci in default di Grecia e Spagna.Infine va considerato che lo stato tedesco godeva di grandi investimenti esteri nel proprio portafoglio e che ha dovuto ritirarli per riempire le gravi perdite inerenti l'acquisto di titoli americani tramutatisi in titoli tossici.Il ritorno di tali fondi investiti all'estero sommati all'immensa liquidità che dagli altri stati europei è giunta in Germania ha prodotto la grande crescita tedesca di questo biennio ed ecco svelato il mistero del perchè in Italia lo spread cala ma i tassi di interesse sul denaro restano immutati,semplicemente perchè non conviene alla Germania.
Fiat acquisisce tutta la Chrysler.
di Roberta Perez
Grande scelta strategica del Lingotto.Il colosso americano è suo.
La Fiat in questi giorni ha raggiunto un accordo storico.Dopo lunghe ed intense trattative l'azienda italiana è riuscita a prelevare il restante 41% del capitale di Chrysler ed adesso l'azienda americana attiva del settore automobilistico è interamente di proprietà del marchio torinese.Il resto del capitale era di proprietà del sindacato americano UAW al quale saranno versati subito 3 miliardi e 500 milioni di dollari, più altri 600 milioni diluiti nei prossimi quattro anni.La sfida e le trattative erano partite alcuni giorni prima di Natale e hanno avuto un esito positivissimo permettendo così di evitare la procedura Ipo che alla fine risultava essere la più lunga e burocraticamente dolorosa.Alla fine quindi tutto bene ciò che finisce bene e fusione completa operata.
Andando a dare un'occhiata ai numeri,il fondo americano gestito dall'Uaw, alla fine della fusione incasserà la somma notevole di 4 miliardi e 300 milioni di dollari,una somma molto vicina a quella che i dirigenti americani desideravano fin dall'inizio.Seguendo le pratiche nel dettaglio il vero closing della trattativa si avrà il 20 gennaio prossimo: il primo passo che Fiat compirà sarà il versamento di un maxi dividendo di ben 1,9 miliardi di dollari; successivamente, Fiat garantirà al fondo americano un altro versamento di 1,7 miliardi di dollari, che determinerà il prezzo finale della trattativa a 3,6 miliardi.Poi sulla base di un accordo successivo ma già ratificato alla Chrysler e all'Uaw, andranno altri 700 milioni in quattro rate uguali da 175 milioni di dollari, tutte saranno versate ogni anno il 20 gennaio a celebrazione del closing della trattativa.
L'accordo è stato molto apprezzato in America e lo stesso UAW ha promesso che si impegnerà nel appoggiare le attività industriali di Chrysler e che continuerà a favorire la duratura alleanza tra Fiat-Chrysler garantendo massimo sostegno alla realizzazione del piano industriale di lungo termine.Il Lingotto,a partire da Marchionne è in estasi per la trattativa raggiunta anche per via delle buone condizioni contrattuali che i dirigenti sono riusciti ad ottenere da Chrysler,compreso un mini sconto di 100 milioni di dollari sul prezzo finale.Ora stando così le cose è totalmente scongiurato un aumento di capitale di Fiat,non più necessario.Mentre la politica italiana e gli stessi sindacati si dicono felici dell'accordo ma intendono verificare l'atteggiamento della Fiat sul territorio nazionale,soprattutto negli stabilimenti in cui da decenni si respira aria di crisi.
La Fiat in questi giorni ha raggiunto un accordo storico.Dopo lunghe ed intense trattative l'azienda italiana è riuscita a prelevare il restante 41% del capitale di Chrysler ed adesso l'azienda americana attiva del settore automobilistico è interamente di proprietà del marchio torinese.Il resto del capitale era di proprietà del sindacato americano UAW al quale saranno versati subito 3 miliardi e 500 milioni di dollari, più altri 600 milioni diluiti nei prossimi quattro anni.La sfida e le trattative erano partite alcuni giorni prima di Natale e hanno avuto un esito positivissimo permettendo così di evitare la procedura Ipo che alla fine risultava essere la più lunga e burocraticamente dolorosa.Alla fine quindi tutto bene ciò che finisce bene e fusione completa operata.
Andando a dare un'occhiata ai numeri,il fondo americano gestito dall'Uaw, alla fine della fusione incasserà la somma notevole di 4 miliardi e 300 milioni di dollari,una somma molto vicina a quella che i dirigenti americani desideravano fin dall'inizio.Seguendo le pratiche nel dettaglio il vero closing della trattativa si avrà il 20 gennaio prossimo: il primo passo che Fiat compirà sarà il versamento di un maxi dividendo di ben 1,9 miliardi di dollari; successivamente, Fiat garantirà al fondo americano un altro versamento di 1,7 miliardi di dollari, che determinerà il prezzo finale della trattativa a 3,6 miliardi.Poi sulla base di un accordo successivo ma già ratificato alla Chrysler e all'Uaw, andranno altri 700 milioni in quattro rate uguali da 175 milioni di dollari, tutte saranno versate ogni anno il 20 gennaio a celebrazione del closing della trattativa.
L'accordo è stato molto apprezzato in America e lo stesso UAW ha promesso che si impegnerà nel appoggiare le attività industriali di Chrysler e che continuerà a favorire la duratura alleanza tra Fiat-Chrysler garantendo massimo sostegno alla realizzazione del piano industriale di lungo termine.Il Lingotto,a partire da Marchionne è in estasi per la trattativa raggiunta anche per via delle buone condizioni contrattuali che i dirigenti sono riusciti ad ottenere da Chrysler,compreso un mini sconto di 100 milioni di dollari sul prezzo finale.Ora stando così le cose è totalmente scongiurato un aumento di capitale di Fiat,non più necessario.Mentre la politica italiana e gli stessi sindacati si dicono felici dell'accordo ma intendono verificare l'atteggiamento della Fiat sul territorio nazionale,soprattutto negli stabilimenti in cui da decenni si respira aria di crisi.
Borse mondiali.Record e crescita costante.
di Roberta Perez
Indici e dati molto positivi per questo 2013 di ripresa.
Il 2013 è stato un anno positivo per le Borse mondiali e soprattutto in Oriente si sono raggiunti indici di notevole spessore lì dove Tokyo rappresenta in assoluto il risultato migliore con un rialzo record del 57%, che fa da apripista ad un periodo di ripresa economico-finanziaria dopo ben 6 anni di crisi. Quello della Borsa di Tokio è di sicuro un grande risultato,un indice record mai realizzato nel Sol Levante negli ultimi trent’anni,un dato che probabilmente nessuna altra Borsa internazionale riuscirà nell’immediato a realizzare. Ad esempio il Nasdaq di New York pur in positivo con un bel +37% ed il Dow Jones con un ottimo +25%, non sono riusciti ad avvicinarsi ad esso. Anche in Europa si sono avuti in questo 2013 dei dati borsistici di notevole impatto sebbene lontano dal +57% raggiunto in Giappone.Il Dax, all'ultimo giorno di scambi, ha guadagnato a Francoforte il 25% nell'intero anno, mentre in Spagna l’aumento c’è stato ma inferiore alle attese,solo,si fa per dire,un +21,4%, a Parigi +17,6% e infine a Londra +14,3%. Le Borse europee saranno aperte anche oggi ma soltanto per metà giornata. Veniamo alla nostra Italia.
Il bilancio definitivo di Piazza Affari,che ha chiuso con un giorno di anticipo il suo calendario finanziario, è indubbiamente positivo, con un forte rialzo da inizio anno del +16,50% ; un risultato ottimo realizzato dopo ben due di forte negatività soprattutto l’anno 2011. In quel periodo infatti l’indice Fts Mib ebbe un crollo del 20%, mentre l'anno successivo aumentò solo del +7%. Ma è proprio dal 2012 che è poi iniziato il vento positivo concretizzatosi in questa ultima annualità. La capitalizzazione totale avutasi in Borsa a Milano in questo anno solo per le società quotate ha raggiunto,già nel solo dicembre, quota 438,2 miliardi di euro, un aumento importante di circa il 20%, portandosi al 28,1% del Pil, a fronte del 22% del 2012. Piazza Affari ha avuto questa notevole spinta non tanto per l’ammontare complessivo degli indici e degli scambi,assestatosi su un controvalore totale di 540 miliardi, ma grazie essenzialmente alle 20 ammissioni e le 18 Ipo che simboleggiano, seguendo le parole recenti dell'amministratore delegato di Borsa Italiana Raffaele Jerusalmi, un nuovo spunto non per il mercato finanziario, ma per tutta l'economia italiana.
Volendo entrare nello specifico si è avuto un vero debutto record per le azioni di Moncler, che con 680 milioni di euro incassati ha fatto archiviare la maggior raccolta degli ultimi dieci anni. Uniti ai 500 miliardi di euro di scambi azionari si è avuto inoltre un altro record inerente il Mot, il mercato che fa riferimento ai soli titoli di stato e obbligazioni, che nel 2013 ha raggiunto un apice mai toccato in precedenza e cioè un netto di controvalore di 328,6 miliardi di euro (+2,2% sul 2012). La grande forza trainante del settore è giunta da Btp Italia, come evidenziato dal record assoluto per una singola seduta, che ha visto raggiungere la quota di 18,3 miliardi scambiati nella data del 13 Novembre scorso. Finalmente la crisi sembra attenuarsi e l’economia sembra essersi assestata,buttandosi alle spalle sei anni di dati negativi e fallimenti in serie. Un futuro più roseo sembra emergere all’orizzonte.
Il 2013 è stato un anno positivo per le Borse mondiali e soprattutto in Oriente si sono raggiunti indici di notevole spessore lì dove Tokyo rappresenta in assoluto il risultato migliore con un rialzo record del 57%, che fa da apripista ad un periodo di ripresa economico-finanziaria dopo ben 6 anni di crisi. Quello della Borsa di Tokio è di sicuro un grande risultato,un indice record mai realizzato nel Sol Levante negli ultimi trent’anni,un dato che probabilmente nessuna altra Borsa internazionale riuscirà nell’immediato a realizzare. Ad esempio il Nasdaq di New York pur in positivo con un bel +37% ed il Dow Jones con un ottimo +25%, non sono riusciti ad avvicinarsi ad esso. Anche in Europa si sono avuti in questo 2013 dei dati borsistici di notevole impatto sebbene lontano dal +57% raggiunto in Giappone.Il Dax, all'ultimo giorno di scambi, ha guadagnato a Francoforte il 25% nell'intero anno, mentre in Spagna l’aumento c’è stato ma inferiore alle attese,solo,si fa per dire,un +21,4%, a Parigi +17,6% e infine a Londra +14,3%. Le Borse europee saranno aperte anche oggi ma soltanto per metà giornata. Veniamo alla nostra Italia.
Il bilancio definitivo di Piazza Affari,che ha chiuso con un giorno di anticipo il suo calendario finanziario, è indubbiamente positivo, con un forte rialzo da inizio anno del +16,50% ; un risultato ottimo realizzato dopo ben due di forte negatività soprattutto l’anno 2011. In quel periodo infatti l’indice Fts Mib ebbe un crollo del 20%, mentre l'anno successivo aumentò solo del +7%. Ma è proprio dal 2012 che è poi iniziato il vento positivo concretizzatosi in questa ultima annualità. La capitalizzazione totale avutasi in Borsa a Milano in questo anno solo per le società quotate ha raggiunto,già nel solo dicembre, quota 438,2 miliardi di euro, un aumento importante di circa il 20%, portandosi al 28,1% del Pil, a fronte del 22% del 2012. Piazza Affari ha avuto questa notevole spinta non tanto per l’ammontare complessivo degli indici e degli scambi,assestatosi su un controvalore totale di 540 miliardi, ma grazie essenzialmente alle 20 ammissioni e le 18 Ipo che simboleggiano, seguendo le parole recenti dell'amministratore delegato di Borsa Italiana Raffaele Jerusalmi, un nuovo spunto non per il mercato finanziario, ma per tutta l'economia italiana.
Volendo entrare nello specifico si è avuto un vero debutto record per le azioni di Moncler, che con 680 milioni di euro incassati ha fatto archiviare la maggior raccolta degli ultimi dieci anni. Uniti ai 500 miliardi di euro di scambi azionari si è avuto inoltre un altro record inerente il Mot, il mercato che fa riferimento ai soli titoli di stato e obbligazioni, che nel 2013 ha raggiunto un apice mai toccato in precedenza e cioè un netto di controvalore di 328,6 miliardi di euro (+2,2% sul 2012). La grande forza trainante del settore è giunta da Btp Italia, come evidenziato dal record assoluto per una singola seduta, che ha visto raggiungere la quota di 18,3 miliardi scambiati nella data del 13 Novembre scorso. Finalmente la crisi sembra attenuarsi e l’economia sembra essersi assestata,buttandosi alle spalle sei anni di dati negativi e fallimenti in serie. Un futuro più roseo sembra emergere all’orizzonte.
Il capitale Alitalia vicino agli arabi.
di Roberta Perez
Trattative partite tra Alitalia e Etihad Airways
In questi ultimi giorni molte voci sui conti di Alitalia si erano rincorse e accavallate; sia Bloomberg che Financial Times, evidenziavano la chiara possibilità che Etihad Airways,compagnia aerea del Qatar,sarebbe pronta a trattare l’ingresso nel capitale di Alitalia.I dirigenti di rappresentanza di Etihad Airways hanno ammesso la circostanza,le trattative dovrebbero iniziare a breve ma nulla si sa ancora sulle cifre vere. L'ingresso in forze di Etihad non sarà impedito dalle altre componenti del capitale come Air France,almeno ciò viene indicato dalle fonti transalpine. Proprio oggi il quotidiano americano Financial Times, aveva riconfermato la veridicità delle possibili trattative tra Alitalia e Etihad Airways,negoziati che in segreto sarebbe già giunti a buon punto con l’azienda araba che diverrebbe la maggiore azionista dell'ex compagnia di bandiera con una quota che forse arriverebbe anche a toccare quota 50% con una iniezione di denaro liquido di circa 350 milioni di euro,ossigeno puro per Alitalia.
L’agenzia finanziaria Bloomberg ha cavalcato anch’essa la notizia e poche ore fa si parlerebbe addirittura di un vero accordo già raggiunto tra le parti con cifra confermata e con l’ufficialità imminente da annunciare forse dopo Natale. Etihad Airways potrebbe quindi diventare il primo azionista della compagnia.A Roma sarebbe già in programma un incontro il 27 per finalizzare definitivamente l’intesa raggiunta.I rumors erano quindi veri e il vettore di Abu Dhabi non solo avrà come pare la metà del capitale Alitalia ma anche tutti i diritti e i vantaggi come operatore europeo. Con tale eventuale operazione sulla compagnia italiana Etihad riuscirà ad aprirsi un varco importante nel sempre desiderato mercato del Vecchio Continente concretizzando una strategia di crescita già partita anni fa.
Lo schema delle ricapitalizzazioni sarà poi completato con la cifra di 70 milioni di euro che si è impegnata a versare Poste Italiane il giorno dopo che i soci e le banche avranno garantito la soglia di 225 milioni (125 dagli azionisti e 100 da UniCredit e Intesa) come anticipo a garanzia delle quote inoptate.Questa decisione dovrebbe giungere settimana prossima in sede di apposito Consiglio di amministrazione presieduto da Massimo Sarmi. Alitalia insomma sta davvero per diventare per metà araba.
In questi ultimi giorni molte voci sui conti di Alitalia si erano rincorse e accavallate; sia Bloomberg che Financial Times, evidenziavano la chiara possibilità che Etihad Airways,compagnia aerea del Qatar,sarebbe pronta a trattare l’ingresso nel capitale di Alitalia.I dirigenti di rappresentanza di Etihad Airways hanno ammesso la circostanza,le trattative dovrebbero iniziare a breve ma nulla si sa ancora sulle cifre vere. L'ingresso in forze di Etihad non sarà impedito dalle altre componenti del capitale come Air France,almeno ciò viene indicato dalle fonti transalpine. Proprio oggi il quotidiano americano Financial Times, aveva riconfermato la veridicità delle possibili trattative tra Alitalia e Etihad Airways,negoziati che in segreto sarebbe già giunti a buon punto con l’azienda araba che diverrebbe la maggiore azionista dell'ex compagnia di bandiera con una quota che forse arriverebbe anche a toccare quota 50% con una iniezione di denaro liquido di circa 350 milioni di euro,ossigeno puro per Alitalia.
L’agenzia finanziaria Bloomberg ha cavalcato anch’essa la notizia e poche ore fa si parlerebbe addirittura di un vero accordo già raggiunto tra le parti con cifra confermata e con l’ufficialità imminente da annunciare forse dopo Natale. Etihad Airways potrebbe quindi diventare il primo azionista della compagnia.A Roma sarebbe già in programma un incontro il 27 per finalizzare definitivamente l’intesa raggiunta.I rumors erano quindi veri e il vettore di Abu Dhabi non solo avrà come pare la metà del capitale Alitalia ma anche tutti i diritti e i vantaggi come operatore europeo. Con tale eventuale operazione sulla compagnia italiana Etihad riuscirà ad aprirsi un varco importante nel sempre desiderato mercato del Vecchio Continente concretizzando una strategia di crescita già partita anni fa.
Lo schema delle ricapitalizzazioni sarà poi completato con la cifra di 70 milioni di euro che si è impegnata a versare Poste Italiane il giorno dopo che i soci e le banche avranno garantito la soglia di 225 milioni (125 dagli azionisti e 100 da UniCredit e Intesa) come anticipo a garanzia delle quote inoptate.Questa decisione dovrebbe giungere settimana prossima in sede di apposito Consiglio di amministrazione presieduto da Massimo Sarmi. Alitalia insomma sta davvero per diventare per metà araba.
L'Industria italiana ora è in crescita.
di Roberta Perez
Finalmente dati sulla produzione confortanti per il 2014.
Il Centro studi di Confindustria ha diffuso una serie di dati finalmente non negativi sullo stato dell'industria italiana che nel 2013 ha registrato un aumento dello 0,5% ma che per il 2014 e per il 2015,secondo la Confindustria potrebbe arrivare anche a toccare quote dell' 1,5% di aumento della produttività.Un dato positivo verso cui tendere.Ma andiamo per gradi.L'attuale Legge di stabilità si ipotizza che avrà sulla crescita del Pil per l'anno nuovo una spinta non eccessiva,circa lo 0,4% ma quello che fa guardare con ottimismo è la fine del vento recessivo che negli ultimi due anni si era abbattuto sull'economia italiana.Questo però ha comportato una serie di danni strutturali all'economia stessa e anche al tessuto sociale,Delle conseguenze dannose simili a quelle che può provocare una guerra una volta terminata,molte macerie e bisogno di ricostruire. La legge di Stabilità è il primo passo per iniziare la ricostruzione del paese e uno dei suoi elementi più positivi è senza dubbio il cuneo fiscale che porterà benefici immediati alle piccole e medie imprese che sono la spina dorsale dell'industria italiana. Forse la suddetta Legge poteva essere ancora più incisiva secondo alcuni: infatti le risorse stanziate sono limitate e come detto incideranno sul Pil solo per cifre non superiori all' 1% una limitazione grossa.
Per fortuna però le stime per l'anno venturo sono più rosee anche se comunque esistono alcuni fattori che remano ancora contro alla crescita del paese.Come già detto sulle pagine di questo sito uno degli elementi di freno è senza dubbio il credit crunch che anche per il 2014 renderà in parte debole la nostra economia e forse obbligherà anche ad una manovra di un punto di Pil se lo spread non inizierà da solo a diminuire.Per garantire finalmente l'inizio della crescita urgono stabilità e certezze e soprattutto è necessario da subito approntare il piano di riforme strutturali da anni sbandierate e mai concretizzate.Del resto se incrociamo i dati di Confindustria con quelli del Fondo Monetario ci accorgiamo che le sole riforme del paese garantiscono un aumento di Pil del 2% il quale sommato all' 1,5% che si ipotizza per il nuovo anno porterebbe le stime future sull' industria italiana a vette mai raggiunte negli ultimi ventanni.
Infine il tema del debito pubblico.Confindustria evidenzia che se i dati positivi del biennio 2014-15 dovessero essere confermati nella realtà allora si potrebbe godere anche di una diminuzione del deficit intorno al 2,5%.Un dato molto positivo aldilà del reale valore della cifra indicata.Sul campo della disoccupazione i dati ritengono che per fortuna essa non sarà esposta ad aumenti stabilizzandosi sulla quota del 10-12% e del resto già il 2013 aveva visto un tasso non soggetto ad aumenti ma assestatosi sulla cifra del 12,3%.Insomma un biennio che promette molto sul piano industriale ed economico sperando che la classe politica doni stabilità al paese e non le solite bagarre elettorali dannosissime.
Il Centro studi di Confindustria ha diffuso una serie di dati finalmente non negativi sullo stato dell'industria italiana che nel 2013 ha registrato un aumento dello 0,5% ma che per il 2014 e per il 2015,secondo la Confindustria potrebbe arrivare anche a toccare quote dell' 1,5% di aumento della produttività.Un dato positivo verso cui tendere.Ma andiamo per gradi.L'attuale Legge di stabilità si ipotizza che avrà sulla crescita del Pil per l'anno nuovo una spinta non eccessiva,circa lo 0,4% ma quello che fa guardare con ottimismo è la fine del vento recessivo che negli ultimi due anni si era abbattuto sull'economia italiana.Questo però ha comportato una serie di danni strutturali all'economia stessa e anche al tessuto sociale,Delle conseguenze dannose simili a quelle che può provocare una guerra una volta terminata,molte macerie e bisogno di ricostruire. La legge di Stabilità è il primo passo per iniziare la ricostruzione del paese e uno dei suoi elementi più positivi è senza dubbio il cuneo fiscale che porterà benefici immediati alle piccole e medie imprese che sono la spina dorsale dell'industria italiana. Forse la suddetta Legge poteva essere ancora più incisiva secondo alcuni: infatti le risorse stanziate sono limitate e come detto incideranno sul Pil solo per cifre non superiori all' 1% una limitazione grossa.
Per fortuna però le stime per l'anno venturo sono più rosee anche se comunque esistono alcuni fattori che remano ancora contro alla crescita del paese.Come già detto sulle pagine di questo sito uno degli elementi di freno è senza dubbio il credit crunch che anche per il 2014 renderà in parte debole la nostra economia e forse obbligherà anche ad una manovra di un punto di Pil se lo spread non inizierà da solo a diminuire.Per garantire finalmente l'inizio della crescita urgono stabilità e certezze e soprattutto è necessario da subito approntare il piano di riforme strutturali da anni sbandierate e mai concretizzate.Del resto se incrociamo i dati di Confindustria con quelli del Fondo Monetario ci accorgiamo che le sole riforme del paese garantiscono un aumento di Pil del 2% il quale sommato all' 1,5% che si ipotizza per il nuovo anno porterebbe le stime future sull' industria italiana a vette mai raggiunte negli ultimi ventanni.
Infine il tema del debito pubblico.Confindustria evidenzia che se i dati positivi del biennio 2014-15 dovessero essere confermati nella realtà allora si potrebbe godere anche di una diminuzione del deficit intorno al 2,5%.Un dato molto positivo aldilà del reale valore della cifra indicata.Sul campo della disoccupazione i dati ritengono che per fortuna essa non sarà esposta ad aumenti stabilizzandosi sulla quota del 10-12% e del resto già il 2013 aveva visto un tasso non soggetto ad aumenti ma assestatosi sulla cifra del 12,3%.Insomma un biennio che promette molto sul piano industriale ed economico sperando che la classe politica doni stabilità al paese e non le solite bagarre elettorali dannosissime.
Ecco BitCoin.La prima moneta digitale.
di Roberta Perez
Una nuova moneta con una particolarità.E' immateriale.
Molti non sanno o non hanno mai sentito la parola bitcoin.Ma questa parola fra qualche anno in economia potrebbe essere importante e celebre;si tratta della prima moneta digitale della storia dell'umanità,creata da un informatico nipponico qualche anno fa e che in questo periodo di crisi anche monetaria,si sta largamente diffondendo nel suo utilizzo.Ma andiamola a scoprire da vicino per capirne impiego e caratteristiche.Come detto si tratta di una valuta virtuale con la quale si compiono transazioni in modalità totalmente anonima e che non viene nè creata nè emessa da nessuna banca.Il suo valore digitale aumenta o diminuisce a seconda della fiducia che in essa viene riposta dai suoi stessi utilizzatori.A giudicare dal suo flusso di valore c'è da dire che di fiducia sembra averne adesso davvero parecchia visto che nel 2011 il suo valore iniziale era di soli 0,90 dollari mentre adesso,nel 2013,vale ben 700 dollari americani.
Questo è il segnale che Bitcoin è divenuta conosciuta nel mondo e molto adoperata da chi effettua operazioni finanziari in rete,una tipologia di investimento davvero molto remunerativa.Ma come si fa ad acquistare questa moneta digitale?Semplice,di sicuro non si va in banca e la si chiede,ma ci si appoggia su una serie di piattaforme e siti web autorizzati e si effettuano le prime operazioni di trading online.Una di queste piattaforme è MT.GOX che ha sede in Giappone e che gestisce il maggior traffico di bitcoin fini ad oggi.Con esso è possibile acquistare moneta bitcoin attraverso una registrazione fornendo carta d'identità e fatture precedenti;immediatamente vi si aprirà un conto online senza obbligo di versamenti.Altro sito molto diffuso è Bitstamp che invece ha sede a Londra.Ha la stessa struttuta di MT.GOX ma è possibile acquistare bitcoin ad un prezzo più vantaggioso ed inoltre non è virtuale al 100% poichè si appoggia per alcune operazioni su una banca privata con sede in Slovenia.
Cosa accade invece in Italia?Con un pò di ritardo anche il nostro paese sta adesso avvicinandosi all'universo digitale di bitcoin.A Novembre è sorta la BitCoin Fondation Italia,un'associazione no profit per pubblicizzare e diffondere la nuova moneta digitale nel nostro paese.Lo scopo è creare quell'alone di fiducia necessario per stabilizzare il valore della moneta e iniziare ad invogliare privati ed aziende nell'utilizzo di Bitcoin per le loro operazioni.Il pregio di una valuta del genere è evidente,la rapidità e la semplicità delle operazioni invoglia a compiere transazioni,non ci sono intermediari nè banche che burocraticamente rallentino il meccanismo nè tantomeno costi elevati,anzi,le spese di gestione del conto sono davvero minime.I rischi sono anch'essi semplici e chiari.Si tratta di un mondo virtuale che potrebbe crollare all'improvviso e poi è sempre complicato accertare l'affidabilità degli operatori e dei siti che gestiscono bitcoin,nonostante le rassicurazioni.Si tratta di un campo dinamico e in divenire dove la fiducia nell'altro è davvero la base sia per un successo sia per una indesiderata truffa.
Molti non sanno o non hanno mai sentito la parola bitcoin.Ma questa parola fra qualche anno in economia potrebbe essere importante e celebre;si tratta della prima moneta digitale della storia dell'umanità,creata da un informatico nipponico qualche anno fa e che in questo periodo di crisi anche monetaria,si sta largamente diffondendo nel suo utilizzo.Ma andiamola a scoprire da vicino per capirne impiego e caratteristiche.Come detto si tratta di una valuta virtuale con la quale si compiono transazioni in modalità totalmente anonima e che non viene nè creata nè emessa da nessuna banca.Il suo valore digitale aumenta o diminuisce a seconda della fiducia che in essa viene riposta dai suoi stessi utilizzatori.A giudicare dal suo flusso di valore c'è da dire che di fiducia sembra averne adesso davvero parecchia visto che nel 2011 il suo valore iniziale era di soli 0,90 dollari mentre adesso,nel 2013,vale ben 700 dollari americani.
Questo è il segnale che Bitcoin è divenuta conosciuta nel mondo e molto adoperata da chi effettua operazioni finanziari in rete,una tipologia di investimento davvero molto remunerativa.Ma come si fa ad acquistare questa moneta digitale?Semplice,di sicuro non si va in banca e la si chiede,ma ci si appoggia su una serie di piattaforme e siti web autorizzati e si effettuano le prime operazioni di trading online.Una di queste piattaforme è MT.GOX che ha sede in Giappone e che gestisce il maggior traffico di bitcoin fini ad oggi.Con esso è possibile acquistare moneta bitcoin attraverso una registrazione fornendo carta d'identità e fatture precedenti;immediatamente vi si aprirà un conto online senza obbligo di versamenti.Altro sito molto diffuso è Bitstamp che invece ha sede a Londra.Ha la stessa struttuta di MT.GOX ma è possibile acquistare bitcoin ad un prezzo più vantaggioso ed inoltre non è virtuale al 100% poichè si appoggia per alcune operazioni su una banca privata con sede in Slovenia.
