GREEN LIFE
a cura di Elsabetta Rota
Le varie tipologie di inquinamento.
di Elisabetta Rota
Quali sono le fasi di inquinamento che flagellano il pianeta?
L’inquinamento come è già noto, è un'alterazione dell'ambiente di origine chimica o fisica che crea dei disequilibri fra l’uomo, la natura e tutto ciò caratterizza quest’ultima; ciò che non tutti sanno, però, è che l’inquinamento nasce con l’uomo e lo accompagna durante tutto il percorso della sua evoluzione. Le prime forme di inquinamento ambientale, infatti, sorgono durante “l’Età del rame” in cui la fuliggine dovuta alle fiamme libere usate per cacciare e difendersi e la forgiatura dei metalli caratterizzano un iniziale seppur minimo inquinamento dell’aria. La contaminazione di quest’ultima, continuerà ad essere un problema soprattutto durante la rivoluzione industriale, dove avvenimenti come il “Grande Smog londinese” e la “Grande puzza sul Tamigi”, hanno portato alla nascita di nuove malattie, l’inquinamento delle acque e la morte prematura dei civili. L'emergere di grandi fabbriche e il consumo di enormi quantità di carbone e altri combustibili fossili insieme al grande volume di scarichi industriali chimici, ha dato luogo ad un inquinamento atmosferico senza precedenti; diventando, però, un tema popolare in tutto il mondo solo dopo la seconda guerra mondiale (a causa del conflitto atomico in Giappone). Mentre all’epoca la consapevolezza di quanto stava accadendo era poca, e la prospettiva di un miglioramento non era poi così lontana, ai giorni d’oggi, un mondo pulito privo di infezioni e paesaggi avvelenati o barbaramente distrutti è sempre più un’Utopia.
Sono così tanti i problemi sorti sui cambiamenti climatici e l’inquinamento globale, che sia le persone nel loro piccolo che le grandi istituzioni dovrebbero impegnarsi nell’agire unitamente per migliorare una situazione che riguarda ogni abitante del mondo invece di nascondere la testa sotto la sabbia fingendo che lo stato d’allarme a cui manca poco arrivare in realtà sia più lontano di quanto si pensi. Indifferenza e negligenza non fanno altro che assecondare il sempre più veloce processo di inquinamento; anche se, un comportamento del genere è spesso dato dalla disinformazione, sono molti, infatti, i problemi principali del cambiamento ambientale che vengono trascurati o tenuti “nascosti”. Un esempio possono essere i riversamenti di petrolio dovuti alle piattaforme che esplodono, gli incidenti nel trasporto marittimo e soprattutto gli scarichi urbani e industriali perlopiù illegali che minacciano interi ecosistemi. Tutto ciò è la fonte principale dell’inquinamento marino che porta inevitabilmente alla morte e all’estinzione volatili, pesci e intere aree marine che assorbono o rimangono invischiati in queste grosse masse oleose. Tali avvenimenti, vengono spesso associati all’avvelenamento da mercurio, in quanto essendo un metallo pesante altamente tossico che viene spesso impiegato in diverse attività antropiche è facile ritrovarlo immesso nell’atmosfera e nell’acqua. L’inquinamento farmacologico è un altro grande fattore volutamente ignorato, sono milioni le dosi di medicinali che contengono elementi chimici tossici che ogni anno vengono prescritte nel mondo, infiniti sono anche gli antibiotici e i medicinali somministrati ai capi di bestiame destinati alle nostre tavole o che colpiscono le riserve idriche del pianeta favorendo lo sviluppo di batteri nuovi e seriamente rischiosi per la salute umana. Tale avvenimento talvolta, non può non essere collegato all’inquinamento urbano e da plastica.
Le componenti tossiche della plastica possono interferire con i più importanti processi biologici umani che sono alla base dello sviluppo e della riproduzione, alterano le funzionalità endocrine e favoriscono patologie e malattie terminali; tutto ciò ovviamente è opera dell’uomo che pur di raggiungere un miglioramento sempre più eccellente della propria metropoli e del proprio comfort produce in quantità smisurate rifiuti, polveri sottili e disastri ambientali. La natura, però, principale vittima di tali avvenimenti, sa come reagire per difendersi; sono molteplici le piante, gli insetti e gli animali che sono stati capaci di adattarsi al nuovo ambiente loro imposto, alterando e variando letteralmente la loro mutazione genetica. Fra questi ricordiamo il primo caso documentato che risale al 2011 in cui viene dimostrato che i merluzzi del fiume Hudson (Stati Uniti d'America), sono immuni alle altissime concentrazioni di PCB di quelle acque. Anche noi uomini nel nostro quotidiano, se uniamo volontà e dedizione, potremmo apportare dei miglioramenti all’ambiente che ci ospita e ci circonda, basterebbe che ognuno di noi ricordi le cose basilari per un pianeta più pulito: diminuire l’uso dell’automobile, fare la raccolta differenziata, comprare prodotti sfusi o alla spina per evitare imballaggi inutili, usare l’energia rinnovabile, ridurre il consumo dell’acqua e della plastica. Ciò che è più importante però, è agire subito e in modo perenne, bisogna essere preventivi, aspettare che avvenga un disastro per agire di conseguenza è un comportamento inadatto e inefficace. Le grandi istituzioni devono essere esortate a potenziare e finanziare progetti di ricerca e attività di monitoraggio, e perché ciò accada la nostra figura deve accompagnarsi a quella di persone come Greta Thunberg, Miriam Martinelli, Adriana Salazar e tanti altri paladini dell’ambiente giovani e coraggiosi; perché è solo unendo le forze che può rimanere accesa la speranza di donare nuova vita all’ambiente e soprattutto un buon esempio da tramandare al nostro prossimo.
L’inquinamento come è già noto, è un'alterazione dell'ambiente di origine chimica o fisica che crea dei disequilibri fra l’uomo, la natura e tutto ciò caratterizza quest’ultima; ciò che non tutti sanno, però, è che l’inquinamento nasce con l’uomo e lo accompagna durante tutto il percorso della sua evoluzione. Le prime forme di inquinamento ambientale, infatti, sorgono durante “l’Età del rame” in cui la fuliggine dovuta alle fiamme libere usate per cacciare e difendersi e la forgiatura dei metalli caratterizzano un iniziale seppur minimo inquinamento dell’aria. La contaminazione di quest’ultima, continuerà ad essere un problema soprattutto durante la rivoluzione industriale, dove avvenimenti come il “Grande Smog londinese” e la “Grande puzza sul Tamigi”, hanno portato alla nascita di nuove malattie, l’inquinamento delle acque e la morte prematura dei civili. L'emergere di grandi fabbriche e il consumo di enormi quantità di carbone e altri combustibili fossili insieme al grande volume di scarichi industriali chimici, ha dato luogo ad un inquinamento atmosferico senza precedenti; diventando, però, un tema popolare in tutto il mondo solo dopo la seconda guerra mondiale (a causa del conflitto atomico in Giappone). Mentre all’epoca la consapevolezza di quanto stava accadendo era poca, e la prospettiva di un miglioramento non era poi così lontana, ai giorni d’oggi, un mondo pulito privo di infezioni e paesaggi avvelenati o barbaramente distrutti è sempre più un’Utopia.
Sono così tanti i problemi sorti sui cambiamenti climatici e l’inquinamento globale, che sia le persone nel loro piccolo che le grandi istituzioni dovrebbero impegnarsi nell’agire unitamente per migliorare una situazione che riguarda ogni abitante del mondo invece di nascondere la testa sotto la sabbia fingendo che lo stato d’allarme a cui manca poco arrivare in realtà sia più lontano di quanto si pensi. Indifferenza e negligenza non fanno altro che assecondare il sempre più veloce processo di inquinamento; anche se, un comportamento del genere è spesso dato dalla disinformazione, sono molti, infatti, i problemi principali del cambiamento ambientale che vengono trascurati o tenuti “nascosti”. Un esempio possono essere i riversamenti di petrolio dovuti alle piattaforme che esplodono, gli incidenti nel trasporto marittimo e soprattutto gli scarichi urbani e industriali perlopiù illegali che minacciano interi ecosistemi. Tutto ciò è la fonte principale dell’inquinamento marino che porta inevitabilmente alla morte e all’estinzione volatili, pesci e intere aree marine che assorbono o rimangono invischiati in queste grosse masse oleose. Tali avvenimenti, vengono spesso associati all’avvelenamento da mercurio, in quanto essendo un metallo pesante altamente tossico che viene spesso impiegato in diverse attività antropiche è facile ritrovarlo immesso nell’atmosfera e nell’acqua. L’inquinamento farmacologico è un altro grande fattore volutamente ignorato, sono milioni le dosi di medicinali che contengono elementi chimici tossici che ogni anno vengono prescritte nel mondo, infiniti sono anche gli antibiotici e i medicinali somministrati ai capi di bestiame destinati alle nostre tavole o che colpiscono le riserve idriche del pianeta favorendo lo sviluppo di batteri nuovi e seriamente rischiosi per la salute umana. Tale avvenimento talvolta, non può non essere collegato all’inquinamento urbano e da plastica.
Le componenti tossiche della plastica possono interferire con i più importanti processi biologici umani che sono alla base dello sviluppo e della riproduzione, alterano le funzionalità endocrine e favoriscono patologie e malattie terminali; tutto ciò ovviamente è opera dell’uomo che pur di raggiungere un miglioramento sempre più eccellente della propria metropoli e del proprio comfort produce in quantità smisurate rifiuti, polveri sottili e disastri ambientali. La natura, però, principale vittima di tali avvenimenti, sa come reagire per difendersi; sono molteplici le piante, gli insetti e gli animali che sono stati capaci di adattarsi al nuovo ambiente loro imposto, alterando e variando letteralmente la loro mutazione genetica. Fra questi ricordiamo il primo caso documentato che risale al 2011 in cui viene dimostrato che i merluzzi del fiume Hudson (Stati Uniti d'America), sono immuni alle altissime concentrazioni di PCB di quelle acque. Anche noi uomini nel nostro quotidiano, se uniamo volontà e dedizione, potremmo apportare dei miglioramenti all’ambiente che ci ospita e ci circonda, basterebbe che ognuno di noi ricordi le cose basilari per un pianeta più pulito: diminuire l’uso dell’automobile, fare la raccolta differenziata, comprare prodotti sfusi o alla spina per evitare imballaggi inutili, usare l’energia rinnovabile, ridurre il consumo dell’acqua e della plastica. Ciò che è più importante però, è agire subito e in modo perenne, bisogna essere preventivi, aspettare che avvenga un disastro per agire di conseguenza è un comportamento inadatto e inefficace. Le grandi istituzioni devono essere esortate a potenziare e finanziare progetti di ricerca e attività di monitoraggio, e perché ciò accada la nostra figura deve accompagnarsi a quella di persone come Greta Thunberg, Miriam Martinelli, Adriana Salazar e tanti altri paladini dell’ambiente giovani e coraggiosi; perché è solo unendo le forze che può rimanere accesa la speranza di donare nuova vita all’ambiente e soprattutto un buon esempio da tramandare al nostro prossimo.
La geotermia.Il futuro energetico in Italia.
di Valeria Piras
Come siamo messi nel campo delle energie alternative?
La geotermia nel nostro paese è costellata da numerosi passi avanti e qualche inciampo burocratico. Nel 2011 il nuovo Decreto Legislativo n.22 ha posto nuovi obiettivi di sviluppo, tramite la liberalizzazione del mercato, con una normativa che ha la finalità di dare un impulso agli utilizzi della risorsa geotermica.Le tecniche di sfruttamento delle risorse geotermiche sono suddivisibili in due settori principali costituiti, da una parte dalla produzione di energia elettrica e dall’ altra da tutti gli ulteriori impieghi che possono essere realizzati grazie al calore terrestre.Per quanto riguarda l’utilizzo geotermoelettrico in Italia stiamo vivendo una fase molto delicata poiché i tradizionali impianti, con emanazione in atmosfera dei fluidi geotermici provenienti dalla produzione che non sempre è possibile abbattere adeguatamente con sistemi di filtrazione, possono avere alti contenuti di elementi dannosi all’ambiente e alla salute.
Inoltre, tali sistemi che non prevedono la reiniezione dei fluidi, possono portare a lungo termine a una non sostenibilità e rinnovabilità dei campi geotermici.I più recenti impianti a totale reiniezione dei fluidi geotermici stanno trovando molteplici difficoltà di applicazione, in particolare per le problematiche collegate al possibile inquinamento delle falde e della sismicità stimolata, che possono essere adeguatamente controllate se gli impianti sono realizzati e gestiti opportunamente.All’orizzonte si sta delineando la possibilità di utilizzare sistemi a circuito chiuso senza il prelievo e reiniezione dei fluidi geotermici (di conseguenza senza impatto sulle falde e sulla sismicità), ma tale tecnologia è ancora allo stato iniziale e con prevedibili ridotte percentuali di rendimento.
Dobbiamo di conseguenza rivedere adeguatamente le modalità di utilizzo della risorsa geotermo-elettrica, trovando il giusto equilibrio tra tecnologia e rendimento economico, ma assicurandone la salvaguardia ambientale e la salute delle popolazioni.Altro elemento rilevante per lo sviluppo della geotermia in Italia è la pianificazione del potenziale geotermico dei territori, perché la risorsa geotermica non è da considerare solo una risorsa mineraria a carattere puntuale, bensì una risorsa a distribuzione diffusa la cui valutazione e utilizzo deve essere governato adeguatamente dalla parte pubblica per gestirne correttamente l’uso.In Italia in tal senso si è sviluppato il progetto Vigor e l’Atlante Geotermico del Cnr che ha interessato le regioni dell’Italia Meridionale, valutandone le potenzialità geotermiche dei territori, chiaramente ad una scala ampia quale prima utile indicazione in tal senso.
La geotermia nel nostro paese è costellata da numerosi passi avanti e qualche inciampo burocratico. Nel 2011 il nuovo Decreto Legislativo n.22 ha posto nuovi obiettivi di sviluppo, tramite la liberalizzazione del mercato, con una normativa che ha la finalità di dare un impulso agli utilizzi della risorsa geotermica.Le tecniche di sfruttamento delle risorse geotermiche sono suddivisibili in due settori principali costituiti, da una parte dalla produzione di energia elettrica e dall’ altra da tutti gli ulteriori impieghi che possono essere realizzati grazie al calore terrestre.Per quanto riguarda l’utilizzo geotermoelettrico in Italia stiamo vivendo una fase molto delicata poiché i tradizionali impianti, con emanazione in atmosfera dei fluidi geotermici provenienti dalla produzione che non sempre è possibile abbattere adeguatamente con sistemi di filtrazione, possono avere alti contenuti di elementi dannosi all’ambiente e alla salute.
Inoltre, tali sistemi che non prevedono la reiniezione dei fluidi, possono portare a lungo termine a una non sostenibilità e rinnovabilità dei campi geotermici.I più recenti impianti a totale reiniezione dei fluidi geotermici stanno trovando molteplici difficoltà di applicazione, in particolare per le problematiche collegate al possibile inquinamento delle falde e della sismicità stimolata, che possono essere adeguatamente controllate se gli impianti sono realizzati e gestiti opportunamente.All’orizzonte si sta delineando la possibilità di utilizzare sistemi a circuito chiuso senza il prelievo e reiniezione dei fluidi geotermici (di conseguenza senza impatto sulle falde e sulla sismicità), ma tale tecnologia è ancora allo stato iniziale e con prevedibili ridotte percentuali di rendimento.
Dobbiamo di conseguenza rivedere adeguatamente le modalità di utilizzo della risorsa geotermo-elettrica, trovando il giusto equilibrio tra tecnologia e rendimento economico, ma assicurandone la salvaguardia ambientale e la salute delle popolazioni.Altro elemento rilevante per lo sviluppo della geotermia in Italia è la pianificazione del potenziale geotermico dei territori, perché la risorsa geotermica non è da considerare solo una risorsa mineraria a carattere puntuale, bensì una risorsa a distribuzione diffusa la cui valutazione e utilizzo deve essere governato adeguatamente dalla parte pubblica per gestirne correttamente l’uso.In Italia in tal senso si è sviluppato il progetto Vigor e l’Atlante Geotermico del Cnr che ha interessato le regioni dell’Italia Meridionale, valutandone le potenzialità geotermiche dei territori, chiaramente ad una scala ampia quale prima utile indicazione in tal senso.
Riso nel deserto. Adesso è possibile.
di Valeria Piras
Portare la vegetazione nel deserto ora è veramente possibile.
L’immagine, fino ad oggi utopistica, di un deserto di sabbia ricoperto da verde e rigogliosa vegetazione potrebbe non essere più un sogno. Un team di scienziati cinesi, guidati dal dott. Long Ping, ha creato in laboratorio la prima tipologia di riso capace di crescere anche con acqua marina. Long Pong è un noto studioso del settore, negli anni ’80 diede vita alle prime tipologie ibride di riso, e la sua ricerca ha portato a questo nuovo incredibile risultato. A Dubai a gennaio è stato seminato il primo campo di riso ed il raccolto ottenuto pochi giorni fa è stato soddisfacente facendo sperare in ulteriori sviluppi.
Il progetto che vede collaborare un gruppo di ricerca cinese con sede nel porto di Qingdao, e l'Ufficio Privato dello Sceicco Saeed Bin Ahmed Al Maktoum, della famiglia regnante di Dubai, è di sfruttare questa varietà ibrida di riso capace di crescere in acqua salata per allestire estese coltivazioni nelle aree altrimenti inutilizzate del deserto, da irrigare con acqua salata diluita (la cui provenienza è ancora da chiarire). Grazie a questa novità le riserve d’acqua del paese arabo, già esigue di natura, verrebbero risparmiate in modo prezioso.
La resa riferita per il raccolto è di 7.500 kg per ettaro contro una media globale, per queste varietà, di 3.000 kg per ettaro. Un risultato davvero ottimo ed anche insperato che porterà a breve alla semina di 100 da espandere a partire dal 2020. L'obiettivo finale è quello di dotare gli Emirati Arabi di coltivazioni tali da coprire il 10% del territorio, ovvero circa 80.000 km quadrati. Ora il potenziale di queste varietà sarà testato nella Penisola Araba. Ma potrebbe già interessare altre zone con peculiarità di territorio simili, ad esempio la stessa Australia, i magnati dell’industria agro-alimentare australiana sembrano già pronti a fiondarsi sui brevetti di questa importantissima invenzione.
L’immagine, fino ad oggi utopistica, di un deserto di sabbia ricoperto da verde e rigogliosa vegetazione potrebbe non essere più un sogno. Un team di scienziati cinesi, guidati dal dott. Long Ping, ha creato in laboratorio la prima tipologia di riso capace di crescere anche con acqua marina. Long Pong è un noto studioso del settore, negli anni ’80 diede vita alle prime tipologie ibride di riso, e la sua ricerca ha portato a questo nuovo incredibile risultato. A Dubai a gennaio è stato seminato il primo campo di riso ed il raccolto ottenuto pochi giorni fa è stato soddisfacente facendo sperare in ulteriori sviluppi.
Il progetto che vede collaborare un gruppo di ricerca cinese con sede nel porto di Qingdao, e l'Ufficio Privato dello Sceicco Saeed Bin Ahmed Al Maktoum, della famiglia regnante di Dubai, è di sfruttare questa varietà ibrida di riso capace di crescere in acqua salata per allestire estese coltivazioni nelle aree altrimenti inutilizzate del deserto, da irrigare con acqua salata diluita (la cui provenienza è ancora da chiarire). Grazie a questa novità le riserve d’acqua del paese arabo, già esigue di natura, verrebbero risparmiate in modo prezioso.
La resa riferita per il raccolto è di 7.500 kg per ettaro contro una media globale, per queste varietà, di 3.000 kg per ettaro. Un risultato davvero ottimo ed anche insperato che porterà a breve alla semina di 100 da espandere a partire dal 2020. L'obiettivo finale è quello di dotare gli Emirati Arabi di coltivazioni tali da coprire il 10% del territorio, ovvero circa 80.000 km quadrati. Ora il potenziale di queste varietà sarà testato nella Penisola Araba. Ma potrebbe già interessare altre zone con peculiarità di territorio simili, ad esempio la stessa Australia, i magnati dell’industria agro-alimentare australiana sembrano già pronti a fiondarsi sui brevetti di questa importantissima invenzione.
Lotta alla siccità.Novità dalla Sardegna.
di Valeria Piras 12 Febbraio 2018
Un problema antico finalmente affrontato con serietà.
La siccità continua a mettere a dura prova la Sardegna: la regione sta facendo i conti con una disponibilità d’acqua nei bacini praticamente dimezzata rispetto alla normale capacità. La situazione era già grave questo inverno quando il livello degli invasi era sceso ai minimi storici della stagione 2003-2004, facendo scattare pesanti restrizioni nell’ erogazione dell’acqua per le abitazioni e ipotizzando per le campagne un futuro all’ asciutto. Per prendere di petto il problema, enti locali e consorzi hanno firmato un nuovo protocollo d’intesa che permetterà di riciclare le acque reflue urbane, una volta depurate, in agricoltura. Nel dettaglio, già da questa stagione le risorse idriche naturali provenienti dal sistema Temo-Cuga saranno integrate con le acque reflue di Alghero, opportunamente trattate nell’ impianto di depurazione di San Marco, per irrigare i campi della Nurra.
Si tratterà di un test su scala reale, i cui risultati saranno determinanti per portare il progetto su scala regionale. Da qui infatti partiranno gli studi per poter replicare la formula in altre aree dell’Isola. Una soluzione alla scarsità di risorse idriche provocata dalla siccità che ha caratterizzato l’ultimo anno, fortemente voluta dall’ assessore dei Lavori Pubblici e Presidente dell’Autorità di Bacino Paolo Maninchedda, che ha sottolineato l’impegno profuso dall’ amministrazione regionale, sia nel fornire l’apporto tecnico di tutti gli enti interessati, sia per il sostegno economico a un sistema che ha una alta valenza ambientale.
Il lavoro vede coinvolti, con il coordinamento del Servizio Tutela delle Acque del Distretto Idrografico, la Provincia di Sassari, i Sindaci di Alghero, Sassari e Olmedo, l’Ente di Governo d’Ambito della Sardegna, i gestori Abbanoa ed ENAS, ARPAS, gli enti agricoli AGRIS e Laore e il Consorzio di Bonifica della Nurra, a cui spetta ora il compito di predisporre il Piano di Gestione organico che dovrà garantire il massimo e ottimale utilizzo di tali risorse strategiche con continuità nel tempo.
La siccità continua a mettere a dura prova la Sardegna: la regione sta facendo i conti con una disponibilità d’acqua nei bacini praticamente dimezzata rispetto alla normale capacità. La situazione era già grave questo inverno quando il livello degli invasi era sceso ai minimi storici della stagione 2003-2004, facendo scattare pesanti restrizioni nell’ erogazione dell’acqua per le abitazioni e ipotizzando per le campagne un futuro all’ asciutto. Per prendere di petto il problema, enti locali e consorzi hanno firmato un nuovo protocollo d’intesa che permetterà di riciclare le acque reflue urbane, una volta depurate, in agricoltura. Nel dettaglio, già da questa stagione le risorse idriche naturali provenienti dal sistema Temo-Cuga saranno integrate con le acque reflue di Alghero, opportunamente trattate nell’ impianto di depurazione di San Marco, per irrigare i campi della Nurra.