Cosa accade invece in Italia?Con un pò di ritardo anche il nostro paese sta adesso avvicinandosi all'universo digitale di bitcoin.A Novembre è sorta la BitCoin Fondation Italia,un'associazione no profit per pubblicizzare e diffondere la nuova moneta digitale nel nostro paese.Lo scopo è creare quell'alone di fiducia necessario per stabilizzare il valore della moneta e iniziare ad invogliare privati ed aziende nell'utilizzo di Bitcoin per le loro operazioni.Il pregio di una valuta del genere è evidente,la rapidità e la semplicità delle operazioni invoglia a compiere transazioni,non ci sono intermediari nè banche che burocraticamente rallentino il meccanismo nè tantomeno costi elevati,anzi,le spese di gestione del conto sono davvero minime.I rischi sono anch'essi semplici e chiari.Si tratta di un mondo virtuale che potrebbe crollare all'improvviso e poi è sempre complicato accertare l'affidabilità degli operatori e dei siti che gestiscono bitcoin,nonostante le rassicurazioni.Si tratta di un campo dinamico e in divenire dove la fiducia nell'altro è davvero la base sia per un successo sia per una indesiderata truffa.
Il Mercato dei mutui inizia a migliorare.
di Roberta Perez
Dati sugli spread che fanno sperare nella crescita.
Il mercato finaziario dei mutui ha avuto periodi migliori questo è certo,ma il finire del 2013 sembrerebbe regalare speranzose sorprese.Il quadro delle nuove proposte bancarie infatti è nettamente migliorato rispetto al passato.Dando un'occhiata ai dati relativi agli spread,che negli anni scorsi erano sistematicamente superiori al 4%, ora l'impressione è che stiano iniziando a scendere.Alcune proposte arrivano anche a tassi di interesse tre il 2,5 e il 2,8%.Insomma un passo in avanti evidente.Di solito questo accade quando sta per cominciare una massiccia erogazione di mutui per il nuovo anno che si affiancherà ai circa tre miliardi che giungeranno dalla futura riforma governativa per incentivare l'acquisto delle prime case. Al nuovo sistema di mutui potranno aderire le coppie giovani ,anche senza essere sposate,le famiglie con disabili e i nuclei con numerosi componenti. Il mutuo potrà anche riguardare l'intera somma se oltre all'acquisto si effettueranno lavori per migliorare l'efficienza energetica della casa oppure riguarderà 15 o 25 anni nella generalità dei casi.
Andando a dare uno sguardo notiamo che le somme massime che potranno essere richieste sono di 100mila euro per le ristrutturazioni,oppure fino a 250mila euro per l'acquisto della prima casa.Molto conveniente ad esempio sarà l'offerta UniCredit che lancerà sul mercato mutui con tasso al 2,5% oltre a quello con tasso variabile e indice Irs di riferimento.L'unica pecca è che questo tipo di offerta sarà applicabile solo per finanziamenti non superiori al 60% del valore dell'immobile.Chi necessita invece di un mutuo al 100% allora il tasso di interessa salirà fino al 2,9%.In passato questa era un'offerta quasi ordinaria,ma la crisi e il crollo dei mutui soprattutto nel biennio 2010-2011 è stata un salasso e le condizioni si sono molto differenziate fra correntisti con Tripla A e correntisti di fascia B.Spulciando le proposte bancarie sono almeno sei gli istituti che aderiranno alla riforma del governo: non solo UniCredit, ma anche Ing direct, Webank, Banca popolare di Milano, Cariparma e Intesa Sanpaolo con mutui che andranno dal 2,5% fino al 3 %.
A breve anche la Deutsche Bank deciderà cosa fare a riguardo.Un importante consiglio riguarda la fase preliminare del contratto di mutuo dove un occhio di riguardo va dato alle assicurazioni. Il discorso non riguarda le polizze antincedio che oramai sono obbligatorie per legge ma le assicurazioni che scattano in caso di perdita del lavoro del soggetto beneficiario del mutuo. Ecco un'analisi recente indica che le condizioni assicurative offerte dalle banche in questo caso sono di molto più svantaggiose rispetto a quelle che un normale privato potrebbe stipulare exnovo.Si tratta di un tema delicato e controverso dove il diritto alla trasparenza del cittadino rischia di essere leso dagli istituti bancari e dove l'Iban dovrebbe megio vigilare ed intervenire.
Il mercato finaziario dei mutui ha avuto periodi migliori questo è certo,ma il finire del 2013 sembrerebbe regalare speranzose sorprese.Il quadro delle nuove proposte bancarie infatti è nettamente migliorato rispetto al passato.Dando un'occhiata ai dati relativi agli spread,che negli anni scorsi erano sistematicamente superiori al 4%, ora l'impressione è che stiano iniziando a scendere.Alcune proposte arrivano anche a tassi di interesse tre il 2,5 e il 2,8%.Insomma un passo in avanti evidente.Di solito questo accade quando sta per cominciare una massiccia erogazione di mutui per il nuovo anno che si affiancherà ai circa tre miliardi che giungeranno dalla futura riforma governativa per incentivare l'acquisto delle prime case. Al nuovo sistema di mutui potranno aderire le coppie giovani ,anche senza essere sposate,le famiglie con disabili e i nuclei con numerosi componenti. Il mutuo potrà anche riguardare l'intera somma se oltre all'acquisto si effettueranno lavori per migliorare l'efficienza energetica della casa oppure riguarderà 15 o 25 anni nella generalità dei casi.
Andando a dare uno sguardo notiamo che le somme massime che potranno essere richieste sono di 100mila euro per le ristrutturazioni,oppure fino a 250mila euro per l'acquisto della prima casa.Molto conveniente ad esempio sarà l'offerta UniCredit che lancerà sul mercato mutui con tasso al 2,5% oltre a quello con tasso variabile e indice Irs di riferimento.L'unica pecca è che questo tipo di offerta sarà applicabile solo per finanziamenti non superiori al 60% del valore dell'immobile.Chi necessita invece di un mutuo al 100% allora il tasso di interessa salirà fino al 2,9%.In passato questa era un'offerta quasi ordinaria,ma la crisi e il crollo dei mutui soprattutto nel biennio 2010-2011 è stata un salasso e le condizioni si sono molto differenziate fra correntisti con Tripla A e correntisti di fascia B.Spulciando le proposte bancarie sono almeno sei gli istituti che aderiranno alla riforma del governo: non solo UniCredit, ma anche Ing direct, Webank, Banca popolare di Milano, Cariparma e Intesa Sanpaolo con mutui che andranno dal 2,5% fino al 3 %.
A breve anche la Deutsche Bank deciderà cosa fare a riguardo.Un importante consiglio riguarda la fase preliminare del contratto di mutuo dove un occhio di riguardo va dato alle assicurazioni. Il discorso non riguarda le polizze antincedio che oramai sono obbligatorie per legge ma le assicurazioni che scattano in caso di perdita del lavoro del soggetto beneficiario del mutuo. Ecco un'analisi recente indica che le condizioni assicurative offerte dalle banche in questo caso sono di molto più svantaggiose rispetto a quelle che un normale privato potrebbe stipulare exnovo.Si tratta di un tema delicato e controverso dove il diritto alla trasparenza del cittadino rischia di essere leso dagli istituti bancari e dove l'Iban dovrebbe megio vigilare ed intervenire.
Ecco il nuovo ISEE e il nuovo redditometro.
di Roberta Perez
Il Ministero dirama i nuovi modelli e criteri per il reddito.
Da ieri è diventato realtà il nuovo Isee (Indicatore della situazione economica equivalente), lo strumento che permetterà di ottenere in maniera precisa e corretta la condizione economica di ciascun cittadino italiano. Il nuovo decreto infatti contiene una particolare definizione di reddito,inserendo nelle somme da calcolare per il dato finale anche i redditi tassati con regimi sostitutivi o con ritenuta a titolo di imposta; tutti i redditi esenti e di riflesso i vari trasferimenti monetari ottenuti dalla P.A.; i redditi che rappresentano gli immobili non locati e le attività mobiliari. E' stata inserita la possibilità di elaborare un Isee 'corrente' e qundi più attuale nella circostanza in cui si verifichino cambiamenti del reddito oltre la soglia del 25% causati da risoluzione, sospensione o riduzione dell'attività lavorativa dei lavoratori a tempo indeterminato; oppure in caso di non rinnovo del contratto a tempo determinato o atipico; o anche di cessazione di attività per lavoratori autonomi.
Dal dato finale da cui poi si otterrà il reddito dovranno essere scorporati: assegni di mantenimento, quota del 20% (fino a 3.000 euro) dei redditi da lavoro dipendente, quota del 20% (fino a 1.000 euro) di pensioni e indennità, affitti di immobili (fino a 7.000 euro l'anno, con aumento di 500 euro per ogni figlio convivente successivo al secondo), spese sostenute da soggetti disabili o non autosufficienti.Per i nuclei familiari con tre o più figli arriva un aumento delle franchigie per ogni figlio successivo al secondo: senza dimenticare le 500 euro per la deduzione dell’affitto, i 2.500 euro per la deduzione sulla prima casa e 1.000 euro per il patrimonio mobiliare. Il decreto ha però inserito specifici aumenti nella scala di equivalenza (fino a 0,5 punti in più) in caso di più di 3 figli, presenza di minori con entrambi i genitori che lavorano e nuclei monogenitoriali. Per ciò che attiene alla portata in termini fiscali della casa nel calcolo del reddito, è stabilito che il reale valore degli immobili venga rivalutato a fini Imu,diminuisce la franchigia sulla spettanza mobiliare e viene preso in considerazione il patrimonio all’estero.
Inoltre, è importante affermare che nel patrimonio viene ad avere un peso ai fini di calcolo solo il valore della casa che eccede il valore del mutuo ancora esistente.Il nuovo Isee permetterà un forte e diretto abbattimento del reddito della famiglia in cui è presente una persona con disabilità media (4.000 euro), grave (5.500), non autosufficiente (7000 euro) e sarà sempre ammissibile la deduzione delle spese certificate per le colf e gli addetti all’assistenza personale, le rette per il ricovero presso strutture residenziali, spese (fino a 5.000 euro) per spese relative alla situazione di disabilità.Il nuovo Isee inoltre stabilisce che per ottenere l'accesso a prestazioni per i bambini, andrà ad essere valutata la condizione economica di entrambi i genitori: ad esempio se vi è un genitore non coniugato e non convivente, che abbia riconosciuto il figlio, egli sarà parte del nucleo familiare del figlio anche se in possesso di un’altra residenza anagrafica.
Da ieri è diventato realtà il nuovo Isee (Indicatore della situazione economica equivalente), lo strumento che permetterà di ottenere in maniera precisa e corretta la condizione economica di ciascun cittadino italiano. Il nuovo decreto infatti contiene una particolare definizione di reddito,inserendo nelle somme da calcolare per il dato finale anche i redditi tassati con regimi sostitutivi o con ritenuta a titolo di imposta; tutti i redditi esenti e di riflesso i vari trasferimenti monetari ottenuti dalla P.A.; i redditi che rappresentano gli immobili non locati e le attività mobiliari. E' stata inserita la possibilità di elaborare un Isee 'corrente' e qundi più attuale nella circostanza in cui si verifichino cambiamenti del reddito oltre la soglia del 25% causati da risoluzione, sospensione o riduzione dell'attività lavorativa dei lavoratori a tempo indeterminato; oppure in caso di non rinnovo del contratto a tempo determinato o atipico; o anche di cessazione di attività per lavoratori autonomi.
Dal dato finale da cui poi si otterrà il reddito dovranno essere scorporati: assegni di mantenimento, quota del 20% (fino a 3.000 euro) dei redditi da lavoro dipendente, quota del 20% (fino a 1.000 euro) di pensioni e indennità, affitti di immobili (fino a 7.000 euro l'anno, con aumento di 500 euro per ogni figlio convivente successivo al secondo), spese sostenute da soggetti disabili o non autosufficienti.Per i nuclei familiari con tre o più figli arriva un aumento delle franchigie per ogni figlio successivo al secondo: senza dimenticare le 500 euro per la deduzione dell’affitto, i 2.500 euro per la deduzione sulla prima casa e 1.000 euro per il patrimonio mobiliare. Il decreto ha però inserito specifici aumenti nella scala di equivalenza (fino a 0,5 punti in più) in caso di più di 3 figli, presenza di minori con entrambi i genitori che lavorano e nuclei monogenitoriali. Per ciò che attiene alla portata in termini fiscali della casa nel calcolo del reddito, è stabilito che il reale valore degli immobili venga rivalutato a fini Imu,diminuisce la franchigia sulla spettanza mobiliare e viene preso in considerazione il patrimonio all’estero.
Inoltre, è importante affermare che nel patrimonio viene ad avere un peso ai fini di calcolo solo il valore della casa che eccede il valore del mutuo ancora esistente.Il nuovo Isee permetterà un forte e diretto abbattimento del reddito della famiglia in cui è presente una persona con disabilità media (4.000 euro), grave (5.500), non autosufficiente (7000 euro) e sarà sempre ammissibile la deduzione delle spese certificate per le colf e gli addetti all’assistenza personale, le rette per il ricovero presso strutture residenziali, spese (fino a 5.000 euro) per spese relative alla situazione di disabilità.Il nuovo Isee inoltre stabilisce che per ottenere l'accesso a prestazioni per i bambini, andrà ad essere valutata la condizione economica di entrambi i genitori: ad esempio se vi è un genitore non coniugato e non convivente, che abbia riconosciuto il figlio, egli sarà parte del nucleo familiare del figlio anche se in possesso di un’altra residenza anagrafica.
Credit Crunch.Vero problema per la crescita.
di Roberta Perez
Chiuse le casse del credito l'economia stenta a decollare.
Il vero fenomeno che spaventa ogni governo ed organo di economia è il credit crunch,unico fenomeno che potrebbe da solo davvero impedire una forte e significativa ripresa finanziaria dopo la grave crisi cominciata nel 2008.Quando si parla di credit crunh si parla di un sostanziale e significativo calo delle offerte di credito che di solito si verifica dopo le grosse fasi espansive.Di norma tutto parte dalle banche centrali che al fine di frenare l'inflazione aumentano i tassi d'interesse,con la conseguenza che anche le banche commerciali alzano il loro tasso,rendendo poco conveniente il credito.E' ciò che si teme in questo 2014 poichè i dati dell'Osservatorio sul credito alle imprese sono chiari.Nel terzo trimestre dell'anno sono aumentate le imprese che non riescono a soddisfare il loro bisogno finanziario e moltissime sono state le richieste di finanziamento industriale respinte dagli istituti di credito.
Se nel 2012 erano il 25% le domande respinte ora in questo 2013 la quota è salita al 30%.Un contesto di evidente difficoltà che spesso scoraggia le stesse imprese nell'azzardare piani e strategie di sviluppo industriale.In questo anno che volge al termine il dato delle aziende ricorse alle banche si è dimezzata passando dal 20% al 10% e di quel dieci solo il 6% risulta effettivamente finanziato.Il forte peggioramento riguarda tutti gli indici creditizi sia i tassi di interesse,sia il costo dei servizi bancari, sia la durata del credito e delle varie condizioni e garanzie contrattuali.Come da copione il tipo di imprese maggiormente afflitte sono le piccole e medie aziende di solito con meno di 30 dipendenti; facendo invece una mappa del problema,il territorio più ricco di problematiche risulta la Calabria,seguita a pochissima distanza da Campania e Puglia.Al contrario invece una sorta di dato in controtendenza si registra in Trentino ed Emilia Romagna dove il denaro sembra costare di meno rispetto alle altre zone della penisola.
Un discorso particolare meritano poi le imprese manifatturiere ed artigiane,vera locomotiva trainante del made in Italy nel mondo.Il cosiddetto stock di finanziamento è anche in questo 2013 fortemente diminuito arrivando al solo 5% delle richieste presentate,davvero un dato drammatico,per una somma complessiva di appena 52,5 milioni.Il grido d'allarme di Confcommercio è forte e chiaro: gli incredibili peggioramenti delle clausole di concessione ed erogazione del credito alle imprese da parte del sistema bancario italiano,così come si evince dai dati raccolti,evidenzia la situazione oramai insostenibile del "credit crunch" che come al solito penalizza enormemente le aziende italiane falsando la concorrenza europea; in particolare le imprese minori e del centro-sud,che più avrebbero bisogno di finanziamenti vedono drasticamente ridotte le loro speranze di crescita ed investimento.Solo invertendo questo dato il paese potrà rimettersi in moto e sperare di iniziare una fase nuova di ripresa economica nel 2014.
Il vero fenomeno che spaventa ogni governo ed organo di economia è il credit crunch,unico fenomeno che potrebbe da solo davvero impedire una forte e significativa ripresa finanziaria dopo la grave crisi cominciata nel 2008.Quando si parla di credit crunh si parla di un sostanziale e significativo calo delle offerte di credito che di solito si verifica dopo le grosse fasi espansive.Di norma tutto parte dalle banche centrali che al fine di frenare l'inflazione aumentano i tassi d'interesse,con la conseguenza che anche le banche commerciali alzano il loro tasso,rendendo poco conveniente il credito.E' ciò che si teme in questo 2014 poichè i dati dell'Osservatorio sul credito alle imprese sono chiari.Nel terzo trimestre dell'anno sono aumentate le imprese che non riescono a soddisfare il loro bisogno finanziario e moltissime sono state le richieste di finanziamento industriale respinte dagli istituti di credito.
Se nel 2012 erano il 25% le domande respinte ora in questo 2013 la quota è salita al 30%.Un contesto di evidente difficoltà che spesso scoraggia le stesse imprese nell'azzardare piani e strategie di sviluppo industriale.In questo anno che volge al termine il dato delle aziende ricorse alle banche si è dimezzata passando dal 20% al 10% e di quel dieci solo il 6% risulta effettivamente finanziato.Il forte peggioramento riguarda tutti gli indici creditizi sia i tassi di interesse,sia il costo dei servizi bancari, sia la durata del credito e delle varie condizioni e garanzie contrattuali.Come da copione il tipo di imprese maggiormente afflitte sono le piccole e medie aziende di solito con meno di 30 dipendenti; facendo invece una mappa del problema,il territorio più ricco di problematiche risulta la Calabria,seguita a pochissima distanza da Campania e Puglia.Al contrario invece una sorta di dato in controtendenza si registra in Trentino ed Emilia Romagna dove il denaro sembra costare di meno rispetto alle altre zone della penisola.
Un discorso particolare meritano poi le imprese manifatturiere ed artigiane,vera locomotiva trainante del made in Italy nel mondo.Il cosiddetto stock di finanziamento è anche in questo 2013 fortemente diminuito arrivando al solo 5% delle richieste presentate,davvero un dato drammatico,per una somma complessiva di appena 52,5 milioni.Il grido d'allarme di Confcommercio è forte e chiaro: gli incredibili peggioramenti delle clausole di concessione ed erogazione del credito alle imprese da parte del sistema bancario italiano,così come si evince dai dati raccolti,evidenzia la situazione oramai insostenibile del "credit crunch" che come al solito penalizza enormemente le aziende italiane falsando la concorrenza europea; in particolare le imprese minori e del centro-sud,che più avrebbero bisogno di finanziamenti vedono drasticamente ridotte le loro speranze di crescita ed investimento.Solo invertendo questo dato il paese potrà rimettersi in moto e sperare di iniziare una fase nuova di ripresa economica nel 2014.
Imu,seconda rata via.Ma le tasse vanno su.
di Roberta Perez
Abolita la tassa sulla casa.Però è caos sui fondi necessari
La decisione è stata presa.Il governo Letta ha finalmente scelto la cancellazione della seconda rata Imu come era stato stabilito all'atto di nascita del governo stesso.La componente del PDL infatti aveva fatto dell'eliminazione Imu la sua conditio sine qua non.Adesso si tratta si guardarsi intorno e scegliere le tecniche di copertura.Molte sono le ipotesi e alcune le certezze.Innanzittutto si paventa un aumento del 128% per il 2013 e del 127% nel 2014 dell'acconto Ires per banche e assicurazioni, oltre anche ad un cospicuo aumento delle accise su carburanti a partire dal 2015. Questo almeno è quello che emergerebbe dalle segrete stanze e in parte quello che si legge nella bozza del decreto legge sulla stabilità.Rifacendoci quindi agli acconti dell'imposta sull'Ires, la bozza evidenzia con chiarezza che c'è già stato un aumento dal 100 al 101% per le società.
Soprattutto per ciò che attiene al risparmio gestito.Bisogna poi comunque ricordare che i soggetti che applicano l'imposta sostitutiva sono obbligati entro il 20 dicembre di ogni anno, al versamento di un importo, a titolo di acconto, pari al 100% dell'ammontare totale delle somme dovute nella prima parte del medesimo anno.Come detto si paventano forti rincari anche sul fronte delle accise su benzina e gasolio, che dovrebbero garantire al Tesoro maggiori entrate nette non inferiori ad un miliardo e mezzo di euro per l'anno 2015 ed a 42,2 milioni di euro per l'anno 2016.Il decreto che dovrà essere approvato poi contiene una particolare norma interpretativa sugli acconti di Irpef e Ires nella situazione in cui i cittadini decidano di fare il calcolo previsionale. Nello specifico è indicato che l'importo versato non dovrà essere inferiore al 100% dell'imposta che deve essere per legge versata in base alla dichiarazione dei redditi: questo in termini pratici porta ad un beneficio solo parziale ma perlomeno evita una specie di prestito forzoso che lo stato richiedeva al contribuente.
Facendo una sorta di valutazione globale se da un lato lo Stato abolisce la seconda rata Imu alla fine però sembra che a pagare gli effetti dannosi di questa novità saranno come quasi sempre le imprese. Aumenti di acconti Irap e Ires per le aziende fino al 116%, aumento accise su gasolio e benzina,tutte dinamiche che aggravano il peso fiscale sugli operatori economici che invece andrebbero sostenuti per aiutarli a salire sul treno della ripresa che in questo 2014 dovrebbe giungere.Una scelta quindi forse azzardata e anche leggermente assurda. Una manovra che punisce l'industria invece di incentivarla è una manovra senz'altro errata e mal ideata.La speranza è che le imprese come al solito,siano più pratiche e lungimiranti dei politici e degli esperti economici e riescano ad inserirsi nei percorsi di crescita economica che in questi anni dovrebbero investire le economie europee.Nonostante gli esperti e le tasse.
La decisione è stata presa.Il governo Letta ha finalmente scelto la cancellazione della seconda rata Imu come era stato stabilito all'atto di nascita del governo stesso.La componente del PDL infatti aveva fatto dell'eliminazione Imu la sua conditio sine qua non.Adesso si tratta si guardarsi intorno e scegliere le tecniche di copertura.Molte sono le ipotesi e alcune le certezze.Innanzittutto si paventa un aumento del 128% per il 2013 e del 127% nel 2014 dell'acconto Ires per banche e assicurazioni, oltre anche ad un cospicuo aumento delle accise su carburanti a partire dal 2015. Questo almeno è quello che emergerebbe dalle segrete stanze e in parte quello che si legge nella bozza del decreto legge sulla stabilità.Rifacendoci quindi agli acconti dell'imposta sull'Ires, la bozza evidenzia con chiarezza che c'è già stato un aumento dal 100 al 101% per le società.
Soprattutto per ciò che attiene al risparmio gestito.Bisogna poi comunque ricordare che i soggetti che applicano l'imposta sostitutiva sono obbligati entro il 20 dicembre di ogni anno, al versamento di un importo, a titolo di acconto, pari al 100% dell'ammontare totale delle somme dovute nella prima parte del medesimo anno.Come detto si paventano forti rincari anche sul fronte delle accise su benzina e gasolio, che dovrebbero garantire al Tesoro maggiori entrate nette non inferiori ad un miliardo e mezzo di euro per l'anno 2015 ed a 42,2 milioni di euro per l'anno 2016.Il decreto che dovrà essere approvato poi contiene una particolare norma interpretativa sugli acconti di Irpef e Ires nella situazione in cui i cittadini decidano di fare il calcolo previsionale. Nello specifico è indicato che l'importo versato non dovrà essere inferiore al 100% dell'imposta che deve essere per legge versata in base alla dichiarazione dei redditi: questo in termini pratici porta ad un beneficio solo parziale ma perlomeno evita una specie di prestito forzoso che lo stato richiedeva al contribuente.
Facendo una sorta di valutazione globale se da un lato lo Stato abolisce la seconda rata Imu alla fine però sembra che a pagare gli effetti dannosi di questa novità saranno come quasi sempre le imprese. Aumenti di acconti Irap e Ires per le aziende fino al 116%, aumento accise su gasolio e benzina,tutte dinamiche che aggravano il peso fiscale sugli operatori economici che invece andrebbero sostenuti per aiutarli a salire sul treno della ripresa che in questo 2014 dovrebbe giungere.Una scelta quindi forse azzardata e anche leggermente assurda. Una manovra che punisce l'industria invece di incentivarla è una manovra senz'altro errata e mal ideata.La speranza è che le imprese come al solito,siano più pratiche e lungimiranti dei politici e degli esperti economici e riescano ad inserirsi nei percorsi di crescita economica che in questi anni dovrebbero investire le economie europee.Nonostante gli esperti e le tasse.
La BCE.Composizione e competenze.
di Roberta Perez
Come funziona la più importante istituzione economica europea.
Una particolare ed importante istituzione di cui sentiamo spesso parlare è la Banca centrale europea (BCE).Ma come nasce questo istituto e quali sono le sue funzioni e le competenze? Facciamo un minimo di chiarezza.La BCE è stata istituita il 1º giugno 1998. Possiede una specifica personalità giuridica e gode di un'indipendenza assoluta rispetto alle istituzioni nazionali ed europee. Essa nasce allo scopo di garantire il corretto funzionamento dell'unione economica e monetaria, occupandosi dell'intera direzione del Sistema europeo di banche centrali (SEBC). Questi sistema sorto con il Trattato UE del 2001 ha lo scopo dichiarato di mantenere la stabilità dei prezzi, mediante la definizione della politica monetaria dell’Unione.Al Trattato UE gli Stati membri allegarono uno specifico protocollo d'intesa nel quale era sottolineato non solo il funzionamento dell'unione monetaria della UE ma veniva evidenziata la base giuridica della BCE nonché del SEBC.Il Sistema europeo di banche centrali (SEBC) è formato dalla Banca centrale europea e delle banche centrali dei singoli Stati membri. Anche in questo caso,lo scopo dell'istituzione è il mantenimento della stabilità dei prezzi all’interno dell’UE. Riguardo a questi temi infatti le funzioni tipiche previste dalla legge a carico del SEBC sono: delineare e dare attuazione alla politica monetaria dell’Unione;compiere operazioni sui cambi dell’euro nei confronti delle valute nazionali;custodire e avere in gestione le riserve ufficiali in valuta estera degli Stati membri;garantire il regolare funzionamento dei sistemi di pagamento.
Ma veniamo all'organo principale del sistema monetario europeo,ossia la BCE.Essa è governata da tre organi: il consiglio direttivo che è formato dai membri del comitato esecutivo e dai governatori delle varie banche centrali nazionali degli Stati membri che hanno deciso di aderire alla moneta unica. Il consiglio direttivo è il più importante organo decisionale della BCE e si occupa di approvare gli orientamenti e le decisioni fondamentali all'assolvimento dei compiti della BCE. Obiettivo basilare dell'organo è determinare in primis la politica monetaria della zona dell'euro. Proprio per meglio compiere ciò il consiglio direttivo è autorizzato a stabilire il tasso d'interesse al quale le banche nazionali possono ottenere prestiti presso la rispettiva banca centrale; poi abbiamo il comitato esecutivo.Quest'organo è formato dal presidente e il vicepresidente della BCE, e quattro ulteriori membri. I membri del comitato direttivo vengono direttamente nominati dal Consiglio europeo. Il comitato esecutivo applica in concreto la politica monetaria definita dal consiglio direttivo. Nello specifico impone le fondamentali istruzioni alle banche centrali nazionali.Esso inoltre prepara le riunioni del consiglio direttivo e si occupa dell'amministrazione delle competenze ordinarie della BCE; abbiamo infine il consiglio generale.Quest'organo è composto dal presidente e dal vicepresidente della BCE e dai vari governatori delle banche centrali degli Stati membri dell'Unione. Si occupa quindi di riunire i governatori delle banche centrali degli Stati membri della "zona euro" e anche di quelli che non hanno adottato ancora la moneta unica.E' ritenuto il terzo organo decisionale della BCE anche se all'atto pratico la forza decisionale di quest'organo è molto limitata dalla presenza del Consiglio e del Comitato Esecutivo.I suoi compiti sono coadiuvare l'espletamento delle funzioni consultive della BCE, analizzare le informazioni statistiche, elaborare i pareri e i rapporti della BCE.