Si tratterà di un test su scala reale, i cui risultati saranno determinanti per portare il progetto su scala regionale. Da qui infatti partiranno gli studi per poter replicare la formula in altre aree dell’Isola. Una soluzione alla scarsità di risorse idriche provocata dalla siccità che ha caratterizzato l’ultimo anno, fortemente voluta dall’ assessore dei Lavori Pubblici e Presidente dell’Autorità di Bacino Paolo Maninchedda, che ha sottolineato l’impegno profuso dall’ amministrazione regionale, sia nel fornire l’apporto tecnico di tutti gli enti interessati, sia per il sostegno economico a un sistema che ha una alta valenza ambientale.
Il lavoro vede coinvolti, con il coordinamento del Servizio Tutela delle Acque del Distretto Idrografico, la Provincia di Sassari, i Sindaci di Alghero, Sassari e Olmedo, l’Ente di Governo d’Ambito della Sardegna, i gestori Abbanoa ed ENAS, ARPAS, gli enti agricoli AGRIS e Laore e il Consorzio di Bonifica della Nurra, a cui spetta ora il compito di predisporre il Piano di Gestione organico che dovrà garantire il massimo e ottimale utilizzo di tali risorse strategiche con continuità nel tempo.
Terra.Attenzione al sovra-sfruttamento.
di Valeria Piras
Bisogna vivere in armonia col pianeta,senza sfruttarlo.
Il 2016 è stato un anno storico a livello ambientale. Gli studiosi hanno infatti stimato che dal mese di agosto corrente anno inizierà il periodo di sovra sfruttamento delle risorse naturali del nostro pianeta, stiamo cioè iniziando a consumare il futuro. Lo definiscono Earth Overshoot il momento in cui la domanda annuale di risorse naturali da parte dell'umanità supera le risorse che la Terra può rigenerare in un anno. Vale per quello che prendiamo e per quello che lasciamo. Ad esempio emettiamo più anidride carbonica in atmosfera di quella che gli oceani e le foreste sono in grado di assorbire e in questo modo acceleriamo lo squilibrio climatico che contribuisce a ridurre le risorse disponibili perché aumenta la desertificazione e l'inaridimento delle terre. Un nuovo modo di vivere, più in armonia con il pianeta, è possibile e porterebbe molti vantaggi, ma richiede impegno per realizzarlo affermano gli stessi esperti.
La buona notizia è che questo obiettivo è attuabile con le tecnologie disponibili ed è economicamente vantaggioso dato che i benefici complessivi sono superiori a costi. Si possono stimolare settori emergenti come le energie rinnovabili, riducendo i rischi e i costi connessi a settori imprenditoriali senza futuro perché basati su tecnologie vecchie e inquinanti. Ma a patto di trovare una risorsa che noi non misuriamo: la volontà politica di sostenere il cambiamento necessario. Per ora comunque la bilancia globale pende dalla parte dell'inquinamento e la data dell'Overshoot Day continua ad arretrare, anche se a un ritmo più lento (un giorno all'anno, in media, negli ultimi cinque anni, rispetto a una media di tre giorni all'anno da quando, nei primi anni Settanta, é iniziato il sovra sfruttamento).
Nel 2000 era a settembre ora è arrivata ad agosto. Anche in Italia è giunto il momento di passare dalle parole ai fatti. Ci vogliono misure concrete per rispettare gli impegni internazionali a difesa dell'ambiente. Misure che tra l'altro favorirebbero il rilancio dell'occupazione. In assenza di risposte politiche efficaci, comunque, qualcosa si può fare anche a livello individuale: sul sito dell'Overshoot Day ci sono proposte che vanno dall'aumento dei pasti vegetariani al recupero della materia utilizzata nel ciclo produttivo.
Il 2016 è stato un anno storico a livello ambientale. Gli studiosi hanno infatti stimato che dal mese di agosto corrente anno inizierà il periodo di sovra sfruttamento delle risorse naturali del nostro pianeta, stiamo cioè iniziando a consumare il futuro. Lo definiscono Earth Overshoot il momento in cui la domanda annuale di risorse naturali da parte dell'umanità supera le risorse che la Terra può rigenerare in un anno. Vale per quello che prendiamo e per quello che lasciamo. Ad esempio emettiamo più anidride carbonica in atmosfera di quella che gli oceani e le foreste sono in grado di assorbire e in questo modo acceleriamo lo squilibrio climatico che contribuisce a ridurre le risorse disponibili perché aumenta la desertificazione e l'inaridimento delle terre. Un nuovo modo di vivere, più in armonia con il pianeta, è possibile e porterebbe molti vantaggi, ma richiede impegno per realizzarlo affermano gli stessi esperti.
La buona notizia è che questo obiettivo è attuabile con le tecnologie disponibili ed è economicamente vantaggioso dato che i benefici complessivi sono superiori a costi. Si possono stimolare settori emergenti come le energie rinnovabili, riducendo i rischi e i costi connessi a settori imprenditoriali senza futuro perché basati su tecnologie vecchie e inquinanti. Ma a patto di trovare una risorsa che noi non misuriamo: la volontà politica di sostenere il cambiamento necessario. Per ora comunque la bilancia globale pende dalla parte dell'inquinamento e la data dell'Overshoot Day continua ad arretrare, anche se a un ritmo più lento (un giorno all'anno, in media, negli ultimi cinque anni, rispetto a una media di tre giorni all'anno da quando, nei primi anni Settanta, é iniziato il sovra sfruttamento).
Nel 2000 era a settembre ora è arrivata ad agosto. Anche in Italia è giunto il momento di passare dalle parole ai fatti. Ci vogliono misure concrete per rispettare gli impegni internazionali a difesa dell'ambiente. Misure che tra l'altro favorirebbero il rilancio dell'occupazione. In assenza di risposte politiche efficaci, comunque, qualcosa si può fare anche a livello individuale: sul sito dell'Overshoot Day ci sono proposte che vanno dall'aumento dei pasti vegetariani al recupero della materia utilizzata nel ciclo produttivo.
La barriera corallina è in gravissimo pericolo.
di Valeria Piras
Pericolo per il reef e l'Unesco corre ai ripari.Basterà?
C'è una notizia finalmente buona per la protezione del nostro sanguinante pianeta.La Grande Barriera corallina potrebbe essere inserita a breve nel gruppo dei “Siti Patrimonio Mondiale in Pericolo” delle Nazioni Unite, in seguito al devastante fenomeno di sbiancamento che ha subito quest’anno. Scienziati, avvocati e ONG reclamano già da molti anni che il Comitato del patrimonio mondiale dell’UNESCO compia questo passo. Finora, però, c'è stata l’Australia che ha deciso sempre di usare il suo veto su ogni decisione per tutelare i suoi interessi – il turismo e l’espansione dell’industria inquinante – evitando così di dover sborsare soldi per tutelare il reef.La galassia dell’ambientalismo internazionale aveva presentato formale richiesta di inserimento già nel 2015 ma non era stata accolta. Il Comitato aveva preferito prendere tempo fissando come scadenza il 1 dicembre del 2016. Entro quella data l’Australia avrebbe dovuto stilare un report dettagliando i progressi ottenuti nella conservazione della barriera e i fondi dedicati per raggiungere gli obiettivi al 2050 sull’inquinamento delle acque.
Ma nel report l’Australia dovrà necessariamente inserire gli eventi disastrosi che hanno devastato la Grande barriera corallina in questi ultimi mesi. Vale a dire il peggior sbiancamento del reef mai visto, che ha colpito oltre 500 scogliere da Cairns a Papua Nuova Guinea risparmiandone solo 4. Una morìa di massa innescata dal riscaldamento globale, dall’acidificazione degli oceani e dall’immobilismo del governo di Canberra nel prendere una posizione netta. Così a giugno una ricerca ha constatato che l’acqua troppo calda ha ucciso un terzo dei coralli nel settore settentrionale e centrale del reef, al largo della costa nord-orientale dell’Australia.
Insomma, la situazione è così drammatica – scommettono gli scienziati – che l’Australia non potrà “dimenticarsi” di citarla nel suo report, e il Comitato dovrà quindi agire di conseguenza. Inoltre gli investimenti di Canberra sono giudicati del tutto inadeguati per proteggere il sito in modo adeguato: secondo le stime degli scienziati servirebbero tra i 10 e i 16 miliardi di dollari, e servirebbero subito. Con queste premesse, una nuova riunione del Comitato nel 2017 potrebbe rendere ufficiale l’iscrizione del reef nella lista dei siti in pericolo.
C'è una notizia finalmente buona per la protezione del nostro sanguinante pianeta.La Grande Barriera corallina potrebbe essere inserita a breve nel gruppo dei “Siti Patrimonio Mondiale in Pericolo” delle Nazioni Unite, in seguito al devastante fenomeno di sbiancamento che ha subito quest’anno. Scienziati, avvocati e ONG reclamano già da molti anni che il Comitato del patrimonio mondiale dell’UNESCO compia questo passo. Finora, però, c'è stata l’Australia che ha deciso sempre di usare il suo veto su ogni decisione per tutelare i suoi interessi – il turismo e l’espansione dell’industria inquinante – evitando così di dover sborsare soldi per tutelare il reef.La galassia dell’ambientalismo internazionale aveva presentato formale richiesta di inserimento già nel 2015 ma non era stata accolta. Il Comitato aveva preferito prendere tempo fissando come scadenza il 1 dicembre del 2016. Entro quella data l’Australia avrebbe dovuto stilare un report dettagliando i progressi ottenuti nella conservazione della barriera e i fondi dedicati per raggiungere gli obiettivi al 2050 sull’inquinamento delle acque.
Ma nel report l’Australia dovrà necessariamente inserire gli eventi disastrosi che hanno devastato la Grande barriera corallina in questi ultimi mesi. Vale a dire il peggior sbiancamento del reef mai visto, che ha colpito oltre 500 scogliere da Cairns a Papua Nuova Guinea risparmiandone solo 4. Una morìa di massa innescata dal riscaldamento globale, dall’acidificazione degli oceani e dall’immobilismo del governo di Canberra nel prendere una posizione netta. Così a giugno una ricerca ha constatato che l’acqua troppo calda ha ucciso un terzo dei coralli nel settore settentrionale e centrale del reef, al largo della costa nord-orientale dell’Australia.
Insomma, la situazione è così drammatica – scommettono gli scienziati – che l’Australia non potrà “dimenticarsi” di citarla nel suo report, e il Comitato dovrà quindi agire di conseguenza. Inoltre gli investimenti di Canberra sono giudicati del tutto inadeguati per proteggere il sito in modo adeguato: secondo le stime degli scienziati servirebbero tra i 10 e i 16 miliardi di dollari, e servirebbero subito. Con queste premesse, una nuova riunione del Comitato nel 2017 potrebbe rendere ufficiale l’iscrizione del reef nella lista dei siti in pericolo.
Nuovo accordo UE sull'inquinamento.
di Valeria Piras
Le istituzioni europee varano un nuovo accordo sull'ambiente.
L’ accordo europeo sull'ambiente finalmente c’è, ma come si paventava, ha subito varie e profonde modifiche normative.Parlamento europeo e Consiglio d’Europa hanno trovato la quadra sulla nuova direttiva NEC (National Emission Ceiling, letteralmente “tetto alle emissioni nazionali”), con cui l’Unione Europea regola la qualità dell’aria attraverso il contrasto all’inquinamento atmosferico e la definizione di un limite massimo consentito per ciascun tipo di inquinante. Il nuovo accordo ratificato stabilisce nuovi limiti più stretti di quelli attuali per i paesi membri tra il 2020 e il 2029, e dal 2030 in avanti, ma ha ampiamente deluso le aspettative. Adesso la responsabilità vera e propria è dei singoli stati membri che dovranno dare applicazione all'accordo. Le critiche sono state molte.Prima di tutto l’Europa ha “dimenticato” il metano.
Quando la direttiva NEC aveva compiuto i primi passi tra Bruxelles e Strasburgo nell’ottobre del 2015, gli inquinanti presi in esame erano 6: biossido di zolfo (SO2), ossidi di azoto (NOx), composti organici volatili non metanici (COVNM), metano (CH4) ammoniaca (NH3), e polveri sottili (PM 2.5). Parlamento e Commissione volevano un cap anche per il metano (contribuisce alla formazione di ozono a livello del terreno, che è dannoso per la salute), ma alla fine il Consiglio l’ha spuntata e il CH4 è stato sbianchettato dal testo finale. Nello specifico, i cap alle emissioni nazionali tra 2020 e 2029 di ogni inquinante sono identici a quelli su cui i paesi si sono già impegnati con la revisione del Protocollo di Gothenburg. Invece il secondo step, dopo il 2030, ha dei limiti più stringenti che consentiranno di ridurre l’impatto dell’inquinamento atmosferico sulla salute del 50%.
Poi ci sono alcune scappatoie che, in nome della flessibilità, permetteranno agli stati membri di sforare i limiti. Una di queste misure (soprannominata “carta esci di prigione”, come nel Monopoli) è stata inserita dal Consiglio. Come funziona? In caso di estati secche o inverni rigidi, gli stati potranno basarsi non sul dato annuale degli inquinanti, ma sulla media degli ultimi 3 anni. Compare anche il comma-diesel gate: se mai uno e un solo settore inquinasse molto più di quanto era stato preventivato, lo stato non ne avrà la responsabilità. È esattamente quello che è successo negli ultimi mesi con lo scandalo emissioni: che ci siano altri altarini che stanno per saltare? Chi ha spinto per annacquare le responsabilità e tenersi pronto il paracadute? Neanche a farlo apposta, nella lista dei paesi pro-smog c’è anche l’Italia.
L’ accordo europeo sull'ambiente finalmente c’è, ma come si paventava, ha subito varie e profonde modifiche normative.Parlamento europeo e Consiglio d’Europa hanno trovato la quadra sulla nuova direttiva NEC (National Emission Ceiling, letteralmente “tetto alle emissioni nazionali”), con cui l’Unione Europea regola la qualità dell’aria attraverso il contrasto all’inquinamento atmosferico e la definizione di un limite massimo consentito per ciascun tipo di inquinante. Il nuovo accordo ratificato stabilisce nuovi limiti più stretti di quelli attuali per i paesi membri tra il 2020 e il 2029, e dal 2030 in avanti, ma ha ampiamente deluso le aspettative. Adesso la responsabilità vera e propria è dei singoli stati membri che dovranno dare applicazione all'accordo. Le critiche sono state molte.Prima di tutto l’Europa ha “dimenticato” il metano.
Quando la direttiva NEC aveva compiuto i primi passi tra Bruxelles e Strasburgo nell’ottobre del 2015, gli inquinanti presi in esame erano 6: biossido di zolfo (SO2), ossidi di azoto (NOx), composti organici volatili non metanici (COVNM), metano (CH4) ammoniaca (NH3), e polveri sottili (PM 2.5). Parlamento e Commissione volevano un cap anche per il metano (contribuisce alla formazione di ozono a livello del terreno, che è dannoso per la salute), ma alla fine il Consiglio l’ha spuntata e il CH4 è stato sbianchettato dal testo finale. Nello specifico, i cap alle emissioni nazionali tra 2020 e 2029 di ogni inquinante sono identici a quelli su cui i paesi si sono già impegnati con la revisione del Protocollo di Gothenburg. Invece il secondo step, dopo il 2030, ha dei limiti più stringenti che consentiranno di ridurre l’impatto dell’inquinamento atmosferico sulla salute del 50%.
Poi ci sono alcune scappatoie che, in nome della flessibilità, permetteranno agli stati membri di sforare i limiti. Una di queste misure (soprannominata “carta esci di prigione”, come nel Monopoli) è stata inserita dal Consiglio. Come funziona? In caso di estati secche o inverni rigidi, gli stati potranno basarsi non sul dato annuale degli inquinanti, ma sulla media degli ultimi 3 anni. Compare anche il comma-diesel gate: se mai uno e un solo settore inquinasse molto più di quanto era stato preventivato, lo stato non ne avrà la responsabilità. È esattamente quello che è successo negli ultimi mesi con lo scandalo emissioni: che ci siano altri altarini che stanno per saltare? Chi ha spinto per annacquare le responsabilità e tenersi pronto il paracadute? Neanche a farlo apposta, nella lista dei paesi pro-smog c’è anche l’Italia.
La sfida particolare di Solar Impulse 2.
di Valeria Piras
Un viaggio sperimentale per il nostro futuro.
Prosegue il viaggio di Solar Impulse 2, l’aereo a energia solare progettato da due piloti svizzeri Bertrand Piccard e André Borschberg.Di recente è decollato dalla città di Mandalay in Birmania per raggiungere la Cina percorrendo una tappa di 1300 km per 20 ore di viaggio.Solar Impulse ha cominciato il suo viaggio sperimentale lo scorso 9 marzo decollando da Abu Dhabi, negli Emirati Arabi, per il primo giro del mondo a energia solare lungo 35mila km della durata di 5 mesi.I motori dell’aereo vengono alimentati dall’energia accumulata dai pannelli solari posti sulle ali superiori del velivolo stesso.Partito dalla sede dell’Agenzia internazionale per le energie rinnovabili Irena di Masdar City, il progetto si pone l’obiettivo non tanto di perseguire un record, quanto piuttosto di comunicare e diffondere l’idea che le tecnologie a energia solare sono pronte a affrontare anche le sfide più ambiziose.Un concetto che affascina alcuni e lascia perplessi molti altri.
A dar appoggio e manforte a un’idea così ambiziosa, non solo per il suo significato ecologico, ma anche perché promuove una via d’uscita dalla crisi del clima e dei conflitti sull’energia, ci sono milioni di cittadini, attivisti, politici, scienziati e lavoratori di ogni paese del mondo. Quali sono le caratteristiche del Solar Impulse? Usa energia solare, pesa 2,3 tonnellate, ospita un passeggero, viaggia a una velocità di 50 chilometri orari, costa cento milioni di euro (nota dolente).Solar impulse è un ardito esperimento, una fotografia dei nostri tempi, del desiderio di recuperare dagli errori del passato. Il Concorde è l’esempio lampante dell’idea malsana di progresso che ci si vorrebbe lasciare alle spalle: un gioiello della tecnica voluto e finanziato principalmente da Francia e Gran Bretagna, ma un vero e proprio fiasco dal punto di vista ecologico con le sue 96 tonnellate di cherosene, 184 di peso; ospitava cento passeggeri, viaggiava a una velocità di 2.200 chilometri orari per due miliardi di euro di costo.Tutto il contrario dell’aereo solare: motore da 8 cavalli, la possibilità di trasportare un unico passeggero, scarse condizioni di comfort e dai costi esorbitanti.
Potrebbe, dunque, non avere futuro, almeno nel modo in cui lo intendiamo noi, ovvero inserito nella vita pratica di ognuno di noi.Ma dal punto di vista simbolico, quello che rappresenta questo velivolo, non è l’idea di un mezzo di trasporto che muova le masse da ogni angolo del mondo, quanto piuttosto uno strumento per le innovazioni tecniche nello sviluppo di velivoli leggeri e autonomi, applicabili nel campo delle telerivelazioni o delle telecomunicazioni, ad esempio. Per questo motivo Google e Swisscom sono tra i suoi sponsor e Facebook sta lavorando su un progetto di droni a energia solare per fornire una copertura internet dallo spazio.Se dimostriamo di poter volare intorno al mondo con l’energia solare – dice Piccard – chi potrà dire che con essa non si può far funzionare un frigorifero, un riscaldamento, un ascensore? Schindler per esempio, uno degli sponsor di Solar Impulse, ha realizzato un ascensore a energia solare”, riporta l’Internazionale.Le tecnologie per le nuove energie rinnovabili stanno prendendo sempre più mercato, in particolare quelle solari ed eoliche, grazie anche al fatto che i costi per quelle fossili e atomiche continuano a salire, anche l’Europa se ne sta accorgendo e sta investendo sempre di più nel settore.
Prosegue il viaggio di Solar Impulse 2, l’aereo a energia solare progettato da due piloti svizzeri Bertrand Piccard e André Borschberg.Di recente è decollato dalla città di Mandalay in Birmania per raggiungere la Cina percorrendo una tappa di 1300 km per 20 ore di viaggio.Solar Impulse ha cominciato il suo viaggio sperimentale lo scorso 9 marzo decollando da Abu Dhabi, negli Emirati Arabi, per il primo giro del mondo a energia solare lungo 35mila km della durata di 5 mesi.I motori dell’aereo vengono alimentati dall’energia accumulata dai pannelli solari posti sulle ali superiori del velivolo stesso.Partito dalla sede dell’Agenzia internazionale per le energie rinnovabili Irena di Masdar City, il progetto si pone l’obiettivo non tanto di perseguire un record, quanto piuttosto di comunicare e diffondere l’idea che le tecnologie a energia solare sono pronte a affrontare anche le sfide più ambiziose.Un concetto che affascina alcuni e lascia perplessi molti altri.
A dar appoggio e manforte a un’idea così ambiziosa, non solo per il suo significato ecologico, ma anche perché promuove una via d’uscita dalla crisi del clima e dei conflitti sull’energia, ci sono milioni di cittadini, attivisti, politici, scienziati e lavoratori di ogni paese del mondo. Quali sono le caratteristiche del Solar Impulse? Usa energia solare, pesa 2,3 tonnellate, ospita un passeggero, viaggia a una velocità di 50 chilometri orari, costa cento milioni di euro (nota dolente).Solar impulse è un ardito esperimento, una fotografia dei nostri tempi, del desiderio di recuperare dagli errori del passato. Il Concorde è l’esempio lampante dell’idea malsana di progresso che ci si vorrebbe lasciare alle spalle: un gioiello della tecnica voluto e finanziato principalmente da Francia e Gran Bretagna, ma un vero e proprio fiasco dal punto di vista ecologico con le sue 96 tonnellate di cherosene, 184 di peso; ospitava cento passeggeri, viaggiava a una velocità di 2.200 chilometri orari per due miliardi di euro di costo.Tutto il contrario dell’aereo solare: motore da 8 cavalli, la possibilità di trasportare un unico passeggero, scarse condizioni di comfort e dai costi esorbitanti.