Se ci concentriamo sulla BCE intesa come istituzione comunitaria allora è importante sottolineare che la sua funzione principale è quella di assicurare i compiti attribuiti al SEBC. Essa svolge un'attività in concerto con le banche centrali nazionali degli Stati membri. Detto ciò però è importante evidenziare che è la BCE che approva le condizioni alle quali le banche centrali nazionali sono autorizzate a intervenire.Nello specifico,volendo schematizzare,il grade potere della BCE si manifesta nelle funzioni monetarie ovvero: potere esclusivo di emissione di banconote e monete: la BCE e solo essa ha il diritto di autorizzare l'emissione di banconote nella "zona euro". In casi particolari gli Stati membri possono emettere monete, ma la BCE deve autorizzarne nello specifico il motivo ed i precisi quantitativi.Si occupa inoltre di operazioni di credito con istituti di credito o altri operatori di mercato; di imposizione agli istituti di credito stabiliti negli Stati membri di costituire riserve obbligatorie minime presso la BCE o le banche centrali nazionali; si occupa di approvare i regolamenti per assicurare sistemi di pagamento e di compensazione efficienti e affidabili.L'unico organo che controlla l'attività della BCE è la Corte di giustizia dell’Unione europea che garantisce la supervisione giuridica degli atti o delle omissioni della BCE. A livello di giurisdizione nazionale, i tribunali degli Stati membri sono competenti ai fini della costituzione delle controversie tra la BCE e i relativi creditori, o anche debitori o qualsivoglia persona terza che leda la lesione di un proprio diritto.
Una particolare ed importante istituzione di cui sentiamo spesso parlare è la Banca centrale europea (BCE).Ma come nasce questo istituto e quali sono le sue funzioni e le competenze? Facciamo un minimo di chiarezza.La BCE è stata istituita il 1º giugno 1998. Possiede una specifica personalità giuridica e gode di un'indipendenza assoluta rispetto alle istituzioni nazionali ed europee. Essa nasce allo scopo di garantire il corretto funzionamento dell'unione economica e monetaria, occupandosi dell'intera direzione del Sistema europeo di banche centrali (SEBC). Questi sistema sorto con il Trattato UE del 2001 ha lo scopo dichiarato di mantenere la stabilità dei prezzi, mediante la definizione della politica monetaria dell’Unione.Al Trattato UE gli Stati membri allegarono uno specifico protocollo d'intesa nel quale era sottolineato non solo il funzionamento dell'unione monetaria della UE ma veniva evidenziata la base giuridica della BCE nonché del SEBC.Il Sistema europeo di banche centrali (SEBC) è formato dalla Banca centrale europea e delle banche centrali dei singoli Stati membri. Anche in questo caso,lo scopo dell'istituzione è il mantenimento della stabilità dei prezzi all’interno dell’UE. Riguardo a questi temi infatti le funzioni tipiche previste dalla legge a carico del SEBC sono: delineare e dare attuazione alla politica monetaria dell’Unione;compiere operazioni sui cambi dell’euro nei confronti delle valute nazionali;custodire e avere in gestione le riserve ufficiali in valuta estera degli Stati membri;garantire il regolare funzionamento dei sistemi di pagamento.
Ma veniamo all'organo principale del sistema monetario europeo,ossia la BCE.Essa è governata da tre organi: il consiglio direttivo che è formato dai membri del comitato esecutivo e dai governatori delle varie banche centrali nazionali degli Stati membri che hanno deciso di aderire alla moneta unica. Il consiglio direttivo è il più importante organo decisionale della BCE e si occupa di approvare gli orientamenti e le decisioni fondamentali all'assolvimento dei compiti della BCE. Obiettivo basilare dell'organo è determinare in primis la politica monetaria della zona dell'euro. Proprio per meglio compiere ciò il consiglio direttivo è autorizzato a stabilire il tasso d'interesse al quale le banche nazionali possono ottenere prestiti presso la rispettiva banca centrale; poi abbiamo il comitato esecutivo.Quest'organo è formato dal presidente e il vicepresidente della BCE, e quattro ulteriori membri. I membri del comitato direttivo vengono direttamente nominati dal Consiglio europeo. Il comitato esecutivo applica in concreto la politica monetaria definita dal consiglio direttivo. Nello specifico impone le fondamentali istruzioni alle banche centrali nazionali.Esso inoltre prepara le riunioni del consiglio direttivo e si occupa dell'amministrazione delle competenze ordinarie della BCE; abbiamo infine il consiglio generale.Quest'organo è composto dal presidente e dal vicepresidente della BCE e dai vari governatori delle banche centrali degli Stati membri dell'Unione. Si occupa quindi di riunire i governatori delle banche centrali degli Stati membri della "zona euro" e anche di quelli che non hanno adottato ancora la moneta unica.E' ritenuto il terzo organo decisionale della BCE anche se all'atto pratico la forza decisionale di quest'organo è molto limitata dalla presenza del Consiglio e del Comitato Esecutivo.I suoi compiti sono coadiuvare l'espletamento delle funzioni consultive della BCE, analizzare le informazioni statistiche, elaborare i pareri e i rapporti della BCE.
Se ci concentriamo sulla BCE intesa come istituzione comunitaria allora è importante sottolineare che la sua funzione principale è quella di assicurare i compiti attribuiti al SEBC. Essa svolge un'attività in concerto con le banche centrali nazionali degli Stati membri. Detto ciò però è importante evidenziare che è la BCE che approva le condizioni alle quali le banche centrali nazionali sono autorizzate a intervenire.Nello specifico,volendo schematizzare,il grade potere della BCE si manifesta nelle funzioni monetarie ovvero: potere esclusivo di emissione di banconote e monete: la BCE e solo essa ha il diritto di autorizzare l'emissione di banconote nella "zona euro". In casi particolari gli Stati membri possono emettere monete, ma la BCE deve autorizzarne nello specifico il motivo ed i precisi quantitativi.Si occupa inoltre di operazioni di credito con istituti di credito o altri operatori di mercato; di imposizione agli istituti di credito stabiliti negli Stati membri di costituire riserve obbligatorie minime presso la BCE o le banche centrali nazionali; si occupa di approvare i regolamenti per assicurare sistemi di pagamento e di compensazione efficienti e affidabili.L'unico organo che controlla l'attività della BCE è la Corte di giustizia dell’Unione europea che garantisce la supervisione giuridica degli atti o delle omissioni della BCE. A livello di giurisdizione nazionale, i tribunali degli Stati membri sono competenti ai fini della costituzione delle controversie tra la BCE e i relativi creditori, o anche debitori o qualsivoglia persona terza che leda la lesione di un proprio diritto.
Agenzie di rating.Caratteristiche e funzioni.
di Roberta Perez
Viaggio nel particolare mondo delle Agenzie del rating.
Questo articolo può essere l'occasione per fare chiarezza su un argomento molto discusso e di cui spesso si sente parlare senza comprendere però fino in fondo ciò di cui si parla.Mi riferisco alle agenzie di rating,al loro funzionamento,al loro scopo e alle problematiche sorte di recente in relazione alla loro governance, cercando di fornire una chiave di interpretazione diversa.Porrò una serie di domande con relative risposte,si spera esaurienti,con il fine di togliere dubbi a chi legge e dare così un punto di vista globale sull’argomento.
Cos'è un' Agenzia di Rating?
L'Agenzia di Rating è una società indipendente che elabora informazioni ed emet<te giudizi tecnici riguardo alla solvibilità di imprese e Stati ed esprime opinioni sulla sostenibilità del debito di cui essi sono caratterizzati.Le più note ed anche influenti sono le cosiddette “tre sorelle americane”, Fitch Ratings, Moody’s e Standard&Poor’s.
Perché devono essere indipendenti?
È davvero basilare che si tratti di società indipendenti poichè il loro parere tecnico su imprese/Stati deve essere incentrato solo su elementi di logica razionale ed analitica, e per tale ragione non debbono sussistere dubbi nè tantomeno circostanze di collegamento o sudditanza delle agenzie nei confronti delle società o degli stati oggetto dell'analisi.
Come si garantisce questa indipendenza?
Tale natura indipendente delle agenzie la si garantisce rendendole delle vere istituzioni private, che quindi di base non dovrebbero essere portatrici di interessi tesi a favorire una deteminata società rispetto ad un'altra o un determinato stato invece che un altro.
Sono realmente utili?
Le Agenzie di Rating posseggono certamente una funzione utile ed importante nell'ambito dei mercati internazionali, specialmente nei confronti di investitori di media/piccola dimensione, che non posseggono nè risorse nè competenze tali da ottenere informazioni necessarie per poter investire in modo corretto e trasparente. Senza le Agenzie di Rating, si rischierebbe quindi di obbligare tali investitori ad operare alla cieca,con grande rischio di perdere i loro capitali.Si rischierebbe di avere un mercato dove c’è così tanta asimmetria informativa da premiare solo i grandi investitori,fagocitando senza scrupoli i capitali dei piccoli e medi risparmiatori.Si tratta quindi di uno scopo,quello delle agenzie,lodevole e di grande utilità sociale.
Come si decide il rating (AAA, AA+, ecc.)?
Il rating può essere definito come il voto,il giudizio che l'agenzia da ad un’impresa/Stato in relazione alla quantità di debiti e alla capacità di far fronte ad essi. Più alto è il rating, più bassa è la probabilità di insolvenza.Se dalle analisi compiute l'Agenzia si accorge che esistono nuove problematiche che mettono in severo dubbio la sostenibilità del debito e/o la solvibilità dello Stato, l’Agenzia stessa ha l'obbligo istituzionale di informare il mercato. Se non lo facesse sistematicamente, nel lungo periodo verrebbe meno alla sua funzione e romperebbe il vincolo fiduciario con gli stessi investitori. Informare il mercato di un peggioramento delle condizioni è appunto lo scopo dell’Agenzia di Rating, ed è importante evidenziare che il giudizio di rating è conseguenza delle cattive condizioni di una società o Stato,non certo la causa come spesso si ritiene in modo errato. Se i mercati finanziari si comportano in un certo modo,isolando la società o lo stato con rating negativo,non è per ritorsione ma semplicemente perchè prima non erano a conoscenza di tali informazioni che l’Agenzia ha fornito loro per tutelare la trasparenza del mercato stesso.
Come sopravvivono le Agenzie?
Le Agenzie di Rating paradossalmente sono finanziate dalle stesse imprese/Stati che vengono giudicate,le quali sulla base di specifici accordi chiedono esplicitamente alle agenzie di emettere giudizi e pareri tecnici sui loro titoli di debito. Quindi, tornando al discorso della fiducia, se le Agenzie non svolgono correttamente il loro scopo,le società stesse o gli Stati stessi non avrebbero più interesse a far certificare i loro titoli (perché sarebbe inutile) e per tale motivo sarebbe inutile la loro presenza o attività. Questo sistema reciproco fa si che le Agenzie non siano subordinate alle imprese che le finanziano ma mantengano indipendenza poichè è il mercato e la fiducia degli investitori l'unica cosa che deve essere tutelata e sempre garantita.Negli anni scorsi è capitato che il debito italiano e anche quello di altri paesi come Francia e Spagna sia stato declassato ma questo non ha prodotto effetti considerevoli sui tassi di interesse. Questo perché il mercato stesso era già a conoscenza della situazione e anzi forse considerava il debito di tali stati anche peggiore del rating attribuito.Quindi il giudizio delle Agenzie ripetiamo,non è la causa della situazione deficitaria di uno Stato o di un'impresa ma ne è semplicemente un effetto,una sorta di certificazione necessarria per dare trasparenza all'intero mercato finanziario.
Questo articolo può essere l'occasione per fare chiarezza su un argomento molto discusso e di cui spesso si sente parlare senza comprendere però fino in fondo ciò di cui si parla.Mi riferisco alle agenzie di rating,al loro funzionamento,al loro scopo e alle problematiche sorte di recente in relazione alla loro governance, cercando di fornire una chiave di interpretazione diversa.Porrò una serie di domande con relative risposte,si spera esaurienti,con il fine di togliere dubbi a chi legge e dare così un punto di vista globale sull’argomento.
Cos'è un' Agenzia di Rating?
L'Agenzia di Rating è una società indipendente che elabora informazioni ed emet<te giudizi tecnici riguardo alla solvibilità di imprese e Stati ed esprime opinioni sulla sostenibilità del debito di cui essi sono caratterizzati.Le più note ed anche influenti sono le cosiddette “tre sorelle americane”, Fitch Ratings, Moody’s e Standard&Poor’s.
Perché devono essere indipendenti?
È davvero basilare che si tratti di società indipendenti poichè il loro parere tecnico su imprese/Stati deve essere incentrato solo su elementi di logica razionale ed analitica, e per tale ragione non debbono sussistere dubbi nè tantomeno circostanze di collegamento o sudditanza delle agenzie nei confronti delle società o degli stati oggetto dell'analisi.
Come si garantisce questa indipendenza?
Tale natura indipendente delle agenzie la si garantisce rendendole delle vere istituzioni private, che quindi di base non dovrebbero essere portatrici di interessi tesi a favorire una deteminata società rispetto ad un'altra o un determinato stato invece che un altro.
Sono realmente utili?
Le Agenzie di Rating posseggono certamente una funzione utile ed importante nell'ambito dei mercati internazionali, specialmente nei confronti di investitori di media/piccola dimensione, che non posseggono nè risorse nè competenze tali da ottenere informazioni necessarie per poter investire in modo corretto e trasparente. Senza le Agenzie di Rating, si rischierebbe quindi di obbligare tali investitori ad operare alla cieca,con grande rischio di perdere i loro capitali.Si rischierebbe di avere un mercato dove c’è così tanta asimmetria informativa da premiare solo i grandi investitori,fagocitando senza scrupoli i capitali dei piccoli e medi risparmiatori.Si tratta quindi di uno scopo,quello delle agenzie,lodevole e di grande utilità sociale.
Come si decide il rating (AAA, AA+, ecc.)?
Il rating può essere definito come il voto,il giudizio che l'agenzia da ad un’impresa/Stato in relazione alla quantità di debiti e alla capacità di far fronte ad essi. Più alto è il rating, più bassa è la probabilità di insolvenza.Se dalle analisi compiute l'Agenzia si accorge che esistono nuove problematiche che mettono in severo dubbio la sostenibilità del debito e/o la solvibilità dello Stato, l’Agenzia stessa ha l'obbligo istituzionale di informare il mercato. Se non lo facesse sistematicamente, nel lungo periodo verrebbe meno alla sua funzione e romperebbe il vincolo fiduciario con gli stessi investitori. Informare il mercato di un peggioramento delle condizioni è appunto lo scopo dell’Agenzia di Rating, ed è importante evidenziare che il giudizio di rating è conseguenza delle cattive condizioni di una società o Stato,non certo la causa come spesso si ritiene in modo errato. Se i mercati finanziari si comportano in un certo modo,isolando la società o lo stato con rating negativo,non è per ritorsione ma semplicemente perchè prima non erano a conoscenza di tali informazioni che l’Agenzia ha fornito loro per tutelare la trasparenza del mercato stesso.
Come sopravvivono le Agenzie?
Le Agenzie di Rating paradossalmente sono finanziate dalle stesse imprese/Stati che vengono giudicate,le quali sulla base di specifici accordi chiedono esplicitamente alle agenzie di emettere giudizi e pareri tecnici sui loro titoli di debito. Quindi, tornando al discorso della fiducia, se le Agenzie non svolgono correttamente il loro scopo,le società stesse o gli Stati stessi non avrebbero più interesse a far certificare i loro titoli (perché sarebbe inutile) e per tale motivo sarebbe inutile la loro presenza o attività. Questo sistema reciproco fa si che le Agenzie non siano subordinate alle imprese che le finanziano ma mantengano indipendenza poichè è il mercato e la fiducia degli investitori l'unica cosa che deve essere tutelata e sempre garantita.Negli anni scorsi è capitato che il debito italiano e anche quello di altri paesi come Francia e Spagna sia stato declassato ma questo non ha prodotto effetti considerevoli sui tassi di interesse. Questo perché il mercato stesso era già a conoscenza della situazione e anzi forse considerava il debito di tali stati anche peggiore del rating attribuito.Quindi il giudizio delle Agenzie ripetiamo,non è la causa della situazione deficitaria di uno Stato o di un'impresa ma ne è semplicemente un effetto,una sorta di certificazione necessarria per dare trasparenza all'intero mercato finanziario.
Confusione sui dati Istat.A chi credere?
di Roberta Perez
Ministero ed Istat litigano sul futuro dell'economia.
Ieri con una certa apprensione ci sono giunti i dati Istat collegati alle stime di crescita del PIL per il biennio 2013-2014 e dire che siano dati negativi è un pallido eufemismo.Da subito però il ministro dell'economia Saccomanni ha messo in dubbio i metodi adoperati dall'Istituto Nazionale Statistica nell'operare le sue ipotesi di crescita.La sostanza però cambia poco perchè o il PIL non crescerà per nulla,come afferma l'Istat oppure di pochissimo come invece ipotizza Saccomanni.Seguedo lo schema macro-economotrico dell'Istat nel 2014 si stima un aumento del PIL dello 0,7 % cui però va collegato il dato del 2013 che a chiusura di bilancio a Dicembre dovrebbe portare un calo del 1,8%. Il Ministero dell’Economia fin da subito è apparso dubbioso sul dato soprattutto perchè già solo tre giorni orsono lo stesso Saccomanni aveva, dati alla mano,previsto per il nuovo anno un aumento di PIL almeno del 1,1%.Potrebbe sembrare una differenza minima ma nella sostanza c'è grande differenza. Secondo il titolare dell'Economia l'Istat sarebbe eccessivamente rigida nelle sue valutazioni senza tener conto anche del piano di riforme politiche attuato dal Governo il mese scorso,in particolare il progetto di rimborso dei debiti della pubblica amministrazione che sta procedendo da almeno due mesi in modo costante.
Sarebbero questi tutti fatti decisivi da tener in considerazione al momento di ipotizzare stime future di PIL. Fa però sorridere il fatto che dopo poche ore sia giunta la nota ufficiale dell'Istat nella quale si evidenzia il criterio metodologico applicato.Un criterio che terrebbe conto non solo del modello OGM,non solo delle variabili demografiche ma anche delle variabili di finanza pubblica contenute all’interno del Disegno di legge di stabilità rilasciato ad ottobre 2013.Seguendo questi metodi quindi il 2013 godrebbe del solo apporto positivo della domanda estera netta (+1,1 punti percentuali). Nel 2014 invece la crescita del Pil dovrebbe essere garantita sia dalla domanda interna al netto delle scorte (+0,4 punti percentuali) sia dalla domanda estera netta (+0,2 punti percentuali).Seguendo le indicazioni Istat poi la spesa delle famiglie italiane nel 2013 sarà caratterizzata da un -2,4%,però per il 2014, nonostante la variabile occupazionale sempre poco costante si ipotizza una crescita dei consumi dello 0,2%. Le privisioni fatte non solo hanno scontentato il Ministro dell'Economia ma paradossalmente anche l'Associazione dei Consumatori però nel senso opposto,ovvero si accusa l'Istat di diffondere tabelle e dati più positivi rispetto alla situazione drammatica dell'economia reale del paese.
Questi più lusinghieri del dovuto,afferma l'Associazione,potrebbero trarre in inganno il Governo e incentivarlo a credere che la crisi sia passata e quindi stoppare le riforme strutturali necessarie per l'economia nazionale.Al contrario invece sarebbe necessario che il Governo agisse con ancora più prontezza intervenendo in primis sull'incremento dell'Iva,oramai insostenibile e muoversi all’insegna dell’equità sul tema dei nuovi tributi in arrivo nel 2014. Ovvero in particolare in riferimento alla Trise,una sorta di simil-IMU che, in assenza di detrazioni sulla prima casa, produrrà una forte ricaduta sulle famiglie mono-reddito con residenza nelle urbane,quelle per intenderci,con rendite catastali più basse.
Ieri con una certa apprensione ci sono giunti i dati Istat collegati alle stime di crescita del PIL per il biennio 2013-2014 e dire che siano dati negativi è un pallido eufemismo.Da subito però il ministro dell'economia Saccomanni ha messo in dubbio i metodi adoperati dall'Istituto Nazionale Statistica nell'operare le sue ipotesi di crescita.La sostanza però cambia poco perchè o il PIL non crescerà per nulla,come afferma l'Istat oppure di pochissimo come invece ipotizza Saccomanni.Seguedo lo schema macro-economotrico dell'Istat nel 2014 si stima un aumento del PIL dello 0,7 % cui però va collegato il dato del 2013 che a chiusura di bilancio a Dicembre dovrebbe portare un calo del 1,8%. Il Ministero dell’Economia fin da subito è apparso dubbioso sul dato soprattutto perchè già solo tre giorni orsono lo stesso Saccomanni aveva, dati alla mano,previsto per il nuovo anno un aumento di PIL almeno del 1,1%.Potrebbe sembrare una differenza minima ma nella sostanza c'è grande differenza. Secondo il titolare dell'Economia l'Istat sarebbe eccessivamente rigida nelle sue valutazioni senza tener conto anche del piano di riforme politiche attuato dal Governo il mese scorso,in particolare il progetto di rimborso dei debiti della pubblica amministrazione che sta procedendo da almeno due mesi in modo costante.
Sarebbero questi tutti fatti decisivi da tener in considerazione al momento di ipotizzare stime future di PIL. Fa però sorridere il fatto che dopo poche ore sia giunta la nota ufficiale dell'Istat nella quale si evidenzia il criterio metodologico applicato.Un criterio che terrebbe conto non solo del modello OGM,non solo delle variabili demografiche ma anche delle variabili di finanza pubblica contenute all’interno del Disegno di legge di stabilità rilasciato ad ottobre 2013.Seguendo questi metodi quindi il 2013 godrebbe del solo apporto positivo della domanda estera netta (+1,1 punti percentuali). Nel 2014 invece la crescita del Pil dovrebbe essere garantita sia dalla domanda interna al netto delle scorte (+0,4 punti percentuali) sia dalla domanda estera netta (+0,2 punti percentuali).Seguendo le indicazioni Istat poi la spesa delle famiglie italiane nel 2013 sarà caratterizzata da un -2,4%,però per il 2014, nonostante la variabile occupazionale sempre poco costante si ipotizza una crescita dei consumi dello 0,2%. Le privisioni fatte non solo hanno scontentato il Ministro dell'Economia ma paradossalmente anche l'Associazione dei Consumatori però nel senso opposto,ovvero si accusa l'Istat di diffondere tabelle e dati più positivi rispetto alla situazione drammatica dell'economia reale del paese.
Questi più lusinghieri del dovuto,afferma l'Associazione,potrebbero trarre in inganno il Governo e incentivarlo a credere che la crisi sia passata e quindi stoppare le riforme strutturali necessarie per l'economia nazionale.Al contrario invece sarebbe necessario che il Governo agisse con ancora più prontezza intervenendo in primis sull'incremento dell'Iva,oramai insostenibile e muoversi all’insegna dell’equità sul tema dei nuovi tributi in arrivo nel 2014. Ovvero in particolare in riferimento alla Trise,una sorta di simil-IMU che, in assenza di detrazioni sulla prima casa, produrrà una forte ricaduta sulle famiglie mono-reddito con residenza nelle urbane,quelle per intenderci,con rendite catastali più basse.
Combattere il deficit con idee nuove.
di Roberta Perez
Riforme e cambiamenti per uscire dalla crisi.
Una delle cose che maggiormente spaventa le nostre istituzioni politiche e soprattutto economiche è il dato relativo al nostro debito pubblico. Una vera spada di Damocle che pende sul capo del nostro paese. Di recente le informazioni che giungono dagli organi europei preposti all’analisi dei deficit dei paesi membri dell’Unione ,non sono per nulla incoraggianti. Alcuni giorni orsono infatti l'Eurostat, l'Ufficio Statistico dell'Unione Europea, nel secondo trimestre del 2013 ha evidenziato che il debito pubblico italiano sul PIL ha raggiunto livelli record, sfondando il 133%. Stando così i dati quindi il nostro paese si collocherebbe tra i Paesi dell'Eurozona con il debito pubblico più alto, preceduto solo dalla Grecia, a quota 169%, e seguita da Portogallo (131) e Irlanda (125%). Nell’esatto momento in cui il debito pubblico aumenta spaventosamente, segnando un +3% rispetto ai primi tre mesi dell'anno, il PIL continua a non crescere, con il risultato non edificante che quest'anno saremo molto probabilmente esclusi dal G8, ovvero dal forum delle principali potenze (Stati Uniti, Giappone, Germania, Francia, Regno Unito, Canada, Russia) del pianeta terra.
Questa situazione particolare e deficitaria non è solo colpa nostra ma anche della stessa Bruxelles che, non soddisfatta, ha elaborato di recente un nuovo schema di spending review,che verrà esposto il prossimo 13 novembre,un nuovo piano di revisione molto drastico della spesa pubblica che conduca ad un reale risparmio di 10 miliardi di euro. L’idea non certo incoraggiante di questi ulteriori tagli e revisioni è giunta a seguito di lunghe riunione presso gli enti che gestiscono l’economia europea come la BCE, il Fondo Monetario Internazionale e la stessa Commissione Europea, insomma dalla cosiddetta Troika. Le politiche portate avanti fino ad ora diciamolo apertamente sono state disastrose; con quale speranza si può guardare al futuro del paese? Per riemergere da questa palude infinita ci vorrebbero coraggio e scelte azzardate. Si dovrebbero allontanare gli esperti del Fondo Monetario Internazionale e soprattutto compiere deroghe sul piano monetario con relativa modifica strutturale dei Trattati comunitari in campo economico.
Riassumendo la sovranità della moneta, si potrebbe ricapitalizzare senza "debito" le banche, dando all'economia reale un impulso forte e diretto e permettere così al PIL di tornare a crescere. Solo in questo modo si creerebbe una crescita economica vera, con susseguente abbassamento del tasso di disoccupazione e colpire duramente la recessione. L’Italia potrebbe farsi portavoce di altri stati membri in difficoltà come Grecia, Portogallo, Spagna e Irlanda e chiedere di tornare in possesso della propria moneta per creare una nuova valuta alternativa all'euro che, senza debito, finanzi l'economia reale, unica vera ricchezza di un Paese. Serve coraggio,servono idee chiare e i risultati saranno da subio evidenti perché le problematiche economiche sulla crescita partono proprio da lì. Potrebbe risorgere così una nuova Europa realmente al servizio dei popoli.
Una delle cose che maggiormente spaventa le nostre istituzioni politiche e soprattutto economiche è il dato relativo al nostro debito pubblico. Una vera spada di Damocle che pende sul capo del nostro paese. Di recente le informazioni che giungono dagli organi europei preposti all’analisi dei deficit dei paesi membri dell’Unione ,non sono per nulla incoraggianti. Alcuni giorni orsono infatti l'Eurostat, l'Ufficio Statistico dell'Unione Europea, nel secondo trimestre del 2013 ha evidenziato che il debito pubblico italiano sul PIL ha raggiunto livelli record, sfondando il 133%. Stando così i dati quindi il nostro paese si collocherebbe tra i Paesi dell'Eurozona con il debito pubblico più alto, preceduto solo dalla Grecia, a quota 169%, e seguita da Portogallo (131) e Irlanda (125%). Nell’esatto momento in cui il debito pubblico aumenta spaventosamente, segnando un +3% rispetto ai primi tre mesi dell'anno, il PIL continua a non crescere, con il risultato non edificante che quest'anno saremo molto probabilmente esclusi dal G8, ovvero dal forum delle principali potenze (Stati Uniti, Giappone, Germania, Francia, Regno Unito, Canada, Russia) del pianeta terra.
Questa situazione particolare e deficitaria non è solo colpa nostra ma anche della stessa Bruxelles che, non soddisfatta, ha elaborato di recente un nuovo schema di spending review,che verrà esposto il prossimo 13 novembre,un nuovo piano di revisione molto drastico della spesa pubblica che conduca ad un reale risparmio di 10 miliardi di euro. L’idea non certo incoraggiante di questi ulteriori tagli e revisioni è giunta a seguito di lunghe riunione presso gli enti che gestiscono l’economia europea come la BCE, il Fondo Monetario Internazionale e la stessa Commissione Europea, insomma dalla cosiddetta Troika. Le politiche portate avanti fino ad ora diciamolo apertamente sono state disastrose; con quale speranza si può guardare al futuro del paese? Per riemergere da questa palude infinita ci vorrebbero coraggio e scelte azzardate. Si dovrebbero allontanare gli esperti del Fondo Monetario Internazionale e soprattutto compiere deroghe sul piano monetario con relativa modifica strutturale dei Trattati comunitari in campo economico.
Riassumendo la sovranità della moneta, si potrebbe ricapitalizzare senza "debito" le banche, dando all'economia reale un impulso forte e diretto e permettere così al PIL di tornare a crescere. Solo in questo modo si creerebbe una crescita economica vera, con susseguente abbassamento del tasso di disoccupazione e colpire duramente la recessione. L’Italia potrebbe farsi portavoce di altri stati membri in difficoltà come Grecia, Portogallo, Spagna e Irlanda e chiedere di tornare in possesso della propria moneta per creare una nuova valuta alternativa all'euro che, senza debito, finanzi l'economia reale, unica vera ricchezza di un Paese. Serve coraggio,servono idee chiare e i risultati saranno da subio evidenti perché le problematiche economiche sulla crescita partono proprio da lì. Potrebbe risorgere così una nuova Europa realmente al servizio dei popoli.