Potrebbe, dunque, non avere futuro, almeno nel modo in cui lo intendiamo noi, ovvero inserito nella vita pratica di ognuno di noi.Ma dal punto di vista simbolico, quello che rappresenta questo velivolo, non è l’idea di un mezzo di trasporto che muova le masse da ogni angolo del mondo, quanto piuttosto uno strumento per le innovazioni tecniche nello sviluppo di velivoli leggeri e autonomi, applicabili nel campo delle telerivelazioni o delle telecomunicazioni, ad esempio. Per questo motivo Google e Swisscom sono tra i suoi sponsor e Facebook sta lavorando su un progetto di droni a energia solare per fornire una copertura internet dallo spazio.Se dimostriamo di poter volare intorno al mondo con l’energia solare – dice Piccard – chi potrà dire che con essa non si può far funzionare un frigorifero, un riscaldamento, un ascensore? Schindler per esempio, uno degli sponsor di Solar Impulse, ha realizzato un ascensore a energia solare”, riporta l’Internazionale.Le tecnologie per le nuove energie rinnovabili stanno prendendo sempre più mercato, in particolare quelle solari ed eoliche, grazie anche al fatto che i costi per quelle fossili e atomiche continuano a salire, anche l’Europa se ne sta accorgendo e sta investendo sempre di più nel settore.
In Italia una centrale termica a biomassa.
di Valeria Piras
Finalmente l'Italia si aggiorna sulle energie alternative.
Sorgerà a Castelnuovo Val di Cecina il primo impianto geotermico a biomasse del mondo. Enel Green Power ha avviato i lavori per la realizzazione, presso la centrale geotermica Cornia 2, di un impianto che impiegherà la biomassa per ottenere il vapore geotermico che alimenterà la centrale. Si tratta di un investimento di oltre 15 milioni di euro e i cui lavori si concluderanno entro l’estate prossima. All'impianto geotermico esistente verrà affiancata una piccola centrale alimentata a biomasse vergini di origine forestale prodotte in un raggio di 70 km calcolato in linea d'aria dalla collocazione dell'impianto.
Grazie alla biomassa il vapore in ingresso alla centrale sarà surriscaldato per passare da una temperatura iniziale compresa tra i 150 e i 160 gradi a una di 370/380 gradi, cosicché aumenterà la potenza netta per la produzione di elettricità sia per la maggiore entalpia del vapore sia per il rendimento del ciclo legato alla minore umidità nella fase di produzione.
Si tratta di un'innovazione tecnologica di grande valore perché è a impatto ambientale vicino allo zero e integra un insediamento industriale già esistente mantenendo la totale rinnovabilità della risorsa e del ciclo coniugando due fonti rinnovabili per una produzione che apre nuovi scenari a livello internazionale,spiega in una nota Enel. La potenza aggiuntiva raggiungerà i 5 MW per un impianto che attualmente ha una potenza installata di 13 MW e che potrà incrementare la producibilità di circa 37 GWh/anno. L’operazione consentirà di risparmiare circa 17mila tonnellate di anidride carbonica, ma ci sarà una ricaduta positiva anche in campo occupazionale poiché, fra gestione diretta e indiretta, occuperà nel processo a filiera corta del reperimento delle risorse da 35 a 40 addetti. Una soluzione “ibrida” che potrebbe diventare un modello vincente da portare anche in altre regioni ricche di biomassa.
Sorgerà a Castelnuovo Val di Cecina il primo impianto geotermico a biomasse del mondo. Enel Green Power ha avviato i lavori per la realizzazione, presso la centrale geotermica Cornia 2, di un impianto che impiegherà la biomassa per ottenere il vapore geotermico che alimenterà la centrale. Si tratta di un investimento di oltre 15 milioni di euro e i cui lavori si concluderanno entro l’estate prossima. All'impianto geotermico esistente verrà affiancata una piccola centrale alimentata a biomasse vergini di origine forestale prodotte in un raggio di 70 km calcolato in linea d'aria dalla collocazione dell'impianto.
Grazie alla biomassa il vapore in ingresso alla centrale sarà surriscaldato per passare da una temperatura iniziale compresa tra i 150 e i 160 gradi a una di 370/380 gradi, cosicché aumenterà la potenza netta per la produzione di elettricità sia per la maggiore entalpia del vapore sia per il rendimento del ciclo legato alla minore umidità nella fase di produzione.
Si tratta di un'innovazione tecnologica di grande valore perché è a impatto ambientale vicino allo zero e integra un insediamento industriale già esistente mantenendo la totale rinnovabilità della risorsa e del ciclo coniugando due fonti rinnovabili per una produzione che apre nuovi scenari a livello internazionale,spiega in una nota Enel. La potenza aggiuntiva raggiungerà i 5 MW per un impianto che attualmente ha una potenza installata di 13 MW e che potrà incrementare la producibilità di circa 37 GWh/anno. L’operazione consentirà di risparmiare circa 17mila tonnellate di anidride carbonica, ma ci sarà una ricaduta positiva anche in campo occupazionale poiché, fra gestione diretta e indiretta, occuperà nel processo a filiera corta del reperimento delle risorse da 35 a 40 addetti. Una soluzione “ibrida” che potrebbe diventare un modello vincente da portare anche in altre regioni ricche di biomassa.
OMG.Cambia ancora la normativa.
di Valeria Piras
Di nuovo modifiche alla legge che regola gli OGM.
L'Europarlamento due giorni fa ha dato il via libera definitivo alla direttiva che consentirà ai Paesi membri dell'Ue di limitare o proibire la coltivazione di organismi geneticamente modificati (OGM) sul territorio nazionale, anche se questi sono autorizzati a livello europeo. Si tratta delle conclusione di un lungo iter che già da diversi anni era allo studio delle autorità europee, e che più volte ha subito delle battute d'arresto.Lo scorso ottobre la proposta era passata in Commissione ambiente con 53 voti favorevoli, 11 contrari e 2 astenuti. Secondo la direttiva, gli Stati membri potranno adottare una normativa vincolante nel limitare o vietare la coltivazione di OGM anche se questi hanno ottenuto l'autorizzazione a livello UE.
E i singoli divieti potrebbero essere basati su particolari obiettivi della politica ambientale ma anche per la semplice precauzione.La nuova normativa sulla coltivazione degli OGM è stata approvata dall'Assemblea di Strasburgo con 480 voti a favore, 159 contrari e 58 astensioni. Ci sono voluti quattro anni di difficili negoziati per arrivare a un compromesso finale fra Commissione europea, Consiglio Ue e Parlamento Europeo. Il ministro delle Politiche Agricole Maurizio Martina parla di "successo della Presidenza italiana dell'Ue".L'accordo ha modificato il testo approvato in prima lettura dal Consiglio europeo nel agosto scorso sotto tre aspetti:
1- le valutazioni sui rischi ambientali e sanitari, di competenza dell'Agenzia europea per la sicurezza alimentare, dovranno essere aggiornate ogni due anni per tener conto del progresso scientifico e del principio di precauzione che è un pilastro del diritto ambientale internazionale;
2- gli Stati Membri possono chiedere, tramite la Commissione europea, alle imprese produttrici di Ogm, di escludere i loro territori dal novero dei Paesi nei quali intendono chiedere l'autorizzazione europea alla coltivazione; ma questa fase di "negoziato" con le imprese non è più obbligatoria, e gli Stati Membri potranno decidere di passare direttamente al divieto di coltivazione per le motivazioni indicate nella Direttiva;
3- gli Stati Membri, prima di introdurre il divieto di coltivazione, dovranno comunicare il relativo provvedimento alla Commissione europea ed attendere 75 giorni per il parere, ma durante questo periodo di attesa gli agricoltori non potranno comunque procedere alla semina dei prodotti interessati dall'ipotesi di divieto. Resta intanto quasi certo l'esito del voto del Parlamento Europeo sul compromesso raggiunto tra Strasburgo, Commissione Ue e Consiglio.
L'Europarlamento due giorni fa ha dato il via libera definitivo alla direttiva che consentirà ai Paesi membri dell'Ue di limitare o proibire la coltivazione di organismi geneticamente modificati (OGM) sul territorio nazionale, anche se questi sono autorizzati a livello europeo. Si tratta delle conclusione di un lungo iter che già da diversi anni era allo studio delle autorità europee, e che più volte ha subito delle battute d'arresto.Lo scorso ottobre la proposta era passata in Commissione ambiente con 53 voti favorevoli, 11 contrari e 2 astenuti. Secondo la direttiva, gli Stati membri potranno adottare una normativa vincolante nel limitare o vietare la coltivazione di OGM anche se questi hanno ottenuto l'autorizzazione a livello UE.
E i singoli divieti potrebbero essere basati su particolari obiettivi della politica ambientale ma anche per la semplice precauzione.La nuova normativa sulla coltivazione degli OGM è stata approvata dall'Assemblea di Strasburgo con 480 voti a favore, 159 contrari e 58 astensioni. Ci sono voluti quattro anni di difficili negoziati per arrivare a un compromesso finale fra Commissione europea, Consiglio Ue e Parlamento Europeo. Il ministro delle Politiche Agricole Maurizio Martina parla di "successo della Presidenza italiana dell'Ue".L'accordo ha modificato il testo approvato in prima lettura dal Consiglio europeo nel agosto scorso sotto tre aspetti:
1- le valutazioni sui rischi ambientali e sanitari, di competenza dell'Agenzia europea per la sicurezza alimentare, dovranno essere aggiornate ogni due anni per tener conto del progresso scientifico e del principio di precauzione che è un pilastro del diritto ambientale internazionale;
2- gli Stati Membri possono chiedere, tramite la Commissione europea, alle imprese produttrici di Ogm, di escludere i loro territori dal novero dei Paesi nei quali intendono chiedere l'autorizzazione europea alla coltivazione; ma questa fase di "negoziato" con le imprese non è più obbligatoria, e gli Stati Membri potranno decidere di passare direttamente al divieto di coltivazione per le motivazioni indicate nella Direttiva;
3- gli Stati Membri, prima di introdurre il divieto di coltivazione, dovranno comunicare il relativo provvedimento alla Commissione europea ed attendere 75 giorni per il parere, ma durante questo periodo di attesa gli agricoltori non potranno comunque procedere alla semina dei prodotti interessati dall'ipotesi di divieto. Resta intanto quasi certo l'esito del voto del Parlamento Europeo sul compromesso raggiunto tra Strasburgo, Commissione Ue e Consiglio.
Riscaldamento globale.Ecco la situazione.
di Valeria Piras
Scenari non positivi per il nostro bio-clima.
Potrebbe esserci una brusca inversione di tendenza nel riscaldamento globale che sta mutando gli equilibri naturali e socio-economici della Terra. E non sarà tra molti anni, ma nel 2030. Secondo uno studio del britannico Met Office, fra quindici anni potrebbe verificarsi una “mini” era glaciale a causa di una diminuzione dell’attività solare che porterebbe al ripetersi del cosiddetto “minimo di Maunder” ovverosia quell’intervallo di tempo, compreso fra il 1645 e il 1715, in cui il numero delle macchie solari divenne basso e causò la morte di molte persone e, per esempio, il congelamento del Tamigi.
Il noto istituto meteorologico britannico ha riscontrato una nuova diminuzione delle macchie solari che sarebbe il preludio a una fase di raffreddamento che dovrebbe avvenire fra tre lustri: il modello di analisi presentato dalla nota esperta russa Valentina Zharkova al National Astromy Meeting di Londra prevede una diminuzione del 60% dell’attività solare nel 2030.
Secondo il modello proposto da Zharkova e dai suoi colleghi l’attività solare sarebbe regolata da una “doppia dinamo”: una attiva in superficie e l’altra in profondità. Questa scoperta potrebbe portare a comprendere meglio gli aspetti del ciclo solare e a prevederne con maggiore efficacia il comportamento. Dall’osservazione sul campo magnetico fatte dal Solar Observatory Wilcox in California, gli scienziati hanno potuto guardare “oltre” gli 11 anni del ciclo solare “tradizionale” e questa scoperta ha permesso di ipotizzare una diminuzione del 60% dell’attività solare nel 2030, un evento simile al minimo di Maunder.
Potrebbe esserci una brusca inversione di tendenza nel riscaldamento globale che sta mutando gli equilibri naturali e socio-economici della Terra. E non sarà tra molti anni, ma nel 2030. Secondo uno studio del britannico Met Office, fra quindici anni potrebbe verificarsi una “mini” era glaciale a causa di una diminuzione dell’attività solare che porterebbe al ripetersi del cosiddetto “minimo di Maunder” ovverosia quell’intervallo di tempo, compreso fra il 1645 e il 1715, in cui il numero delle macchie solari divenne basso e causò la morte di molte persone e, per esempio, il congelamento del Tamigi.
Il noto istituto meteorologico britannico ha riscontrato una nuova diminuzione delle macchie solari che sarebbe il preludio a una fase di raffreddamento che dovrebbe avvenire fra tre lustri: il modello di analisi presentato dalla nota esperta russa Valentina Zharkova al National Astromy Meeting di Londra prevede una diminuzione del 60% dell’attività solare nel 2030.
Secondo il modello proposto da Zharkova e dai suoi colleghi l’attività solare sarebbe regolata da una “doppia dinamo”: una attiva in superficie e l’altra in profondità. Questa scoperta potrebbe portare a comprendere meglio gli aspetti del ciclo solare e a prevederne con maggiore efficacia il comportamento. Dall’osservazione sul campo magnetico fatte dal Solar Observatory Wilcox in California, gli scienziati hanno potuto guardare “oltre” gli 11 anni del ciclo solare “tradizionale” e questa scoperta ha permesso di ipotizzare una diminuzione del 60% dell’attività solare nel 2030, un evento simile al minimo di Maunder.
Economia verde.Il futuro del mondo.
di Valeria Piras
Ambiente ed ecologia vere risorse anche per l'economia.
La nuova economia mondiale sarà sicuramente a forti tinte green.Questo è un concetto oramai assodato.La domanda principale resta quando avverrà il cruciale e definitivo passaggio dalla vecchia alla nuova economy? Si tratta di una domanda concreta ed attuale cui spesso non si da la dovuta importanza guardando invece al lungo termine.Lontano dall'idea della decrescita, spesso facile a dirsi ma più difficile da mettere in pratica, forse in questo momento storico, la crescita resta indispensabile anche rispetto all’ecologia. Per due ragioni fondamentali: una teorica, l’altra politica. Da una parte c'è il fatto che il sistema economico, per come lo conosciamo almeno fin dal dopoguerra, è dipendente dalla crescita, e senza crescita rischia il collasso. Dall'altra parte c'è l'idea che senza crescita è difficile che ci sia innovazione.Com’è possibile sviluppare, finanziare e lanciare sul mercato nuove tecnologie senza crescita? Gli appelli a una società pre-tecnologica non sono affatto una soluzione ai veri problemi.
La strada passa quindi attraverso quello che molti esperti definiscono il Keynesiansimo verde, ossia la crescita verde condizione della correzione dei fallimenti dei mercati, e la politica industriale verde.Una strategia che potrebbe essere la soluzione per uscire dallo stato di cose attuale, in cui crisi ecologica ed economica appaiono intrecciate in modo indissolubile.Entrambe le crisi sono contraddistinte dall’incapacità degli attori di proiettarsi verso il futuro, entrambe presuppongono un consumo accelerato di una risorsa non rinnovabile e incompatibile con lo sfruttamento duraturo degli stock, sia che si parli di risorse naturali che del debito privato e sovrano.
Esiste una serie di strumenti concreti da utilizzare per correggere il mercato, indirizzandolo verso una maggiore sostenibilità, che poi si traduce in maggiore efficienza.Le esternalità negative prodotte fanno sì che la crescita funzioni, in realtà, a un livello sub-ottimale.E, per quanto possa sembrare paradossale, peggiorano le proprie modalità di produzione, danneggiando e impoverendo la natura, o mettendo in pericolo la salute dei propri lavoratori.L’economia verde, correggendo queste disfunzioni, non solo riesce a migliorare le condizioni di produzione delle imprese e in generale la qualità della biosfera, ma può anche avere un effetto positivo sulla crescita.
La nuova economia mondiale sarà sicuramente a forti tinte green.Questo è un concetto oramai assodato.La domanda principale resta quando avverrà il cruciale e definitivo passaggio dalla vecchia alla nuova economy? Si tratta di una domanda concreta ed attuale cui spesso non si da la dovuta importanza guardando invece al lungo termine.Lontano dall'idea della decrescita, spesso facile a dirsi ma più difficile da mettere in pratica, forse in questo momento storico, la crescita resta indispensabile anche rispetto all’ecologia. Per due ragioni fondamentali: una teorica, l’altra politica. Da una parte c'è il fatto che il sistema economico, per come lo conosciamo almeno fin dal dopoguerra, è dipendente dalla crescita, e senza crescita rischia il collasso. Dall'altra parte c'è l'idea che senza crescita è difficile che ci sia innovazione.Com’è possibile sviluppare, finanziare e lanciare sul mercato nuove tecnologie senza crescita? Gli appelli a una società pre-tecnologica non sono affatto una soluzione ai veri problemi.
La strada passa quindi attraverso quello che molti esperti definiscono il Keynesiansimo verde, ossia la crescita verde condizione della correzione dei fallimenti dei mercati, e la politica industriale verde.Una strategia che potrebbe essere la soluzione per uscire dallo stato di cose attuale, in cui crisi ecologica ed economica appaiono intrecciate in modo indissolubile.Entrambe le crisi sono contraddistinte dall’incapacità degli attori di proiettarsi verso il futuro, entrambe presuppongono un consumo accelerato di una risorsa non rinnovabile e incompatibile con lo sfruttamento duraturo degli stock, sia che si parli di risorse naturali che del debito privato e sovrano.
Esiste una serie di strumenti concreti da utilizzare per correggere il mercato, indirizzandolo verso una maggiore sostenibilità, che poi si traduce in maggiore efficienza.Le esternalità negative prodotte fanno sì che la crescita funzioni, in realtà, a un livello sub-ottimale.E, per quanto possa sembrare paradossale, peggiorano le proprie modalità di produzione, danneggiando e impoverendo la natura, o mettendo in pericolo la salute dei propri lavoratori.L’economia verde, correggendo queste disfunzioni, non solo riesce a migliorare le condizioni di produzione delle imprese e in generale la qualità della biosfera, ma può anche avere un effetto positivo sulla crescita.
Pesticidi.Dramma per salute e ambiente.
di Valeria Piras
Giorni di riflessione su salute e alimentazione.
Da pochi giorni a Roma si è tenuto il Salone del Gusto che ha celebrato con visibilità planetaria, la sostenibilità dell’agricoltura buona, pulita e giusta e del cibo che ne scaturisce.Negli stessi giorni a Torino,con molta meno pubblicità mediatica si è svolto l'annulale convegno della ISDA Italia,un'associazione di medici ambientali, che si è fermata a riflettere sull’altra agricoltura, quella “convenzionale”, oggi ancora predominante nel mondo, e sulle devastanti conseguenze, per la salute umana e la biosfera, dell’uso dei pesticidi. Il convegno era denominato “Agricoltura e salute: il caso pesticidi” ed è riuscito a radunare nella città piemontese molti specialisti del settore per tracciare un aggiornamento in ottica interdisciplinare. Il risultato allarmante è che dopo 50 anni di riforme,invenzioni e scelte precise ci troviamo ancora nell’assurda condizione per cui, secondo alcuni, non ci sarebbero “evidenze scientifiche” a sufficienza per provare la correlazione.
Intanto la gente si ammala e muore. In Italia i nuovi ammalati di tumore sono 1.000 al giorno, 182.500 morti all’anno, cifre da guerra mondiale. E una percentuale significativa di queste patologie è strettamente legata all’inquinamento ambientale. La gamma dei guasti ambientali e di salute pubblica che può essere addebitata ai pesticidi – scrive Celestino Panizza, coordinatore del gruppo di lavoro ISDE nell’introduzione agli atti del convegno di Arezzo – non è completamente nota e molto resta ancora da scoprire”, ma quanto noto finora sarebbe più che sufficiente per far partire un allarme urgente e un’azione politica drastica e irreversibile a tutela della collettività e del bene pubblico. Invece l’Italia continua ad essere, secondo la rivista Science, uno dei maggiori utilizzatori di pesticidi ed erbicidi per ettaro in Europa, assorbendo, da sola, il 33% del mercato comunitario di insetticidi.
600 diversi prodotti diffusi su 13 milioni di ettari, il 70% della superficie agricola utilizzata, propugnati, da abili venditori, a contadini spesso impreparati e letteralmente ignoranti circa gli effetti, per la salute e l’ambiente, di quanto utilizzato nei propri campi. Ma la lista di patologie correlate all’uso di pesticidi in agricoltura, anche al di fuori della sfera tumorale, è ben più lunga e allarmante: morbo di Parkinson, Alzheimer, SLA, patologie cardiovascolari, autoimmuni e renali, diabete, disordini riproduttivi, malformazioni e difetti di sviluppo, asma professionale, bronchite cronica, malattie della tiroide. Insomma sembra davvero che la specie umana non riesca a rispettare la natura e soprattutto per scopo di lucro sia incosciente ai rischi elevatissimi per la propria stessa salute.
Da pochi giorni a Roma si è tenuto il Salone del Gusto che ha celebrato con visibilità planetaria, la sostenibilità dell’agricoltura buona, pulita e giusta e del cibo che ne scaturisce.Negli stessi giorni a Torino,con molta meno pubblicità mediatica si è svolto l'annulale convegno della ISDA Italia,un'associazione di medici ambientali, che si è fermata a riflettere sull’altra agricoltura, quella “convenzionale”, oggi ancora predominante nel mondo, e sulle devastanti conseguenze, per la salute umana e la biosfera, dell’uso dei pesticidi. Il convegno era denominato “Agricoltura e salute: il caso pesticidi” ed è riuscito a radunare nella città piemontese molti specialisti del settore per tracciare un aggiornamento in ottica interdisciplinare. Il risultato allarmante è che dopo 50 anni di riforme,invenzioni e scelte precise ci troviamo ancora nell’assurda condizione per cui, secondo alcuni, non ci sarebbero “evidenze scientifiche” a sufficienza per provare la correlazione.
Intanto la gente si ammala e muore. In Italia i nuovi ammalati di tumore sono 1.000 al giorno, 182.500 morti all’anno, cifre da guerra mondiale. E una percentuale significativa di queste patologie è strettamente legata all’inquinamento ambientale. La gamma dei guasti ambientali e di salute pubblica che può essere addebitata ai pesticidi – scrive Celestino Panizza, coordinatore del gruppo di lavoro ISDE nell’introduzione agli atti del convegno di Arezzo – non è completamente nota e molto resta ancora da scoprire”, ma quanto noto finora sarebbe più che sufficiente per far partire un allarme urgente e un’azione politica drastica e irreversibile a tutela della collettività e del bene pubblico. Invece l’Italia continua ad essere, secondo la rivista Science, uno dei maggiori utilizzatori di pesticidi ed erbicidi per ettaro in Europa, assorbendo, da sola, il 33% del mercato comunitario di insetticidi.
600 diversi prodotti diffusi su 13 milioni di ettari, il 70% della superficie agricola utilizzata, propugnati, da abili venditori, a contadini spesso impreparati e letteralmente ignoranti circa gli effetti, per la salute e l’ambiente, di quanto utilizzato nei propri campi. Ma la lista di patologie correlate all’uso di pesticidi in agricoltura, anche al di fuori della sfera tumorale, è ben più lunga e allarmante: morbo di Parkinson, Alzheimer, SLA, patologie cardiovascolari, autoimmuni e renali, diabete, disordini riproduttivi, malformazioni e difetti di sviluppo, asma professionale, bronchite cronica, malattie della tiroide. Insomma sembra davvero che la specie umana non riesca a rispettare la natura e soprattutto per scopo di lucro sia incosciente ai rischi elevatissimi per la propria stessa salute.
Expo 2015.Finalmente si comincia.
di Valeria Piras
L'Esposizione Universale parte oggi tra ansia e sorprese.
E' arrivato il giorno.Milano celebra l'inizio dell'Expo 2015,la manifestazione conquistata nel 2008, costruita tra entusiasmi e pessimismo, difficoltà e scatti d'orgoglio, adesso è al via, con l'apertura dei tornelli che regolano gli ingressi alle quattro entrate del sito e che resteranno in funzione accogliendo i visitatori fino al 31 ottobre.l mondo, dunque si incontrerà a Milano,zona Rho,per confrontarsi sul tema Alimentazione e Ambiente.
Tutti i padiglioni saranno oggi aperti al pubblico e visitabili, da quelli dei Paesi che hanno un proprio spazio (sono 54) ai nove Cluster (caffe', cacao, zone aride, spezie, isole, bio-mediteranno, cereali e tuberi, frutta e legumi, riso) dove hanno trovato casa 86 Paesi, dagli spazi dei partecipanti non ufficiali (come Caritas e Save The Children) fino ai padiglioni corporate e alle aree tematiche. In ciascun padiglione,il paese o l'azienda designata avrà declinato a proprio modo il tema della manifestazione, portando il proprio contributo alla discussione complessiva sul futuro della nutrizione in un'ottica di sostenibilità e lotta agli sprechi.
Visitare Expo, le sue mostre, prendere parte alle iniziative, vorrà dire secodno il piano base degli organizzatori, acquisire consapevolezza in termini di consumi sostenibili. Un impegno che si può anche assumere formalmente, sottoscrivendo la Carta di Milano: il documento che si intende lasciare come eredità immateriale della manifestazione e che concretamente vuole chiamare alla responsabilita nel consumo delle risorse. Expo Milano 2015 si propone di essere il più grande evento mai realizzato sull’alimentazione e la nutrizione.Il tutto avverrà su una superficie di 1,1 milioni di metri quadrati ove si potranno trovare rappresentati oltre 140 Paesi e 3 organizzazioni (ONU, Unione europea e CERN). Sarà l'occasione per conoscere le eccellenze del settore agroalimentare e gastronomico di ogni Paese, assaggiare piatti, ma anche percorrere un "viaggio" fatto di tradizione e innovazione.
E' arrivato il giorno.Milano celebra l'inizio dell'Expo 2015,la manifestazione conquistata nel 2008, costruita tra entusiasmi e pessimismo, difficoltà e scatti d'orgoglio, adesso è al via, con l'apertura dei tornelli che regolano gli ingressi alle quattro entrate del sito e che resteranno in funzione accogliendo i visitatori fino al 31 ottobre.l mondo, dunque si incontrerà a Milano,zona Rho,per confrontarsi sul tema Alimentazione e Ambiente.
Tutti i padiglioni saranno oggi aperti al pubblico e visitabili, da quelli dei Paesi che hanno un proprio spazio (sono 54) ai nove Cluster (caffe', cacao, zone aride, spezie, isole, bio-mediteranno, cereali e tuberi, frutta e legumi, riso) dove hanno trovato casa 86 Paesi, dagli spazi dei partecipanti non ufficiali (come Caritas e Save The Children) fino ai padiglioni corporate e alle aree tematiche. In ciascun padiglione,il paese o l'azienda designata avrà declinato a proprio modo il tema della manifestazione, portando il proprio contributo alla discussione complessiva sul futuro della nutrizione in un'ottica di sostenibilità e lotta agli sprechi.
Visitare Expo, le sue mostre, prendere parte alle iniziative, vorrà dire secodno il piano base degli organizzatori, acquisire consapevolezza in termini di consumi sostenibili. Un impegno che si può anche assumere formalmente, sottoscrivendo la Carta di Milano: il documento che si intende lasciare come eredità immateriale della manifestazione e che concretamente vuole chiamare alla responsabilita nel consumo delle risorse. Expo Milano 2015 si propone di essere il più grande evento mai realizzato sull’alimentazione e la nutrizione.Il tutto avverrà su una superficie di 1,1 milioni di metri quadrati ove si potranno trovare rappresentati oltre 140 Paesi e 3 organizzazioni (ONU, Unione europea e CERN). Sarà l'occasione per conoscere le eccellenze del settore agroalimentare e gastronomico di ogni Paese, assaggiare piatti, ma anche percorrere un "viaggio" fatto di tradizione e innovazione.
La biodiversità arriva all’Expo di Milano.
di Celeste Mangraviti
All' Expo un grande parco sul tema della bio-diversità
La parola biodiversità naturale è ormai da molti conosciuta,sia da esperti che non ma un termine davvero nuovo degli ultimi anni è la agrobiodiversità, ovvero la diversità inerente le specie vegetali coltivate e gli animali allevati in agricoltura, negli agroecosistemi e nei paesaggi agrari.Questa forma di diversità svolge un compito molto importante nella conservazione e nella valorizzazione del nostro ecosistema ambientale.A tale argomento presso l'Expo di Milano sarà dedicato il Biodiversity Park, presentato al pubblico lo scorso 26 febbraio, una vera area tematica specifica realizzata su una superficie espositiva di 8.000 metri quadrati.
Il parco è strutturato in un livello interno ed esterno e ha l'obiettivo di raccontare le eccellenze italiane sia ambientali che agricole e agroalimentari attraverso un percorso di esperienze sensoriali e interattive, di intrattenimento, incontri ed eventi. Nella zona esterna è allocato un percorso che porta l'osservatore in un vero viaggio lungo l'Italia articolato in cinque tappe che rappresentano cinque paesaggi o climi diversi, tutti tipicamente nostrani, dalla pianura con le caratteristiche distese di seminativo ai terrazzamenti; dagli alpeggi ai giardini mediterranei, raccogliendo tutta la biodiversità floristica e faunistica dello stivale. Nella zona interna invece abbiamo tre zone specifiche:la Mostra della Biodiversità, il Teatro del centro della terra, e il Padiglione del Biologico e del Naturale.
Lo scopo del parco è fare del visitatore un protagonista attivo del viaggio nei vari momenti dimostrativi e di confronto.Ad esempio nella zona Teatro ci sarà un reale palcoscenico di appuntamenti e lectio magistralis per tutte le 184 giornate dell’esposizione.Gli ideatori dell'Universitàdi Bologna desiderano che il visitatore approfondisca temi caldi come la domesticazione, la coltivazione e l'agro-biodiversità; le rotazioni agrarie; la rivoluzione verde, fino alle innovazioni e alle tecnologie del futuro. Il progetto del Biodiversity Park è realizzato in partnership con Expo 2015 e con la collaborazione di FederBio, con una parte di finanziamento del ministero delle Politiche agricole, alimentari e del ministero dell’Ambiente, che sarannoanche essi presenti con iniziative all’interno del parco.Finalmente anche la politica si mostra sensibile sul tema ambientale.
La parola biodiversità naturale è ormai da molti conosciuta,sia da esperti che non ma un termine davvero nuovo degli ultimi anni è la agrobiodiversità, ovvero la diversità inerente le specie vegetali coltivate e gli animali allevati in agricoltura, negli agroecosistemi e nei paesaggi agrari.Questa forma di diversità svolge un compito molto importante nella conservazione e nella valorizzazione del nostro ecosistema ambientale.A tale argomento presso l'Expo di Milano sarà dedicato il Biodiversity Park, presentato al pubblico lo scorso 26 febbraio, una vera area tematica specifica realizzata su una superficie espositiva di 8.000 metri quadrati.
Il parco è strutturato in un livello interno ed esterno e ha l'obiettivo di raccontare le eccellenze italiane sia ambientali che agricole e agroalimentari attraverso un percorso di esperienze sensoriali e interattive, di intrattenimento, incontri ed eventi. Nella zona esterna è allocato un percorso che porta l'osservatore in un vero viaggio lungo l'Italia articolato in cinque tappe che rappresentano cinque paesaggi o climi diversi, tutti tipicamente nostrani, dalla pianura con le caratteristiche distese di seminativo ai terrazzamenti; dagli alpeggi ai giardini mediterranei, raccogliendo tutta la biodiversità floristica e faunistica dello stivale. Nella zona interna invece abbiamo tre zone specifiche:la Mostra della Biodiversità, il Teatro del centro della terra, e il Padiglione del Biologico e del Naturale.
Lo scopo del parco è fare del visitatore un protagonista attivo del viaggio nei vari momenti dimostrativi e di confronto.Ad esempio nella zona Teatro ci sarà un reale palcoscenico di appuntamenti e lectio magistralis per tutte le 184 giornate dell’esposizione.Gli ideatori dell'Universitàdi Bologna desiderano che il visitatore approfondisca temi caldi come la domesticazione, la coltivazione e l'agro-biodiversità; le rotazioni agrarie; la rivoluzione verde, fino alle innovazioni e alle tecnologie del futuro. Il progetto del Biodiversity Park è realizzato in partnership con Expo 2015 e con la collaborazione di FederBio, con una parte di finanziamento del ministero delle Politiche agricole, alimentari e del ministero dell’Ambiente, che sarannoanche essi presenti con iniziative all’interno del parco.Finalmente anche la politica si mostra sensibile sul tema ambientale.
Erosione del territorio.Un grave problema.
di Valeria Piras
Il nostro pianeta si consuma.Come intervenire?
L'erosione del territorio resta una situazione grave,molto grave per i lnostro pianeta.In circa cinquant'anni sono stati infatti consumati, in media, più di 7 mq al secondo. Ma ora il fenomeno sembra essersi aggravato ulteriormente.Oggi il consumo di suolo viaggia alla velocità di 8 mq al secondo. In termini assoluti, sono irreversibilmente persi circa 22.000 kmq. Lo rileva l'edizione 2014 dell'Annuario dei dati ambientali dell'Ispra. Nel 2012 le stime del consumo di suolo a livello regionale mostrano che in 15 regioni viene superato il 5% di suolo consumato, con le percentuali più elevate in Lombardia e in Veneto (oltre il 10%) e in Emilia Romagna, Lazio, Campania, Puglia e Sicilia (valori compresi tra l'8 e il 10%). Non è una buona notizia per un Paese come l'Italia che, per le particolari condizioni climatiche e geomorfologiche, è una nazione ad alto rischio geologico-idraulico.
Il 2013 è stato caratterizzato da precipitazioni al di sopra della media climatologica in molte zone del territorio nazionale e dal succedersi di eventi meteorologici particolarmente intensi che hanno causato l'innesco di numerosissimi fenomeni franosi come in Toscana nel mese di marzo con oltre 600 frane nel solo bacino dell'Arno. In Italia le frane censite sono 499.511 e interessano un'area di 21.182 kmq, pari al 7% del territorio nazionale. Nel 2013 sono stati censiti 112 eventi principali di frana, distribuiti su gran parte del territorio italiano. Non aiutano i cambiamenti climatici: in Italia, rileva l'Annuario, aumenta la frequenza e l'intensità della durata di eventi estremi quali alluvioni, siccità e onde di calore.
Nel 2013 l' anomalia della temperatura media (+1,04 °C) è stata superiore a quella globale sulla terraferma (+0,88 °C), mentre il numero medio di notti tropicali, cioè con temperatura minima maggiore di 20°C, è stato superiore al valore normale, come sempre negli ultimi 13 anni: in media, circa 10 giorni in più nell'anno.
L'erosione del territorio resta una situazione grave,molto grave per i lnostro pianeta.In circa cinquant'anni sono stati infatti consumati, in media, più di 7 mq al secondo. Ma ora il fenomeno sembra essersi aggravato ulteriormente.Oggi il consumo di suolo viaggia alla velocità di 8 mq al secondo. In termini assoluti, sono irreversibilmente persi circa 22.000 kmq. Lo rileva l'edizione 2014 dell'Annuario dei dati ambientali dell'Ispra. Nel 2012 le stime del consumo di suolo a livello regionale mostrano che in 15 regioni viene superato il 5% di suolo consumato, con le percentuali più elevate in Lombardia e in Veneto (oltre il 10%) e in Emilia Romagna, Lazio, Campania, Puglia e Sicilia (valori compresi tra l'8 e il 10%). Non è una buona notizia per un Paese come l'Italia che, per le particolari condizioni climatiche e geomorfologiche, è una nazione ad alto rischio geologico-idraulico.
Il 2013 è stato caratterizzato da precipitazioni al di sopra della media climatologica in molte zone del territorio nazionale e dal succedersi di eventi meteorologici particolarmente intensi che hanno causato l'innesco di numerosissimi fenomeni franosi come in Toscana nel mese di marzo con oltre 600 frane nel solo bacino dell'Arno. In Italia le frane censite sono 499.511 e interessano un'area di 21.182 kmq, pari al 7% del territorio nazionale. Nel 2013 sono stati censiti 112 eventi principali di frana, distribuiti su gran parte del territorio italiano. Non aiutano i cambiamenti climatici: in Italia, rileva l'Annuario, aumenta la frequenza e l'intensità della durata di eventi estremi quali alluvioni, siccità e onde di calore.
Nel 2013 l' anomalia della temperatura media (+1,04 °C) è stata superiore a quella globale sulla terraferma (+0,88 °C), mentre il numero medio di notti tropicali, cioè con temperatura minima maggiore di 20°C, è stato superiore al valore normale, come sempre negli ultimi 13 anni: in media, circa 10 giorni in più nell'anno.
Nasce a Roma la casa eco-sostenibile.
di Valeria Piras
E' italiana la migliore abitazione ecologica.
Al Solar Decathlon Europe 2014 il progetto RHome guidato da Chiara Tondelli ha avuto la meglio su Germania,Francia e Cile e si è aggiudicato il Solar Decathlon, l'Olimpiade dell'architettura sostenibile,vincendo in 10 difficili prove. La casa RhOME misura 65 metri quadrati ed è fatta di legno certificato, è trasportabile in treno. E' un vero mondo di comfort che sfrutta la luce naturale e che mira al risparmio energetico con un bel design funzionale e minimal. L'edificio è nato per iniziare la riqualificazione delle aree abusive di Tor Fiscale a Roma e ha superato in modo brillante tanti test in costruzione e qualità architettonica; ingegneria; efficienza energetica; sostenibilità; design e trasportabilità.La vittoria però nel concorso è dipesa anche dal bilancio energetico, dalle condizioni di comfort e in generale dal funzionamento della casa.
Questo particolare premio è nato per volontà del Dipartimento dell'Energia degli Stati Uniti.Chiara Tondelli ha guidato un team di 40 giovani studenti e laureandi che hanno progettato RhOME. Rubner Haus è l'ingegnere che ha concretamente progettato e costruito la casa con il legno certificato; Daikin è l'azienda fornitrice della pompa di calore con un sistema raffrescante con tubazioni interne alle pareti con un gas refrigerante a basso impatto ambientale e facile da smaltire una volta esaurito il ciclo di vita; la Cga Energie ha elaborato il sistema solare termodinamico per raffrescare e riscaldare in qualsiasi condizione climatica.L'azienda Solbian ha fornito le tende da sole fotovoltaiche che proteggono le due logge esterne, e che garantiscono ventilazione alla casa.
Almaviva ha ideato un vero nuovo software SEM (Smart Energy management) per il monitoraggio continuo di RhOME durante tutte le attività quotidiane. I sensori raccolgono dati sui consumi energetici e dati ambientali interni ed esterni all'abitazione, in tal modo si riesce a controllare le prestazioni energetiche dell'abitazione e intervenire quando necessario.Un passo nel futuro,un passo per la salvaguardia del nostro malandato pianeta.
Al Solar Decathlon Europe 2014 il progetto RHome guidato da Chiara Tondelli ha avuto la meglio su Germania,Francia e Cile e si è aggiudicato il Solar Decathlon, l'Olimpiade dell'architettura sostenibile,vincendo in 10 difficili prove. La casa RhOME misura 65 metri quadrati ed è fatta di legno certificato, è trasportabile in treno. E' un vero mondo di comfort che sfrutta la luce naturale e che mira al risparmio energetico con un bel design funzionale e minimal. L'edificio è nato per iniziare la riqualificazione delle aree abusive di Tor Fiscale a Roma e ha superato in modo brillante tanti test in costruzione e qualità architettonica; ingegneria; efficienza energetica; sostenibilità; design e trasportabilità.La vittoria però nel concorso è dipesa anche dal bilancio energetico, dalle condizioni di comfort e in generale dal funzionamento della casa.
Questo particolare premio è nato per volontà del Dipartimento dell'Energia degli Stati Uniti.Chiara Tondelli ha guidato un team di 40 giovani studenti e laureandi che hanno progettato RhOME. Rubner Haus è l'ingegnere che ha concretamente progettato e costruito la casa con il legno certificato; Daikin è l'azienda fornitrice della pompa di calore con un sistema raffrescante con tubazioni interne alle pareti con un gas refrigerante a basso impatto ambientale e facile da smaltire una volta esaurito il ciclo di vita; la Cga Energie ha elaborato il sistema solare termodinamico per raffrescare e riscaldare in qualsiasi condizione climatica.L'azienda Solbian ha fornito le tende da sole fotovoltaiche che proteggono le due logge esterne, e che garantiscono ventilazione alla casa.
Almaviva ha ideato un vero nuovo software SEM (Smart Energy management) per il monitoraggio continuo di RhOME durante tutte le attività quotidiane. I sensori raccolgono dati sui consumi energetici e dati ambientali interni ed esterni all'abitazione, in tal modo si riesce a controllare le prestazioni energetiche dell'abitazione e intervenire quando necessario.Un passo nel futuro,un passo per la salvaguardia del nostro malandato pianeta.
Vestiti che producono energia.Si può.
di Valeria Piras
Sempre incredibili le invenzioni della nano-tecnologia.
Un equipe scelta di ricercatori dell'Università della Florida Centrale ha creato una nuova tecnologia potenzialmente rivoluzionaria: cosa accadrebbe se i cavi elettrici fossero in grado non solo convogliare energia, ma anche conservarla? L'idea è tutta del professor Jayan Thomas e del suo studente Zenan Yu: i due hanno sviluppato una nanotecnologia davvero in grado di condurre, ma anche di accumulare energia, all'interno di un leggero filo di rame. Il cavo, in realtà, rappresenterebbe solo il punto di partenza: sulla superficie esterna del filo viene collegato uno strato di fibre speciali realizzate con nanostrutture, con lo scopo di creare una sorta di super-condensatore, posto sulla parte esterna del filo.
Le applicazioni più esplicite di tale invenzione riguardano la realizzazione di batterie di grande capacità: la capacità di veicolare ed immagazzinare energia, sullo stesso cavo, permetterebbe di ridurre le dimensioni. Innegabili sono i vantaggi provenienti dalla miniaturizzazione, oltre che impattare sulle dimensioni, potrebbero garantire subito una ottimizzazione degli spazi, nonché un alleggerimento delle batterie stesse.In vista di utilizzi futuri però, sono le applicazioni collaterali ad aprire scenari davvero interessanti: sempre il professor Thomas sostiene che, con i giusti accorgimenti, questo tipo di sistema potrebbe essere applicato ad altri tipi di materiali: fibre appositamente trattate potrebbero essere impiegate per realizzare capi di vestiario.
L'idea è quella di un giubbotto dotato di celle solari flessibili e fibre capaci di produrre e conservare l'energia: l'indumento otterrebbe la fonte per ricaricare qualunque dispositivo portatile. Ovviamente molto lunga sarà la fase di sperimentazione ma gli impieghi utili potrebbero essere moltissimi.
Un equipe scelta di ricercatori dell'Università della Florida Centrale ha creato una nuova tecnologia potenzialmente rivoluzionaria: cosa accadrebbe se i cavi elettrici fossero in grado non solo convogliare energia, ma anche conservarla? L'idea è tutta del professor Jayan Thomas e del suo studente Zenan Yu: i due hanno sviluppato una nanotecnologia davvero in grado di condurre, ma anche di accumulare energia, all'interno di un leggero filo di rame. Il cavo, in realtà, rappresenterebbe solo il punto di partenza: sulla superficie esterna del filo viene collegato uno strato di fibre speciali realizzate con nanostrutture, con lo scopo di creare una sorta di super-condensatore, posto sulla parte esterna del filo.
Le applicazioni più esplicite di tale invenzione riguardano la realizzazione di batterie di grande capacità: la capacità di veicolare ed immagazzinare energia, sullo stesso cavo, permetterebbe di ridurre le dimensioni. Innegabili sono i vantaggi provenienti dalla miniaturizzazione, oltre che impattare sulle dimensioni, potrebbero garantire subito una ottimizzazione degli spazi, nonché un alleggerimento delle batterie stesse.In vista di utilizzi futuri però, sono le applicazioni collaterali ad aprire scenari davvero interessanti: sempre il professor Thomas sostiene che, con i giusti accorgimenti, questo tipo di sistema potrebbe essere applicato ad altri tipi di materiali: fibre appositamente trattate potrebbero essere impiegate per realizzare capi di vestiario.
L'idea è quella di un giubbotto dotato di celle solari flessibili e fibre capaci di produrre e conservare l'energia: l'indumento otterrebbe la fonte per ricaricare qualunque dispositivo portatile. Ovviamente molto lunga sarà la fase di sperimentazione ma gli impieghi utili potrebbero essere moltissimi.
Come ricavare dal mare l'acqua potabile?
di Valeria Piras
Un nuovissimo sistema per eliminare il sale dall'acqua.
E' possibile convertire l'acqua marina in acqua potabile? E' risaputo che i sistemi oggi esistenti non brillano certo per efficienza energetica, e spesso il loro funzionamento dipende da fonti non rinnovabili. Ma c'è speranza nel settore e la speranza ha le fattezze di un grosso cono blu, una sorta di scogliere artificiali, del tutto alimentate grazie all'energia solare. Il progetto è per ora solo idea concettuale dello scienziato Phil Pauley che ha pensato bene di utilizzare la potenza del sole per trasformare l'acqua marina in acqua potabile; un qualcosa di molto utile anche per combattere le emergenze come ad esempio le operazioni di soccorso o in situazioni di scarsa disponibilità d'acqua per piccole comunità costiere.
Il particolare sistema parte da un processo di umidificazione e sfruttando l'evaporazione, il sistema permette inoltre la condensazione e la successiva rimozione del sale contenuto nell'acqua di mare. Tale effetto di umidificazione dell'ambiente riproduce fedelmente il normale ciclo dell'acqua ma vi integra, con un processo di osmosi inversa, la separarazione da altre sostanze, tra cui il sale. Inoltre sono presenti ottimi sistemi avanzati autopulenti che riducono anche la sua manutenzione. In questo modo, viene meno anche la necessità di trasportare l'acqua riducendo le emissioni ad esso legate.