Natura ed effetti della spesa pubblica.
di Roberta Perez
Natura ed effetti di una decisione economica fondamentale.
Il problema della spesa pubblica e gli effetti che un suo aumento o una sua diminuzione hanno sull'economia nazionale sono un argomento di notevole importanza e complessità.Celebri economisti hanno inondato la dottrina di scritti sulla spiegazione di questo tipo di fatto e sulle conseguenze connesse.Ma che cos'è la spesa pubblica di uno Stato e per quale motivo le istituzioni economiche decidono di aumentarla o ridurla a seconda delle contingenze finanziare del paese?Cerchiamo nel nostro piccolo di fare un minimo di chiarezza.La spesa pubblica e il flusso che la riguarda producono tutta una serie di effetti sia economici che sociali.Nello scopo di soddisfare i bisogni collettivi lo Stato e gli enti pubblici producono beni e servizi, produzione che si basa ovviamente su un costo.Le spese rappresentano l’insieme delle erogazioni in denaro effettuate dagli enti pubblici per la produzione dei beni e dei servizi necessari al soddisfacimento dei bisogni della collettività.La somma totale delle spese pubbliche è denominato dagli esperti economici fabbisogno finanziario.Ma quali sono gli obiettivi della spesa pubblica?Partendo dal concetto di spesa su fatto si possono rilevare una serie di scopi verso cui la spesa pubblica tende e che così devono essere sintetizzati: produzione e conduzione di pubblici servizi essenziali alla vita della comunità;stabilizzazione e sviluppo del reddito dei singoli e delle imprese; redistribuzione più equa del reddito per accrescere il benessere generale.
Esistono però varie forme e tipologie di spesa pubblica e in relazione allla sua forma noi dobbiamo distinguere fra: spesa in natura che viene effettuata mediante l’erogazione di beni di ogni specie diversi dal denaro; spesa in moneta che viene effettuata in denaro ed è ai nostri tempi l'unica tipologia di spesa pubblica, dal momento che quella in natura è quasi del tutto scomparsa.Se poi prendiamo in esame il tempo di erogazione allora distinguiamo tra spese ordinarie, quelle cosiddette fisse, cadenzate regolarmente in ogni esercizio finanziario, indipendentemente dal fatto che il loro ammontare sia costante o variabile e spese straordinarie, quelle che non si ripetono con periodicità regolare (parliamo ad esempio dei costi relativi al finanziamento di eventi bellici o di soccorsi per calamità naturali).Un altro fattore che ci permette di catalogare le forme di spesa pubblica sono poi le norne giuridiche che le prevedono e disciplinano e nello specifico possiamo discernere le spese obbligatorie, quelle imposte tassativamente al Governo da leggi e regolamenti, come le spese per gli interessi del debito pubblico e le spese facoltative, quelle che rivestono il carattere della discrezionalità e possono essere previste o meno da uno Stato in base a riflessioni di carattere politico ed economico. Di solito poi il concetto di spesa pubblica subisce differenziazioni anche in base a quello che è l'ente o comunque l'organo statale che la prevede nella propria attività.Per questo motivo noi soliamo parlare di spese statali,che sono quelle sostenute direttamente dallo Stato centrale e di spese locali, che invece riguardano le spese sostenute dagli enti pubblici territoriali, cioè da Regioni, Province e Comuni e la cui dimensione è notevolmente aumentata dopo le riforme costituzionali in seguito alle leggi Bassanini I e II.
Come dettto in precedenza spesso si discute sull'opportunità o meno di imporre aumenti della spesa pubblica. Negli ultimi decenni è innegabile che si sia messo in moto in moltissimi paesi una sorta di sistema tendente sempre e comunque all'aumento dei costi relativi alla spesa pubblica.Ma ciò di cui poco si parla è che se uno Stato decide di aumentare tale voce è perchè contemporaneamente si è manifestato un aumento anche delle entrate statali. Spesso però,governi poco disciplinati e poco riflessivi sul futuro,decido du aumentare la spesa solo per dare benefici all'immediato,provocando un salasso alla voce debito pubblico che ricadrà poi sugli anni e sulle generazioni future,un tipico esempio è la politica econimca italiana avutasi negli anni '80 sotto i governi DC e PSI. Le ragioni che impongo ai governanti di sostenere un aumento della spesa pubblica sono di solito raggruppati in due categorie: la prima comprende le cause apparenti, così dette perché lasciano inalterato il rapporto tra spesa pubblica e reddito nazionale, la seconda categoria comprende invece le cause reali, quelle che determinano un aumento della quota della spesa pubblica sul reddito nazionale.Le cause apparenti più importanti sono certamente il tasso di inflazione che determina un aumento dei prezzi, e quindi anche della spesa pubblica, pur restando inalterata la sfera di attività statale e poi ovviamente l’aumento della popolazione, che implica maggiori spese per lo Stato per il soddisfacimento dei bisogni pubblici.Tra le cause reali più importanti vanno evidenziate l'affermarsi dei regimi parlamentari, che hanno fatto cessare le ragioni di diffidenza delle assemblee rappresentative verso il Governo, spingendo le Camere ad assumere sempre maggiori impegni di spesa e poi l’accresciuto ruolo della burocrazia, che è sempre tendete ad ampliare il proprio potere facendo leva sulle sue competenze tecniche fino ad arrivare a condizionare la volontà dei politici cui spettano i provvedimenti finali.
Il problema della spesa pubblica e gli effetti che un suo aumento o una sua diminuzione hanno sull'economia nazionale sono un argomento di notevole importanza e complessità.Celebri economisti hanno inondato la dottrina di scritti sulla spiegazione di questo tipo di fatto e sulle conseguenze connesse.Ma che cos'è la spesa pubblica di uno Stato e per quale motivo le istituzioni economiche decidono di aumentarla o ridurla a seconda delle contingenze finanziare del paese?Cerchiamo nel nostro piccolo di fare un minimo di chiarezza.La spesa pubblica e il flusso che la riguarda producono tutta una serie di effetti sia economici che sociali.Nello scopo di soddisfare i bisogni collettivi lo Stato e gli enti pubblici producono beni e servizi, produzione che si basa ovviamente su un costo.Le spese rappresentano l’insieme delle erogazioni in denaro effettuate dagli enti pubblici per la produzione dei beni e dei servizi necessari al soddisfacimento dei bisogni della collettività.La somma totale delle spese pubbliche è denominato dagli esperti economici fabbisogno finanziario.Ma quali sono gli obiettivi della spesa pubblica?Partendo dal concetto di spesa su fatto si possono rilevare una serie di scopi verso cui la spesa pubblica tende e che così devono essere sintetizzati: produzione e conduzione di pubblici servizi essenziali alla vita della comunità;stabilizzazione e sviluppo del reddito dei singoli e delle imprese; redistribuzione più equa del reddito per accrescere il benessere generale.
Esistono però varie forme e tipologie di spesa pubblica e in relazione allla sua forma noi dobbiamo distinguere fra: spesa in natura che viene effettuata mediante l’erogazione di beni di ogni specie diversi dal denaro; spesa in moneta che viene effettuata in denaro ed è ai nostri tempi l'unica tipologia di spesa pubblica, dal momento che quella in natura è quasi del tutto scomparsa.Se poi prendiamo in esame il tempo di erogazione allora distinguiamo tra spese ordinarie, quelle cosiddette fisse, cadenzate regolarmente in ogni esercizio finanziario, indipendentemente dal fatto che il loro ammontare sia costante o variabile e spese straordinarie, quelle che non si ripetono con periodicità regolare (parliamo ad esempio dei costi relativi al finanziamento di eventi bellici o di soccorsi per calamità naturali).Un altro fattore che ci permette di catalogare le forme di spesa pubblica sono poi le norne giuridiche che le prevedono e disciplinano e nello specifico possiamo discernere le spese obbligatorie, quelle imposte tassativamente al Governo da leggi e regolamenti, come le spese per gli interessi del debito pubblico e le spese facoltative, quelle che rivestono il carattere della discrezionalità e possono essere previste o meno da uno Stato in base a riflessioni di carattere politico ed economico. Di solito poi il concetto di spesa pubblica subisce differenziazioni anche in base a quello che è l'ente o comunque l'organo statale che la prevede nella propria attività.Per questo motivo noi soliamo parlare di spese statali,che sono quelle sostenute direttamente dallo Stato centrale e di spese locali, che invece riguardano le spese sostenute dagli enti pubblici territoriali, cioè da Regioni, Province e Comuni e la cui dimensione è notevolmente aumentata dopo le riforme costituzionali in seguito alle leggi Bassanini I e II.
Come dettto in precedenza spesso si discute sull'opportunità o meno di imporre aumenti della spesa pubblica. Negli ultimi decenni è innegabile che si sia messo in moto in moltissimi paesi una sorta di sistema tendente sempre e comunque all'aumento dei costi relativi alla spesa pubblica.Ma ciò di cui poco si parla è che se uno Stato decide di aumentare tale voce è perchè contemporaneamente si è manifestato un aumento anche delle entrate statali. Spesso però,governi poco disciplinati e poco riflessivi sul futuro,decido du aumentare la spesa solo per dare benefici all'immediato,provocando un salasso alla voce debito pubblico che ricadrà poi sugli anni e sulle generazioni future,un tipico esempio è la politica econimca italiana avutasi negli anni '80 sotto i governi DC e PSI. Le ragioni che impongo ai governanti di sostenere un aumento della spesa pubblica sono di solito raggruppati in due categorie: la prima comprende le cause apparenti, così dette perché lasciano inalterato il rapporto tra spesa pubblica e reddito nazionale, la seconda categoria comprende invece le cause reali, quelle che determinano un aumento della quota della spesa pubblica sul reddito nazionale.Le cause apparenti più importanti sono certamente il tasso di inflazione che determina un aumento dei prezzi, e quindi anche della spesa pubblica, pur restando inalterata la sfera di attività statale e poi ovviamente l’aumento della popolazione, che implica maggiori spese per lo Stato per il soddisfacimento dei bisogni pubblici.Tra le cause reali più importanti vanno evidenziate l'affermarsi dei regimi parlamentari, che hanno fatto cessare le ragioni di diffidenza delle assemblee rappresentative verso il Governo, spingendo le Camere ad assumere sempre maggiori impegni di spesa e poi l’accresciuto ruolo della burocrazia, che è sempre tendete ad ampliare il proprio potere facendo leva sulle sue competenze tecniche fino ad arrivare a condizionare la volontà dei politici cui spettano i provvedimenti finali.
Il valore e l'importanza economica del PIL.
di Roberta Perez
Un dato che fotografa l'economia di una Nazione.
Un concetto che a molti puà davvero apparire come misterioso e complicato è quello di PIL, il Prodotto Interno Lordo,che rappresenta ed indica il valore complessivo dei beni e servizi prodotti all'interno di un paese in un determinato intervallo di tempo (di solito un anno).Il PIL da molti esperti viene anche indicato come il valore della ricchezza o del benessere di un paese.La denominaziona usata adopera il termine Prodotto poichè il PIL misura il valore dei beni finali prodotti, il termine Interno perché l'indicazione e il calcolo del PIL prende in considerazione il valore finale dei beni e dei servizi prodotti integralmente in un determinato paese,totalmente all'opposto del Prodotto Nazionale Lordo (PNL) che in parte può anche essere realizzato all'estero. Quindi seguendo i principi teorici,grazie al PIL si può ottenere l'ammontare dei profitti realizzati dalle imprese straniere in Italia, al contrario invece ciò che le imprese italiane realizzano all'estero va a determinare il PIL dello Stato in cui hanno sede tali imprese.La parola Lordo invece viene usata rapportandoci al fatto che il PIL deve sempre essere inteso al lordo degli Ammortamenti.
La scienza economica adopera tre diverse metodologie per calcolare tale grandezza. La prima, è denominata "Metodo della Spesa", e ci permette di ricavare il PIL attraverso la somma dei Consumi (spesa delle famiglie in beni durevoli, beni di consumo e servizi), degli Investimenti (spesa delle imprese e delle famiglie in immobili) della Spesa Pubblica in aggiunta poi alle Esportazioni nette.Il secondo criterio è definito "Metodo del Valore Aggiunto". Il PIL in questa circostanza viene quantificato sommando i valori dei Beni e dei Servizi prodotti dalle imprese. In questo caso quindi il Valore Aggiunto può essere calcolato come la differenza tra il ricavo ottenuto dalla vendita e la somma pagata per l’acquisto delle materie prime e dei beni utilizzati nel processo produttivo.L’ultimo metodo, che la scienza economica adopera per garantire con precisione la misurazione del PIL, è invece il "Metodo dei Redditi". Il Prodotto Interno Lordo in questo caso viene ottenuto come somma delle Retribuzioni e dei Redditi da Capitale. Ciò che è davvero basilare evidenziare però è che tutte queste tecniche di calcolo ci conducono tutte al medesimo risultato.Infine un'altra particolare differenza che si deve fare in tema di PIL è quella tra PIL nominale e quello reale. Il PIL è definito nominale in quanto misura il valore finale della produzione in un certo periodo ai prezzi di quel periodo (prezzi correnti) questo sta ad indicarci che il valore della ricchezza di una nazione in un determinato periodo è in parte influenzato dall’inflazione, cioè dal fenomeno dell’aumento costante dei prezzi.
Il PIL reale al contrario rappresenta un valore reale della produzione di beni e servizi, una sorta di valore sterilizzato dall'effetto dell'inflazione e ci permette quindi di misurare la produzione in termini di effettivo potere d’acquisto della collettività. Per spostarci quindi dal PIL monetario al PIL reale è fondamentale eliminare le conseguenze sui prezzi dovute al tasso d’inflazione.Se si verifica una crescita inattesa del PIL ciò ha degli effetti positivi sui mercati azionari perchè produce un incremento degli utili aziendali e quindi dei prezzi dei titoli. Un aumento però eccessivo e non previsto del PIL può tuttavia paradossalmente avere un effetto anche negativo sulle piazze azionarie, dal momento che un aumento troppo forte dell'economia può finire con l' alimentare il vortice pericoloso dell'inflazione. Per tali espliciti motivazioni quindi l'andamento del PIL rappresenta un concetto fondamentale nell'universo macroeconomico di uno Stato e deve essere controllato e verificato dalle Istituzioni Economiche con grande attenzione,pronte ad intervenire qualora lo scenario finanziario lo richieda come azione necessaria.
Un concetto che a molti puà davvero apparire come misterioso e complicato è quello di PIL, il Prodotto Interno Lordo,che rappresenta ed indica il valore complessivo dei beni e servizi prodotti all'interno di un paese in un determinato intervallo di tempo (di solito un anno).Il PIL da molti esperti viene anche indicato come il valore della ricchezza o del benessere di un paese.La denominaziona usata adopera il termine Prodotto poichè il PIL misura il valore dei beni finali prodotti, il termine Interno perché l'indicazione e il calcolo del PIL prende in considerazione il valore finale dei beni e dei servizi prodotti integralmente in un determinato paese,totalmente all'opposto del Prodotto Nazionale Lordo (PNL) che in parte può anche essere realizzato all'estero. Quindi seguendo i principi teorici,grazie al PIL si può ottenere l'ammontare dei profitti realizzati dalle imprese straniere in Italia, al contrario invece ciò che le imprese italiane realizzano all'estero va a determinare il PIL dello Stato in cui hanno sede tali imprese.La parola Lordo invece viene usata rapportandoci al fatto che il PIL deve sempre essere inteso al lordo degli Ammortamenti.
La scienza economica adopera tre diverse metodologie per calcolare tale grandezza. La prima, è denominata "Metodo della Spesa", e ci permette di ricavare il PIL attraverso la somma dei Consumi (spesa delle famiglie in beni durevoli, beni di consumo e servizi), degli Investimenti (spesa delle imprese e delle famiglie in immobili) della Spesa Pubblica in aggiunta poi alle Esportazioni nette.Il secondo criterio è definito "Metodo del Valore Aggiunto". Il PIL in questa circostanza viene quantificato sommando i valori dei Beni e dei Servizi prodotti dalle imprese. In questo caso quindi il Valore Aggiunto può essere calcolato come la differenza tra il ricavo ottenuto dalla vendita e la somma pagata per l’acquisto delle materie prime e dei beni utilizzati nel processo produttivo.L’ultimo metodo, che la scienza economica adopera per garantire con precisione la misurazione del PIL, è invece il "Metodo dei Redditi". Il Prodotto Interno Lordo in questo caso viene ottenuto come somma delle Retribuzioni e dei Redditi da Capitale. Ciò che è davvero basilare evidenziare però è che tutte queste tecniche di calcolo ci conducono tutte al medesimo risultato.Infine un'altra particolare differenza che si deve fare in tema di PIL è quella tra PIL nominale e quello reale. Il PIL è definito nominale in quanto misura il valore finale della produzione in un certo periodo ai prezzi di quel periodo (prezzi correnti) questo sta ad indicarci che il valore della ricchezza di una nazione in un determinato periodo è in parte influenzato dall’inflazione, cioè dal fenomeno dell’aumento costante dei prezzi.
Il PIL reale al contrario rappresenta un valore reale della produzione di beni e servizi, una sorta di valore sterilizzato dall'effetto dell'inflazione e ci permette quindi di misurare la produzione in termini di effettivo potere d’acquisto della collettività. Per spostarci quindi dal PIL monetario al PIL reale è fondamentale eliminare le conseguenze sui prezzi dovute al tasso d’inflazione.Se si verifica una crescita inattesa del PIL ciò ha degli effetti positivi sui mercati azionari perchè produce un incremento degli utili aziendali e quindi dei prezzi dei titoli. Un aumento però eccessivo e non previsto del PIL può tuttavia paradossalmente avere un effetto anche negativo sulle piazze azionarie, dal momento che un aumento troppo forte dell'economia può finire con l' alimentare il vortice pericoloso dell'inflazione. Per tali espliciti motivazioni quindi l'andamento del PIL rappresenta un concetto fondamentale nell'universo macroeconomico di uno Stato e deve essere controllato e verificato dalle Istituzioni Economiche con grande attenzione,pronte ad intervenire qualora lo scenario finanziario lo richieda come azione necessaria.
Titoli Derivati.Funzionamento e rischi.
di Alice Santini
Un mercato rischioso e pericoloso.Come cavarsela?
Molto spesso si sente parlare in ambito finanziario dei titoli derivati e i commenti che ne conseguono non sempre sono dei più positivi. Cerchiamo di capirci qualcosa a riguardo. I derivati sono particolari strumenti finanziari complessi che, avendo riscosso una diffusione gigantesca sui vari mercati di capitali soprattutto a cavallo dei primi anni del decennio duemila hanno finito per acquisire una funzione di enorme importanza nell’intera economia globale. Come possiamo intuire dalla parola stessa che li definisce, i derivati non sono titoli caratterizzati da un proprio valore intrinseco al contrario hanno un valore che deriva da altri prodotti finanziari ovvero da beni reali la cui variazione provoca una variazione del loro valore cui sono collegati.Il titolo o anche il bene la cui quotazione imprime il valore al derivato viene dagli esperti definito sottostante (in inglese: underlying asset).In linea generale ed astratta, i derivati possono svolgere direttamente sia una funzione protettiva (ossia di copertura) da uno particolare rischio di mercato quanto un vero scopo meramente speculativo.Andando nel concreto della questione,quindi,non può negarsi che sui mercati finanziari globali i titoli derivati abbiano avuto un enorme successo proprio grazie alle tecniche,sempre estreme di speculazione finanziaria.
Concettualmente,ogni singolo derivato ha ad oggetto una previsione (molto spesso è una vera scommessa) sull’andamento futuro di un determinato indice di prezzo, come ad esempio quotazioni di titoli, tassi d’interesse, tassi di cambio tra valute diverse, prezzi di merci o di materie prime. La peculiarità principale del titolo derivato è quella di essere uno strumento finanziario acquistabile sui mercati da un numero indefinito di scommettitori che non vantano alcun collegamento diretto col titolo (o col bene) sottostante o che, in altre parole, non sono direttamente coinvolti nell’operazione finanziaria dal cui svolgimento tecnico il prodotto derivato trae il suo valore.Possiamo usare come esempio il caso in cui un gruppo di persone decida di accendere una polizza assicurativa scommettendo sulla possibilità che un medesimo bene reale, di cui essi non sono titolari, vada in deperimento. Quindi,si può facilmente capire che nella pratica finanziaria è permesso a chiunque di comprare un derivato il cui valore è collegato al rischio di solvibilità di un altro soggetto (come il titolare di un prestito).In questo specifico caso, gli acquirenti di un derivato decidono volontariamente di scommettere sulla capacità del debitore di onorare quel determinato prestito.
La conseguenza diretta e pericolosa è che se l’operazione sottostante va male per gli scommettitori, l’effetto leva del derivato si moltiplica e con esso il rischio finanziario fino a fargli assumere una portata sistemica, cosa che in effetti è accaduta nel 2008 in America con la crisi dei titoli sub-prime. Alcuni esperti del settore dei derivati spesso consigliano all’investitore una sorta di operazione di copertura o hedging la quale permetterebbe di eliminare il rischio di fluttuazione del valore di un bene sul mercato. Per esempio in caso di aspettative negative è possibile difendersi, vendendo titoli futures sull'indice di Borsa di riferimento. Qualora vi fosse un forte calo dell'indice, la perdita teorica del proprio portafoglio sarebbe compensata dal guadagno realizzato sui contratti futures. Quindi una specifica tecnica che permette di ottenere dei profitti dalle differenze di prezzo presenti su mercati diversi. Se ipotizziamo che il future sia scambiato ad un prezzo più alto del proprio valore teorico, grazia all’operazione di copertura si potrebbe vendere il future ed acquistare titoli dell’indice riuscendo così agevolmente a lucrare sulla differenza.
Ugualmente utile sarebbe poi la figura dell’arbitraggista. Questi permetterebbe di correggere gli scostamenti dei prezzi tra future e titolo sottostante,neutralizzando gli effetti negativi subordinati.In Italia è possibile trattare i future sull'IDEM (Italian Derivatives Equity Market), il Mercato Italiano dei Derivati Azionari.L'IDEM nacque nel lontano 1994, attraverso l'introduzione del contratto future sull'indice MIB 30 (FIB 30 o più semplicemente FIB). Successivamente nel 1995, ha avuto inizio la contrattazione delle opzioni sull'indice MIB 30 (MIBO 30), mentre qualche mese dopo sono state introdotte le prime opzioni su i titoli azionari. Nel 2004 hanno avuto inizio le contrattazioni dei nuovi derivati sull'indice S&P/MIB, che dal 2005 hanno definitivamente sostituito il Fib30 e le opzioni sul Mib30.
Molto spesso si sente parlare in ambito finanziario dei titoli derivati e i commenti che ne conseguono non sempre sono dei più positivi. Cerchiamo di capirci qualcosa a riguardo. I derivati sono particolari strumenti finanziari complessi che, avendo riscosso una diffusione gigantesca sui vari mercati di capitali soprattutto a cavallo dei primi anni del decennio duemila hanno finito per acquisire una funzione di enorme importanza nell’intera economia globale. Come possiamo intuire dalla parola stessa che li definisce, i derivati non sono titoli caratterizzati da un proprio valore intrinseco al contrario hanno un valore che deriva da altri prodotti finanziari ovvero da beni reali la cui variazione provoca una variazione del loro valore cui sono collegati.Il titolo o anche il bene la cui quotazione imprime il valore al derivato viene dagli esperti definito sottostante (in inglese: underlying asset).In linea generale ed astratta, i derivati possono svolgere direttamente sia una funzione protettiva (ossia di copertura) da uno particolare rischio di mercato quanto un vero scopo meramente speculativo.Andando nel concreto della questione,quindi,non può negarsi che sui mercati finanziari globali i titoli derivati abbiano avuto un enorme successo proprio grazie alle tecniche,sempre estreme di speculazione finanziaria.
Concettualmente,ogni singolo derivato ha ad oggetto una previsione (molto spesso è una vera scommessa) sull’andamento futuro di un determinato indice di prezzo, come ad esempio quotazioni di titoli, tassi d’interesse, tassi di cambio tra valute diverse, prezzi di merci o di materie prime. La peculiarità principale del titolo derivato è quella di essere uno strumento finanziario acquistabile sui mercati da un numero indefinito di scommettitori che non vantano alcun collegamento diretto col titolo (o col bene) sottostante o che, in altre parole, non sono direttamente coinvolti nell’operazione finanziaria dal cui svolgimento tecnico il prodotto derivato trae il suo valore.Possiamo usare come esempio il caso in cui un gruppo di persone decida di accendere una polizza assicurativa scommettendo sulla possibilità che un medesimo bene reale, di cui essi non sono titolari, vada in deperimento. Quindi,si può facilmente capire che nella pratica finanziaria è permesso a chiunque di comprare un derivato il cui valore è collegato al rischio di solvibilità di un altro soggetto (come il titolare di un prestito).In questo specifico caso, gli acquirenti di un derivato decidono volontariamente di scommettere sulla capacità del debitore di onorare quel determinato prestito.
La conseguenza diretta e pericolosa è che se l’operazione sottostante va male per gli scommettitori, l’effetto leva del derivato si moltiplica e con esso il rischio finanziario fino a fargli assumere una portata sistemica, cosa che in effetti è accaduta nel 2008 in America con la crisi dei titoli sub-prime. Alcuni esperti del settore dei derivati spesso consigliano all’investitore una sorta di operazione di copertura o hedging la quale permetterebbe di eliminare il rischio di fluttuazione del valore di un bene sul mercato. Per esempio in caso di aspettative negative è possibile difendersi, vendendo titoli futures sull'indice di Borsa di riferimento. Qualora vi fosse un forte calo dell'indice, la perdita teorica del proprio portafoglio sarebbe compensata dal guadagno realizzato sui contratti futures. Quindi una specifica tecnica che permette di ottenere dei profitti dalle differenze di prezzo presenti su mercati diversi. Se ipotizziamo che il future sia scambiato ad un prezzo più alto del proprio valore teorico, grazia all’operazione di copertura si potrebbe vendere il future ed acquistare titoli dell’indice riuscendo così agevolmente a lucrare sulla differenza.
Ugualmente utile sarebbe poi la figura dell’arbitraggista. Questi permetterebbe di correggere gli scostamenti dei prezzi tra future e titolo sottostante,neutralizzando gli effetti negativi subordinati.In Italia è possibile trattare i future sull'IDEM (Italian Derivatives Equity Market), il Mercato Italiano dei Derivati Azionari.L'IDEM nacque nel lontano 1994, attraverso l'introduzione del contratto future sull'indice MIB 30 (FIB 30 o più semplicemente FIB). Successivamente nel 1995, ha avuto inizio la contrattazione delle opzioni sull'indice MIB 30 (MIBO 30), mentre qualche mese dopo sono state introdotte le prime opzioni su i titoli azionari. Nel 2004 hanno avuto inizio le contrattazioni dei nuovi derivati sull'indice S&P/MIB, che dal 2005 hanno definitivamente sostituito il Fib30 e le opzioni sul Mib30.
Come investire nelle polizze assicurative.
di Alice Santini
Consigli giusti per il mare delle offerte assicurative.
Il mercato assicurativo ci offre ogni giorno tantissimi prodotti d’investimento,cerchiamo di fare luce e chiarezza sul tema in modo da sapere come muoverci nel mare delle offerte che a volte ci investe.Gli investimenti in assicurazioni vengono spesso collegati al concetto di sicurezza e d protezione del portafoglio. Ovviamente è proprio questo concetto uno dei punti di delle polizze vita a capitale protetto o garantito, che utilizzano criteri di gestione per limitare le perdite di valore dell’investimento anche dinanzi ai particolari movimenti di mercato negativi. Ma l’attuale mercato assicurativo ci pone dinanzi un gran numero di prodotti, ognuno dotato di proprie peculiarità e di propri vantaggi o svantaggi. Due sono i gruppi di polizze la cui funzione è prettamente finanziaria: e sono le polizze unit linked e le polizze index linked. Nelle prime polizze il capitale versato dagli assicurati viene destinato a fondi di investimento che sono gestiti dalle stesse compagnie di assicurazione o da società terze specializzate nel settore.
Le polizze index linked, invece, sono connesse all’andamento di un indice sottostante tramite l’utilizzo di titoli finanziari derivati di investimento.