Tuttavia nonostante queste notizie positive l'equipe di scienziati non ha fornito le stime riguardanti la quantità d'acqua che può essere desalinizzata. Il progetto ci permette però di capire in che modo portare avanti il processo in maniera sostenibile, utilizzando l'energia prodotta dal sole. Un altra qualità notevole di questo sistema è che le unità sono mobili,perciò in base ai vari bisogni possono essere trasportati nei luoghi in cui servono.
E' possibile convertire l'acqua marina in acqua potabile? E' risaputo che i sistemi oggi esistenti non brillano certo per efficienza energetica, e spesso il loro funzionamento dipende da fonti non rinnovabili. Ma c'è speranza nel settore e la speranza ha le fattezze di un grosso cono blu, una sorta di scogliere artificiali, del tutto alimentate grazie all'energia solare. Il progetto è per ora solo idea concettuale dello scienziato Phil Pauley che ha pensato bene di utilizzare la potenza del sole per trasformare l'acqua marina in acqua potabile; un qualcosa di molto utile anche per combattere le emergenze come ad esempio le operazioni di soccorso o in situazioni di scarsa disponibilità d'acqua per piccole comunità costiere.
Il particolare sistema parte da un processo di umidificazione e sfruttando l'evaporazione, il sistema permette inoltre la condensazione e la successiva rimozione del sale contenuto nell'acqua di mare. Tale effetto di umidificazione dell'ambiente riproduce fedelmente il normale ciclo dell'acqua ma vi integra, con un processo di osmosi inversa, la separarazione da altre sostanze, tra cui il sale. Inoltre sono presenti ottimi sistemi avanzati autopulenti che riducono anche la sua manutenzione. In questo modo, viene meno anche la necessità di trasportare l'acqua riducendo le emissioni ad esso legate.
Tuttavia nonostante queste notizie positive l'equipe di scienziati non ha fornito le stime riguardanti la quantità d'acqua che può essere desalinizzata. Il progetto ci permette però di capire in che modo portare avanti il processo in maniera sostenibile, utilizzando l'energia prodotta dal sole. Un altra qualità notevole di questo sistema è che le unità sono mobili,perciò in base ai vari bisogni possono essere trasportati nei luoghi in cui servono.
Ecco la lampada che elimina la CO2.
di Valeria Piras
Una particolare lampada che purifica l'aria.
In questo 2014 ci giunge una scoperta recente in materia ecologica che deve farci certamente felici.La prima lampada alle alghe che riesce a consumare le molecole di CO2 presenti in una stanza e abbattere quindi la quantità di anidride carbonica prodotta dai gas serra. Si tratta,nello specifico, di una lampada di micro-alghe simile ad un lampione da strada, capace di aggredire tanta anidride carbonica quanto almeno 150-200 alberi.La nuova lampada alle alghe, è nata dal progetto di un biochimico francese Pierre Calleja, e secondo il suo inventore sarebbe infatti in grado di assorbire dall'aria una tonnellata di carbonio ogni anno.La lampada di Calleja, in particolare, ha una particolare forma cilindrica, e delle pareti esterne completamente trasparenti.
L’interno della struttura, sembra una specie di acquario, ed ha la capacità sia di generare una fluorescenza di color verde intenso,sia di mangiare CO2 presente nell’aria, in modo tale da attirare i gas serra presenti negli ambienti aperti o chiusi (come garage o cantine sotterranee). Il concetto scientifico alla base di questa speciale lampada parte dalle ultime recenti scientifiche attraverso cui è stato possibile generare piccole cariche di elettricità attraverso le alghe. Durante la fotosintesi, infatti, le alghe necessitano di alimentarsi tramite anidride carbonica, acqua e luce solare. L’energia che le alghe producono in questa fase viene convogliata in filamenti e genera elettricità per l’illuminazione.
La lampada di Calleja quindi, è stata riempita di acqua e micro-alghe in modo da incrementare il livello di anidride carbonica ricavato dall’aria esterna. Una volta collocata la lampada sottoa la solare, le alghe riescono a generare energia elettrica per alimentare una batteria interna ricaricabile, in modo da garantire l’illuminazione del ‘lampione verde’.La nuova lampada alle alghe per adesso è solo un prototipo in attesa di ottenere i necessari finanziamenti per essere prodotta a larga scala e collacata sul mercato privato.
In questo 2014 ci giunge una scoperta recente in materia ecologica che deve farci certamente felici.La prima lampada alle alghe che riesce a consumare le molecole di CO2 presenti in una stanza e abbattere quindi la quantità di anidride carbonica prodotta dai gas serra. Si tratta,nello specifico, di una lampada di micro-alghe simile ad un lampione da strada, capace di aggredire tanta anidride carbonica quanto almeno 150-200 alberi.La nuova lampada alle alghe, è nata dal progetto di un biochimico francese Pierre Calleja, e secondo il suo inventore sarebbe infatti in grado di assorbire dall'aria una tonnellata di carbonio ogni anno.La lampada di Calleja, in particolare, ha una particolare forma cilindrica, e delle pareti esterne completamente trasparenti.
L’interno della struttura, sembra una specie di acquario, ed ha la capacità sia di generare una fluorescenza di color verde intenso,sia di mangiare CO2 presente nell’aria, in modo tale da attirare i gas serra presenti negli ambienti aperti o chiusi (come garage o cantine sotterranee). Il concetto scientifico alla base di questa speciale lampada parte dalle ultime recenti scientifiche attraverso cui è stato possibile generare piccole cariche di elettricità attraverso le alghe. Durante la fotosintesi, infatti, le alghe necessitano di alimentarsi tramite anidride carbonica, acqua e luce solare. L’energia che le alghe producono in questa fase viene convogliata in filamenti e genera elettricità per l’illuminazione.
La lampada di Calleja quindi, è stata riempita di acqua e micro-alghe in modo da incrementare il livello di anidride carbonica ricavato dall’aria esterna. Una volta collocata la lampada sottoa la solare, le alghe riescono a generare energia elettrica per alimentare una batteria interna ricaricabile, in modo da garantire l’illuminazione del ‘lampione verde’.La nuova lampada alle alghe per adesso è solo un prototipo in attesa di ottenere i necessari finanziamenti per essere prodotta a larga scala e collacata sul mercato privato.
La grande diffusione delle auto elettriche.
di Valeria Piras
Le automobili elettriche diventano il futuro che salva l'ambiente.
Le auto elettriche sono probabilmente la strada verso il futuro della mobilità urbana.Nel frattempo che si discute sul tema una nazione grande come la Norvegia, non bada ai dubbi e diventa il paese dove sono presenti il maggior numero di veicoli elettrici al mondo. Ciò lo si evince dai dati delle vendite degli ultimi anni: nel corso del 2013 i modelli elettrici valgono il 6.1% del mercato.Segue a breve distanza l’Olanda, con un 5,55% di veicoli elettrici, mentre a scendere si riscontra maggiore scetticismo: dalla terza posizione in poi, il distacco è notevole. Qui troviamo l’Islanda, con un mercato elettrico pari allo 0,94% del totale, mentre Giappone e Francia si trovano al quarto e quinto posto, rispettivamente con lo 0,91 e lo 0,83.
A giocare a favore dei cittadini norvegesi non c’è solo uno spiccato senso di responsabilità ambientale, ma anche la messa in atto di incentivi da parte del Governo: essi includono esenzioni fiscali e dalle tasse di registrazione dei veicoli, nonché la possibilità di circolare lungo le tratte riservate ai bus cittadini. Anche il parcheggio e la ricarica dei veicoli può avvenire in modo gratuito.Queste facilitazioni hanno fatto sì che l’immatricolazione di nuovi veicoli elettrici si mantenesse stabile, su cifre mensili comprese tra gli 11.000 e i 13.000 nuovi veicoli al mese. Rispetto al 2012, la Norvegia ha registrato praticamente un raddoppio delle immatricolazioni. Il trend è stato rispettato anche nei primi mesi del 2014, tanto che ci si aspetta, entro fine 2014, di arrivare ad un rapporto di auto elettriche-auto tradizionali pari a 1 a 100.
I modelli che vanno per la maggiore sono Think, Buddy, Nissan Leaf e i modelli Tesla.I norvegesi che ancora non hanno provveduto, hanno ancora tutto il tempo di correre ai ripari nei prossimi anni,continuando ad usufruire degli incentivi che lo Stato continuerà a mettere a disposizione fino al 2017, o comunque fino al raggiungimento dei 50mila veicoli elettrici immatricolati, facendo sempre di più della Norvegia, il paese dove si vendono più auto elettriche.Numeri stellari, comunque, se paragonati alle vendite di auto elettriche in Italia, appena 590 unità nel 2013, pari all’1,44% delle intere vendite d’auto nel Belpaese.
Le auto elettriche sono probabilmente la strada verso il futuro della mobilità urbana.Nel frattempo che si discute sul tema una nazione grande come la Norvegia, non bada ai dubbi e diventa il paese dove sono presenti il maggior numero di veicoli elettrici al mondo. Ciò lo si evince dai dati delle vendite degli ultimi anni: nel corso del 2013 i modelli elettrici valgono il 6.1% del mercato.Segue a breve distanza l’Olanda, con un 5,55% di veicoli elettrici, mentre a scendere si riscontra maggiore scetticismo: dalla terza posizione in poi, il distacco è notevole. Qui troviamo l’Islanda, con un mercato elettrico pari allo 0,94% del totale, mentre Giappone e Francia si trovano al quarto e quinto posto, rispettivamente con lo 0,91 e lo 0,83.
A giocare a favore dei cittadini norvegesi non c’è solo uno spiccato senso di responsabilità ambientale, ma anche la messa in atto di incentivi da parte del Governo: essi includono esenzioni fiscali e dalle tasse di registrazione dei veicoli, nonché la possibilità di circolare lungo le tratte riservate ai bus cittadini. Anche il parcheggio e la ricarica dei veicoli può avvenire in modo gratuito.Queste facilitazioni hanno fatto sì che l’immatricolazione di nuovi veicoli elettrici si mantenesse stabile, su cifre mensili comprese tra gli 11.000 e i 13.000 nuovi veicoli al mese. Rispetto al 2012, la Norvegia ha registrato praticamente un raddoppio delle immatricolazioni. Il trend è stato rispettato anche nei primi mesi del 2014, tanto che ci si aspetta, entro fine 2014, di arrivare ad un rapporto di auto elettriche-auto tradizionali pari a 1 a 100.
I modelli che vanno per la maggiore sono Think, Buddy, Nissan Leaf e i modelli Tesla.I norvegesi che ancora non hanno provveduto, hanno ancora tutto il tempo di correre ai ripari nei prossimi anni,continuando ad usufruire degli incentivi che lo Stato continuerà a mettere a disposizione fino al 2017, o comunque fino al raggiungimento dei 50mila veicoli elettrici immatricolati, facendo sempre di più della Norvegia, il paese dove si vendono più auto elettriche.Numeri stellari, comunque, se paragonati alle vendite di auto elettriche in Italia, appena 590 unità nel 2013, pari all’1,44% delle intere vendite d’auto nel Belpaese.
Cibo a Km 0.La salute ci ringrazia.
di Valeria Piras
Uno strumento semplice per salvare la nostra salute.
Si chiamano alimenti “a Km zero”, da alcuni esperti anche definiti con il termine più tecnico “a filiera corta”, si tratta di prodotti locali che di solito vengono venduti o somministrati nelle vicinanze del luogo di produzione. Questi alimenti spesso hanno per lo più un prezzo contenuto dovuto a ridotti costi di trasporto e di distribuzione, all’assenza di intermediari commerciali, ma anche a scarso ricarico del venditore che spesso è lo stesso agricoltore o allevatore.Gli alimenti “a Km zero”, oltre a provenire da una specifica zona di produzione, offrono maggiori garanzie di freschezza e genuinità proprio per l’assenza, o quasi, di trasporto e di passaggio.
Inoltre con questa scelta di consumo, si valorizza la produzione locale e si recupera il legame con le proprie origini, esaltando nel contempo gusti e sapori tipici, tradizioni gastronomiche e produzioni locali.La filiera corta punta a stabilire una relazione diretta fra chi consuma e chi produce e questo può essere raggiunto in modi diversi : ad esempio consumatori singoli od organizzati nei cosiddetti “gruppi di acquisto” si rivolgono direttamente all’agricoltore e all’allevatore, per acquistare i loro prodotti. Gli stessi produttori possono “aprire” la loro azienda ai consumatori come anche organizzare dei mercati locali, i cosiddetti “farmers markets”.
Acquistare alimenti “a filiera corta” è ormai abbastanza diffuso, soprattutto nelle zone a forte produzione agricola e per particolari prodotti, tra cui sicuramente frutta e verdura. Infatti i prodotti vegetali “locali” , raccolti al momento giusto e subito messi in commercio, garantiscono una maggior freschezza e migliori caratteristiche organolettiche, grazie al breve tempo di trasporto. In questo modo inoltre viene valorizzato il consumo dei prodotti stagionali recuperando così il legame con il ciclo della natura e con la produzione agricola.
Si chiamano alimenti “a Km zero”, da alcuni esperti anche definiti con il termine più tecnico “a filiera corta”, si tratta di prodotti locali che di solito vengono venduti o somministrati nelle vicinanze del luogo di produzione. Questi alimenti spesso hanno per lo più un prezzo contenuto dovuto a ridotti costi di trasporto e di distribuzione, all’assenza di intermediari commerciali, ma anche a scarso ricarico del venditore che spesso è lo stesso agricoltore o allevatore.Gli alimenti “a Km zero”, oltre a provenire da una specifica zona di produzione, offrono maggiori garanzie di freschezza e genuinità proprio per l’assenza, o quasi, di trasporto e di passaggio.
Inoltre con questa scelta di consumo, si valorizza la produzione locale e si recupera il legame con le proprie origini, esaltando nel contempo gusti e sapori tipici, tradizioni gastronomiche e produzioni locali.La filiera corta punta a stabilire una relazione diretta fra chi consuma e chi produce e questo può essere raggiunto in modi diversi : ad esempio consumatori singoli od organizzati nei cosiddetti “gruppi di acquisto” si rivolgono direttamente all’agricoltore e all’allevatore, per acquistare i loro prodotti. Gli stessi produttori possono “aprire” la loro azienda ai consumatori come anche organizzare dei mercati locali, i cosiddetti “farmers markets”.
Acquistare alimenti “a filiera corta” è ormai abbastanza diffuso, soprattutto nelle zone a forte produzione agricola e per particolari prodotti, tra cui sicuramente frutta e verdura. Infatti i prodotti vegetali “locali” , raccolti al momento giusto e subito messi in commercio, garantiscono una maggior freschezza e migliori caratteristiche organolettiche, grazie al breve tempo di trasporto. In questo modo inoltre viene valorizzato il consumo dei prodotti stagionali recuperando così il legame con il ciclo della natura e con la produzione agricola.
Arriva la bottiglia biodegradabile.
di Valeria Piras
Una nuova scoperta nel settore ecologia.
Arriva sul mercato la prima bottiglia d’acqua che prima si beve e poi diventa biodegradabile e rappresenta l’ultima frontiera del riciclo ecosostenibile del packaging. Prliamo nello specifico di uno speciale contenitore per l’acqua minerale formato da un composto di alghe vegetali che può essere mangiata in tutta sicurezza una volta finito il suo scopo, oppure compostata con il 100% di biodegradabilità. L’innovativa bottiglia d’acqua, denominata ‘OOho’ e ideata dai designer londinesi Rodrigo Garcia Gonzalez, Pierre Paslier e Guillaume Couche, è stata realizzata in particolare attraverso la tecnica della ‘sferificazione’, un processo culinario che consiste nel modellare un liquido in delle sfere visivamente e strutturalmente somiglianti a dei ‘ravioli giganti’ (o piccole pallette).
Per realizzare l’innovativo contenitore, i designer si sono infatti ispirati alla struttura delle uova, dove all’interno, una membrana sottile mantiene separati i tuorli dalla chiare.La bottiglia commestibile ‘OOho’, è stata quindi ottenuta proprio grazie all’utilizzo di una tecnica che consente di modellare i liquidi a forma di sfera, in modo da racchiudere l’acqua in una doppia membrana gelatinosa, il cui strato più interno è costituito da alghe brune e cloruro di calcio. Tra l’altro, come spiegano gli stessi progettisti, l’uso di una doppia membrana permetterà di posizionare le etichette tra i due strati della bottiglia senza compromettere la qualità dell’acqua al suo interno.
La bottiglia commestibile ‘OOho’, per adesso, è soltanto un prototipo visto che non ha ancora la forma classica di un contenitore per l’acqua minerale e il suo sapore non è esattamente un piacere per il palato. Nonostante questo, i designer sperano comunque di migliorare il prodotto e portarlo in breve tempo su scala commerciale.Anche se è ancora in fase di miglioramento, Ooho ha vinto il premio Lexus Design Award 2014, la manifestazione che offre l’opportunità ai giovani innovatori di mostrare le loro opere, che vengono giudicate da professionisti nel settore del design di fama mondiale.
Arriva sul mercato la prima bottiglia d’acqua che prima si beve e poi diventa biodegradabile e rappresenta l’ultima frontiera del riciclo ecosostenibile del packaging. Prliamo nello specifico di uno speciale contenitore per l’acqua minerale formato da un composto di alghe vegetali che può essere mangiata in tutta sicurezza una volta finito il suo scopo, oppure compostata con il 100% di biodegradabilità. L’innovativa bottiglia d’acqua, denominata ‘OOho’ e ideata dai designer londinesi Rodrigo Garcia Gonzalez, Pierre Paslier e Guillaume Couche, è stata realizzata in particolare attraverso la tecnica della ‘sferificazione’, un processo culinario che consiste nel modellare un liquido in delle sfere visivamente e strutturalmente somiglianti a dei ‘ravioli giganti’ (o piccole pallette).
Per realizzare l’innovativo contenitore, i designer si sono infatti ispirati alla struttura delle uova, dove all’interno, una membrana sottile mantiene separati i tuorli dalla chiare.La bottiglia commestibile ‘OOho’, è stata quindi ottenuta proprio grazie all’utilizzo di una tecnica che consente di modellare i liquidi a forma di sfera, in modo da racchiudere l’acqua in una doppia membrana gelatinosa, il cui strato più interno è costituito da alghe brune e cloruro di calcio. Tra l’altro, come spiegano gli stessi progettisti, l’uso di una doppia membrana permetterà di posizionare le etichette tra i due strati della bottiglia senza compromettere la qualità dell’acqua al suo interno.
La bottiglia commestibile ‘OOho’, per adesso, è soltanto un prototipo visto che non ha ancora la forma classica di un contenitore per l’acqua minerale e il suo sapore non è esattamente un piacere per il palato. Nonostante questo, i designer sperano comunque di migliorare il prodotto e portarlo in breve tempo su scala commerciale.Anche se è ancora in fase di miglioramento, Ooho ha vinto il premio Lexus Design Award 2014, la manifestazione che offre l’opportunità ai giovani innovatori di mostrare le loro opere, che vengono giudicate da professionisti nel settore del design di fama mondiale.
La salvezza del pianeta è nelle green cities.
di Valeria Piras
Un nuovo programma di città verdi per salvare il pianeta.
La settimana scorsa la Giornata della Terra ha unito intere nazioni e circa un miliardo di persone in 192 paesi in tutto il mondo hanno attraverso passi concreti dato il proprio contributo a difesa del Pianeta.Chi è sceso in piazza per ripulire le aree inquinate o invase dai rifiuti, chi ha deciso di non usare la macchina ma la bicicletta, chi si è dedicato al riciclo dei rifiuti, chi ha acquistato cibi e prodotti a Km zero.Tutte azioni fondamentali e utilissime per difendere il nostro ambiente.Un argomento davvero decisivo sono poi le Green Cities, ossia un particolare programma finalizzato nelle aree urbane a diffondere informazioni ed una valida educazione ambientale, su come non sprecare sopratutto energia.
Il movimento delle Green Cities si è molto diffuso negli ultimi cinque anni ed è attivissimo in Europa dove anche grazie ad alcune direttive comunitarie,molti paesi e città stanno cercando di rendere gli edifici urbani più efficienti e mirare al risparmio i sistemi energetici e le infrastrutture dei trasporti. Le città che stanno riportando risultati davvero incredibili sono Reykjavik in Islanda e Londra. La città di Reykjavik utilizza solo il 20% della sua energia ricorrendo a combustibili fossili,un dato incredibile che dovrebbe fare da esempio per tutti. Il resto dell’energia viene ricavata da fonti geotermiche e dall’idrogeno - entrambe fonti rinnovabili con inquinamento pari a zero. La cosa che veramente lascia a bocca aperta tuttavia, è che Reykjavik riesce a soddisfare interamente il suo fabbisogno di elettricità mediante energia geotermica ed idrogeno.Ovviamente l'Islanda è in parte geologicamente favorita dalla presenza di vulcani e geyser che favoriscono la sua energia geotermica ma altrove come a Londra le soluzioni adoperate sono diverse ma ugualmente green,ovvero il fotovoltaico. Ad esempio l'intera copertura che attraversa il famoso ponte sul fiume Tamigi alla stazione Blackfriars a Londra è stato foderata con 4.400 pannelli solari fotovoltaici che secondo gli esperti riusciranno a breve a garantire stabilmente 900.000 kilowatt di energia ogni anno equivalenti a circa la metà del fabbisogno energetico della stazione ferroviaria.
In altre parti del mondo poi come Asia e India si creano di frequente città che consumano pochissima energia basti pensare alla cittadina di Songdo in Corea del Sud o al villaggio urbano di Bhubaneswar in India. A Songdo lo Stato coreano ha salvato una zona paludosa e fangosa e ha creato in poco tempo una vera città completamente verde, con il 100 % dei suoi edifici che soddisfano a pieno la certificazione LEED inoltre ben il 50% della superficie della città è ricoperto da boschi e alberi sempre verdi. Il progetto coreano prevede di dare vita ad una città per i pedoni dove le auto saranno inutili e lasciate fuori dall'agglomerato urbano,dove i rifiuti saranno raccolti e totalmente riciclati e la metà delle acque reflue prodotte purificate e riutilizzate. La città di Bhubaneswar in India, invece mira essenzialmente alla ciclabilità,ossia utilizzare le bici anche per il trasporto merci e installare in ogni abitazione un sistema di riscaldamento solare.Questi sono i sogni divenuti realtà delle Green Cities,l'unica vera strada per la salvezza del nostro ecosistema.
La settimana scorsa la Giornata della Terra ha unito intere nazioni e circa un miliardo di persone in 192 paesi in tutto il mondo hanno attraverso passi concreti dato il proprio contributo a difesa del Pianeta.Chi è sceso in piazza per ripulire le aree inquinate o invase dai rifiuti, chi ha deciso di non usare la macchina ma la bicicletta, chi si è dedicato al riciclo dei rifiuti, chi ha acquistato cibi e prodotti a Km zero.Tutte azioni fondamentali e utilissime per difendere il nostro ambiente.Un argomento davvero decisivo sono poi le Green Cities, ossia un particolare programma finalizzato nelle aree urbane a diffondere informazioni ed una valida educazione ambientale, su come non sprecare sopratutto energia.
Il movimento delle Green Cities si è molto diffuso negli ultimi cinque anni ed è attivissimo in Europa dove anche grazie ad alcune direttive comunitarie,molti paesi e città stanno cercando di rendere gli edifici urbani più efficienti e mirare al risparmio i sistemi energetici e le infrastrutture dei trasporti. Le città che stanno riportando risultati davvero incredibili sono Reykjavik in Islanda e Londra. La città di Reykjavik utilizza solo il 20% della sua energia ricorrendo a combustibili fossili,un dato incredibile che dovrebbe fare da esempio per tutti. Il resto dell’energia viene ricavata da fonti geotermiche e dall’idrogeno - entrambe fonti rinnovabili con inquinamento pari a zero. La cosa che veramente lascia a bocca aperta tuttavia, è che Reykjavik riesce a soddisfare interamente il suo fabbisogno di elettricità mediante energia geotermica ed idrogeno.Ovviamente l'Islanda è in parte geologicamente favorita dalla presenza di vulcani e geyser che favoriscono la sua energia geotermica ma altrove come a Londra le soluzioni adoperate sono diverse ma ugualmente green,ovvero il fotovoltaico. Ad esempio l'intera copertura che attraversa il famoso ponte sul fiume Tamigi alla stazione Blackfriars a Londra è stato foderata con 4.400 pannelli solari fotovoltaici che secondo gli esperti riusciranno a breve a garantire stabilmente 900.000 kilowatt di energia ogni anno equivalenti a circa la metà del fabbisogno energetico della stazione ferroviaria.
In altre parti del mondo poi come Asia e India si creano di frequente città che consumano pochissima energia basti pensare alla cittadina di Songdo in Corea del Sud o al villaggio urbano di Bhubaneswar in India. A Songdo lo Stato coreano ha salvato una zona paludosa e fangosa e ha creato in poco tempo una vera città completamente verde, con il 100 % dei suoi edifici che soddisfano a pieno la certificazione LEED inoltre ben il 50% della superficie della città è ricoperto da boschi e alberi sempre verdi. Il progetto coreano prevede di dare vita ad una città per i pedoni dove le auto saranno inutili e lasciate fuori dall'agglomerato urbano,dove i rifiuti saranno raccolti e totalmente riciclati e la metà delle acque reflue prodotte purificate e riutilizzate. La città di Bhubaneswar in India, invece mira essenzialmente alla ciclabilità,ossia utilizzare le bici anche per il trasporto merci e installare in ogni abitazione un sistema di riscaldamento solare.Questi sono i sogni divenuti realtà delle Green Cities,l'unica vera strada per la salvezza del nostro ecosistema.
Il pericolo del cambiamento climatico.
di Valeria Piras
Effetti e conseguenze rischiose nel corso degli anni.
Il rapporto 2014 dell' IPCC (Agenzia Internazionale sui Cambiamenti Cliamatici) conferma in modo esplicito come le attività antropiche producano effetti gravi e devastanti sul clima del pianeta. Il clima è soggetto a cambianto e ciò crea conseguenze spesso pericolose a livello mondiale. Davvero ampia è la gamma di situazioni pericolose come l'aumento delle temperature, il mutato regime delle precipitazioni, l’innalzamento del livello dei mari, gli squilibri degli ecosistemi e la grande intensità degli eventi estremi diventano spesso una minaccia per abitazioni e città mettendo a repentaglio l’habitat di milioni di persone.ll quarto rapporto sintetizza in modo chiaro l'attuale stato delle conoscenze sui cambiamenti climatici e sulle conseguenze direttamente collegate. Alla redazione del documento hanno partecipato migliaia di scienziati esperti nei loro settori; i risultati e le raccomandazioni che ne derivano per i capi governo sono condivisi da tutti i Paesi (compresi gli Stati Uniti, la Russia, l'Arabia Saudita).
Partiamo dalle emissioni di gas serra: queste,originate da attività dell'uomo, continueranno a modificare il clima:fino al 2030 indipendentemente dalla quantità emessa nell'aria,si prevede un ulteriore aumento della temperatura di 0,2 gradi per decennio.Per il XXI secolo si ipotizza a seconda degli sviluppi socioeconomici e delle emissioni che generano, un riscaldamento globale compreso tra 1,1 e 2 gradi (scenario minimo) e tra 2 e 6 gradi (scenario massimo).Le precipitazioni avranno un aumento alle alte latitudini e diminuiranno nella maggior parte delle regioni subtropicali.Inoltre si prospetta un forte aumento delle notti e dei giorni caldi; una riduzione delle notti e dei giorni freddi; le notti e i giorni caldi saranno più caldi e frequenti;periodi e ondate di caldo sulla maggior parte delle terre emerse; le precipitazioni intense saranno più frequenti e la percentuale di tali eventi aumenterà.
Gli esperti affermano che ulteriori conseguenze legate al clima mutato potranno essere nella disponibilità di acqua che cambierà in numerose regioni del pianeta (con le relative ripercussioni sull'approvvigionamento in acqua potabile, sull'agricoltura, sulla produzione di energia e sugli ecosistemi naturali). In generale, nelle regioni e nei periodi a elevata piovosità le precipitazioni aumenteranno, mentre nelle regioni e nei periodi già oggi secchi le precipitazioni si ridurranno ulteriormente (p. es. nelle regioni aride dei Paesi subtropicali o nell'area mediterranea in estate e in autunno). Le zone aride aumenteranno.I ghiacciai, le superfici innevate e il ghiaccio del mare artico si ridurranno ulteriormente.È quindi necessario adottare tempestivamente apposite misure tese a ridurre le emissioni di gas serra e a favorire l'adattamento ai cambiamenti climatici per evitare conseguenze gravi e limitare i rischi.
Il rapporto 2014 dell' IPCC (Agenzia Internazionale sui Cambiamenti Cliamatici) conferma in modo esplicito come le attività antropiche producano effetti gravi e devastanti sul clima del pianeta. Il clima è soggetto a cambianto e ciò crea conseguenze spesso pericolose a livello mondiale. Davvero ampia è la gamma di situazioni pericolose come l'aumento delle temperature, il mutato regime delle precipitazioni, l’innalzamento del livello dei mari, gli squilibri degli ecosistemi e la grande intensità degli eventi estremi diventano spesso una minaccia per abitazioni e città mettendo a repentaglio l’habitat di milioni di persone.ll quarto rapporto sintetizza in modo chiaro l'attuale stato delle conoscenze sui cambiamenti climatici e sulle conseguenze direttamente collegate. Alla redazione del documento hanno partecipato migliaia di scienziati esperti nei loro settori; i risultati e le raccomandazioni che ne derivano per i capi governo sono condivisi da tutti i Paesi (compresi gli Stati Uniti, la Russia, l'Arabia Saudita).
Partiamo dalle emissioni di gas serra: queste,originate da attività dell'uomo, continueranno a modificare il clima:fino al 2030 indipendentemente dalla quantità emessa nell'aria,si prevede un ulteriore aumento della temperatura di 0,2 gradi per decennio.Per il XXI secolo si ipotizza a seconda degli sviluppi socioeconomici e delle emissioni che generano, un riscaldamento globale compreso tra 1,1 e 2 gradi (scenario minimo) e tra 2 e 6 gradi (scenario massimo).Le precipitazioni avranno un aumento alle alte latitudini e diminuiranno nella maggior parte delle regioni subtropicali.Inoltre si prospetta un forte aumento delle notti e dei giorni caldi; una riduzione delle notti e dei giorni freddi; le notti e i giorni caldi saranno più caldi e frequenti;periodi e ondate di caldo sulla maggior parte delle terre emerse; le precipitazioni intense saranno più frequenti e la percentuale di tali eventi aumenterà.
Gli esperti affermano che ulteriori conseguenze legate al clima mutato potranno essere nella disponibilità di acqua che cambierà in numerose regioni del pianeta (con le relative ripercussioni sull'approvvigionamento in acqua potabile, sull'agricoltura, sulla produzione di energia e sugli ecosistemi naturali). In generale, nelle regioni e nei periodi a elevata piovosità le precipitazioni aumenteranno, mentre nelle regioni e nei periodi già oggi secchi le precipitazioni si ridurranno ulteriormente (p. es. nelle regioni aride dei Paesi subtropicali o nell'area mediterranea in estate e in autunno). Le zone aride aumenteranno.I ghiacciai, le superfici innevate e il ghiaccio del mare artico si ridurranno ulteriormente.È quindi necessario adottare tempestivamente apposite misure tese a ridurre le emissioni di gas serra e a favorire l'adattamento ai cambiamenti climatici per evitare conseguenze gravi e limitare i rischi.
Salviamo il pianeta con il bike sharing.
di Valeria Piras
Un nuovo e particolare sistema di condivisione.
In Cina nella capitale Pechino sono stimate circa 68.500 biciclette. Non sarebbe una cifra enorme visto che la popolazione è formata da milioni di abitanti,il dato importante è che non si tratta di bici normali ma di biciclette legate al circuito bike sharing della città, il più grande del mondo, con 2.700 stazioni.La Cina è da anni all'avanguardia in questo tipo di settore,un mondo in crescita che oggi conta circa 600 punti in tutto il mondo, da New York a Milano. L'Istituto mondiale di ricerca e sviluppo ha calcolato queste cifre allo scopo di aprire una nuova analisi per abbattere le emissioni di inquinanti.I sistemi di biciclette pubbliche hanno infatti avuto un vero boom negli ultimi anni. Nelle grandi metropoli si è avuto un vero cambio di mentalità,la macchina è diventata out e la bici è rapidamente diventata parte del sistema di trasporto pubblico. Il punto di partenza decisivo è stato nel lontano 2006 quando a Parigi partì il progetto Vélib.
La capitale francese è stata la prima grande città a realizzare un grande sistema di bike sharing e fu subito grande successo.Molti si chiedono se il bike sharing fatto in città inquinate sia pericoloso per i ciclisti stessi.Ma gli esperti sottolineano che tali sistemi hanno lo scopo di ridurre il traffico, migliorando la qualità dell'aria, e in più aiutano a stare attivi e in forma,quindi più bike sharing si fa e più migliora l'aria delle città stesse. Questo utile sistema offre una chiara alternativa ai mezzi pubblici e alle stesse auto,è ottimo per i tragitti brevi e risolve il famoso problema dell'ultimo chilometro che spesso distanzia la fermata di bus o della metropolitane dalla destinazione delle persone.L'Istituto di sviluppo annovera anche le peculiarità che dovrebbe avere un perfetto sistema di biciclette pubbliche per essere efficiente e davvero utile ai cittadini: un buon numero di stazioni almeno 10 per chilometro quadrato; una distanza breve tra l'una e l'altra,almeno 500 metri e le varie destinazioni devono essere vicine e semplici da raggiungere.
Le cifre perfette dicono che servirebbero almeno 30 biciclette per ogni mille residenti.Se le bici sono di numero esiguo il rischio è di non soddisfare tutte le richieste nei periodi di massimo utilizzo. E' importante inoltre che per garantire sempre posti liberi in cui lasciare le bici appena usate, dovranno esserci almeno due metri di distanza l'uno dall'altro altrimenti si ha una cattiva percezione sull'affidabilità del sistema.L'area coperta dal sistema di bici deve essere di almeno 10 chilometri quadrati, in modo da avere un buon numero di punti di partenza e destinazione degli utenti. Altrimenti l'utilizzo potrebbe essere troppo minimo per dare utili risultati.Le biciclette perfette per il bike sharing sono quelle resistenti e pratiche, con un cestino frontale per portare borse, pacchi o spesa. Inoltre devono essere molto personalizzate in modo da non incentivare i furti.Alla bese di tutto dovrà poi esserci la facilità di utilizzo,un sistema semplice per ritirare e lasciare la bicicletta deve essere garantito sempre,le persone devono essere in grado di trovare una bici quando ne hanno bisogno e di usare il servizio in modo facile.In tal maniera il loro utilizzo aumenterà e con esso il benessere del nostro pianeta.
In Cina nella capitale Pechino sono stimate circa 68.500 biciclette. Non sarebbe una cifra enorme visto che la popolazione è formata da milioni di abitanti,il dato importante è che non si tratta di bici normali ma di biciclette legate al circuito bike sharing della città, il più grande del mondo, con 2.700 stazioni.La Cina è da anni all'avanguardia in questo tipo di settore,un mondo in crescita che oggi conta circa 600 punti in tutto il mondo, da New York a Milano. L'Istituto mondiale di ricerca e sviluppo ha calcolato queste cifre allo scopo di aprire una nuova analisi per abbattere le emissioni di inquinanti.I sistemi di biciclette pubbliche hanno infatti avuto un vero boom negli ultimi anni. Nelle grandi metropoli si è avuto un vero cambio di mentalità,la macchina è diventata out e la bici è rapidamente diventata parte del sistema di trasporto pubblico. Il punto di partenza decisivo è stato nel lontano 2006 quando a Parigi partì il progetto Vélib.
La capitale francese è stata la prima grande città a realizzare un grande sistema di bike sharing e fu subito grande successo.Molti si chiedono se il bike sharing fatto in città inquinate sia pericoloso per i ciclisti stessi.Ma gli esperti sottolineano che tali sistemi hanno lo scopo di ridurre il traffico, migliorando la qualità dell'aria, e in più aiutano a stare attivi e in forma,quindi più bike sharing si fa e più migliora l'aria delle città stesse. Questo utile sistema offre una chiara alternativa ai mezzi pubblici e alle stesse auto,è ottimo per i tragitti brevi e risolve il famoso problema dell'ultimo chilometro che spesso distanzia la fermata di bus o della metropolitane dalla destinazione delle persone.L'Istituto di sviluppo annovera anche le peculiarità che dovrebbe avere un perfetto sistema di biciclette pubbliche per essere efficiente e davvero utile ai cittadini: un buon numero di stazioni almeno 10 per chilometro quadrato; una distanza breve tra l'una e l'altra,almeno 500 metri e le varie destinazioni devono essere vicine e semplici da raggiungere.
Le cifre perfette dicono che servirebbero almeno 30 biciclette per ogni mille residenti.Se le bici sono di numero esiguo il rischio è di non soddisfare tutte le richieste nei periodi di massimo utilizzo. E' importante inoltre che per garantire sempre posti liberi in cui lasciare le bici appena usate, dovranno esserci almeno due metri di distanza l'uno dall'altro altrimenti si ha una cattiva percezione sull'affidabilità del sistema.L'area coperta dal sistema di bici deve essere di almeno 10 chilometri quadrati, in modo da avere un buon numero di punti di partenza e destinazione degli utenti. Altrimenti l'utilizzo potrebbe essere troppo minimo per dare utili risultati.Le biciclette perfette per il bike sharing sono quelle resistenti e pratiche, con un cestino frontale per portare borse, pacchi o spesa. Inoltre devono essere molto personalizzate in modo da non incentivare i furti.Alla bese di tutto dovrà poi esserci la facilità di utilizzo,un sistema semplice per ritirare e lasciare la bicicletta deve essere garantito sempre,le persone devono essere in grado di trovare una bici quando ne hanno bisogno e di usare il servizio in modo facile.In tal maniera il loro utilizzo aumenterà e con esso il benessere del nostro pianeta.
Il pericolo dello scioglimento dei ghiacci.
di Valeria Piras
Un rischio sempre presente per la salute della Terra.
Il fenomeno dello scioglimento dei ghiacciai provocato dal sempre più instabile cambiamento climatico del pianeta può causare danni serissimi alla salute del nostro ecosistema ambientale.Uno dei problemi che di recente è stato sollevato al Congresso Internazionale sull'Ambiente è che tale scioglimento potrebbe rimettere in circolazione nell'acqua e nell'aria dei composti chimici nocivi causando danni pericolosi a fauna e flora.Al Congresso l'Italia era rappresentata dall'Università Cattolica di Milano autrice di recente di un interessante prospetto teorico sul tema dei Cambiamenti Climatici: Ricerca, Formazione, Divulgazione. La contaminazione secondo gli esperti giungerebbe da composti organici persistenti, denominati POP e rischiano di divinire un problema di rilevanza globale, soprattutto perchè studi di pochi mesi orsono hanno dimostrato che tali sostanze siano giunte in zone estreme del globo,a tanti kilometri di distanza dalle aree di emissione,in particolari località che fino ad allora risultavano essere pure ed incontaminate.
Si tratterebbe secondo i climatoligi di composti chimici in grado di resistere alle fasi di degradazione. Sono fortemente nocivi per la salute umana e per l’ambiente, si depositano nell'organismo e inserendosi nella catena alimentare possono resistere anche per decenni e poi aggredire l'essere umano.I luoghi remori e glaciali come l’Artico e l’Antartide, diventano in questo caso veri magazzini e depositi di tali sostanze poichè le temperature elevate dei climi tropicali fanno evaporare i POP e il vento li trasporta poi nell'atmosfera,giunti nelle zone fredde,le basse temperature fredde dei poli li condensano e quindi ritornano al suolo in stato ghiacciato.
Oggi tali composti chimici sono vietati per legge grazie a specifici accordi internazionali, ma in passato non conoscendosene la pericolosità sono stati adoperati molto nell'industria e grandi quantita’ si sono accumulate nel Pianeta e una volta congelati i POP possono anche sopravvivere per secoli. Pure in Italia nella zona dei grandi ghiacciai alpini possono essere inglobate tali sostanze. Infatti proprio in Italia alcune indagini scientifiche poste in essere nel 2012 hanno palesato che nei fiumi di origine glaciale lo scioglimento dei ghiacciai ha effettivamente aumentato la presenza di POP nelle acque,anzi alcuni ambientalisti sottolineano che a breve potrebbe essere raggiunto un livello di sostanze tale da danneggiare irrimediabilmente le ricchezze biologiche dei torrenti alpini. Sarebbe davvero un peccato che la purezza delle acque della zona alpina venisse così seriamente messa a repentaglio.Urgono interventi diretti.
Il fenomeno dello scioglimento dei ghiacciai provocato dal sempre più instabile cambiamento climatico del pianeta può causare danni serissimi alla salute del nostro ecosistema ambientale.Uno dei problemi che di recente è stato sollevato al Congresso Internazionale sull'Ambiente è che tale scioglimento potrebbe rimettere in circolazione nell'acqua e nell'aria dei composti chimici nocivi causando danni pericolosi a fauna e flora.Al Congresso l'Italia era rappresentata dall'Università Cattolica di Milano autrice di recente di un interessante prospetto teorico sul tema dei Cambiamenti Climatici: Ricerca, Formazione, Divulgazione. La contaminazione secondo gli esperti giungerebbe da composti organici persistenti, denominati POP e rischiano di divinire un problema di rilevanza globale, soprattutto perchè studi di pochi mesi orsono hanno dimostrato che tali sostanze siano giunte in zone estreme del globo,a tanti kilometri di distanza dalle aree di emissione,in particolari località che fino ad allora risultavano essere pure ed incontaminate.
Si tratterebbe secondo i climatoligi di composti chimici in grado di resistere alle fasi di degradazione. Sono fortemente nocivi per la salute umana e per l’ambiente, si depositano nell'organismo e inserendosi nella catena alimentare possono resistere anche per decenni e poi aggredire l'essere umano.I luoghi remori e glaciali come l’Artico e l’Antartide, diventano in questo caso veri magazzini e depositi di tali sostanze poichè le temperature elevate dei climi tropicali fanno evaporare i POP e il vento li trasporta poi nell'atmosfera,giunti nelle zone fredde,le basse temperature fredde dei poli li condensano e quindi ritornano al suolo in stato ghiacciato.
Oggi tali composti chimici sono vietati per legge grazie a specifici accordi internazionali, ma in passato non conoscendosene la pericolosità sono stati adoperati molto nell'industria e grandi quantita’ si sono accumulate nel Pianeta e una volta congelati i POP possono anche sopravvivere per secoli. Pure in Italia nella zona dei grandi ghiacciai alpini possono essere inglobate tali sostanze. Infatti proprio in Italia alcune indagini scientifiche poste in essere nel 2012 hanno palesato che nei fiumi di origine glaciale lo scioglimento dei ghiacciai ha effettivamente aumentato la presenza di POP nelle acque,anzi alcuni ambientalisti sottolineano che a breve potrebbe essere raggiunto un livello di sostanze tale da danneggiare irrimediabilmente le ricchezze biologiche dei torrenti alpini. Sarebbe davvero un peccato che la purezza delle acque della zona alpina venisse così seriamente messa a repentaglio.Urgono interventi diretti.
Buco dell’ozono.Nuove scoperte.
di Valeria Piras
Sempre alta l'attenzione sulle cause di questo fenomeno.
Il buco dell’ozono è uno dei maggiori problemi ambientali cui gli studiosi hanno dedicato decenni e decenni di analisi e verifiche. L’ultima scoperta afferma che quattro nuovi gas sono da considerare veri killer dell’ozono. Si tratta di composti chimici individuati in campioni atmosferici raccolti tra il 1980 e il 2012 in Tasmania e in Groenlandia. La scoperta è merito della squadra di accademici coordinata da Johannes Laube, dell’Università americana EastCoast e resa pubblica sulla rivista National Ecology. Gli studiosi ritengono che le quattro molecole di gas sono tutte prodotte da attività umane, di queste tre sono del gruppo dei clorofluorocarburi (Cfc) e uno a quella degli idroclorofluorocarburi (Hcfc).
Secondo i calcoli degli esperti l’emissione totale dei quattro gas in atmosfera prima del 2012 era di 70 mila tonnellate, una quantità relativamente piccola considerando che negli anni Ottanta le emissioni arrivavano anche al milione di tonnellate. Chiamati a dare il proprio pareri gli studiosi affermano che anche se si tratta di piccole quantità, queste emissioni violano il Protocollo di Montreal, ovvero il trattato internazionale che disciplina i gas nocivi per l’ozono. Secondo gli esperi è impossibile stabilire precisamente la provenienza di questi nuovi gas riscontrati e vanno comunque compiute ancora nuove indagini. Bisogna insistere e concedere fondi utili alla ricerca per portare a completamento gli studi a riguardo.Le leggi per eliminare questi elementi pericolosi esistono 1989 ma solo nel 2010 la comunità scientifica ha stabilito un divieto totale di utilizzo.
Negli ultimi anni la produzione di queste sostanze si è stoppata ma il dottor Laube sottolinea che la legge è imperfetta e permette scappatoie che rendono possibile ancora qualche utilizzo di queste sostanze.La scoperta di queste quattro nuove molecole di gas è preoccupante poiché significa che essi hanno già contribuito a danneggiare lo strato di ozono intorno alla Terra. Non si sa come detto dove vengano emessi tali gas ma probabilmente la loro derivazione è collegata alla produzione di insetticidi e solventi per la pulizia di componenti elettronici. Inoltre questi gas sono molto spessi a livello molecolare e difficilmente si dissolvono pure nel caso in cui le emissioni vengano subito stoppate. In tal caso queste sostanze rimarrebbero presenti nell’aria per vari decenni.Questa è la notizia pessima per il nostro pianeta.