Poi vi sono particolari tipologie di assicurazioni che hanno una struttura che è a metà strada tra l’investimento e la protezione. Parliamo in questo caso delle polizze di rendita vitalizia: questi prodotti ci garantiscono , alla scadenza, una remunerazione mensile il cui ammontare dipende dai premi versati e dall’andamento dei mercati. E se l’assicurato, malauguratamente, dovesse morire prima della scadenza? Le polizze miste proteggono da questa opportunità, perchè versano direttamente ai beneficiari indicati nel contratto un capitale che funge come una sorta di risarcimento.Un discorso diverso vale per i i Pip, i piani individuali pensionistici, che possono essere rappresentano una vera e propria forma di previdenza complementare privata. Quando poi decidiamo di investire in una polizza finanziaria, è necessario tenere in considerazione due elementi ulteriori: il tasso di retrocessione, che indica il rendimento lordo della gestione che spetta al cliente (un tasso del 90% significa che il 90% del rendimento viene attribuito al titolare della polizza, mentre il 10% viene trattenuto dalla compagnia); e il tasso tecnico, vale a dire il rendimento minimo garantito della polizza. La molteplicità degli strumenti e la stabile sicurezza delle polizze sono innegabilmente i principali vantaggi delle assicurazioni come forma di investimento. A ciò poi bisogna aggiungere una serie di aspetti inerenti il trattamento fiscale: i premi che riguardano le polizze vita a scopo assicurativo, infatti, sono detraibili per il 19% sino a un limite di circa 1.291 euro. Inoltre, se l’assicurato muore, il risarcimento che viene garantito ai suoi eredi non è soggetto a tassa sulle successioni.
Se facciamo un discorso riguardante invece le polizze unit o index linked, la parte del capitale in gestione che viene reinvestita in obbligazioni di Stato usufruisce dell’ aliquota ridotta del 12,50% anzichè del 20 per cento.L’unico aspetto negativo è forse quello legato ai costi. Le polizze non sono certamente dei prodotti economici e a buon mercato. Bisogna pagare i premi mensili, l’aliquota sulle rendite finanziarie, i caricamenti collegati alle spese di gestione da parte delle società di assicurazioni. Nel 2010 ad esempio,il rendimento medio lordo delle gestioni vita in Italia è stato del 4,7%, mentre tra il 2002 e il 2008 si è attestato al 3,5% circa. Ma andando a vedere il netto delle tasse e dei caricamenti (variabili di compagnia in compagnia) il rapporto tra investimento e performance si riduce fortemenente.Tenendo quindi a parte i rendimenti , nel primo semestre 2012 le sottoscrizioni di nuove polizze hanno subito un notevolissimo calo. Secondo il rapporto ANIA del 2012 la quantità di premi per il ramo vita si è ridotta del 15%. L’andamento negativo è sicuramente collegato alla crisi: attualmente sembra che l’italiano medio sia attratto principalmente dagli investimenti nel settore del capitale protetto o garantito, per meglio proteggere i propri risparmi. Dal canto loro le banche, sempre alla famelica ricerca di capitale, preferiscono investire sulle proprie obbligazioni piuttosto che proporre le polizze vita delle compagnie di assicurazioni.
Il mercato assicurativo ci offre ogni giorno tantissimi prodotti d’investimento,cerchiamo di fare luce e chiarezza sul tema in modo da sapere come muoverci nel mare delle offerte che a volte ci investe.Gli investimenti in assicurazioni vengono spesso collegati al concetto di sicurezza e d protezione del portafoglio. Ovviamente è proprio questo concetto uno dei punti di delle polizze vita a capitale protetto o garantito, che utilizzano criteri di gestione per limitare le perdite di valore dell’investimento anche dinanzi ai particolari movimenti di mercato negativi. Ma l’attuale mercato assicurativo ci pone dinanzi un gran numero di prodotti, ognuno dotato di proprie peculiarità e di propri vantaggi o svantaggi. Due sono i gruppi di polizze la cui funzione è prettamente finanziaria: e sono le polizze unit linked e le polizze index linked. Nelle prime polizze il capitale versato dagli assicurati viene destinato a fondi di investimento che sono gestiti dalle stesse compagnie di assicurazione o da società terze specializzate nel settore.
Le polizze index linked, invece, sono connesse all’andamento di un indice sottostante tramite l’utilizzo di titoli finanziari derivati di investimento.
Poi vi sono particolari tipologie di assicurazioni che hanno una struttura che è a metà strada tra l’investimento e la protezione. Parliamo in questo caso delle polizze di rendita vitalizia: questi prodotti ci garantiscono , alla scadenza, una remunerazione mensile il cui ammontare dipende dai premi versati e dall’andamento dei mercati. E se l’assicurato, malauguratamente, dovesse morire prima della scadenza? Le polizze miste proteggono da questa opportunità, perchè versano direttamente ai beneficiari indicati nel contratto un capitale che funge come una sorta di risarcimento.Un discorso diverso vale per i i Pip, i piani individuali pensionistici, che possono essere rappresentano una vera e propria forma di previdenza complementare privata. Quando poi decidiamo di investire in una polizza finanziaria, è necessario tenere in considerazione due elementi ulteriori: il tasso di retrocessione, che indica il rendimento lordo della gestione che spetta al cliente (un tasso del 90% significa che il 90% del rendimento viene attribuito al titolare della polizza, mentre il 10% viene trattenuto dalla compagnia); e il tasso tecnico, vale a dire il rendimento minimo garantito della polizza. La molteplicità degli strumenti e la stabile sicurezza delle polizze sono innegabilmente i principali vantaggi delle assicurazioni come forma di investimento. A ciò poi bisogna aggiungere una serie di aspetti inerenti il trattamento fiscale: i premi che riguardano le polizze vita a scopo assicurativo, infatti, sono detraibili per il 19% sino a un limite di circa 1.291 euro. Inoltre, se l’assicurato muore, il risarcimento che viene garantito ai suoi eredi non è soggetto a tassa sulle successioni.
Se facciamo un discorso riguardante invece le polizze unit o index linked, la parte del capitale in gestione che viene reinvestita in obbligazioni di Stato usufruisce dell’ aliquota ridotta del 12,50% anzichè del 20 per cento.L’unico aspetto negativo è forse quello legato ai costi. Le polizze non sono certamente dei prodotti economici e a buon mercato. Bisogna pagare i premi mensili, l’aliquota sulle rendite finanziarie, i caricamenti collegati alle spese di gestione da parte delle società di assicurazioni. Nel 2010 ad esempio,il rendimento medio lordo delle gestioni vita in Italia è stato del 4,7%, mentre tra il 2002 e il 2008 si è attestato al 3,5% circa. Ma andando a vedere il netto delle tasse e dei caricamenti (variabili di compagnia in compagnia) il rapporto tra investimento e performance si riduce fortemenente.Tenendo quindi a parte i rendimenti , nel primo semestre 2012 le sottoscrizioni di nuove polizze hanno subito un notevolissimo calo. Secondo il rapporto ANIA del 2012 la quantità di premi per il ramo vita si è ridotta del 15%. L’andamento negativo è sicuramente collegato alla crisi: attualmente sembra che l’italiano medio sia attratto principalmente dagli investimenti nel settore del capitale protetto o garantito, per meglio proteggere i propri risparmi. Dal canto loro le banche, sempre alla famelica ricerca di capitale, preferiscono investire sulle proprie obbligazioni piuttosto che proporre le polizze vita delle compagnie di assicurazioni.
Guida ai fondi d'investimento - Parte 2
di Alice Santini
Modalità di profitto e costi.Come orientarsi?
Ora che conosciamo i vari tipi di fondo d’investimento esistenti nell’universo finanziario possiamo passare al loro funzionamento e ai costi connessi. I costi da sostenere per chi decide di investire in un fondo comune sono fissi e sono i seguenti: una commissione d’ingresso o di sottoscrizione che il risparmiatore versa insieme al primo versamento inerente il fondo,di solito questa commissione è inversamente proporzionale all’entità del proprio investimento (più si investe, meno si paga) ed è d solito più corposa per i fondi azionari che per quelli bilanciati. Alcune Società di Gestione possono prevedere dei fondi che non hanno una commissione di ingresso: sono i cosiddetti fondi no load. Un’altra tipologia di commissione che si è tenuti a versare è la commissione di gestione che è invece il costo sostenuto dal fondista per la gestione del fondo. Viene quantificata su un calcolo a base annua, ma in generale è corrisposta a cadenza semestrale, trimestrale o mensile. Infine altro costo di gestione previsto è l’extracommissione di performance che rappresenta una commissione opzionale che alcuni fondi decidono autonomamente di versare al fine di auto premiarsi se grazie alla loro abilità il profitto prodotto dal fondo supera una certa cifra indicata da parametri prestabiliti.Quotidianamente viene pubblicato sui quotidiani specializzati il valore unitario di ogni singola quota dei diversi fondi. Se si spulcia il sito della Borsa Italiana è inoltre possibile seguire l’andamento dei prezzi delle quote dei vari fondi sulla base di un sistema molto simile a quello dei titoli azionari.
I prezzi in questione incorporano già il rendimento del fondo. Una volta che abbiamo trovato la tipologia di fondo che più è aderente alle nostre esigenze, siamo pronti a scegliere il nostro fondo d’investimento. Ma come fare a scegliere tra i tantissimi tipi di fondi presenti sul mercato?Esistono dei criteri guida,dei fattori da valutare prima di fare scelte avventate,andiamoli a verificare.I fondi presenti sul mercato da anni consentono di valutarne la performance storica, anche se i loro risultati passati non sono sempre indicativi di quelli futuri. La performance storica è un elemento guida che ci permette di comprendere il livello di successo riscosso dal fondo nel corso del tempo. Bisogna però sempre ricordare che maggiore è il patrimonio di un fondo, tanto più potrebbe diventare complicato e difficoltoso gestirlo in modo efficiente. Una buona performance può anche dipendere dalla durata dell’incarico della societa di gestione. Non bisogna però estremizzare questo elemento poiché i gestori possono anche cambiare società o incarico professionale. Importantissimi criterio guida è poi il rating che rappresenta un giudizio che viene espresso da un soggetto esterno e indipendente sulle capacità di una società di generare rendimenti. Tale giudizio viene poi fatto oggetto di valutazioni periodiche. Esistono alcune società come come Morningstar, Standard & Poor’s e Moody’s che assegnano rating indipendenti ai fondi sulla base di fattori quali performance, costi e livello di rischio. Poi ovviamente bisogna ben conoscere le commissioni di gestione annue che possono risultare eccessive o le commissioni sui rimborsi. È fondamentale studiare ed analizzare tutti i costi di un fondo e tendere verso gestori che praticano una politica di costi assolutamente trasparente.
Una particolare forma di fondo d’investimento è poi il Fondo Pensione.Si tratta di uno strumento di Risparmio Gestito Previdenziale che consente all'atto del pensionamento di aggiungere alla pensione di base un'ulteriore rendita integrativa, con il chiaro scopo di mantenere il tenore di vita raggiunto dopo anni di lavoro. Attraverso versamenti singoli o periodici si da vita ad un patrimonio che poi potrà essere convertito in capitale e/o in rendita vitalizia al momento del pensionamento. I lavoratori dipendenti possono utilizzare e versare nel loro fondo pensione anche il proprio TFR (Trattamento di Fine Rapporto). Gli importi vengono investiti in un Piano Lifecycle oppure in uno o più comparti a scelta dell’aderente. Quando poi giungerà il momento della pensione,il Fondo Pensione riconoscerà al partecipante, in base alle somme versate negli anni, una prestazione in forma di rendita o di capitale che si addizionerà al normale trattamento pensionistico.
Ora che conosciamo i vari tipi di fondo d’investimento esistenti nell’universo finanziario possiamo passare al loro funzionamento e ai costi connessi. I costi da sostenere per chi decide di investire in un fondo comune sono fissi e sono i seguenti: una commissione d’ingresso o di sottoscrizione che il risparmiatore versa insieme al primo versamento inerente il fondo,di solito questa commissione è inversamente proporzionale all’entità del proprio investimento (più si investe, meno si paga) ed è d solito più corposa per i fondi azionari che per quelli bilanciati. Alcune Società di Gestione possono prevedere dei fondi che non hanno una commissione di ingresso: sono i cosiddetti fondi no load. Un’altra tipologia di commissione che si è tenuti a versare è la commissione di gestione che è invece il costo sostenuto dal fondista per la gestione del fondo. Viene quantificata su un calcolo a base annua, ma in generale è corrisposta a cadenza semestrale, trimestrale o mensile. Infine altro costo di gestione previsto è l’extracommissione di performance che rappresenta una commissione opzionale che alcuni fondi decidono autonomamente di versare al fine di auto premiarsi se grazie alla loro abilità il profitto prodotto dal fondo supera una certa cifra indicata da parametri prestabiliti.Quotidianamente viene pubblicato sui quotidiani specializzati il valore unitario di ogni singola quota dei diversi fondi. Se si spulcia il sito della Borsa Italiana è inoltre possibile seguire l’andamento dei prezzi delle quote dei vari fondi sulla base di un sistema molto simile a quello dei titoli azionari.
I prezzi in questione incorporano già il rendimento del fondo. Una volta che abbiamo trovato la tipologia di fondo che più è aderente alle nostre esigenze, siamo pronti a scegliere il nostro fondo d’investimento. Ma come fare a scegliere tra i tantissimi tipi di fondi presenti sul mercato?Esistono dei criteri guida,dei fattori da valutare prima di fare scelte avventate,andiamoli a verificare.I fondi presenti sul mercato da anni consentono di valutarne la performance storica, anche se i loro risultati passati non sono sempre indicativi di quelli futuri. La performance storica è un elemento guida che ci permette di comprendere il livello di successo riscosso dal fondo nel corso del tempo. Bisogna però sempre ricordare che maggiore è il patrimonio di un fondo, tanto più potrebbe diventare complicato e difficoltoso gestirlo in modo efficiente. Una buona performance può anche dipendere dalla durata dell’incarico della societa di gestione. Non bisogna però estremizzare questo elemento poiché i gestori possono anche cambiare società o incarico professionale. Importantissimi criterio guida è poi il rating che rappresenta un giudizio che viene espresso da un soggetto esterno e indipendente sulle capacità di una società di generare rendimenti. Tale giudizio viene poi fatto oggetto di valutazioni periodiche. Esistono alcune società come come Morningstar, Standard & Poor’s e Moody’s che assegnano rating indipendenti ai fondi sulla base di fattori quali performance, costi e livello di rischio. Poi ovviamente bisogna ben conoscere le commissioni di gestione annue che possono risultare eccessive o le commissioni sui rimborsi. È fondamentale studiare ed analizzare tutti i costi di un fondo e tendere verso gestori che praticano una politica di costi assolutamente trasparente.
Una particolare forma di fondo d’investimento è poi il Fondo Pensione.Si tratta di uno strumento di Risparmio Gestito Previdenziale che consente all'atto del pensionamento di aggiungere alla pensione di base un'ulteriore rendita integrativa, con il chiaro scopo di mantenere il tenore di vita raggiunto dopo anni di lavoro. Attraverso versamenti singoli o periodici si da vita ad un patrimonio che poi potrà essere convertito in capitale e/o in rendita vitalizia al momento del pensionamento. I lavoratori dipendenti possono utilizzare e versare nel loro fondo pensione anche il proprio TFR (Trattamento di Fine Rapporto). Gli importi vengono investiti in un Piano Lifecycle oppure in uno o più comparti a scelta dell’aderente. Quando poi giungerà il momento della pensione,il Fondo Pensione riconoscerà al partecipante, in base alle somme versate negli anni, una prestazione in forma di rendita o di capitale che si addizionerà al normale trattamento pensionistico.
Guida ai fondi d'investimento - Parte 1
di Alice Santini
Lo strumento dei fondi di investimento.Cosa sono e come funzionano.
Negli ultimi decenni tra le attività finanziarie maggiormente diffuse vanno annoverati i fondi di investimento.Spesso ne abbiamo sentito parlare,ma cosa sono nello specifico,come si utilizzano e come è il loro funzionamento?Nulla di davvero complicato,andiamo a dare un'occhiata a questo mondo che ai più sembra lontano ed incomprensibile ma che invece,non lo è affatto.Un fondo di investimento è una sorta di enorme portafoglio,un contenitore di grandi somme di denaro che provengono da grandi e piccoli risparmiatori.La gestione del fondo viene affidata ad appositi professionisti dette Societa di Gestione,le quali governano il fondo e finalizzano la loro azione nel far proliferare il fondo stesso a vantaggio dei risparmiatori per i quali esse stesse operano.Chi gestisce il fondo investe tali somme in svariate attività,tutte di tipologia diversa,ad esempio in azioni di borsa,obbligazioni,immobili ma il tutto deve sempre essere finalizzato all'obiettivo del fondo d'investimento che viene pre-concordato con i risparmiatori.
Il pregio del fondo comune di investimento non è uno solo,ma molteplici:si godono delle competenze dei professionisti cui ci si affida; unendo i vari risparmi di più soggetti si può creare un fondo di grosse dimensioni con cui accedere ad affari ed opportunità di notevole interesse e guadagno; il rischio d'investimento diminuisce poichè non dipende dalle sorti di una sola azienda o di un solo prodotto.I fondi d'investimento possono essere molteplici ma 4 sono le categorie base cui fare riferimento ed in particolare parliamo dei fondi azionari,dei fondi obbligazionari,dei fondi bilanciati e dei fondi immobiliari.Come valutarli e come capire nello specifico il fondo più adatto a noi? Andiamo a scoprire di cosa si tratta.
FONDI AZIONARI - La Società di Gestione decide di utilizzare il fondo di investimento nell'acquisto di azioni di borsa,ovviamente essendo il fondo comune il rischio di perdità diminuisce perchè non collegato alle prestazioni di un unico tipo di azioni e di azienda.Inoltre le azioni da acquisire vengono scelte da seri professionisti sulla base di analisi e studi.Questo tipo di fondi possono essere fondi di crescita o fondi di reddito.I primi avranno investimenti finalizzati al lungo periodo con azioni di valore potenziale anche per il futuro.I secondi invece mirano al pronto realizzo di profitto,preferendo azioni di aziende dal dividendo sicuro e stabile già nel breve periodo.
FONDI OBBLIGAZIONARI - Questi fondi prevedono l'utilizzo delle somme per l'acquisto di obbligazioni ovvero di contratti di prestito firmati da aziende o anche da stati sovrani (titoli di stato),con lo scopo di raccogliere capitale.Sono vere dichiarazioni di credito con cui chi emette l'obbligazione promette di restituire ad un certo tasso di interesse e entro una certa data la somma raccolta.Le obbligazioni di stato sono certamente più sicure poichè garantite da un ministero che le emette,quelle societarie molto meno poichè un'azienda può sempre fallire ed in quel caso sarà già un miracolo recuperare la metà di ciò che abbiamo investito.
FONDI BILANCIATI - I fondi bilancitati sono caratterizzati dal prevedere investimenti in azioni e obbligazioni.La stetegia di acquisto può essere statica o dinamica cioè orientata verso l'asset di investimento più fruibile e redditizio.Il pregio di questa tipologia di fondo è la diversificazione dell'investimento in modo da neutralizzare senza danni eventuali periodi negativi che nel corso dell'anno possono manifestarsi sul mercato sia azionario che obbligazionario.
FONDI IMMOBILIARI - In questi tipo di fondi le somme di denaro vengono usate per l'acquisto di beni immobili.E' forse il tipo di fondo più sicuro e redditizio ma anche quello che richiede la maggiore liquidità da parte dei risparmiatori.I fondi possono distinguersi in fondi tradizionali e in fondi di società.Nei primi si investe direttamente nell'acquisto di immobili,la società di gestione ricerca gli immobili da acquistare e il profitto giunge dalla vendita successiva a prezzo maggiorato dell'immobile acquistato.La loro pecca è che spesso le opportunità di realizzo sono molto lente a causa delle lentezze burocratiche del mercato immobiliare.I secondi invece sono fondi che investono nell'acquisto di azioni di aziende operanti nel settore degli immobili e dell'edilizia e quindi non direttamente nell'acquisto di beni immobili. continua
Negli ultimi decenni tra le attività finanziarie maggiormente diffuse vanno annoverati i fondi di investimento.Spesso ne abbiamo sentito parlare,ma cosa sono nello specifico,come si utilizzano e come è il loro funzionamento?Nulla di davvero complicato,andiamo a dare un'occhiata a questo mondo che ai più sembra lontano ed incomprensibile ma che invece,non lo è affatto.Un fondo di investimento è una sorta di enorme portafoglio,un contenitore di grandi somme di denaro che provengono da grandi e piccoli risparmiatori.La gestione del fondo viene affidata ad appositi professionisti dette Societa di Gestione,le quali governano il fondo e finalizzano la loro azione nel far proliferare il fondo stesso a vantaggio dei risparmiatori per i quali esse stesse operano.Chi gestisce il fondo investe tali somme in svariate attività,tutte di tipologia diversa,ad esempio in azioni di borsa,obbligazioni,immobili ma il tutto deve sempre essere finalizzato all'obiettivo del fondo d'investimento che viene pre-concordato con i risparmiatori.
Il pregio del fondo comune di investimento non è uno solo,ma molteplici:si godono delle competenze dei professionisti cui ci si affida; unendo i vari risparmi di più soggetti si può creare un fondo di grosse dimensioni con cui accedere ad affari ed opportunità di notevole interesse e guadagno; il rischio d'investimento diminuisce poichè non dipende dalle sorti di una sola azienda o di un solo prodotto.I fondi d'investimento possono essere molteplici ma 4 sono le categorie base cui fare riferimento ed in particolare parliamo dei fondi azionari,dei fondi obbligazionari,dei fondi bilanciati e dei fondi immobiliari.Come valutarli e come capire nello specifico il fondo più adatto a noi? Andiamo a scoprire di cosa si tratta.
FONDI AZIONARI - La Società di Gestione decide di utilizzare il fondo di investimento nell'acquisto di azioni di borsa,ovviamente essendo il fondo comune il rischio di perdità diminuisce perchè non collegato alle prestazioni di un unico tipo di azioni e di azienda.Inoltre le azioni da acquisire vengono scelte da seri professionisti sulla base di analisi e studi.Questo tipo di fondi possono essere fondi di crescita o fondi di reddito.I primi avranno investimenti finalizzati al lungo periodo con azioni di valore potenziale anche per il futuro.I secondi invece mirano al pronto realizzo di profitto,preferendo azioni di aziende dal dividendo sicuro e stabile già nel breve periodo.
FONDI OBBLIGAZIONARI - Questi fondi prevedono l'utilizzo delle somme per l'acquisto di obbligazioni ovvero di contratti di prestito firmati da aziende o anche da stati sovrani (titoli di stato),con lo scopo di raccogliere capitale.Sono vere dichiarazioni di credito con cui chi emette l'obbligazione promette di restituire ad un certo tasso di interesse e entro una certa data la somma raccolta.Le obbligazioni di stato sono certamente più sicure poichè garantite da un ministero che le emette,quelle societarie molto meno poichè un'azienda può sempre fallire ed in quel caso sarà già un miracolo recuperare la metà di ciò che abbiamo investito.
FONDI BILANCIATI - I fondi bilancitati sono caratterizzati dal prevedere investimenti in azioni e obbligazioni.La stetegia di acquisto può essere statica o dinamica cioè orientata verso l'asset di investimento più fruibile e redditizio.Il pregio di questa tipologia di fondo è la diversificazione dell'investimento in modo da neutralizzare senza danni eventuali periodi negativi che nel corso dell'anno possono manifestarsi sul mercato sia azionario che obbligazionario.
FONDI IMMOBILIARI - In questi tipo di fondi le somme di denaro vengono usate per l'acquisto di beni immobili.E' forse il tipo di fondo più sicuro e redditizio ma anche quello che richiede la maggiore liquidità da parte dei risparmiatori.I fondi possono distinguersi in fondi tradizionali e in fondi di società.Nei primi si investe direttamente nell'acquisto di immobili,la società di gestione ricerca gli immobili da acquistare e il profitto giunge dalla vendita successiva a prezzo maggiorato dell'immobile acquistato.La loro pecca è che spesso le opportunità di realizzo sono molto lente a causa delle lentezze burocratiche del mercato immobiliare.I secondi invece sono fondi che investono nell'acquisto di azioni di aziende operanti nel settore degli immobili e dell'edilizia e quindi non direttamente nell'acquisto di beni immobili. continua
Investire in Borsa in modo sicuro - Parte 3
di Alice Santini
Sistemi e piani di investimento per non compiere errori.
Ora è il momento di iniziare a fare sul serio con il trading online.Per prima cosa dobbiamo registrarci in internet su un sito di negoziazioni,questo può essere una banca,una SIM oppure uno specifico sito di trading come 24Option,PLUS500 oppure ETORO.Registrati dovremo aprire un conto corrente online con un primo deposito,fatto ciò si potrà fin da subito iniziare a negoziare titoli e valute.I sistemi informatici ci danno ovviamente la possibilità di scegliere cosa acquisire,alcuni prevedono anche degli assistenti finanziari gratuiti che ci consiglieranno quando entrare in un determinato mercato ed iniziare lì ad investire.Nel sistema forex base avremo davanti a noi una casella nome, nella quale inserire il nome o la sigla del titolo sul quale intendiamo investire; poi si presenterà la casella dedicata al prezzo, dove bisogna indicare il prezzo minimo per la vendita del titolo e quello massimo a cui la si vuole acquistare. Questo particolare è fondamentale altrimenti gli intermediari potranno a nostro nome agire liberamente senza limitazioni e prosciugare il nostro conto capitale.Infine il sistema prevede una casella quantitativa, nella quale andrà inserito il numero di azioni che intendiamo acquistare: potete immettere qualsiasi numero, visto che non esiste più la regola di una quantità minima di azioni da comprare.
La piattaforma di trading online che abbiamo deciso di utilizzare ci ricorderà il nostro ordine,prima di inoltrarlo e ci richiederà sempre una conferma e un nuovo controllo dell’operazione per non incorrere in spiacevoli e costosi sbagli.Una regola basilare di ogni buon trader è quella di imparare sempre a gestire le perdite: per riuscire a guadagnare del denaro sarà fondamentale non perdere il controllo delle nostre eventuali perdite.Essere determinati è poi una cosa decisiva: la motivazione e la prontezza sono fattori indispensabili per avere successo nel trading. Spesso i trader professionisti trascorrono moltissime ore a testare diverse strategie, prima di trovarne una più redditizia. Nel frattempo,può anche accadere che in attesa si perda denaro nelle transazioni collaterali,ma una volta trovata la strategia adatta,questa ripaga ogni sforzo o perdita. Quindi, cerchiamo di non demoralizzarci se inizialmente perderemo del denaro perché, se siamo disposti a rimanere nel gioco abbastanza a lungo da migliorare o perfezionare la strategia di trading scelta, potremo anche noi divenire grandi investitori e guadagnare consistenti somme di denaro nel futuro.Una regola d'ora di ogni buon investitore è infine quando uscire dagli scambi: se investiamo in uno scambio e le cose non vanno come avevamo immaginato,usciamo subito dal mercato,immediatamente. Non diveniamo testardi su uno scambio che ci sta facendo perdere del denaro, sperando che vi sia un’inversione di tendenza.Infine un grande talento dei trader è il riusicre a seguire la direzione del prezzo: negli USA usano una celebra frase “the trend is your friend” (la tendenza ti è amica),ovvero effettuare gli scambi seguendo la direzione del prezzo è il miglior modo per avere risultati positivi,magari non saranno esaltanti,ma il segno + non ci abbandonerà nelle transazioni. Durante le sessioni e le negoziazioni bisogna concentrarci su uno scambio alla volta: spesso sono stati effettuati molti scambi sulla coppia EUR/USD, con la coppia GBP/USD che invece non aveva effettuato alcun movimento. Questa è una scelta pericolosa.
Il consiglio è quindi di concentrare la nostra attenzione su una “coppia principale” alla volta: se lo scambio EUR/USD vi sembra una buona idea, allora acquistiamo soltanto EUR/USD.La base di un trading funzionale è dotarsi di un sistema operativo automatizzato in grado di prevede i flussi del mercato in cui operiamo,spesso vengono forniti dalle stesse società di intermediazione.All'inizio con un capitale minimo,almeno 2000 euro,concentriamoci sulle azioni binarie,in particolare sulle opzioni,sia call che put e sui titoli derivati non obbligazionari,più flessibili e convenienti per un acquirente non professionista.Più particolare è il caso delle azioni a ritorno fisso (FRO) che invece obbligano ad una scadenza prestabilita e ad una elevata conoscenza dello strike price.Nei periodi di recessione come questi,bisogna investire in aziende con debiti bassi e crescita costante,anche se non elevata.Il nostro Investing Value deve riguardare titoli di aziende forti e solide,quando poi la recessione terminerà allora quei titoli potranno essere venduti a prezzo raddoppiato.Acquistiamo azioni sottostimate solo di aziende che producono beni necessari,poichè superata la crisi,esse riprenderanno a fare utili e ad aumentare il valore dei titoli.In Italia titoli sempre convenienti sono Luxottica,Ferragamo,Fiat,Eni ed Enel,Nel portafoglio di un buon trader non dovrebbero mai mancare.Allora pronti e via con il trading online,con giudizio e capacità,ma un brivido di incoscienza non deve mai mancare.