Il buco dell’ozono è uno dei maggiori problemi ambientali cui gli studiosi hanno dedicato decenni e decenni di analisi e verifiche. L’ultima scoperta afferma che quattro nuovi gas sono da considerare veri killer dell’ozono. Si tratta di composti chimici individuati in campioni atmosferici raccolti tra il 1980 e il 2012 in Tasmania e in Groenlandia. La scoperta è merito della squadra di accademici coordinata da Johannes Laube, dell’Università americana EastCoast e resa pubblica sulla rivista National Ecology. Gli studiosi ritengono che le quattro molecole di gas sono tutte prodotte da attività umane, di queste tre sono del gruppo dei clorofluorocarburi (Cfc) e uno a quella degli idroclorofluorocarburi (Hcfc).
Secondo i calcoli degli esperti l’emissione totale dei quattro gas in atmosfera prima del 2012 era di 70 mila tonnellate, una quantità relativamente piccola considerando che negli anni Ottanta le emissioni arrivavano anche al milione di tonnellate. Chiamati a dare il proprio pareri gli studiosi affermano che anche se si tratta di piccole quantità, queste emissioni violano il Protocollo di Montreal, ovvero il trattato internazionale che disciplina i gas nocivi per l’ozono. Secondo gli esperi è impossibile stabilire precisamente la provenienza di questi nuovi gas riscontrati e vanno comunque compiute ancora nuove indagini. Bisogna insistere e concedere fondi utili alla ricerca per portare a completamento gli studi a riguardo.Le leggi per eliminare questi elementi pericolosi esistono 1989 ma solo nel 2010 la comunità scientifica ha stabilito un divieto totale di utilizzo.
Negli ultimi anni la produzione di queste sostanze si è stoppata ma il dottor Laube sottolinea che la legge è imperfetta e permette scappatoie che rendono possibile ancora qualche utilizzo di queste sostanze.La scoperta di queste quattro nuove molecole di gas è preoccupante poiché significa che essi hanno già contribuito a danneggiare lo strato di ozono intorno alla Terra. Non si sa come detto dove vengano emessi tali gas ma probabilmente la loro derivazione è collegata alla produzione di insetticidi e solventi per la pulizia di componenti elettronici. Inoltre questi gas sono molto spessi a livello molecolare e difficilmente si dissolvono pure nel caso in cui le emissioni vengano subito stoppate. In tal caso queste sostanze rimarrebbero presenti nell’aria per vari decenni.Questa è la notizia pessima per il nostro pianeta.
Ecco i biocarburanti di nuova generazione.
di Valeria Piras
Il riso come nuova fonte di energia.
La scienza biosostenibile ha elaborato di recente biocarburanti di seconda generazione che risulteranno essere più economici e puliti e soprattutto saranno molto più facilmente disponibili su larga scala grazie all’impiego nella produzione del riso. Ciò è garantito dalla recentissima sperimentazione posta in essere da un’équipe di ricercatori della University of Southern Denmark in stretto rapporto di partnership con i colleghi iracheni della University of Baghdad e della Al-Muthanna University.Fin dal loro primo impiego sul mercato petrolifero i biocarburanti hanno dovuto affrontare sfide impegnative per essere competitivi ed efficienti e avere un impatto ambientale rassicurante. I biocarburanti di prima generazione erano criticati poichè insostenibili essendo prodotti con materie prime altrimenti utilizzate per il mercato alimentare, adesso si è arrivati ai biocarburanti di seconda generazione, che vengono ottenuti usando scarti e altre biomasse non commestibili.
I biocarburanti di seconda generazione però continuano ad avere alcuni piccoli problemi soprattutto in chiave industriale.Svantaggi collegati al costo ritenuto alto degli enzimi, elementi organici basilari per riconvertire i tessuti delle piante morte in zuccheri da cui poi ottenere il biocombustibile.Gli enzimi più utili e puri sono creati in laboratorio ma hanno prezzi davvero altissimi non per tutti insomma.La ricerca danese ha finalizzato il suo studio proprio ad abbattere i costi dei biocarburanti di seconda generazione attraverso l’eliminazione degli enzimi dal processo produttivo. Gli scienziati infatti hanno sostituito gli enzimi con un acido per trasformare la biomassa in zuccheri per la produzione di biocombustibile; nello specifico si parla dell’acido HSO3H ricavato come dicevamo prima dal riso, ovvero dal guscio che racchiude il chicco, una materia prima ampiamente disponibile. E' una scoperta davvero importante per economicizzare la fonte di biocarburante ed è un sottoprodotto che si ottiene dopo la trebbiatura, dal processo di sbramatura del riso grezzo.
Dalla combustione del riso si ottiene, in maniera molto facile ed economica, una grande quantità di ceneri e biomassa. Le ceneri del riso posseggono un'elevata percentuale di silicato. I ricercatori hanno mescolato col silicato l’acido clorosolfonico, ottenendo la molecola HSO3H. Questo acido funge così come gli enzimi utilizzati comunemente dall’industria dei biocarburanti, erode rapidamente la cellulosa della biomassa trasformandola in zucchero. Dagli zuccheri vegetali si riesce poi agevolmente ad ottenere il bioetanolo, impiegato come combustibile. L’utilizzo del bioetanolo, in sostituzione dei combustibili fossili, riduce enormemente le emissioni di CO2 prodotte dalle auto e dagli altri mezzi di trasporto. Ideare e migliorare processi produttivi innovativi rendendoli più economici per produrre biocombustibili è uno scopo necessario e davvero prioritario per abbassare l' impatto ambientale legato all'uso di autoveicoli.Un passo fondamentale per proteggere il nostro ambiente.
La scienza biosostenibile ha elaborato di recente biocarburanti di seconda generazione che risulteranno essere più economici e puliti e soprattutto saranno molto più facilmente disponibili su larga scala grazie all’impiego nella produzione del riso. Ciò è garantito dalla recentissima sperimentazione posta in essere da un’équipe di ricercatori della University of Southern Denmark in stretto rapporto di partnership con i colleghi iracheni della University of Baghdad e della Al-Muthanna University.Fin dal loro primo impiego sul mercato petrolifero i biocarburanti hanno dovuto affrontare sfide impegnative per essere competitivi ed efficienti e avere un impatto ambientale rassicurante. I biocarburanti di prima generazione erano criticati poichè insostenibili essendo prodotti con materie prime altrimenti utilizzate per il mercato alimentare, adesso si è arrivati ai biocarburanti di seconda generazione, che vengono ottenuti usando scarti e altre biomasse non commestibili.
I biocarburanti di seconda generazione però continuano ad avere alcuni piccoli problemi soprattutto in chiave industriale.Svantaggi collegati al costo ritenuto alto degli enzimi, elementi organici basilari per riconvertire i tessuti delle piante morte in zuccheri da cui poi ottenere il biocombustibile.Gli enzimi più utili e puri sono creati in laboratorio ma hanno prezzi davvero altissimi non per tutti insomma.La ricerca danese ha finalizzato il suo studio proprio ad abbattere i costi dei biocarburanti di seconda generazione attraverso l’eliminazione degli enzimi dal processo produttivo. Gli scienziati infatti hanno sostituito gli enzimi con un acido per trasformare la biomassa in zuccheri per la produzione di biocombustibile; nello specifico si parla dell’acido HSO3H ricavato come dicevamo prima dal riso, ovvero dal guscio che racchiude il chicco, una materia prima ampiamente disponibile. E' una scoperta davvero importante per economicizzare la fonte di biocarburante ed è un sottoprodotto che si ottiene dopo la trebbiatura, dal processo di sbramatura del riso grezzo.
Dalla combustione del riso si ottiene, in maniera molto facile ed economica, una grande quantità di ceneri e biomassa. Le ceneri del riso posseggono un'elevata percentuale di silicato. I ricercatori hanno mescolato col silicato l’acido clorosolfonico, ottenendo la molecola HSO3H. Questo acido funge così come gli enzimi utilizzati comunemente dall’industria dei biocarburanti, erode rapidamente la cellulosa della biomassa trasformandola in zucchero. Dagli zuccheri vegetali si riesce poi agevolmente ad ottenere il bioetanolo, impiegato come combustibile. L’utilizzo del bioetanolo, in sostituzione dei combustibili fossili, riduce enormemente le emissioni di CO2 prodotte dalle auto e dagli altri mezzi di trasporto. Ideare e migliorare processi produttivi innovativi rendendoli più economici per produrre biocombustibili è uno scopo necessario e davvero prioritario per abbassare l' impatto ambientale legato all'uso di autoveicoli.Un passo fondamentale per proteggere il nostro ambiente.
Come ripulire gli oceani dalla plastica?
di Valeria Piras
Dall'Olanda un'invenzione particolare salva oceani.
Un giovane olandese di appena ventanni ha ideato qualche mese fa un'invenzione utilissima dalla grande facilità applicativa.Si chiama Ocean Cleanup ed è un apparecchio progettato da Boyan Slat potenzialmente capace di ripulire gli oceani dalla grande quantità di plastica che spesso infesta la loro superfice. Milioni di tonnellate di plastica inquinano i nostri oceani, arrivano in acqua di solito grazie ai corsi dei fiumi e percorrono chilometri mosse dalle forti correnti accumulandosi in 4 aree di alta concetrazione chiamate “gyres” (la più grande e famosa è il Great Pacific Garbage Patch).
La corrente accumula e crea delle vere isole di plastica che unite all’inquinamento da esse prodotto sono la causa diretta della morte di migliaia di tipologie di animali acquatici ma inoltre danneggiano le imbarcazioni e spesso e volentieri si insinuano nella catena alimentare.Per mettere fine all’inquinamento da plastica nei mari serve ovviamente una rigida politica con sanzioni severissime e dure miranti così a ottenere una drastica diminuzione dell’utilizzo della plastica per contenitori e confezioni.
Ma la problematica forte è anche quella inerente la rimozione dei rifiuti già presenti nelle acque. L’ambizioso giovane olandese con la sua macchina è convinto che tutto possa essere risolto grazie ai teoremi della fluidodinamica.Egli non intende adoperare le classiche reti a maglie strette poichè risultano non efficaci e danneggerebbero le specie di pesci intrappolandoli nella stessa; ma ci parla di un meccanismo di depurazione basato sul circoscrivere le isole di immondizia e azionare poi delle piccole esplosioni finalizzate a spostare la plastica verso piattaforme di raccolta e riciclo. Il sistema Ocean Cleanup Array è ancora in fase di studio e sviluppo, ma per fine 2014 dovrebbe essere ultimata l'analisi tecnica sulla effettiva realizzabilità del progetto,sul sito www.boyanslat.com possiamo cogliere maggiori informazioni ed anche chiedere di essere coinvolti direttamente in questo ambizioso e utile progetto a tutela dei nostri mari sempre più danneggiati dalla non curanza dell'uomo.
Un giovane olandese di appena ventanni ha ideato qualche mese fa un'invenzione utilissima dalla grande facilità applicativa.Si chiama Ocean Cleanup ed è un apparecchio progettato da Boyan Slat potenzialmente capace di ripulire gli oceani dalla grande quantità di plastica che spesso infesta la loro superfice. Milioni di tonnellate di plastica inquinano i nostri oceani, arrivano in acqua di solito grazie ai corsi dei fiumi e percorrono chilometri mosse dalle forti correnti accumulandosi in 4 aree di alta concetrazione chiamate “gyres” (la più grande e famosa è il Great Pacific Garbage Patch).
La corrente accumula e crea delle vere isole di plastica che unite all’inquinamento da esse prodotto sono la causa diretta della morte di migliaia di tipologie di animali acquatici ma inoltre danneggiano le imbarcazioni e spesso e volentieri si insinuano nella catena alimentare.Per mettere fine all’inquinamento da plastica nei mari serve ovviamente una rigida politica con sanzioni severissime e dure miranti così a ottenere una drastica diminuzione dell’utilizzo della plastica per contenitori e confezioni.
Ma la problematica forte è anche quella inerente la rimozione dei rifiuti già presenti nelle acque. L’ambizioso giovane olandese con la sua macchina è convinto che tutto possa essere risolto grazie ai teoremi della fluidodinamica.Egli non intende adoperare le classiche reti a maglie strette poichè risultano non efficaci e danneggerebbero le specie di pesci intrappolandoli nella stessa; ma ci parla di un meccanismo di depurazione basato sul circoscrivere le isole di immondizia e azionare poi delle piccole esplosioni finalizzate a spostare la plastica verso piattaforme di raccolta e riciclo. Il sistema Ocean Cleanup Array è ancora in fase di studio e sviluppo, ma per fine 2014 dovrebbe essere ultimata l'analisi tecnica sulla effettiva realizzabilità del progetto,sul sito www.boyanslat.com possiamo cogliere maggiori informazioni ed anche chiedere di essere coinvolti direttamente in questo ambizioso e utile progetto a tutela dei nostri mari sempre più danneggiati dalla non curanza dell'uomo.
Arriva la batteria che non inquina l'ambiente.
di Valeria Piras
Importante ed utilissima invenzione ecologica.
Qualche mese fa un'azienda svizzera ha comunicato una notizia che definirla importante è poco.E' stata realizzata la prima batteria capace di ricaricarsi in acqua senza reagenti nè elementi inquinanti come litio o mercurio. Parliamo di una pila di tipo stilo non ricaricabile, capace di dare energia solo se immersa almeno 5 minuti in acqua fredda.La nuova batteria ecologica sarà chiamata Aquacell e potrebbe già fra qualche mese essere messa in commercio e prodotta in serie. E' una batteria leggera e progettata partendo da polveri organiche non inquinanti a differenza delle normali pile che invece soprattutto quando esaurite e da smaltire diventano pericolose per l'ambiente. La pila in questione ha un peso minimo di soli 12 grammi e viene confezionata completamente scarica, senza tensione nè amperaggio.
Quando bisogna adoperarla come detto,va immersa in acqua e il liquido attiva i componenti interni producendo energia necessaria a dispositivi vari come torce LED, telecomandi e giocattoli per bambini.Questa batteria ecologica, proprio grazie alla sua struttura interna è totalmente priva di componenti inquinanti cosa che non accade nelle classiche pile alcaline ed in più non ha nemmeno una vera data di scadenza,mentre le batterie classiche durano in media sette anni. Infine la batteria 'Aquacell',cosa mai fatta fino ad oggi,non è costruita ricorrendo all'acciaio ma utilizza solo un involucro costituito completamente da materiale plastico riciclato. Nella fase di produzione in fabbrica inoltre,questa batteria viene costruita senza il bisogno di acqua eliminando quindi anche il problema del trattamento delle sostanze tossiche di produzione.
Una batteria Aquacell inoltre una volta buttata potrà essere riciclata fino all'80% delle sue parti mentre quelle alcaline arrivano al massimo al 40%.Unica pecca è che una volta attivata la batteria ecologica dura qualche anno in meno di quelle tradizionali,ma si tratta di un difetto di poco conto se con esse si può limitare l'inquinamento del nostro ambiente già enormemente vessato.Le pile Aquacell saranno a breve in commercio anche in Italia e la speranza è che in breve tempo sostituiscano completamente le batterie tradizionali e pericolose.
Qualche mese fa un'azienda svizzera ha comunicato una notizia che definirla importante è poco.E' stata realizzata la prima batteria capace di ricaricarsi in acqua senza reagenti nè elementi inquinanti come litio o mercurio. Parliamo di una pila di tipo stilo non ricaricabile, capace di dare energia solo se immersa almeno 5 minuti in acqua fredda.La nuova batteria ecologica sarà chiamata Aquacell e potrebbe già fra qualche mese essere messa in commercio e prodotta in serie. E' una batteria leggera e progettata partendo da polveri organiche non inquinanti a differenza delle normali pile che invece soprattutto quando esaurite e da smaltire diventano pericolose per l'ambiente. La pila in questione ha un peso minimo di soli 12 grammi e viene confezionata completamente scarica, senza tensione nè amperaggio.
Quando bisogna adoperarla come detto,va immersa in acqua e il liquido attiva i componenti interni producendo energia necessaria a dispositivi vari come torce LED, telecomandi e giocattoli per bambini.Questa batteria ecologica, proprio grazie alla sua struttura interna è totalmente priva di componenti inquinanti cosa che non accade nelle classiche pile alcaline ed in più non ha nemmeno una vera data di scadenza,mentre le batterie classiche durano in media sette anni. Infine la batteria 'Aquacell',cosa mai fatta fino ad oggi,non è costruita ricorrendo all'acciaio ma utilizza solo un involucro costituito completamente da materiale plastico riciclato. Nella fase di produzione in fabbrica inoltre,questa batteria viene costruita senza il bisogno di acqua eliminando quindi anche il problema del trattamento delle sostanze tossiche di produzione.
Una batteria Aquacell inoltre una volta buttata potrà essere riciclata fino all'80% delle sue parti mentre quelle alcaline arrivano al massimo al 40%.Unica pecca è che una volta attivata la batteria ecologica dura qualche anno in meno di quelle tradizionali,ma si tratta di un difetto di poco conto se con esse si può limitare l'inquinamento del nostro ambiente già enormemente vessato.Le pile Aquacell saranno a breve in commercio anche in Italia e la speranza è che in breve tempo sostituiscano completamente le batterie tradizionali e pericolose.
Creare una casa davvero ecosostenibile.
di Valeria Piras
Come rendere completamente ecologica la propria casa.
Uno dei sogni che spesso rincorriamo è avere una casa ecologica,a impatto zero,immersa nella natura e che non ci costi un occhio della testa in bollette e costi di manutenzione.Oramai l’urbanizzazione sfrenata ma letteralmente sfregiato intere parti delle nostre bellissime città ma non dobbiamo disperare.La casa perfetta è possibile da realizzare.Oltre che a impatto zero la casa deve essere sicura, una casa che sia veramente il rifugio della famiglia che abbiamo costruito.Ci servono consigli e segreti per costruire una casa che sia davvero ecologica.Ok,allora eccoli per voi.Realizzarla in una zona periferica e a contatto con la natura potrebbe certamente essere una scelta adatta per sfuggire dal caotico mondo della città e soprattutto non subire lo smog e i rumori eccessivi. Bisogna fare però attenzione a non invadere zone che siano zone protette e di interesse paesaggistico.
Certamente bisogna partire dal legno per dare vita alla struttura portante della casa. Diversi studi hanno chiaramente dimostrato che la casa di legno è sicura ma anche resistente ai terremoti ed efficiente. Con una casa di legno si riesce a raggiungere in un anno in media un risparmio energetico del 40% rispetto alla stessa casa realizzata in cemento o mattoni. Se non amate molto il legno,non disperate,esistono i famosi mattoni ecologici, come quelli realizzati in canapa e mattone.Se la casa è già costruita e purtroppo in mattoni e dobbiamo ritinteggiare le pareti utilizziamo vernici naturali.Per dare energia alla casa dovete necessariamente installare un piccolo impianto fotovoltaico, integrando i pannelli alla costruzione.
Una scelta ancora più positiva potrebbe essere il mini e il micro eolico che potrebbero fornire la giusta potenza di energia.Fondamentale evitare la dispersione di energia,bisogna isolare bene gli impianti. Una volta che la casa è realtà ricordiamoci ogni giorno di spegnere sempre la lucetta che dice che gli elettrodomestici sono in stand by, pronti all’uso.Per non sprecare troppa acqua scegliere rubinetti che siano capaci di regolarne il flusso.L'arredo della casa deve essere incentrato su mobili costruiti nel rispetto dell’ambiente, con legno certificato.La casa dei sogni a impatto zero allora,potrebbe diventare realtà.
Uno dei sogni che spesso rincorriamo è avere una casa ecologica,a impatto zero,immersa nella natura e che non ci costi un occhio della testa in bollette e costi di manutenzione.Oramai l’urbanizzazione sfrenata ma letteralmente sfregiato intere parti delle nostre bellissime città ma non dobbiamo disperare.La casa perfetta è possibile da realizzare.Oltre che a impatto zero la casa deve essere sicura, una casa che sia veramente il rifugio della famiglia che abbiamo costruito.Ci servono consigli e segreti per costruire una casa che sia davvero ecologica.Ok,allora eccoli per voi.Realizzarla in una zona periferica e a contatto con la natura potrebbe certamente essere una scelta adatta per sfuggire dal caotico mondo della città e soprattutto non subire lo smog e i rumori eccessivi. Bisogna fare però attenzione a non invadere zone che siano zone protette e di interesse paesaggistico.
Certamente bisogna partire dal legno per dare vita alla struttura portante della casa. Diversi studi hanno chiaramente dimostrato che la casa di legno è sicura ma anche resistente ai terremoti ed efficiente. Con una casa di legno si riesce a raggiungere in un anno in media un risparmio energetico del 40% rispetto alla stessa casa realizzata in cemento o mattoni. Se non amate molto il legno,non disperate,esistono i famosi mattoni ecologici, come quelli realizzati in canapa e mattone.Se la casa è già costruita e purtroppo in mattoni e dobbiamo ritinteggiare le pareti utilizziamo vernici naturali.Per dare energia alla casa dovete necessariamente installare un piccolo impianto fotovoltaico, integrando i pannelli alla costruzione.
Una scelta ancora più positiva potrebbe essere il mini e il micro eolico che potrebbero fornire la giusta potenza di energia.Fondamentale evitare la dispersione di energia,bisogna isolare bene gli impianti. Una volta che la casa è realtà ricordiamoci ogni giorno di spegnere sempre la lucetta che dice che gli elettrodomestici sono in stand by, pronti all’uso.Per non sprecare troppa acqua scegliere rubinetti che siano capaci di regolarne il flusso.L'arredo della casa deve essere incentrato su mobili costruiti nel rispetto dell’ambiente, con legno certificato.La casa dei sogni a impatto zero allora,potrebbe diventare realtà.
A Londra il Tamigi torna un fiume pulito.
di Valeria Piras
Un vero successo il programma di depurazione del fiume londinese.
Per molti decenni la città di Londra ha sempre avuto un grosso problema ambientale. Il fiume Tamigi,un fiume grande e storicamente importante era molto inquinato,ai limiti dell’accettabilità e soprattutto emanava un odore terribile,quasi paludoso. Nell’arco di sette anni il cambiamento. Nel 2007 fu avviato un complesso processo di depurazione e trattamento delle acque che unito ad altri fattori anche di natura umana ha permesso la rivoluzione di questi mesi. Oggi il Tamigi è un fiume pulito,in cui sono tornati a nuotare i pesci. Agli inizi del procedimento di depurazione idrica tutto sembrava una scommessa anzi un’utopia ecologica. Il fiume era stato da molti scienziati definito ‘biologicamente morto’ a causa dell’inquinamento provocato soprattutto dalle molte acciaierie che sorgevano lungo il suo corso.