Ora è il momento di iniziare a fare sul serio con il trading online.Per prima cosa dobbiamo registrarci in internet su un sito di negoziazioni,questo può essere una banca,una SIM oppure uno specifico sito di trading come 24Option,PLUS500 oppure ETORO.Registrati dovremo aprire un conto corrente online con un primo deposito,fatto ciò si potrà fin da subito iniziare a negoziare titoli e valute.I sistemi informatici ci danno ovviamente la possibilità di scegliere cosa acquisire,alcuni prevedono anche degli assistenti finanziari gratuiti che ci consiglieranno quando entrare in un determinato mercato ed iniziare lì ad investire.Nel sistema forex base avremo davanti a noi una casella nome, nella quale inserire il nome o la sigla del titolo sul quale intendiamo investire; poi si presenterà la casella dedicata al prezzo, dove bisogna indicare il prezzo minimo per la vendita del titolo e quello massimo a cui la si vuole acquistare. Questo particolare è fondamentale altrimenti gli intermediari potranno a nostro nome agire liberamente senza limitazioni e prosciugare il nostro conto capitale.Infine il sistema prevede una casella quantitativa, nella quale andrà inserito il numero di azioni che intendiamo acquistare: potete immettere qualsiasi numero, visto che non esiste più la regola di una quantità minima di azioni da comprare.
La piattaforma di trading online che abbiamo deciso di utilizzare ci ricorderà il nostro ordine,prima di inoltrarlo e ci richiederà sempre una conferma e un nuovo controllo dell’operazione per non incorrere in spiacevoli e costosi sbagli.Una regola basilare di ogni buon trader è quella di imparare sempre a gestire le perdite: per riuscire a guadagnare del denaro sarà fondamentale non perdere il controllo delle nostre eventuali perdite.Essere determinati è poi una cosa decisiva: la motivazione e la prontezza sono fattori indispensabili per avere successo nel trading. Spesso i trader professionisti trascorrono moltissime ore a testare diverse strategie, prima di trovarne una più redditizia. Nel frattempo,può anche accadere che in attesa si perda denaro nelle transazioni collaterali,ma una volta trovata la strategia adatta,questa ripaga ogni sforzo o perdita. Quindi, cerchiamo di non demoralizzarci se inizialmente perderemo del denaro perché, se siamo disposti a rimanere nel gioco abbastanza a lungo da migliorare o perfezionare la strategia di trading scelta, potremo anche noi divenire grandi investitori e guadagnare consistenti somme di denaro nel futuro.Una regola d'ora di ogni buon investitore è infine quando uscire dagli scambi: se investiamo in uno scambio e le cose non vanno come avevamo immaginato,usciamo subito dal mercato,immediatamente. Non diveniamo testardi su uno scambio che ci sta facendo perdere del denaro, sperando che vi sia un’inversione di tendenza.Infine un grande talento dei trader è il riusicre a seguire la direzione del prezzo: negli USA usano una celebra frase “the trend is your friend” (la tendenza ti è amica),ovvero effettuare gli scambi seguendo la direzione del prezzo è il miglior modo per avere risultati positivi,magari non saranno esaltanti,ma il segno + non ci abbandonerà nelle transazioni. Durante le sessioni e le negoziazioni bisogna concentrarci su uno scambio alla volta: spesso sono stati effettuati molti scambi sulla coppia EUR/USD, con la coppia GBP/USD che invece non aveva effettuato alcun movimento. Questa è una scelta pericolosa.
Il consiglio è quindi di concentrare la nostra attenzione su una “coppia principale” alla volta: se lo scambio EUR/USD vi sembra una buona idea, allora acquistiamo soltanto EUR/USD.La base di un trading funzionale è dotarsi di un sistema operativo automatizzato in grado di prevede i flussi del mercato in cui operiamo,spesso vengono forniti dalle stesse società di intermediazione.All'inizio con un capitale minimo,almeno 2000 euro,concentriamoci sulle azioni binarie,in particolare sulle opzioni,sia call che put e sui titoli derivati non obbligazionari,più flessibili e convenienti per un acquirente non professionista.Più particolare è il caso delle azioni a ritorno fisso (FRO) che invece obbligano ad una scadenza prestabilita e ad una elevata conoscenza dello strike price.Nei periodi di recessione come questi,bisogna investire in aziende con debiti bassi e crescita costante,anche se non elevata.Il nostro Investing Value deve riguardare titoli di aziende forti e solide,quando poi la recessione terminerà allora quei titoli potranno essere venduti a prezzo raddoppiato.Acquistiamo azioni sottostimate solo di aziende che producono beni necessari,poichè superata la crisi,esse riprenderanno a fare utili e ad aumentare il valore dei titoli.In Italia titoli sempre convenienti sono Luxottica,Ferragamo,Fiat,Eni ed Enel,Nel portafoglio di un buon trader non dovrebbero mai mancare.Allora pronti e via con il trading online,con giudizio e capacità,ma un brivido di incoscienza non deve mai mancare.
Investire in Borsa in modo sicuro - Parte 2
di Alice Santini
Le prime regole d'oro per il trading online.
Nel primo articolo sul trading online abbiamo esposto il fenomeno degli investimenti in borsa ed elencato le origini e gli strumenti necessari per avviare questo tipo di attività.Ora possiamo andare avanti e affrontare altri aspetti ugualmente importanti.Il primo di questi è un quesito chiaro e semplice: come fare Trading on line senza rischiare di perdere tutto il tuo capitale iniziale in pochissimo tempo.Lo scopo intrinseco del trading on line è quello di incrementare il capitale di partenza, oppure di raggiungere un profitto extra grazie ad un capitale base. Per fare questo, abbiamo bisogno di una serie di consigli e indicazioni.Le statistiche e i dati non incoraggiano in tal senso,esse dicono che il 90% delle persone che fà trading on line perde tutto il suo capitale in Borsa in pochi anni,la causa di ciò potrebbe essere doppia:si tratta di persone che o non sanno come fare Trading on line oppure hanno una preparazione minima davvero insufficiente per affrontare questo tipo di attività.Dato che il 90% delle persone perde il proprio capitale nel giro di poco,potremmo ritenere già un buon risultato il fatto di riuscire a non perdere molto in poche operazioni.Quindi, il concetto fondamentale iniziale è semplice: se si riesci a non perdere molto in ogni operazione, è già un grande risultato.Ma come fare a realizzare profitto in Borsa e a generare utili del capitale attraverso il trading online?Scopriamolo allora.
Nel Trading c’è sempre un rischio, il rischio di perdita dei tuoi soldi; più si è a digiuno di informazioni e consigli su come fare Trading on line e più il rischio di dissipare il capitale iniziale aumenta in modo vertiginoso.Il primo caso lo si ha ad esempio nella situazione in cui investiamo una parte del capitale nell'acquisto di azioni che però ora risultano in perdita,raggiungendo un valore minimo rispetto a quello iniziale.Cosa fare di tali titoli?Tenere o vendere le azioni in perdita?E’ questo il dilemma più pericoloso che ci potrebbe venire quando possediamo azioni con segno negativo e non sappiamo come regolare il nostro comportamento.Ecco il caso di dire che sapere come fare Trading on line, vuol dire, sapere quando acquistare un’azione, quando venderla, e quando vendere in perdita.La lezione numero 1 è che non possiamo lasciare che delle azioni che abbiamo acquisito raggiungano un valore tale da dimezzarci il capitale,quando ci avviciniamo a quella soglia,quello è il momento di venderle.Altrimenti corriamo il rischio di aggregarci a quel 90% di persone che in Borsa finiscono con il dissipare i loro soldi invece di investirli.
La seconda lezione è come fare Trading riuscendo ad acquistare le azioni giuste sulla base della logica e non della fortuna o della pura intuizione.Mettiamo caso che adesso ci trovassimo dinanzia ad una serie di titoli azionari e dovessimo acquistarne un certo quantitativo?Come scegliere quelle più adatte a farci fare profitto?In base a quale principio di logica sceglieremmo i nostri titoli?Quale sarà la motivazione che porterà certe azioni a salire o a scendere di valore?Chi non è avvezzo e pratico di Trading on line, è evidente, che sia portato a decidere solo con intuito e casualità.Quindi affidare i nostri soldi solo all'intuito è di certo un grossissimo rischio.Serve quindi adottare delle tecniche specifiche di trading collaudate, che siano in grado di dire con precisione come muoverci con sicurezza e disinvoltura e soprattutto che rispondano a queste tre semplici domande:Quali azioni acquistare;Quando vendere;Quando è il momento giusto di uscire in perdita.Un sistema di Trading di questa tipologia può salvare il nostro capitale in maniera costante, perché le varie perdite saranno sempre e comunque programmate,sulla base di ciò quindi non accadrà mai nè dovrà mai accadere di avere perdite tali da rifondere ad esempio il 50% del nostro capitale.In questo modo avremo un capitale sempre protetto in quanto non sarà mai esposto a grandi perdite, e le nostre piccolissime perdite comunque saranno sempre recuperabili.Non è importante quanto si guadagna nel trading online ma quanto si perde nel caso in cui si perde.Le altre ed importanti regole saranno esposte nella terza parte del nostro articolo. - continua
Nel primo articolo sul trading online abbiamo esposto il fenomeno degli investimenti in borsa ed elencato le origini e gli strumenti necessari per avviare questo tipo di attività.Ora possiamo andare avanti e affrontare altri aspetti ugualmente importanti.Il primo di questi è un quesito chiaro e semplice: come fare Trading on line senza rischiare di perdere tutto il tuo capitale iniziale in pochissimo tempo.Lo scopo intrinseco del trading on line è quello di incrementare il capitale di partenza, oppure di raggiungere un profitto extra grazie ad un capitale base. Per fare questo, abbiamo bisogno di una serie di consigli e indicazioni.Le statistiche e i dati non incoraggiano in tal senso,esse dicono che il 90% delle persone che fà trading on line perde tutto il suo capitale in Borsa in pochi anni,la causa di ciò potrebbe essere doppia:si tratta di persone che o non sanno come fare Trading on line oppure hanno una preparazione minima davvero insufficiente per affrontare questo tipo di attività.Dato che il 90% delle persone perde il proprio capitale nel giro di poco,potremmo ritenere già un buon risultato il fatto di riuscire a non perdere molto in poche operazioni.Quindi, il concetto fondamentale iniziale è semplice: se si riesci a non perdere molto in ogni operazione, è già un grande risultato.Ma come fare a realizzare profitto in Borsa e a generare utili del capitale attraverso il trading online?Scopriamolo allora.
Nel Trading c’è sempre un rischio, il rischio di perdita dei tuoi soldi; più si è a digiuno di informazioni e consigli su come fare Trading on line e più il rischio di dissipare il capitale iniziale aumenta in modo vertiginoso.Il primo caso lo si ha ad esempio nella situazione in cui investiamo una parte del capitale nell'acquisto di azioni che però ora risultano in perdita,raggiungendo un valore minimo rispetto a quello iniziale.Cosa fare di tali titoli?Tenere o vendere le azioni in perdita?E’ questo il dilemma più pericoloso che ci potrebbe venire quando possediamo azioni con segno negativo e non sappiamo come regolare il nostro comportamento.Ecco il caso di dire che sapere come fare Trading on line, vuol dire, sapere quando acquistare un’azione, quando venderla, e quando vendere in perdita.La lezione numero 1 è che non possiamo lasciare che delle azioni che abbiamo acquisito raggiungano un valore tale da dimezzarci il capitale,quando ci avviciniamo a quella soglia,quello è il momento di venderle.Altrimenti corriamo il rischio di aggregarci a quel 90% di persone che in Borsa finiscono con il dissipare i loro soldi invece di investirli.
La seconda lezione è come fare Trading riuscendo ad acquistare le azioni giuste sulla base della logica e non della fortuna o della pura intuizione.Mettiamo caso che adesso ci trovassimo dinanzia ad una serie di titoli azionari e dovessimo acquistarne un certo quantitativo?Come scegliere quelle più adatte a farci fare profitto?In base a quale principio di logica sceglieremmo i nostri titoli?Quale sarà la motivazione che porterà certe azioni a salire o a scendere di valore?Chi non è avvezzo e pratico di Trading on line, è evidente, che sia portato a decidere solo con intuito e casualità.Quindi affidare i nostri soldi solo all'intuito è di certo un grossissimo rischio.Serve quindi adottare delle tecniche specifiche di trading collaudate, che siano in grado di dire con precisione come muoverci con sicurezza e disinvoltura e soprattutto che rispondano a queste tre semplici domande:Quali azioni acquistare;Quando vendere;Quando è il momento giusto di uscire in perdita.Un sistema di Trading di questa tipologia può salvare il nostro capitale in maniera costante, perché le varie perdite saranno sempre e comunque programmate,sulla base di ciò quindi non accadrà mai nè dovrà mai accadere di avere perdite tali da rifondere ad esempio il 50% del nostro capitale.In questo modo avremo un capitale sempre protetto in quanto non sarà mai esposto a grandi perdite, e le nostre piccolissime perdite comunque saranno sempre recuperabili.Non è importante quanto si guadagna nel trading online ma quanto si perde nel caso in cui si perde.Le altre ed importanti regole saranno esposte nella terza parte del nostro articolo. - continua
Investire in Borsa in modo sicuro - Parte 1
di Alice Santini
Segreti e consigli per investimenti facili e redditizi.
Investire in borsa sta diventando ormai da anni un'attività molto diffusa non solo fra professionisti ed investitori istituzionali ma anche tra le masse di piccoli risparmiatori.Questo fenomeno si amplifica e prolifera soprattuto nei periodi di crisi economica quando il bisogno di avere una seconda voce di reddito diventa spesso necessaria o addirittura fondamentale in sostituzione di un lavoro principale che non vi è più.La Borsa sta quindi tramutandosi in una sorta di ancora a cui aggrapparsi per far fruttare il capitale,piccolo o grande,che le famiglie hanno a disposizione.A partire dai primi anni novanta, da quando cioè la Borsa di Milano è diventata telematica, si è cominciato a sentire anche nel nostro Paese l’esigenza di diffondere presso il grande pubblico alcune tra le più famose teorie di trading esistenti al mondo. Nel 1998 molte case editrici raccolsero questo messaggio e cominciarono a pubblicare i primi libri su Gann, Elliott, l’analisi tecnica e le altre più importanti tecniche di Borsa. Dopo il trascorrere di alcuni brevi anni il popolo dei risparmiatori attratti dall'investimento in Borsa si è notevolmente allargato e sempre più frequenti sono stati gli insegnamenti dei grandi maestri del trading e dell’investing,personaggi che con queste attività hanno in alcuni anni creato dal nulla imperi di ricchezza.
Comunque sia,venendo al sodo della questione,una sola è la domanda che sorge spontanea a chi si approccia per la prima volta in questo tipo di attività:Come si inizia ad investire nei mercati azionari? Moltissimi credono che investire in Borsa sia una specie di gioco d'azzardo e che i grafici terribili che spesso si vedono in tv siano grafici casuali e poco importanti.Ovviamente è tutto errato in modo assoluto.E' impensabile credere che gli operatori di borsa rischino in modo così esagerato i soldi dei loro clienti nè tantomento che un universo così importante e lucroso sia basato solo ed esclusivamente su azioni di azzardo. La borsa non ha movimenti casuali, ma dettati da fenomeni che si possono studiare in anticipo e, per tale motivo, essa viene sfruttata per ottenere grandi ricavi. Non occorrono di certo difficoltosi corsi o studi economici approfonditi per investire in borsa anche se, ovviamente, un minimo di preparazione puà servire se non si vuole che gli squali della finanza ci ripuliscano il conto in banca.Spesso su internet è possibile racimolare informazioni e materiali utili,importanti per farsi un'idea del fenomeno ma ovviamente non bastano una piccola infarinata di titoli azionari e Borsa per dirsi pronti ad investire in azioni e fondi.Per poter fare dell'investimento un metodo di integrazione del reddito o farla diventare una vera e propria professione – allora, bisogna prepararsi ad affrontare l’investimento in borsa con corsi specifici e ben articolati.
Se vogliamo che qualcuno ci guidi nelle tecniche serie che ci mettano in condizione di guadagnare investendo in borsa, dobbiamo per forza ottenere materiali informativi di tipo professionale.Per cominciare il nostro trading all'inizio può essere utile anche solo un capitale minimo,se non nullo. Infatti molte banche mettono a disposizione dei loro clienti una piattaforma per il trading online che permette di operare senza soldi, ossia in modalità demo (virtuale).Questo metodo ci aiuterò a fare pratica e comprendere i flussi di investimenti e le dinamiche ad esse connesse.Poi potremo iniziare sul serio con moneta reale. Quando iniziamo a fare sul serio, la tipologia di capitale che può bastare per avviare quest’attività può essere anche di un migliaio di euro (se desideriamo provare direttamente con titoli derivati), oppure intorno ai 5/10 mila euro se il nostro desiderio è cominciare ad acquisire azioni ordinarie.Come si può facilmente intuire quindi non è un vero problema iniziare l’attività di trading, in quanto si può fare tranquillamente da casa, basta avere un computer e una connessione internet. Non dimentichiamo poi che esistono sul mercato tantissime SIM ( Società di Intermediazione Mobiliare), o conti correnti online che ci renderanno possibile investire in borsa con software facili ed intuitivi.Il difficle viene dopo,ovvero scegliere le tipologie di investimento con cui fare profitto. - continua
Investire in borsa sta diventando ormai da anni un'attività molto diffusa non solo fra professionisti ed investitori istituzionali ma anche tra le masse di piccoli risparmiatori.Questo fenomeno si amplifica e prolifera soprattuto nei periodi di crisi economica quando il bisogno di avere una seconda voce di reddito diventa spesso necessaria o addirittura fondamentale in sostituzione di un lavoro principale che non vi è più.La Borsa sta quindi tramutandosi in una sorta di ancora a cui aggrapparsi per far fruttare il capitale,piccolo o grande,che le famiglie hanno a disposizione.A partire dai primi anni novanta, da quando cioè la Borsa di Milano è diventata telematica, si è cominciato a sentire anche nel nostro Paese l’esigenza di diffondere presso il grande pubblico alcune tra le più famose teorie di trading esistenti al mondo. Nel 1998 molte case editrici raccolsero questo messaggio e cominciarono a pubblicare i primi libri su Gann, Elliott, l’analisi tecnica e le altre più importanti tecniche di Borsa. Dopo il trascorrere di alcuni brevi anni il popolo dei risparmiatori attratti dall'investimento in Borsa si è notevolmente allargato e sempre più frequenti sono stati gli insegnamenti dei grandi maestri del trading e dell’investing,personaggi che con queste attività hanno in alcuni anni creato dal nulla imperi di ricchezza.
Comunque sia,venendo al sodo della questione,una sola è la domanda che sorge spontanea a chi si approccia per la prima volta in questo tipo di attività:Come si inizia ad investire nei mercati azionari? Moltissimi credono che investire in Borsa sia una specie di gioco d'azzardo e che i grafici terribili che spesso si vedono in tv siano grafici casuali e poco importanti.Ovviamente è tutto errato in modo assoluto.E' impensabile credere che gli operatori di borsa rischino in modo così esagerato i soldi dei loro clienti nè tantomento che un universo così importante e lucroso sia basato solo ed esclusivamente su azioni di azzardo. La borsa non ha movimenti casuali, ma dettati da fenomeni che si possono studiare in anticipo e, per tale motivo, essa viene sfruttata per ottenere grandi ricavi. Non occorrono di certo difficoltosi corsi o studi economici approfonditi per investire in borsa anche se, ovviamente, un minimo di preparazione puà servire se non si vuole che gli squali della finanza ci ripuliscano il conto in banca.Spesso su internet è possibile racimolare informazioni e materiali utili,importanti per farsi un'idea del fenomeno ma ovviamente non bastano una piccola infarinata di titoli azionari e Borsa per dirsi pronti ad investire in azioni e fondi.Per poter fare dell'investimento un metodo di integrazione del reddito o farla diventare una vera e propria professione – allora, bisogna prepararsi ad affrontare l’investimento in borsa con corsi specifici e ben articolati.
Se vogliamo che qualcuno ci guidi nelle tecniche serie che ci mettano in condizione di guadagnare investendo in borsa, dobbiamo per forza ottenere materiali informativi di tipo professionale.Per cominciare il nostro trading all'inizio può essere utile anche solo un capitale minimo,se non nullo. Infatti molte banche mettono a disposizione dei loro clienti una piattaforma per il trading online che permette di operare senza soldi, ossia in modalità demo (virtuale).Questo metodo ci aiuterò a fare pratica e comprendere i flussi di investimenti e le dinamiche ad esse connesse.Poi potremo iniziare sul serio con moneta reale. Quando iniziamo a fare sul serio, la tipologia di capitale che può bastare per avviare quest’attività può essere anche di un migliaio di euro (se desideriamo provare direttamente con titoli derivati), oppure intorno ai 5/10 mila euro se il nostro desiderio è cominciare ad acquisire azioni ordinarie.Come si può facilmente intuire quindi non è un vero problema iniziare l’attività di trading, in quanto si può fare tranquillamente da casa, basta avere un computer e una connessione internet. Non dimentichiamo poi che esistono sul mercato tantissime SIM ( Società di Intermediazione Mobiliare), o conti correnti online che ci renderanno possibile investire in borsa con software facili ed intuitivi.Il difficle viene dopo,ovvero scegliere le tipologie di investimento con cui fare profitto. - continua
I Segreti del Debito Pubblico
di Alice Santini
Abbassare il deficit è possibile.Basta solo volerlo.
Tornando sul discorso fatto in precedenza,per definire la misura ed il valore monetario è sufficiente stabilire un simbolo convenzionale ed il conseguente valore di moneta.Nel caso della moneta appunto serve una comunità di individui che introduca il valore semplicemente accordandosi su di esso,senza dover per forza dare vita ad una produzione-vendita di merci.Solamente chi all'origine determina il valore monetario ne diventa anche il proprietario;quindi nell'atto di emettere moneta il valore nominale della stessa per forza di cose deve essere di proprietà della comunità che lo produce per accordo e senza spese.Non invece dell'ente o dell'autorità monetaria chiamata a mettere tale moneta in circolazione poichè tale compito viene ad essa assegnato solo in rappresentanza della comunità stessa.Ecco esplicitato il paradosso enorme alla base del debito sovrano.Al massimo si potrebbe accettare che chi mette in circolazione la moneta venga pagato per il servizio reso,in base all'attività svolta,non certo che ne diventi il proprietario. Potremmo osare ed affermare che ogni banca centrale è solo un soggetto che va ricompensato per i servizi di stampa della moneta o al massimo di deposito.La legge che governa e disciplina questo settore del resto si limita a regolare la decisione ma non determina la decisione stessa,che invece solo dalla comunità deve essere presa.
Detto ciò sulle base concettuali del valore monetario,la Pubblica Amministrazione è semplicemente una diretta emanazione della collettività e quindi solo una collettività miope e raggirabile deciderebbe di non essere proprietaria della sua stessa moneta e autorizzerebbe la stessa Pubblica Amministrazione a contrarre debito per ottenere altra moneta.Il Debito Pubblico quindi non ha alcun fondamento teorico,a prescindere da chi sia o meno il creditore.La comunità intera sembra non accorgersi che per realizzare i suoi progetti e soddisfare i suoi bisogni essa prende in prestito denaro di cui è già proprietaria e che essa stessa potrebbe produrre in modo illimitato se autorizzasse gli enti preposti all'erogazione di nuova moneta.Molti economisti d'avanguardia parlano di vero è proprio raggiro ai danni della collettività.Di fatti è come se la comunità si definisse come un privato soggetto alla ricerca di fondi per sopravvivere,e alla Pubblica Amministrazione affidasse il ruolo di garante e controllore del bilancio dello Stato.Ma all'atto di emissione della moneta essa rinunciasse ad esserne proprietaria e affidasse tale valore monetario al sistema bancario nazionale.Ma il bisogno di moneta resta e allora la collettività nella figura dei suoi rappresentanti si fa prestare quella stessa moneta che essa produce promettendo di rimborsarla con gli interessi nel tempo,in questo modo nasce e si propaga l'immane debito pubblico di cui il nostro paese è malato.
Ancora una volta la soluzione del problema ci arriva dagli Stati Uniti del periodo post '29.Per uscire da quella terribile crisi e sanare il debito pubblico il governo americano svalutò la moneta e inflazionò per alcuni anni l'economia nazionale.Quindi svalutazione e inflazione sono gli unici metodi adatti a ridurre il debito pubblico.Molti economisti del Fondo Monetario Internazionale come Mosler e Davles lo hanno anche teorizzato di recente,ogni stato potrebbe eliminare sottobanco il proprio debito senza bisogno di pagare interessi e Bot ma semplicemente accreditando somme presso il Tesoro,non certo prendendo in prestito denaro per pagare il debito stesso già esistente.Una strada talmente semplice quanto difficile da realizzare a causa degli strettissimi vincoli europei cui il nostro paese ha deciso autonomamente di sottostare;ridiscutere gli accordi di Maastricht e il valore monetario dato all'euro in Italia è solo il primo passo per cominciare a risolvere in concreto il dramma paradossale del deficit pubblico.
Tornando sul discorso fatto in precedenza,per definire la misura ed il valore monetario è sufficiente stabilire un simbolo convenzionale ed il conseguente valore di moneta.Nel caso della moneta appunto serve una comunità di individui che introduca il valore semplicemente accordandosi su di esso,senza dover per forza dare vita ad una produzione-vendita di merci.Solamente chi all'origine determina il valore monetario ne diventa anche il proprietario;quindi nell'atto di emettere moneta il valore nominale della stessa per forza di cose deve essere di proprietà della comunità che lo produce per accordo e senza spese.Non invece dell'ente o dell'autorità monetaria chiamata a mettere tale moneta in circolazione poichè tale compito viene ad essa assegnato solo in rappresentanza della comunità stessa.Ecco esplicitato il paradosso enorme alla base del debito sovrano.Al massimo si potrebbe accettare che chi mette in circolazione la moneta venga pagato per il servizio reso,in base all'attività svolta,non certo che ne diventi il proprietario. Potremmo osare ed affermare che ogni banca centrale è solo un soggetto che va ricompensato per i servizi di stampa della moneta o al massimo di deposito.La legge che governa e disciplina questo settore del resto si limita a regolare la decisione ma non determina la decisione stessa,che invece solo dalla comunità deve essere presa.
Detto ciò sulle base concettuali del valore monetario,la Pubblica Amministrazione è semplicemente una diretta emanazione della collettività e quindi solo una collettività miope e raggirabile deciderebbe di non essere proprietaria della sua stessa moneta e autorizzerebbe la stessa Pubblica Amministrazione a contrarre debito per ottenere altra moneta.Il Debito Pubblico quindi non ha alcun fondamento teorico,a prescindere da chi sia o meno il creditore.La comunità intera sembra non accorgersi che per realizzare i suoi progetti e soddisfare i suoi bisogni essa prende in prestito denaro di cui è già proprietaria e che essa stessa potrebbe produrre in modo illimitato se autorizzasse gli enti preposti all'erogazione di nuova moneta.Molti economisti d'avanguardia parlano di vero è proprio raggiro ai danni della collettività.Di fatti è come se la comunità si definisse come un privato soggetto alla ricerca di fondi per sopravvivere,e alla Pubblica Amministrazione affidasse il ruolo di garante e controllore del bilancio dello Stato.Ma all'atto di emissione della moneta essa rinunciasse ad esserne proprietaria e affidasse tale valore monetario al sistema bancario nazionale.Ma il bisogno di moneta resta e allora la collettività nella figura dei suoi rappresentanti si fa prestare quella stessa moneta che essa produce promettendo di rimborsarla con gli interessi nel tempo,in questo modo nasce e si propaga l'immane debito pubblico di cui il nostro paese è malato.
Ancora una volta la soluzione del problema ci arriva dagli Stati Uniti del periodo post '29.Per uscire da quella terribile crisi e sanare il debito pubblico il governo americano svalutò la moneta e inflazionò per alcuni anni l'economia nazionale.Quindi svalutazione e inflazione sono gli unici metodi adatti a ridurre il debito pubblico.Molti economisti del Fondo Monetario Internazionale come Mosler e Davles lo hanno anche teorizzato di recente,ogni stato potrebbe eliminare sottobanco il proprio debito senza bisogno di pagare interessi e Bot ma semplicemente accreditando somme presso il Tesoro,non certo prendendo in prestito denaro per pagare il debito stesso già esistente.Una strada talmente semplice quanto difficile da realizzare a causa degli strettissimi vincoli europei cui il nostro paese ha deciso autonomamente di sottostare;ridiscutere gli accordi di Maastricht e il valore monetario dato all'euro in Italia è solo il primo passo per cominciare a risolvere in concreto il dramma paradossale del deficit pubblico.
Disoccupazione.Analisi e commenti-Parte 2
di Alice Santini
Interventi e soluzioni concrete.La strada è chiara.
Dopo aver sinteticamente elencato i vari tipi di disoccupazione che flagellano la nostra economia e aver analizzato la dimensione e la tipologia delle varie forme è giunto il momento di dedicarci ad abbozzare e delineare almeno brevemente quelle che possono essere le soluzioni per combattere il fenomeno.Governi e Banche Centrali sono i soggetti sul banco degli imputati.Diciamolo onestamente,le loro politiche sono spesso tardive ed inadeguate,non riescono ad arginare il fenomeno nè tantomeno ad avere un'idea concreta dello stesso.Una maggiore e più stretta cooperazione fra i due enti potrebbe garantire un approccio progressivo e quindi risolutivo del problema.Il discorso è generale ed è applicabile anche alle forme di disoccupazione giovanile che negli ultimi anni risultano in drammatica crescita.Un punto da evidenziare in maniera netta è che la disoccupazione è l'effetto non la causa.O meglio,la crisi economica che in questi anni ci ha investito è ciò che ha dato origine agli attuali flussi di disoccupazione,quindi solo rafforzando l'economia reale si potranno avere benefici in tal senso,non il contrario.In un contesto di economia globale il ragionamento deve essere allargato e globale.
Le politiche comunitarie devono essere impostate in un certo modo,non soltanto l'intervento nazionale,altrimenti i risultati si depotenziano enormemente.Il declino economico del paese è l'oggetto dell'intervento,un intervento accompagnato da una vera rivoluzione culturale soprattutto in Italia dove vi è il più alto rapporto Europeo tra lavoro improduttivo e lavoro produttivo. Il lavoro improduttivo è un enorme costo aggiuntivo per il paese e non è in grado di produrre ricchezza ma solo un aumento della tassazione. In un paese come l'Italia che purtroppo ha già una pressione fiscale altissima è davvero un colpo mortale. Il dramma del lavoro improduttivo è che esso si autoalimenta,è capace cioè di creare altro lavoro improduttivo, che non è solo inutile ma diventa ben presto dannoso.Emblema di ciò di cui parliamo è la burocrazia e le pubbliche amministrazioni inefficienti.Per giustificare la loro stessa esistenza le sfere burocratiche rallentano il paese,lo sottopongono a stress,controlli,autorizzazioni,procedure complesse e spesso costose.E' una mentalità che pervade il settore pubblico e blocca la crescita del paese.La sburocratizzazione dello Stato non è solo slogan da comizio,ma deve divenire obbligo,intervento normativo concreto.Aprire un'azienda deve essere facile e veloce,come accade in molti paesi,solo così si incentiva la crescita economica.Ma questo è solo un piccolissimo aspetto.Altro elemento basilare è la detassazione dei contratti di lavoro.Invogliare l'imprenditore ad assumere,permettergli di avere forza lavoro senza imposte eccessive è davvero una scelta importante.Un piano a medio termine (almeno 5 anni) di NO TAX AREA per chi assume sarebbe fondamentale.Andrebbe poi affrontato il tema della particolarissima e ingiusta tassa dell'Irap.L'imposta sull'attività produttiva che fa gridare allo scandalo le aziende.
Esse infatti non solo versano allo Stato l'Ires o meglio imposta sul reddito,ma debbono versare somme anche per quello che producono.Una fattispecie d'imposta davvero inopportuna in un periodo di crisi,non si incentiva certo alla produzione se in più la si tassa appositamente.L'abolizione dell'Irap sarebbe un toccasana per l'industria italiana.Ma lo Stato sembra sordo a riguardo.Le aziende non vogliono incentivi,vogliono detassazione sul lavoro,una burocrazia veloce e metodi di risoluzione delle controversie rapidi ed efficaci,che tutelino il creditore più che il debitore.Solo così sono incentivati all'assunzione.Sul versante formativo è indubbio che il campo delle università deve essere meno didattico e più concreto.I corsi devono iniziare a prevedere tirocini e stage fin da subito,in modo da canalizzare lo studente immediatamente nel mondo del lavoro.Le università intese come templi del sapere,santuari di pura teoria,sono inutili e costose.All'estero già l'hanno capito da anni.Infine il veloce e dinamico mondo delle start up.Incentivi per i giovani imprenditori che creano aziende su brevetti e idee nuove,solo questo può essere ul modo per far crescere il paese,ammodernizzarlo economicamente e tenere il passo il Europa.Le aziende di terza generazione sono la via del futuro,settori come l'informatica,l'energia,l'ambiente,vanno aiutati a nascere anche in Italia.Un nuovo piano industriale che miri allo sviluppo di nuovi rami imprenditoriali deve essere la soluzione.Come si può notare i campi di intervento sono numerosi,lo Stato deve essere pronto e convinto nelle scelte,la disoccupazione ha varie cause e vari e complessi quindi devono essere i punti toccati dal governo.Solo così il dramma di questo fenomeno sociale potrà essere arginato,ben sapendo però che il lungo e non il breve periodo,è l'obiettivo su cui concentrarsi.
Dopo aver sinteticamente elencato i vari tipi di disoccupazione che flagellano la nostra economia e aver analizzato la dimensione e la tipologia delle varie forme è giunto il momento di dedicarci ad abbozzare e delineare almeno brevemente quelle che possono essere le soluzioni per combattere il fenomeno.Governi e Banche Centrali sono i soggetti sul banco degli imputati.Diciamolo onestamente,le loro politiche sono spesso tardive ed inadeguate,non riescono ad arginare il fenomeno nè tantomeno ad avere un'idea concreta dello stesso.Una maggiore e più stretta cooperazione fra i due enti potrebbe garantire un approccio progressivo e quindi risolutivo del problema.Il discorso è generale ed è applicabile anche alle forme di disoccupazione giovanile che negli ultimi anni risultano in drammatica crescita.Un punto da evidenziare in maniera netta è che la disoccupazione è l'effetto non la causa.O meglio,la crisi economica che in questi anni ci ha investito è ciò che ha dato origine agli attuali flussi di disoccupazione,quindi solo rafforzando l'economia reale si potranno avere benefici in tal senso,non il contrario.In un contesto di economia globale il ragionamento deve essere allargato e globale.
Le politiche comunitarie devono essere impostate in un certo modo,non soltanto l'intervento nazionale,altrimenti i risultati si depotenziano enormemente.Il declino economico del paese è l'oggetto dell'intervento,un intervento accompagnato da una vera rivoluzione culturale soprattutto in Italia dove vi è il più alto rapporto Europeo tra lavoro improduttivo e lavoro produttivo. Il lavoro improduttivo è un enorme costo aggiuntivo per il paese e non è in grado di produrre ricchezza ma solo un aumento della tassazione. In un paese come l'Italia che purtroppo ha già una pressione fiscale altissima è davvero un colpo mortale. Il dramma del lavoro improduttivo è che esso si autoalimenta,è capace cioè di creare altro lavoro improduttivo, che non è solo inutile ma diventa ben presto dannoso.Emblema di ciò di cui parliamo è la burocrazia e le pubbliche amministrazioni inefficienti.Per giustificare la loro stessa esistenza le sfere burocratiche rallentano il paese,lo sottopongono a stress,controlli,autorizzazioni,procedure complesse e spesso costose.E' una mentalità che pervade il settore pubblico e blocca la crescita del paese.La sburocratizzazione dello Stato non è solo slogan da comizio,ma deve divenire obbligo,intervento normativo concreto.Aprire un'azienda deve essere facile e veloce,come accade in molti paesi,solo così si incentiva la crescita economica.Ma questo è solo un piccolissimo aspetto.Altro elemento basilare è la detassazione dei contratti di lavoro.Invogliare l'imprenditore ad assumere,permettergli di avere forza lavoro senza imposte eccessive è davvero una scelta importante.Un piano a medio termine (almeno 5 anni) di NO TAX AREA per chi assume sarebbe fondamentale.Andrebbe poi affrontato il tema della particolarissima e ingiusta tassa dell'Irap.L'imposta sull'attività produttiva che fa gridare allo scandalo le aziende.
Esse infatti non solo versano allo Stato l'Ires o meglio imposta sul reddito,ma debbono versare somme anche per quello che producono.Una fattispecie d'imposta davvero inopportuna in un periodo di crisi,non si incentiva certo alla produzione se in più la si tassa appositamente.L'abolizione dell'Irap sarebbe un toccasana per l'industria italiana.Ma lo Stato sembra sordo a riguardo.Le aziende non vogliono incentivi,vogliono detassazione sul lavoro,una burocrazia veloce e metodi di risoluzione delle controversie rapidi ed efficaci,che tutelino il creditore più che il debitore.Solo così sono incentivati all'assunzione.Sul versante formativo è indubbio che il campo delle università deve essere meno didattico e più concreto.I corsi devono iniziare a prevedere tirocini e stage fin da subito,in modo da canalizzare lo studente immediatamente nel mondo del lavoro.Le università intese come templi del sapere,santuari di pura teoria,sono inutili e costose.All'estero già l'hanno capito da anni.Infine il veloce e dinamico mondo delle start up.Incentivi per i giovani imprenditori che creano aziende su brevetti e idee nuove,solo questo può essere ul modo per far crescere il paese,ammodernizzarlo economicamente e tenere il passo il Europa.Le aziende di terza generazione sono la via del futuro,settori come l'informatica,l'energia,l'ambiente,vanno aiutati a nascere anche in Italia.Un nuovo piano industriale che miri allo sviluppo di nuovi rami imprenditoriali deve essere la soluzione.Come si può notare i campi di intervento sono numerosi,lo Stato deve essere pronto e convinto nelle scelte,la disoccupazione ha varie cause e vari e complessi quindi devono essere i punti toccati dal governo.Solo così il dramma di questo fenomeno sociale potrà essere arginato,ben sapendo però che il lungo e non il breve periodo,è l'obiettivo su cui concentrarsi.
Disoccupazione.Analisi e commenti - Parte 1
di Alice Santini
Viaggio esegetico fra le cause di una piaga sociale.
La disoccupazione è un problema di gravità enorme,è "il problema" secondo alcuni economisti.La piaga sociale più grave per la popolazione.Nel periodo attuale in cui la crisi economica non riesce totalmente a passare e molti paesi vedono rallentare le proprie quote di crescita annuale,la disoccupazione è un problema generale che riguarda tutti i paesi europei,compreso il nostro.Un fenomeno di cui si parla molto sia in chiave politica sia in chiave mediatica-sociale ma un fenomeno che porta con se un vero paradosso e cioè nonostante la paura della sua esistenza,con esso si convive tranquillamente e poche ed inefficaci sono le politiche economiche intraprese.Molte sono state le analisi e le comparazioni fatte fra i dati nazionali ed internazionali nella speranza di trovare flussi e teorie da applicare.Negli anni sessanta in epoca di boom economico e piena-occupazione,gli studiosi si concentrarono soprattutto sui risvolti sociologici del tema,ma dopo il tormentato decennio dei '70,negli anni '80 e '90 il fenomeno riesplose nella sua gravità tanto da centralizzare spesso e volentieri i programmi politici dei vari governi.Oggi la disoccupazione è una problematica multi-dimensionale che spiega la sua ragione nella natura stessa del mercato del lavoro e soprattutto spiega la sua origine ricollegandosi a due concetti quali la disoccupazione di massa e la flessibilizzazione dei rapporti di lavoro.
Per fortuna l'economia politica ha abbandonato ideologie di stampo morale ed etico che nell'ottocento ritenevano la condizione del disoccupato fosse sostanzialmente una colpa del soggetto stesso che non si attivava nel modo adatto per trovare lavoro.Oggi le moderne teorie evidenziano che il fenomeno è endemico ed insito nella stessa struttura del mercato del lavoro e dell'economia di stampo capitalistico.Gli studiosi marginalisti per primi concettualizzarono quattro particolari forme di disoccupazione: a) la disoccupazione frizionale; b) la disoccupazione stagionale; c) la disoccupazione strutturale; d) disoccupazione congiunturale.Allora andiamo nello specifico ad analizzarle.La disoccupazione frizionale indica lo status momentaneo di disoccupato di chi ha perso il lavoro o lo sta cercando per la prima volta.E' una dato ricollegabile al breve periodo e date le diverse competenze e i diversi desideri dei lavorati in cerca di impiego ,queste non subito possono coincidere con le richieste del mercato del lavoro.Ecco perchè possiamo affermare che un tasso di disoccupazione del 3-4% è pura disoccupazione frizionale e quindi ampiamente preventivabile e non negativa poi essa esiste e varia con il variare del rapporto e delle dinamiche fra domanda e offerta di lavoro.
La disoccupazione stagionale invece è una particolarissima forma di condizione di non occupazione che dipende strattamente dalle situazioni ambientali e climatiche.Un esempio tipico sono alcune professioni lavorative collegate al turismo,alla caccia o alla pesca,si tratta insomma di una forma particolare e contro cui è impossibile intervenire in maniera efficace ed utile.Vi è la disoccupazione strutturale.Questa è la forma più grave del fenomeno e coincide con una totale mancanza di corrispondenza fra domanda e offerta di lavoro;si tratta di un dato di lungo periodo e se la sua persistenza è durevole si crea una forma di squilibrio fra domanda e offerta tale da rendere impossibile un impiego totale della manodopera.Infine individuiamo la disoccupazione congiunturale (o ciclica):essa dipende da una momentanea scarsità della domanda di lavoro dovuta a periodi di crisi economica;essa è subordinata molto dalle variazioni che il ciclo economico subisce negli anni ed è un tasso che aumenta se l'economia globale è in fase di recessione mentre diminuisce nei periodi di crescita.La sua misurazione la si può ottenere facendo la differenza positiva fra tasso di disoccupazione e tasso naturale di disoccupazione (ovvero il livello minimo necessario).Diverse le forme di disoccupazione e diverse saranno ovviamente le tecniche di intervento necessarie per correggerle,di cui però tratteremo nel prossimo articolo. - continua -
La disoccupazione è un problema di gravità enorme,è "il problema" secondo alcuni economisti.La piaga sociale più grave per la popolazione.Nel periodo attuale in cui la crisi economica non riesce totalmente a passare e molti paesi vedono rallentare le proprie quote di crescita annuale,la disoccupazione è un problema generale che riguarda tutti i paesi europei,compreso il nostro.Un fenomeno di cui si parla molto sia in chiave politica sia in chiave mediatica-sociale ma un fenomeno che porta con se un vero paradosso e cioè nonostante la paura della sua esistenza,con esso si convive tranquillamente e poche ed inefficaci sono le politiche economiche intraprese.Molte sono state le analisi e le comparazioni fatte fra i dati nazionali ed internazionali nella speranza di trovare flussi e teorie da applicare.Negli anni sessanta in epoca di boom economico e piena-occupazione,gli studiosi si concentrarono soprattutto sui risvolti sociologici del tema,ma dopo il tormentato decennio dei '70,negli anni '80 e '90 il fenomeno riesplose nella sua gravità tanto da centralizzare spesso e volentieri i programmi politici dei vari governi.Oggi la disoccupazione è una problematica multi-dimensionale che spiega la sua ragione nella natura stessa del mercato del lavoro e soprattutto spiega la sua origine ricollegandosi a due concetti quali la disoccupazione di massa e la flessibilizzazione dei rapporti di lavoro.
Per fortuna l'economia politica ha abbandonato ideologie di stampo morale ed etico che nell'ottocento ritenevano la condizione del disoccupato fosse sostanzialmente una colpa del soggetto stesso che non si attivava nel modo adatto per trovare lavoro.Oggi le moderne teorie evidenziano che il fenomeno è endemico ed insito nella stessa struttura del mercato del lavoro e dell'economia di stampo capitalistico.Gli studiosi marginalisti per primi concettualizzarono quattro particolari forme di disoccupazione: a) la disoccupazione frizionale; b) la disoccupazione stagionale; c) la disoccupazione strutturale; d) disoccupazione congiunturale.Allora andiamo nello specifico ad analizzarle.La disoccupazione frizionale indica lo status momentaneo di disoccupato di chi ha perso il lavoro o lo sta cercando per la prima volta.E' una dato ricollegabile al breve periodo e date le diverse competenze e i diversi desideri dei lavorati in cerca di impiego ,queste non subito possono coincidere con le richieste del mercato del lavoro.Ecco perchè possiamo affermare che un tasso di disoccupazione del 3-4% è pura disoccupazione frizionale e quindi ampiamente preventivabile e non negativa poi essa esiste e varia con il variare del rapporto e delle dinamiche fra domanda e offerta di lavoro.
La disoccupazione stagionale invece è una particolarissima forma di condizione di non occupazione che dipende strattamente dalle situazioni ambientali e climatiche.Un esempio tipico sono alcune professioni lavorative collegate al turismo,alla caccia o alla pesca,si tratta insomma di una forma particolare e contro cui è impossibile intervenire in maniera efficace ed utile.Vi è la disoccupazione strutturale.Questa è la forma più grave del fenomeno e coincide con una totale mancanza di corrispondenza fra domanda e offerta di lavoro;si tratta di un dato di lungo periodo e se la sua persistenza è durevole si crea una forma di squilibrio fra domanda e offerta tale da rendere impossibile un impiego totale della manodopera.Infine individuiamo la disoccupazione congiunturale (o ciclica):essa dipende da una momentanea scarsità della domanda di lavoro dovuta a periodi di crisi economica;essa è subordinata molto dalle variazioni che il ciclo economico subisce negli anni ed è un tasso che aumenta se l'economia globale è in fase di recessione mentre diminuisce nei periodi di crescita.La sua misurazione la si può ottenere facendo la differenza positiva fra tasso di disoccupazione e tasso naturale di disoccupazione (ovvero il livello minimo necessario).Diverse le forme di disoccupazione e diverse saranno ovviamente le tecniche di intervento necessarie per correggerle,di cui però tratteremo nel prossimo articolo. - continua -
Inflazione.Anatomia di un problema-Parte 2
di Alice Santini
Soluzioni concrete per un problema complicato.
Nel precedente articolo abbiamo sottolineato le origini e le cause distorsive che danno inizio e fomentano il fenomeno dell’inflazione. Un nemico vero e proprio,molto complicato sia da determinare nelle sue dinamiche sia ovviamente da risolvere in maniera diretta. Negli ultimi decenni,al contrario dei disastri economici fatti negli anni ’70 e ’80,le politiche monetarie ed economiche, sia nazionali che comunitarie,sono riuscite a controllare il problema,senza però giungere ad una soluzione precisa per eliminare il fenomeno inflazionistico. La ragione è molto probabilmente dovuta al fatto che il fenomeno non ha una ed una sola causa originaria ma sono fattori complessi e articolati che la alimentano. La scarsa efficacia delle politiche anti-inflazione poi è molte volte dovuta anche alla presenza, nelle attuali economie mondiali, del particolarissimo elemento,molto noto negli anni sessanta,della stagflazione (cioè la contemporanea presenza in un sistema economico di inflazione e crescita zero o stagnazione).
Quasi in barba alle vecchie teorie economiche neoclassiche,l’attualità ci delinea quindi particolari situazioni in cui è sia presente il fenomeno dell’aumento dei prezzi ma in contemporanea anche un calo della domanda aggregata ed un equilibrio di sotto-occupazione. Secondo le moderne teorie, che traggono fondamenta e basi dagli studi di Friedman sul fenomeno,ciò è provocato dalle strane peculiarità assunte di recente dal mercato del lavoro. La conseguenza di questa stortura patologica è che, a causa dell’azione pressante e di tensione sociale dei sindacati,i salari dei lavoratori tendono ad aumentare anche nei periodi di decrescita o regressione economica. Le politiche economiche dovrebbero allora muoversi su più campi e in effetti lo fanno ma l’efficacia degli interventi spesso si depotenzia o si neutralizza da sola,azzerando i benefici ipotizzati. Insomma la strategia d’intervento deve essere alla base dell’azione dello Stato.Potremmo delineare quindi una sorta di piano ideale,teorico ma allo stesso tempo pronto all’applicazione concreta, con cui affrontare frontalmente e direttamente il problema dell’inflazione a seconda della causa che lo determina o che lo alimenta.
- Nel caso ad esempio,in cui l’inflazione sia dovuta ad un aumento della domanda dei beni, la cosa più saggia da fare sarebbe ridurre i consumi attraverso un aumento,ponderato,della tassazione, con il chiaro obiettivo di ridurre il reddito disponibile. La strategia qui indicata non è certo amata dall’opinione pubblica né apprezzata dalla classe politica che,così facendo, può alimentare la rabbia,immotivata,della massa di elettori,finendo col perdere consenso politico alle elezioni seguenti. Ecco perché,benché sia un metodo comprovato e valido,non è utilizzata in modo esplicito e volentieri. Senza dimenticare che in alcuni paesi,tra cui l’Italia,la pressione fiscale esistente è già piuttosto elevata e quindi le reazioni potrebbero essere mal gestite.
- Diverso è il caso della cosiddetta inflazione da costi. In questa ipotesi lo Stato potrebbe attuare, al contrario, una politica dei redditi.
Si tratta di una strategia che economisti e politici vedono in ottima considerazione. Essa si consolida attraverso un vero patto sociale, vale a dire un accordo tra lavoratori e datori di lavoro, nel quale vengono determinati i livelli dei redditi dei lavoratori e i margini di guadagno preventivabili per l’imprenditore. I redditi dei lavoratori nella fattispecie diventano fortemente legati ai livelli di produttività del lavoro; quindi gli aumenti salariali sono realizzabili solo attraverso una maggiore capacità dei lavoratori di produrre reddito. Attraverso questa strategia si dà la garanzia all’imprenditore di ottenere il margine di profitto concordato e si neutralizza il vortice salari – prezzi-salari. Questa particolare politica economica necessita però di un impegno forte e concreto delle autorità pubbliche, nello specifico del governo, che deve, attraverso una ininterrotta attività di mediazione tra le parti sociali e un profondo controllo delle tariffe dei servizi pubblici, far si che, le originarie condizioni effettive della politica dei redditi stabilite col Patto Sociale, non vengano mai meno né vengano sovvertite.
- In ultima analisi potrebbe accadere che l’inflazione sia determinata da un eccesso di moneta in circolazione. Nel caso di specie spetta alle autorità creditizie (FMI/BCE/Banca d’Italia) controllare in maniera capillare la cosiddetta base monetaria e imporre ai cittadini politiche più restrittive che, mediante un opportuno ma sempre ponderato aumento dei tassi di interesse, abbassi l’offerta di denaro in proporzione necessaria e di riflesso trasformi in meno appetibili gli investimenti; sembra una bestemmia in tempi di regressione,ma in questi casi è davvero l’unico metodo utile per combattere il fenomeno inflazionistico.
Ne deduciamo quindi che l’inflazione sebbene complesso e articolato come fenomeno è comunque governabile e controllabile. Politici seri e preparati ma soprattutto zero populismo nelle scelte economiche e determinatezza nell’azione di governo sono gli unici strumenti per realizzare l’obiettivo preposto.
Nel precedente articolo abbiamo sottolineato le origini e le cause distorsive che danno inizio e fomentano il fenomeno dell’inflazione. Un nemico vero e proprio,molto complicato sia da determinare nelle sue dinamiche sia ovviamente da risolvere in maniera diretta. Negli ultimi decenni,al contrario dei disastri economici fatti negli anni ’70 e ’80,le politiche monetarie ed economiche, sia nazionali che comunitarie,sono riuscite a controllare il problema,senza però giungere ad una soluzione precisa per eliminare il fenomeno inflazionistico. La ragione è molto probabilmente dovuta al fatto che il fenomeno non ha una ed una sola causa originaria ma sono fattori complessi e articolati che la alimentano. La scarsa efficacia delle politiche anti-inflazione poi è molte volte dovuta anche alla presenza, nelle attuali economie mondiali, del particolarissimo elemento,molto noto negli anni sessanta,della stagflazione (cioè la contemporanea presenza in un sistema economico di inflazione e crescita zero o stagnazione).
Quasi in barba alle vecchie teorie economiche neoclassiche,l’attualità ci delinea quindi particolari situazioni in cui è sia presente il fenomeno dell’aumento dei prezzi ma in contemporanea anche un calo della domanda aggregata ed un equilibrio di sotto-occupazione. Secondo le moderne teorie, che traggono fondamenta e basi dagli studi di Friedman sul fenomeno,ciò è provocato dalle strane peculiarità assunte di recente dal mercato del lavoro. La conseguenza di questa stortura patologica è che, a causa dell’azione pressante e di tensione sociale dei sindacati,i salari dei lavoratori tendono ad aumentare anche nei periodi di decrescita o regressione economica. Le politiche economiche dovrebbero allora muoversi su più campi e in effetti lo fanno ma l’efficacia degli interventi spesso si depotenzia o si neutralizza da sola,azzerando i benefici ipotizzati. Insomma la strategia d’intervento deve essere alla base dell’azione dello Stato.Potremmo delineare quindi una sorta di piano ideale,teorico ma allo stesso tempo pronto all’applicazione concreta, con cui affrontare frontalmente e direttamente il problema dell’inflazione a seconda della causa che lo determina o che lo alimenta.
- Nel caso ad esempio,in cui l’inflazione sia dovuta ad un aumento della domanda dei beni, la cosa più saggia da fare sarebbe ridurre i consumi attraverso un aumento,ponderato,della tassazione, con il chiaro obiettivo di ridurre il reddito disponibile. La strategia qui indicata non è certo amata dall’opinione pubblica né apprezzata dalla classe politica che,così facendo, può alimentare la rabbia,immotivata,della massa di elettori,finendo col perdere consenso politico alle elezioni seguenti. Ecco perché,benché sia un metodo comprovato e valido,non è utilizzata in modo esplicito e volentieri. Senza dimenticare che in alcuni paesi,tra cui l’Italia,la pressione fiscale esistente è già piuttosto elevata e quindi le reazioni potrebbero essere mal gestite.
- Diverso è il caso della cosiddetta inflazione da costi. In questa ipotesi lo Stato potrebbe attuare, al contrario, una politica dei redditi.
Si tratta di una strategia che economisti e politici vedono in ottima considerazione. Essa si consolida attraverso un vero patto sociale, vale a dire un accordo tra lavoratori e datori di lavoro, nel quale vengono determinati i livelli dei redditi dei lavoratori e i margini di guadagno preventivabili per l’imprenditore. I redditi dei lavoratori nella fattispecie diventano fortemente legati ai livelli di produttività del lavoro; quindi gli aumenti salariali sono realizzabili solo attraverso una maggiore capacità dei lavoratori di produrre reddito. Attraverso questa strategia si dà la garanzia all’imprenditore di ottenere il margine di profitto concordato e si neutralizza il vortice salari – prezzi-salari. Questa particolare politica economica necessita però di un impegno forte e concreto delle autorità pubbliche, nello specifico del governo, che deve, attraverso una ininterrotta attività di mediazione tra le parti sociali e un profondo controllo delle tariffe dei servizi pubblici, far si che, le originarie condizioni effettive della politica dei redditi stabilite col Patto Sociale, non vengano mai meno né vengano sovvertite.
- In ultima analisi potrebbe accadere che l’inflazione sia determinata da un eccesso di moneta in circolazione. Nel caso di specie spetta alle autorità creditizie (FMI/BCE/Banca d’Italia) controllare in maniera capillare la cosiddetta base monetaria e imporre ai cittadini politiche più restrittive che, mediante un opportuno ma sempre ponderato aumento dei tassi di interesse, abbassi l’offerta di denaro in proporzione necessaria e di riflesso trasformi in meno appetibili gli investimenti; sembra una bestemmia in tempi di regressione,ma in questi casi è davvero l’unico metodo utile per combattere il fenomeno inflazionistico.
Ne deduciamo quindi che l’inflazione sebbene complesso e articolato come fenomeno è comunque governabile e controllabile. Politici seri e preparati ma soprattutto zero populismo nelle scelte economiche e determinatezza nell’azione di governo sono gli unici strumenti per realizzare l’obiettivo preposto.
Inflazione.Anatomia di un problema - Parte 1
di Alice Santini
Cause,dinamiche ed origini di uno dei fenomeni più influenti dell'economia.
L’inflazione è da sempre uno degli argomenti di economia più trattati e complessi. Su tale argomento tante sono state le opere realizzate in materia di macroeconomia,come dimenticare i lavori di Modigliani,Silos Labini o di recente del premio Nobel George Stiegler.Il nostro umile obiettivo però non è dare un contributo accademico alla letteratura di settore, già peraltro floridissima,ma semplicemente soffermarci sulle cause del problema e attraverso la scoperta delle dinamiche basilari che la percorrono,tentare di delineare profili e soluzioni di specie. L’inflazione,come concetto teorico è inquadrabile come un aumento sostenuto e costante del livello dei prezzi, ed ha come elemento opposto la cosiddetta deflazione, che è invece una riduzione sostenuta dei prezzi. Molti studiosi e così faremo anche noi,spesso allineano all’inflazione il concetto di velocità. Possiamo quindi affermare che essa indica la velocità con cui i prezzi tendono a crescere nel tempo. Ma qual è la causa dell’inflazione? Qual è la natura di tale fenomeno? Se vivessimo in un mondo perfetto ed ideale un determinato bene che costa x euro dovrebbe nel tempo sempre e comunque costare x euro. Ma la verità è completamente diversa,non siamo in un mondo economico perfetto e quindi moltissimi sono i fattori che determinano ed influenzano l’andamento dei prezzi.Per un solo istante supponiamo di essere un’azienda che opera nella sfera economica. Se per caso ci troviamo in un periodo di grande crescita e sviluppo economico generale i nostri affari proseguono in maniera egregia poiché la domanda di beni (nostri e non solo) cresce ed aumenta mese per mese. Può accadere che distratti dalla voglia sfrenata di denaro e profitto decidiamo di aumentare il prezzo del bene che produciamo con il chiaro scopo di vedere così il nostro fatturato mensile aumentare in proporzione.
Di fronte all’azienda però,c’è la massa di consumatori che per nulla saranno felici di dover acquistare il medesimo bene ad un prezzo maggiorato; per non perdere potere di acquisto quindi i consumatori-lavoratori invocheranno ai loro datori di lavoro un aumento,seppur minimo,del proprio stipendio in modo da poter meglio assorbire l’aumento del costo della vita. I datori di lavoro che decideranno di concedere l’aumento richiesto si troveranno alla voce costo-lavoro a dover affrontare un aumento di spesa e a loro volta,per fare fronte a queste spese maggiorate,saranno obbligati ad aumentare di riflesso il prezzo del bene che essi producono,in modo da sopperire al rischio di ritrovarsi a chiusura dell’anno di esercizio, con un bilancio che sia in perdita. Ora se moltiplichiamo all’infinito questo esempio appena descritto otteniamo,per grandi linee,la causa iniziale dalla quale si scatena poi il fastidioso fenomeno dell’inflazione. Il ragionamento perfettamente opposto vale per la disinflazione (un periodo di inflazione che tende a decrescere nel tempo) e per la deflazione (un periodo in cui i prezzi non solo non aumentano ma addirittura tendono a diminuire).Quindi da ciò comprendiamo facilmente che il tasso di inflazione di uno Stato rappresenta il segnale e l’indice di salute dell’economia della nazione stessa;ma bisogna chiarirci su un punto,l’inflazione deve necessariamente essere controllata e incanalata altrimenti,se non controllata,può aumentare in maniera spropositata e tramutarsi in iperinflazione,cosa che accade ad esempio nei paesi africani o in molti stati del Sud America.In queste circostanze il problema diventa serissimo poiché il tasso inflazionistico ha un crescita rapidissima mentre l’aumento dei salari, per adeguarli al costo della vita, è molto più lento e quindi l’inflazione si trasforma in dramma per chi possiede redditi bassi che non vengono prontamente aumentati dal datore di lavoro; poichè , da un punto di vista puramentematematico, l’aumento generalizzato dei prezzi finisce per forza di cose con l’avere un effetto devastante ed in percentuale maggiore sulle persone che hanno poco.
In passato,soprattutto nella decade degli anni ’60,molti economisti erano convinti che la produzione di moneta ad opera delle banche centrali nazionali fosse una della concause del fenomeno inflazionistico. Queste teorie seppur non completamente errate ancora oggi non sono corroborate da dimostrazioni empiriche adeguate e quindi la loro efficacia resta puramente ipotetica. Al contrario ampiamente dimostrata è la tesi che il tasso di inflazione può essere abbassato attraverso delle corrette politiche in tema di lavoro e occupazione. In Italia ad esempio negli anni 80 il meccanismo della Scala mobile si dimostrò una scelta pessima nel campo del lavoro e in pochi anni produsse aumenti record dei prezzi dei beni. Le variazioni spesso umorali e isteriche del tasso di inflazione si sono moltiplicate a partire dal 1978 quando il Fondo Monetario Internazionale decise di eliminare il cosiddetto Gold Standard ovvero l’indice di valutazione che dava un valore stabile all’oro. Attraverso tale indice di riflesso si poteva riuscire a dare un valore stabile anche alla moneta comparandola appunto all’oro. Eliminando questo strumento tutto dipende invece adesso dalle Banche Centrali e in caso dell’euro dalla BCE che dovrebbero con le loro scelte monetarie dare un valore stabile alla moneta; tutto ciò però non accade e la variazione dei prezzi,dovute a concause complesse e suindicate fa si che si finisca con il possedere moneta con un valore instabile e a volte irrisorio (come ad esempio accaduto anni orsono nell’Argentina infestata dalla crisi finanziaria).Sulle soluzioni esistenti e sulle tecniche migliori di intervento sul tema dell’inflazione tratteremo nel prossimo articolo. - CONTINUA
L’inflazione è da sempre uno degli argomenti di economia più trattati e complessi. Su tale argomento tante sono state le opere realizzate in materia di macroeconomia,come dimenticare i lavori di Modigliani,Silos Labini o di recente del premio Nobel George Stiegler.Il nostro umile obiettivo però non è dare un contributo accademico alla letteratura di settore, già peraltro floridissima,ma semplicemente soffermarci sulle cause del problema e attraverso la scoperta delle dinamiche basilari che la percorrono,tentare di delineare profili e soluzioni di specie. L’inflazione,come concetto teorico è inquadrabile come un aumento sostenuto e costante del livello dei prezzi, ed ha come elemento opposto la cosiddetta deflazione, che è invece una riduzione sostenuta dei prezzi. Molti studiosi e così faremo anche noi,spesso allineano all’inflazione il concetto di velocità. Possiamo quindi affermare che essa indica la velocità con cui i prezzi tendono a crescere nel tempo. Ma qual è la causa dell’inflazione? Qual è la natura di tale fenomeno? Se vivessimo in un mondo perfetto ed ideale un determinato bene che costa x euro dovrebbe nel tempo sempre e comunque costare x euro. Ma la verità è completamente diversa,non siamo in un mondo economico perfetto e quindi moltissimi sono i fattori che determinano ed influenzano l’andamento dei prezzi.Per un solo istante supponiamo di essere un’azienda che opera nella sfera economica. Se per caso ci troviamo in un periodo di grande crescita e sviluppo economico generale i nostri affari proseguono in maniera egregia poiché la domanda di beni (nostri e non solo) cresce ed aumenta mese per mese. Può accadere che distratti dalla voglia sfrenata di denaro e profitto decidiamo di aumentare il prezzo del bene che produciamo con il chiaro scopo di vedere così il nostro fatturato mensile aumentare in proporzione.
Di fronte all’azienda però,c’è la massa di consumatori che per nulla saranno felici di dover acquistare il medesimo bene ad un prezzo maggiorato; per non perdere potere di acquisto quindi i consumatori-lavoratori invocheranno ai loro datori di lavoro un aumento,seppur minimo,del proprio stipendio in modo da poter meglio assorbire l’aumento del costo della vita. I datori di lavoro che decideranno di concedere l’aumento richiesto si troveranno alla voce costo-lavoro a dover affrontare un aumento di spesa e a loro volta,per fare fronte a queste spese maggiorate,saranno obbligati ad aumentare di riflesso il prezzo del bene che essi producono,in modo da sopperire al rischio di ritrovarsi a chiusura dell’anno di esercizio, con un bilancio che sia in perdita. Ora se moltiplichiamo all’infinito questo esempio appena descritto otteniamo,per grandi linee,la causa iniziale dalla quale si scatena poi il fastidioso fenomeno dell’inflazione. Il ragionamento perfettamente opposto vale per la disinflazione (un periodo di inflazione che tende a decrescere nel tempo) e per la deflazione (un periodo in cui i prezzi non solo non aumentano ma addirittura tendono a diminuire).Quindi da ciò comprendiamo facilmente che il tasso di inflazione di uno Stato rappresenta il segnale e l’indice di salute dell’economia della nazione stessa;ma bisogna chiarirci su un punto,l’inflazione deve necessariamente essere controllata e incanalata altrimenti,se non controllata,può aumentare in maniera spropositata e tramutarsi in iperinflazione,cosa che accade ad esempio nei paesi africani o in molti stati del Sud America.In queste circostanze il problema diventa serissimo poiché il tasso inflazionistico ha un crescita rapidissima mentre l’aumento dei salari, per adeguarli al costo della vita, è molto più lento e quindi l’inflazione si trasforma in dramma per chi possiede redditi bassi che non vengono prontamente aumentati dal datore di lavoro; poichè , da un punto di vista puramentematematico, l’aumento generalizzato dei prezzi finisce per forza di cose con l’avere un effetto devastante ed in percentuale maggiore sulle persone che hanno poco.
In passato,soprattutto nella decade degli anni ’60,molti economisti erano convinti che la produzione di moneta ad opera delle banche centrali nazionali fosse una della concause del fenomeno inflazionistico. Queste teorie seppur non completamente errate ancora oggi non sono corroborate da dimostrazioni empiriche adeguate e quindi la loro efficacia resta puramente ipotetica. Al contrario ampiamente dimostrata è la tesi che il tasso di inflazione può essere abbassato attraverso delle corrette politiche in tema di lavoro e occupazione. In Italia ad esempio negli anni 80 il meccanismo della Scala mobile si dimostrò una scelta pessima nel campo del lavoro e in pochi anni produsse aumenti record dei prezzi dei beni. Le variazioni spesso umorali e isteriche del tasso di inflazione si sono moltiplicate a partire dal 1978 quando il Fondo Monetario Internazionale decise di eliminare il cosiddetto Gold Standard ovvero l’indice di valutazione che dava un valore stabile all’oro. Attraverso tale indice di riflesso si poteva riuscire a dare un valore stabile anche alla moneta comparandola appunto all’oro. Eliminando questo strumento tutto dipende invece adesso dalle Banche Centrali e in caso dell’euro dalla BCE che dovrebbero con le loro scelte monetarie dare un valore stabile alla moneta; tutto ciò però non accade e la variazione dei prezzi,dovute a concause complesse e suindicate fa si che si finisca con il possedere moneta con un valore instabile e a volte irrisorio (come ad esempio accaduto anni orsono nell’Argentina infestata dalla crisi finanziaria).Sulle soluzioni esistenti e sulle tecniche migliori di intervento sul tema dell’inflazione tratteremo nel prossimo articolo. - CONTINUA
La ricetta "Keynesiana" - Parte 2
di Alice Santini
Il Moltiplicatore degli investimenti e l'errore delle politiche di austerity.
Continuando il discorso già aperto precedentemente sull'efficacia di interventi di tipo keynesiano sull'economia, per fuoriuscire dal lungo e opprimente tunnel della crisi,non possiamo non esimerci dal tenere in grande considerazione il contributo teorico dato allo studio dell'economia politica,da un altro importante strumento di matrice keynesiana,ovvero il moltiplicatore degli investimenti.Mai esempio può essere più utile per comprenderlo:supponiamo che lo Stato decida di effettuare un investimento nel settore delle comunicazioni.Indubbiamente dovrà fare fronte a ciò con una notevole somma di denaro pubblico da investire.Ma fatto ciò iniziano poi a compiersi una serie di dinamiche benefiche per l'intero contesto economico.Le aziende cui è commissionato il lavoro dovranno a loro volta acquistare materiali,forniture e assumere lavoratori e consulenti per il progetto richiesto;ciò da un lato aumenterebbe la produzione di beni e servizi e dall'altro doterebbe tali lavoratori di un reddito ulteriore che in parte verrebbe utilizzato per acquistare beni e servizi.Tutto ciò porta quindi ad aumentare la domanda aggregata di beni e di riflesso le aziende che tali beni producono,saranno chiamate ad una maggiore produzione.Se la produzione cresce ed aumenta in maniera costante le aziende stesse saranno obbligate ad assumere nuova forza lavoro per far fronte alle richieste di beni e quindi il livello occupazionale trarrà benefici diretti.Come si può notare,un semplice investimento pubblico iniziale ha moltiplicato gli effetti sull'economia nazionale,apportando benessere generale.Questo è lo strumento keynesiano del "moltiplicatore".
Lo Stato inoltre,essendo accresciuti i redditi dei lavoratori, avrà maggiori entrate fiscali e risparmiando le spese inerenti i sussidi di disoccupazione,in parte non più necessari,potrà perfettamente rientrare dell'investimento iniziale.Tutto ciò non è pura teoria accademica ma concreta realtà.Infatti dopo la crisi terribile del 1929 fu proprio il New Deal di matrice keynesiana e il susseguente Piano Marshall che permisero agli USA e in parte all'Europa occidentale di risorgere dalla crisi dell'epoca attraverso massicce iniezioni di investimenti pubblici che innescarono a loro volta investimenti privati nei vari settori con conseguente aumento esponenziale dei vari PIL nazionali e del livello occupazionale.Keynes inoltre manifestava una certa evidente avversione per il risparmio.Accumulare moneta nei periodi di crisi è fortemente controproducente perchè blocca la domanda aggregata e di riflesso aumenta la disoccuapazione,il denaro che non viene speso in beni e servizi interrompre il ciclo di crescita e ad un certo punto anche chi risparmia sarà costretto a non farlo più per mancanza effettiva di moneta.Risparmiare denaro,in minima parte,è un'attività da compiersi solo in fasi di opulenza economica;nei momenti di crisi il denaro va messo in circolo per rimettere in moto la domanda aggregata,questa è la soluzione unica e sola.Negli ultimi due anni però le cose sono andate diversamente.Insigni economisti e Istituzioni notevoli come BCE e FMI hanno ritenuto che un rigido piano di austerity fosse la soluzione più giusta per uscire dalla crisi economia.I fatti però già dopo due anni smentiscono apertamente questi concetti.Nei paesi in cui sono stati imposte strategie di austerità come Grecia,Spagna,Portogallo e in parte Italia,la crisi non si è interrotta,la crescita non è ripresa affatto anzi si è in piena recessione economica.
Le politiche di austerity bloccano la domanda aggregata, che comincia a diminuire,con essa diminuisce il reddito nazionale e di conseguenza il prelievo fiscale;lo Stato con meno entrate non può far fronte al proprio debito pubblico che tenderà sempre ad accomulare interessi in un vortice senza fine.E' proprio ciò che sta accadendo in molti paesi dell'Euro-zona dove le recenti norme sul Fiscal Compact impongono tagli notevolissimi alla spesa pubblica,con effetti che saranno davvero pessimi sull'economia comunitaria.Negli USA invece Obama appare ben cosciente di ciò e infatti nell'ultimo semestre ha dato il via ad un forte piano di investimenti pubblici seguendo la ricetta keynesiana.Sebbene sia un intervento da molti ritenuto ancora timido e non imponente, tipo il New Deal, comunque è la strada da seguire,l'unico percorso virtuoso per uscire dalla crisi economica globale.Infatti,indovinate il PIL americano nell'ultimo anno se è cresciuto o diminuito?Domanda retorica,ha avuto subito, in questo 2013, un incremento del 2,5%.Fatti,non teorie.
Continuando il discorso già aperto precedentemente sull'efficacia di interventi di tipo keynesiano sull'economia, per fuoriuscire dal lungo e opprimente tunnel della crisi,non possiamo non esimerci dal tenere in grande considerazione il contributo teorico dato allo studio dell'economia politica,da un altro importante strumento di matrice keynesiana,ovvero il moltiplicatore degli investimenti.Mai esempio può essere più utile per comprenderlo:supponiamo che lo Stato decida di effettuare un investimento nel settore delle comunicazioni.Indubbiamente dovrà fare fronte a ciò con una notevole somma di denaro pubblico da investire.Ma fatto ciò iniziano poi a compiersi una serie di dinamiche benefiche per l'intero contesto economico.Le aziende cui è commissionato il lavoro dovranno a loro volta acquistare materiali,forniture e assumere lavoratori e consulenti per il progetto richiesto;ciò da un lato aumenterebbe la produzione di beni e servizi e dall'altro doterebbe tali lavoratori di un reddito ulteriore che in parte verrebbe utilizzato per acquistare beni e servizi.Tutto ciò porta quindi ad aumentare la domanda aggregata di beni e di riflesso le aziende che tali beni producono,saranno chiamate ad una maggiore produzione.Se la produzione cresce ed aumenta in maniera costante le aziende stesse saranno obbligate ad assumere nuova forza lavoro per far fronte alle richieste di beni e quindi il livello occupazionale trarrà benefici diretti.Come si può notare,un semplice investimento pubblico iniziale ha moltiplicato gli effetti sull'economia nazionale,apportando benessere generale.Questo è lo strumento keynesiano del "moltiplicatore".
Lo Stato inoltre,essendo accresciuti i redditi dei lavoratori, avrà maggiori entrate fiscali e risparmiando le spese inerenti i sussidi di disoccupazione,in parte non più necessari,potrà perfettamente rientrare dell'investimento iniziale.Tutto ciò non è pura teoria accademica ma concreta realtà.Infatti dopo la crisi terribile del 1929 fu proprio il New Deal di matrice keynesiana e il susseguente Piano Marshall che permisero agli USA e in parte all'Europa occidentale di risorgere dalla crisi dell'epoca attraverso massicce iniezioni di investimenti pubblici che innescarono a loro volta investimenti privati nei vari settori con conseguente aumento esponenziale dei vari PIL nazionali e del livello occupazionale.Keynes inoltre manifestava una certa evidente avversione per il risparmio.Accumulare moneta nei periodi di crisi è fortemente controproducente perchè blocca la domanda aggregata e di riflesso aumenta la disoccuapazione,il denaro che non viene speso in beni e servizi interrompre il ciclo di crescita e ad un certo punto anche chi risparmia sarà costretto a non farlo più per mancanza effettiva di moneta.Risparmiare denaro,in minima parte,è un'attività da compiersi solo in fasi di opulenza economica;nei momenti di crisi il denaro va messo in circolo per rimettere in moto la domanda aggregata,questa è la soluzione unica e sola.Negli ultimi due anni però le cose sono andate diversamente.Insigni economisti e Istituzioni notevoli come BCE e FMI hanno ritenuto che un rigido piano di austerity fosse la soluzione più giusta per uscire dalla crisi economia.I fatti però già dopo due anni smentiscono apertamente questi concetti.Nei paesi in cui sono stati imposte strategie di austerità come Grecia,Spagna,Portogallo e in parte Italia,la crisi non si è interrotta,la crescita non è ripresa affatto anzi si è in piena recessione economica.
Le politiche di austerity bloccano la domanda aggregata, che comincia a diminuire,con essa diminuisce il reddito nazionale e di conseguenza il prelievo fiscale;lo Stato con meno entrate non può far fronte al proprio debito pubblico che tenderà sempre ad accomulare interessi in un vortice senza fine.E' proprio ciò che sta accadendo in molti paesi dell'Euro-zona dove le recenti norme sul Fiscal Compact impongono tagli notevolissimi alla spesa pubblica,con effetti che saranno davvero pessimi sull'economia comunitaria.Negli USA invece Obama appare ben cosciente di ciò e infatti nell'ultimo semestre ha dato il via ad un forte piano di investimenti pubblici seguendo la ricetta keynesiana.Sebbene sia un intervento da molti ritenuto ancora timido e non imponente, tipo il New Deal, comunque è la strada da seguire,l'unico percorso virtuoso per uscire dalla crisi economica globale.Infatti,indovinate il PIL americano nell'ultimo anno se è cresciuto o diminuito?Domanda retorica,ha avuto subito, in questo 2013, un incremento del 2,5%.Fatti,non teorie.
La ricetta Keynesiana per salvarci dalla crisi.
di Alice Santini
Il padre dell'economia politica è ancora attuale col suo pensiero.
John Maynard Keynes non avrebbe bisogno di presentazioni.E' il padre del pensiero economico liberale,il rivoluzionatore del '900,colui il quale mostrò a tutti come il benessere economico,il corretto funzionamento del mercato,non deve essere imposto dallo Stato,o dalla lunga mano dell'intervento pubblico.Sono i privati,gli operatori stessi in grado di autoregolarsi e garantirsi il reciproco funzionamento.Una ricetta che,nonostante critiche e sette filosofiche contrarie,risulta essere sempre attuale ed efficace e fu il motivo principale che permise agli USA,dopo la tragica crisi del '29,di emergere dalle difficoltà attraverso il celebre New Deal di Roosvelt.Esiste quindi una via,una ricetta per uscire dalla stagnazione e dalla crescita zero.Andiamola a verificare.Keynes era convinto che il reddito globale di una nazione,quello che oggi definiamo PIL,insieme al livello occupazionale,è direttamente collegato alla domanda.La richiesta di un bene che arriva dai consumatori è la miccia che spinge le imprese a produrre di più,a modernizzare la produzione e di conseguenza ad aver bisogno di maggiore forza lavoro.Lui la definì "Principio della domanda effettiva" e fu un pensiero rivoluzionario che capovolse globalmente la teoria allora dominante,la cosiddetta legge di Say,secondo la quale era l'opposto ovvero, che l'offerta creasse da sola essa stessa la domanda.Keynes inoltre ebbe un'altra illuminante idea e cioè il valore intrinseco della moneta.
Non tutto ciò che viene prodotto finisce con l'essere venduto e il denaro guadagnato non viene interamente speso dai soggetti ma una parte,piccola o grande,viene risparmiata in vista del futuro.Un eventuale eccesso di risparmio però è la causa principale che abbassa la domanda e di conseguenza la produzione di beni e il livello occupazionale.Egli inoltre rifiutò il concetto che il mercato subisse solo piccole oscillazioni a pendolo per quanto attiene alla produzione e all'occupazione e che da solo il mercato stesso,adeguando prezzi e salari,si riposizionasse autonomamente in una posizione di equilibrio.L'economia,a differenza di molti economisti passati e presenti,non è una scienza esatta,basata su leggi scientifiche e razionali,anzi al contrario,il mondo capitalista vive di istinti,di sogni e di azzardi,il futuro è un mistero imprevedibile dove le leggi dell'economia non sono certe matematicamente.Allora cosa fare per Keynes?Il capitalismo è da intendere come una sorta di animale imbizzarito,va domato,va curato e soprattutto va abbattuta l'idea che vede nell'accumulo di denaro l'unico scopo del capitalista.Il denaro per la maggior parte va speso per acquistare beni e servizi necessari ed è tale propensione all'acquisto che deve essere fomentata.Le politiche monetarie e fiscali sono l'unico strumento che si possiede per dare una linea corretta ad un'economia malata.L'altro sogno keynesiano era poi la "piena occupazione" ovvero l'idea che l'intera forza lavoro di una nazione venisse impiegata nella produzione.Nel periodo della grande depressione americana ciò non accadeva e le teorie classiche del "lasciar fare" al mercato erano inefficaci,anzi non essendoci produzione si veniva al contrario a creare un equilibrio di sotto-occupazione e cioè la disoccupazione da anomalia diventava normalità,in parte come accade oggi.
Cosa fare quindi?Se PIL e occupazione dipendono dalla domanda,diceva Keynes,allora bisogna per forza aumentare la domanda totale (definita aggregata).Come la si aumenta?Innanzitutto diminuendo le tasse,non ai ricchi però perchè non avrebbe effetti,ma solo ai lavoratori dipendenti.Incentivare gli investimenti:soprattutto dimunuendo il tasso di interesse sui prestiti di modo che le banche possano poi diminurlo ai loro clienti e agevolare il finanziamento alle richieste delle imprese.Infine una sferzata alle esportazioni la si può dare svalutando la propria moneta in modo da invogliare gli stranieri ad acquistare da noi (con l'euro questa scelta andrebbe presa ovviamente di concerto presso la BCE).Quando però la crisi economica è fortissima tutto ciò potrebbe non bastare.Ecco che Keynes allora,riservò un ruolo di salvatore allo Stato:la spesa pubblica in questi frangenti va alimentata,incentivare le infrastrutture,alimentare la costruzione di strade.ferrovie,banda larga,energie verdi,tutto ciò impegnerebbe masse di lavoratori,dando a loro salari da poter spendere e rimettere in moto la domanda di beni.Questo suo concetto nel dopo guerra verrà in parte frainteso e nei paesi socialdemocratici si arrivò ad eccessi di spesa pubblica con il proliferare patologico delle aziende statali e delle partecipazioni pubbliche e il conseguente aumento vertiginose del debito pubblico.La cura per situazioni di questo tipo è un ennesimo lascito del pensiero keynesia,è il cosidetto "moltiplicatore".Di cui però,per non tediare oltre,si parlerà in seguito.
John Maynard Keynes non avrebbe bisogno di presentazioni.E' il padre del pensiero economico liberale,il rivoluzionatore del '900,colui il quale mostrò a tutti come il benessere economico,il corretto funzionamento del mercato,non deve essere imposto dallo Stato,o dalla lunga mano dell'intervento pubblico.Sono i privati,gli operatori stessi in grado di autoregolarsi e garantirsi il reciproco funzionamento.Una ricetta che,nonostante critiche e sette filosofiche contrarie,risulta essere sempre attuale ed efficace e fu il motivo principale che permise agli USA,dopo la tragica crisi del '29,di emergere dalle difficoltà attraverso il celebre New Deal di Roosvelt.Esiste quindi una via,una ricetta per uscire dalla stagnazione e dalla crescita zero.Andiamola a verificare.Keynes era convinto che il reddito globale di una nazione,quello che oggi definiamo PIL,insieme al livello occupazionale,è direttamente collegato alla domanda.La richiesta di un bene che arriva dai consumatori è la miccia che spinge le imprese a produrre di più,a modernizzare la produzione e di conseguenza ad aver bisogno di maggiore forza lavoro.Lui la definì "Principio della domanda effettiva" e fu un pensiero rivoluzionario che capovolse globalmente la teoria allora dominante,la cosiddetta legge di Say,secondo la quale era l'opposto ovvero, che l'offerta creasse da sola essa stessa la domanda.Keynes inoltre ebbe un'altra illuminante idea e cioè il valore intrinseco della moneta.
Non tutto ciò che viene prodotto finisce con l'essere venduto e il denaro guadagnato non viene interamente speso dai soggetti ma una parte,piccola o grande,viene risparmiata in vista del futuro.Un eventuale eccesso di risparmio però è la causa principale che abbassa la domanda e di conseguenza la produzione di beni e il livello occupazionale.Egli inoltre rifiutò il concetto che il mercato subisse solo piccole oscillazioni a pendolo per quanto attiene alla produzione e all'occupazione e che da solo il mercato stesso,adeguando prezzi e salari,si riposizionasse autonomamente in una posizione di equilibrio.L'economia,a differenza di molti economisti passati e presenti,non è una scienza esatta,basata su leggi scientifiche e razionali,anzi al contrario,il mondo capitalista vive di istinti,di sogni e di azzardi,il futuro è un mistero imprevedibile dove le leggi dell'economia non sono certe matematicamente.Allora cosa fare per Keynes?Il capitalismo è da intendere come una sorta di animale imbizzarito,va domato,va curato e soprattutto va abbattuta l'idea che vede nell'accumulo di denaro l'unico scopo del capitalista.Il denaro per la maggior parte va speso per acquistare beni e servizi necessari ed è tale propensione all'acquisto che deve essere fomentata.Le politiche monetarie e fiscali sono l'unico strumento che si possiede per dare una linea corretta ad un'economia malata.L'altro sogno keynesiano era poi la "piena occupazione" ovvero l'idea che l'intera forza lavoro di una nazione venisse impiegata nella produzione.Nel periodo della grande depressione americana ciò non accadeva e le teorie classiche del "lasciar fare" al mercato erano inefficaci,anzi non essendoci produzione si veniva al contrario a creare un equilibrio di sotto-occupazione e cioè la disoccupazione da anomalia diventava normalità,in parte come accade oggi.
Cosa fare quindi?Se PIL e occupazione dipendono dalla domanda,diceva Keynes,allora bisogna per forza aumentare la domanda totale (definita aggregata).Come la si aumenta?Innanzitutto diminuendo le tasse,non ai ricchi però perchè non avrebbe effetti,ma solo ai lavoratori dipendenti.Incentivare gli investimenti:soprattutto dimunuendo il tasso di interesse sui prestiti di modo che le banche possano poi diminurlo ai loro clienti e agevolare il finanziamento alle richieste delle imprese.Infine una sferzata alle esportazioni la si può dare svalutando la propria moneta in modo da invogliare gli stranieri ad acquistare da noi (con l'euro questa scelta andrebbe presa ovviamente di concerto presso la BCE).Quando però la crisi economica è fortissima tutto ciò potrebbe non bastare.Ecco che Keynes allora,riservò un ruolo di salvatore allo Stato:la spesa pubblica in questi frangenti va alimentata,incentivare le infrastrutture,alimentare la costruzione di strade.ferrovie,banda larga,energie verdi,tutto ciò impegnerebbe masse di lavoratori,dando a loro salari da poter spendere e rimettere in moto la domanda di beni.Questo suo concetto nel dopo guerra verrà in parte frainteso e nei paesi socialdemocratici si arrivò ad eccessi di spesa pubblica con il proliferare patologico delle aziende statali e delle partecipazioni pubbliche e il conseguente aumento vertiginose del debito pubblico.La cura per situazioni di questo tipo è un ennesimo lascito del pensiero keynesia,è il cosidetto "moltiplicatore".Di cui però,per non tediare oltre,si parlerà in seguito.