Ma il programma Save the Thames ha avuto successo ed oggi gli stessi biologi hanno appurato che nel fiume è tornata la vita e ben 125 specie ittiche sono ritornate a viverci compreso il tanto amato salmone che nuota solo in acque veramente pulite. Una notizia davvero bella per tutti quelli che hanno lavorato alla depurazione del fiume londinese. Ma non è stato un miracolo. Assolutamente no. Si è trattato di una miscela di componenti tra cui la volontà di azione, idee politiche lungimiranti, forti investimenti ecologico-ambientali mirati. Basilare è stato l’ampliamento ed il rafforzamento della rete di depuratori, il corretto trattamento dei reflui fognari di Londra ed anche un forte inasprimento delle sanzioni inflitte ai cittadini sorpresi nello sporcare le acque del fiume. Inoltre in pieno centro a Londra, esattamente a Beckton, nel quartiere storico di Newham è stato anche realizzato in pochi anni un avveniristico impianto di desalinizzazione, che ha permesso di depurare l`acqua del Tamigi e in alcuni tratti renderla addirittura potabile per circa mezzo milione di abitanti.
Da questa vicenda traiamo una serie di chiari insegnamenti. Bisogna ascoltare le preziose indicazioni che ci giungono dall’universo della scienza e della tecnologia, serve investire fondi nei progetti più adatti ed utili alla comunità,è necessario fare leggi anche impopolari ma fondamentali al fine,bisogna insegnare comportamenti civili alla popolazione e diventare finalmente consumatori responsabili. Solo seguendo questi comandamenti si riuscirà nel miracolo di coniugare senza danni sviluppo e ambiente. Tutto ciò per il bene del nostro pianeta è,non solo possibile ma davvero necessario.
Per molti decenni la città di Londra ha sempre avuto un grosso problema ambientale. Il fiume Tamigi,un fiume grande e storicamente importante era molto inquinato,ai limiti dell’accettabilità e soprattutto emanava un odore terribile,quasi paludoso. Nell’arco di sette anni il cambiamento. Nel 2007 fu avviato un complesso processo di depurazione e trattamento delle acque che unito ad altri fattori anche di natura umana ha permesso la rivoluzione di questi mesi. Oggi il Tamigi è un fiume pulito,in cui sono tornati a nuotare i pesci. Agli inizi del procedimento di depurazione idrica tutto sembrava una scommessa anzi un’utopia ecologica. Il fiume era stato da molti scienziati definito ‘biologicamente morto’ a causa dell’inquinamento provocato soprattutto dalle molte acciaierie che sorgevano lungo il suo corso.
Ma il programma Save the Thames ha avuto successo ed oggi gli stessi biologi hanno appurato che nel fiume è tornata la vita e ben 125 specie ittiche sono ritornate a viverci compreso il tanto amato salmone che nuota solo in acque veramente pulite. Una notizia davvero bella per tutti quelli che hanno lavorato alla depurazione del fiume londinese. Ma non è stato un miracolo. Assolutamente no. Si è trattato di una miscela di componenti tra cui la volontà di azione, idee politiche lungimiranti, forti investimenti ecologico-ambientali mirati. Basilare è stato l’ampliamento ed il rafforzamento della rete di depuratori, il corretto trattamento dei reflui fognari di Londra ed anche un forte inasprimento delle sanzioni inflitte ai cittadini sorpresi nello sporcare le acque del fiume. Inoltre in pieno centro a Londra, esattamente a Beckton, nel quartiere storico di Newham è stato anche realizzato in pochi anni un avveniristico impianto di desalinizzazione, che ha permesso di depurare l`acqua del Tamigi e in alcuni tratti renderla addirittura potabile per circa mezzo milione di abitanti.
Da questa vicenda traiamo una serie di chiari insegnamenti. Bisogna ascoltare le preziose indicazioni che ci giungono dall’universo della scienza e della tecnologia, serve investire fondi nei progetti più adatti ed utili alla comunità,è necessario fare leggi anche impopolari ma fondamentali al fine,bisogna insegnare comportamenti civili alla popolazione e diventare finalmente consumatori responsabili. Solo seguendo questi comandamenti si riuscirà nel miracolo di coniugare senza danni sviluppo e ambiente. Tutto ciò per il bene del nostro pianeta è,non solo possibile ma davvero necessario.
Apple e Google avranno sedi ecosostenibili.
di Valeria Piras
Finalmente i colossi dell'industria pensano all'ambiente.
Le grandi aziende americane di informatica negli ultimi anni hanno deciso di investire nell'ecologico ed infatti le nuove sedi aziendali saranno ad impatto zero e totalmente immerse nel verde.Veri progetti futuristici ecosostenibili e soprattutto sviluppati in conformità con l'ambiente circostante.Partiamo dalla nuova sede di Apple a Cupertino, in California.Il suo progetto era stato l'eredità di Steve Jobs,voluta come sua ultima decisione prima di ritirarsi a causa della sua grave malattia.Il progetto ha previsto in ricorso ad uno degli architetti più famosi e richiesti al mondo, Norman Foster. La sede consiste in un nuovo campus triplo rispetto al precedente e basato sul concetto di emissioni zero: una speciale struttura ecologica con materiali a Km 0 e con bassi consumi e ovviamente ipertecnologica.Dalle immagini in anteprima si evince che sarà una sorta di piccola città votata al rispetto dell’ambiente, di forma circolare che utilizzerà energie rinnovabili.
Il sistema trasporti sarà essenzialmente sotterraneo, in questo modo il contesto della sede resterà immerso nel verde della natura del luogo ben 150 acri ricoperti da alberi a foglie grandi e sempreverdi.Idea analoga è stata intrapresa da Google che per creare la sua nuova sede a Moutain View,California ha addirittura previsto un agglomerato fatto di quattro edifici collocati in zona centrale che declinano i quattro comandamenti di Google ovvero creatività, sostenibilità, efficienza ed unicità.Anche su questa nuova sede c'è la firma degli architetti della Camenzind Evolution, autori già delle sedi Google per le città di Londra, Mosca, Zurigo e Stoccolma.La filosofia ingegneristica usata ha caratteristiche di tipo olistico, dalle immagini si carpisce un ambiente di lavoro equilibrato, sano, vivace, che basa i suoi elementi sul legame tra comunicazione,informatica e socialità,in questo modo si dovrebbe stimolare la creatività degli stessi dipendenti.
Ogni piano dei quattro diversi edifici che rappresentano la sede avranno uno specifico nome “Google Docks“, “Gasworks House“, “Gordon House” e “One Grand Canal“, è sarà personalizzata con riferimento alle esigenze dei creativi che dovranno passarvi la maggior parte della loro giornata; gli edifici avranno materiali, colori, forme e temi differenti: in più vi sarà il piano “Be Green” completamento adibito alle ricerche ecologiche di Google, fornito di un tappeto d’erba sintetica, piante e un grande design che si ispira ad una sorta di grande foresta.La vera novità rispetto al passato è la zona “Appiness” dove saranno sviluppate le nuove App senza disdegnare con divertimento tra strumenti musicali, comodi divani, sale biliardo, divani e molto altro,un ufficio da sogno e anch'esso completamente ecologico.
Le grandi aziende americane di informatica negli ultimi anni hanno deciso di investire nell'ecologico ed infatti le nuove sedi aziendali saranno ad impatto zero e totalmente immerse nel verde.Veri progetti futuristici ecosostenibili e soprattutto sviluppati in conformità con l'ambiente circostante.Partiamo dalla nuova sede di Apple a Cupertino, in California.Il suo progetto era stato l'eredità di Steve Jobs,voluta come sua ultima decisione prima di ritirarsi a causa della sua grave malattia.Il progetto ha previsto in ricorso ad uno degli architetti più famosi e richiesti al mondo, Norman Foster. La sede consiste in un nuovo campus triplo rispetto al precedente e basato sul concetto di emissioni zero: una speciale struttura ecologica con materiali a Km 0 e con bassi consumi e ovviamente ipertecnologica.Dalle immagini in anteprima si evince che sarà una sorta di piccola città votata al rispetto dell’ambiente, di forma circolare che utilizzerà energie rinnovabili.
Il sistema trasporti sarà essenzialmente sotterraneo, in questo modo il contesto della sede resterà immerso nel verde della natura del luogo ben 150 acri ricoperti da alberi a foglie grandi e sempreverdi.Idea analoga è stata intrapresa da Google che per creare la sua nuova sede a Moutain View,California ha addirittura previsto un agglomerato fatto di quattro edifici collocati in zona centrale che declinano i quattro comandamenti di Google ovvero creatività, sostenibilità, efficienza ed unicità.Anche su questa nuova sede c'è la firma degli architetti della Camenzind Evolution, autori già delle sedi Google per le città di Londra, Mosca, Zurigo e Stoccolma.La filosofia ingegneristica usata ha caratteristiche di tipo olistico, dalle immagini si carpisce un ambiente di lavoro equilibrato, sano, vivace, che basa i suoi elementi sul legame tra comunicazione,informatica e socialità,in questo modo si dovrebbe stimolare la creatività degli stessi dipendenti.
Ogni piano dei quattro diversi edifici che rappresentano la sede avranno uno specifico nome “Google Docks“, “Gasworks House“, “Gordon House” e “One Grand Canal“, è sarà personalizzata con riferimento alle esigenze dei creativi che dovranno passarvi la maggior parte della loro giornata; gli edifici avranno materiali, colori, forme e temi differenti: in più vi sarà il piano “Be Green” completamento adibito alle ricerche ecologiche di Google, fornito di un tappeto d’erba sintetica, piante e un grande design che si ispira ad una sorta di grande foresta.La vera novità rispetto al passato è la zona “Appiness” dove saranno sviluppate le nuove App senza disdegnare con divertimento tra strumenti musicali, comodi divani, sale biliardo, divani e molto altro,un ufficio da sogno e anch'esso completamente ecologico.
Arriva il primo PC ad energia solare.
di Valeria Piras
Scoperte ed invenzioni per non ammalare il nostro amato pianeta.
Nel settore della ricerca e delle invenzioni ecosostenibili una posizione importante va riconosciuta ad una recente creazione: il PC portatile che si auto-alimenta con l'energia solare; un apparecchio di alta tecnologia il cui funzionamento può arrivare a ben 10 ore di utilizzo intenso.Si tratta, in pratica, di un particolare laptop all'apparenza simile agli altri ma che invece è in grado di ricaricarsi totalmente esponendolo ai raggi del sole mentre lo si utilizza.E' un computer vero e proprio con installato ‘Ubuntu’ della LInux, un software gratuito facilmente personalizzabile e liberamente modificabile.Il nuovo PC portatile, chiamato dal suo inventore ‘SOL’ sarà sviluppato e a breve messo in commercio dall'azienda informatica canadese ‘WEWI’.
Il suo pregio come detto è la lunga autonomia e l'alimentazione della propria batteria,esponendo il lap per almeno due ore si ottiene una ricarica di circa dieci ore.Andando nello specifico il PC solare ‘SOL’ infatti, è fornito di micro pannelli solari integrati nel dispositivo che vengono aperti dietro allo schermo per iniziare la fase di ricarica della batteria.Il laptop tecnologicamente è di buon livello,ha un display di 13 pollici e una memoria RAM da 2 a 4 Giga, con un'hard disk di 250 GB. Si tratta di un prodotto pensato quindi non solo per essere ecosostenibile ma anche resistente e durevole nel tempo grazie all'utilizzo di materiali forti e rinforzati con un elevato design.
Il PC ad energia solare ‘SOL’ quindi è a tutti gli effetti un prodotto di alta tecnologia ottimo pr essere impiegato soprattutto a lavoro quando si ha esigenza di spostarsi di continuo e non si ha molto tempo a disposizione per ricaricarlo in una normale presa elettrica.L'acquisto di SOL non è ancora possibile ma a breve dovrebbe entrare in commercio ad un prezzo che si agirerebbe sui 400 dollari,circa 300 euro.In attesa di ciò si possono prendere informazioni sul sito della società produttrice www.WEWI.com
Nel settore della ricerca e delle invenzioni ecosostenibili una posizione importante va riconosciuta ad una recente creazione: il PC portatile che si auto-alimenta con l'energia solare; un apparecchio di alta tecnologia il cui funzionamento può arrivare a ben 10 ore di utilizzo intenso.Si tratta, in pratica, di un particolare laptop all'apparenza simile agli altri ma che invece è in grado di ricaricarsi totalmente esponendolo ai raggi del sole mentre lo si utilizza.E' un computer vero e proprio con installato ‘Ubuntu’ della LInux, un software gratuito facilmente personalizzabile e liberamente modificabile.Il nuovo PC portatile, chiamato dal suo inventore ‘SOL’ sarà sviluppato e a breve messo in commercio dall'azienda informatica canadese ‘WEWI’.
Il suo pregio come detto è la lunga autonomia e l'alimentazione della propria batteria,esponendo il lap per almeno due ore si ottiene una ricarica di circa dieci ore.Andando nello specifico il PC solare ‘SOL’ infatti, è fornito di micro pannelli solari integrati nel dispositivo che vengono aperti dietro allo schermo per iniziare la fase di ricarica della batteria.Il laptop tecnologicamente è di buon livello,ha un display di 13 pollici e una memoria RAM da 2 a 4 Giga, con un'hard disk di 250 GB. Si tratta di un prodotto pensato quindi non solo per essere ecosostenibile ma anche resistente e durevole nel tempo grazie all'utilizzo di materiali forti e rinforzati con un elevato design.
Il PC ad energia solare ‘SOL’ quindi è a tutti gli effetti un prodotto di alta tecnologia ottimo pr essere impiegato soprattutto a lavoro quando si ha esigenza di spostarsi di continuo e non si ha molto tempo a disposizione per ricaricarlo in una normale presa elettrica.L'acquisto di SOL non è ancora possibile ma a breve dovrebbe entrare in commercio ad un prezzo che si agirerebbe sui 400 dollari,circa 300 euro.In attesa di ciò si possono prendere informazioni sul sito della società produttrice www.WEWI.com
Lotta comune contro la pesca illegale.
di Valeria Piras
Si chiama overfishing ed è un danno enorme per i mari.
Il pesce è un dono della natura,uno degli alimenti che le persone utilizzano come principale fonte di proteine ma è innegabile che negli ultimi anni una serie di problematiche siano sorte,soprattutto in relazione agli ambienti e ai contesti marini in cui i pesci stessi vivono.I mari si stanno letteralmente svuotando e l'intero sistema della pesca pare entrato in una crisi senza fine.Da anni il cosiddetto problema dell' overfishing è stato affrontato ma le soluzioni sembrano essere poche ed inefficaci.E' innegabile che le istituzioni abbiano una maggiore consapevolezza che il mare debba essere protetto e sfruttato nei limiti delle possibilità ma è evidente che il problema resta sotto gli occhi di tutti e le vie d'uscita poche.Il WWF e Ocean 12 sono alcune delle organizzazioni no profit che in questi anni si battono per salvare i nostri mari dalla pesca selvaggia e dal depauperamento delle risorse ittiche.Le loro statistiche sono impietose,sembra che si stiano esaurendo quasi tutte le principali riserve ittiche mondiali, a causa di attività di pesca illegali ed indiscriminate.
La tecnica dello strascico o anche detto rastrellamento dei fondali è divenuta pratica comune.In questo modo i fondali oceanici vengono saccheggiati anche della quantità di pesce non necessaria.A livello comunitario dal 2010 la Commissione Europea si è molto attivita a riguardo per combattere la pesca illegale e cladestina,quella non dichiarata o che viola le norme di regolazione dei vari Stati membri.Nel luglio scorso infatti è stato stipulato uno specifico accordo legislativo tra la Commissione e gli Stati Uniti,in particolare con il Dipartimento Federale Ambiente e Pesca.Le procedure di negoziazione sono state un utile scambio di informazioni e pareri sul tema della sostenibilità,un argomento che va ovviamente affrontato a carattere globale all'interno di uno schema molto più grande di riforma della politica comune in materia di pesca. Una delle accuse principali che viene fatta ai pescatori del settore è quella di tirare con le reti a bordo delle navi spesso pesci di piccoli dimensioni che non hanno ancora contribuito al popolamento del mare.In questo modo il danno è davvero triplo all'ambiente marino.I pesci di piccole dimensioni vengono poi di solito usati come alimento all'interno dei grandi centri di allevamento invece di essere liberati in acqua al momento della cattura.
Esistono dei veri limiti,delle soglie particolari nella quantità di pesce da pescare per ogni soggetto che svolge attività di pesca ma spesso queste soglie sono superiori a quelle previste dali esperti ittici e comunque raramente sono rispettate perchè molto blandi sono i controlli a posteriori presso il porto.Con la scusa dell'economia e della flessibilità della domanda da parte dei consumatori diventa quindi prassi quella di violare suddette limitazioni.Ma si tratta di una prassi negativa e pericolosa poichè fra circa 40 anni,secondo il WWF,la conseguenza sarebbe gravissima,ovvero l'esaurimento delle scorte di pesce di intere riserve ittiche.Noi cittadini possiamo fare il nostro e cioè dando vita ad un consumo maggiormente consapevole e chiedendo alle nostre istituzioni di vigilare meglio sulla questione e di applicare le regole che comunque risultano esistere.Una più rigida attività normativa per combattere il fenomeno dell' overfishing sarebbe l'ideale e qualcosa a livello europeo sembra si stia muovendo.
Il pesce è un dono della natura,uno degli alimenti che le persone utilizzano come principale fonte di proteine ma è innegabile che negli ultimi anni una serie di problematiche siano sorte,soprattutto in relazione agli ambienti e ai contesti marini in cui i pesci stessi vivono.I mari si stanno letteralmente svuotando e l'intero sistema della pesca pare entrato in una crisi senza fine.Da anni il cosiddetto problema dell' overfishing è stato affrontato ma le soluzioni sembrano essere poche ed inefficaci.E' innegabile che le istituzioni abbiano una maggiore consapevolezza che il mare debba essere protetto e sfruttato nei limiti delle possibilità ma è evidente che il problema resta sotto gli occhi di tutti e le vie d'uscita poche.Il WWF e Ocean 12 sono alcune delle organizzazioni no profit che in questi anni si battono per salvare i nostri mari dalla pesca selvaggia e dal depauperamento delle risorse ittiche.Le loro statistiche sono impietose,sembra che si stiano esaurendo quasi tutte le principali riserve ittiche mondiali, a causa di attività di pesca illegali ed indiscriminate.
La tecnica dello strascico o anche detto rastrellamento dei fondali è divenuta pratica comune.In questo modo i fondali oceanici vengono saccheggiati anche della quantità di pesce non necessaria.A livello comunitario dal 2010 la Commissione Europea si è molto attivita a riguardo per combattere la pesca illegale e cladestina,quella non dichiarata o che viola le norme di regolazione dei vari Stati membri.Nel luglio scorso infatti è stato stipulato uno specifico accordo legislativo tra la Commissione e gli Stati Uniti,in particolare con il Dipartimento Federale Ambiente e Pesca.Le procedure di negoziazione sono state un utile scambio di informazioni e pareri sul tema della sostenibilità,un argomento che va ovviamente affrontato a carattere globale all'interno di uno schema molto più grande di riforma della politica comune in materia di pesca. Una delle accuse principali che viene fatta ai pescatori del settore è quella di tirare con le reti a bordo delle navi spesso pesci di piccoli dimensioni che non hanno ancora contribuito al popolamento del mare.In questo modo il danno è davvero triplo all'ambiente marino.I pesci di piccole dimensioni vengono poi di solito usati come alimento all'interno dei grandi centri di allevamento invece di essere liberati in acqua al momento della cattura.
Esistono dei veri limiti,delle soglie particolari nella quantità di pesce da pescare per ogni soggetto che svolge attività di pesca ma spesso queste soglie sono superiori a quelle previste dali esperti ittici e comunque raramente sono rispettate perchè molto blandi sono i controlli a posteriori presso il porto.Con la scusa dell'economia e della flessibilità della domanda da parte dei consumatori diventa quindi prassi quella di violare suddette limitazioni.Ma si tratta di una prassi negativa e pericolosa poichè fra circa 40 anni,secondo il WWF,la conseguenza sarebbe gravissima,ovvero l'esaurimento delle scorte di pesce di intere riserve ittiche.Noi cittadini possiamo fare il nostro e cioè dando vita ad un consumo maggiormente consapevole e chiedendo alle nostre istituzioni di vigilare meglio sulla questione e di applicare le regole che comunque risultano esistere.Una più rigida attività normativa per combattere il fenomeno dell' overfishing sarebbe l'ideale e qualcosa a livello europeo sembra si stia muovendo.
I migliori sistemi per filtrare l'acqua potabile.
di Valeria Piras
Rendere l'acqua che beviamo più pura è possibile.
L'acqua è la risorsa più importare della terra,l'elemento decisivo e vitale per ogni essere vivente.Va difesa,va tutelata e va purificata qualora sia necessario.L'acqua potabile italiana è nel suo insieme accettabile e sicura anche se la sua composizione microbiologica può essere migliorata. In questo senso allora si sono diffuse negli ultimi anni tecniche e sistemi per filtrare e quindi migliorare la qualità dell'acqua.Un netto ed evidente aumento del livello standard qualitativo della nostra acqua potabile può essere raggiunto solo a monte,cioè migliorando la rete di acquedotti e le reti idriche municipali.Ma anche alcuni sistemi di recente invenzione possono essere utili ed eliminare dall'acqua non solo quel fastidioso sapore di cloro che contraddistingue l'acqua di alcune città ma anche una serie di elementi e metalli disciolti in essa,che sono sempre sotto il limite di legge,ma che la cui assenza è cosa ancora più utile per la nostra salute. Queste tecniche vanno applicate solo su acqua già potabile poichè non compiono il miracolo di purificarla ma solo di filtrarne elementi non utili alla nostra salute.
SISTEMA AI CARBONI ATTIVI
Il grande pregio del sistema con filtri a carboni attivi è la porosità e la capacità di trattenere alcune sostanze, soprattutto inquinanti organici come pesticidi e solventi industriali. E' risaputo che alcuni di questi componenti rendono cattivo l'odore, il colore e il sapore dell'acqua, i carboni attivi vengono impiegati molto sopratutto per ripulire le acque sgradevoli. Non sono però in grado di eliminare batteri e nitrati o ad agire sulla durezza dell'acqua. Il difetto principale di questo sistema è dato dal fatto che i carboni attivi,per loro caratteristica possono diventare un potenziale luogo di proliferazione per alcuni batteri. Per non provocare ciò la legge impone che tali apparecchiature a carboni attivi devono disporre di un sistema che disinfetti l'acqua dopo il trattamento (con raggi UV, ozono, argento).
SISTEMA AD OSMOSI INVERSA
Questa particolare tecnica prevede che l'acqua venga trattata in uno specifico modo alzandone la pressione, attraverso una membrana semimpermeabile, mediante la quale riescono a fluire solo poche sostanze e in determinate quantità. Questa vera filtrazione garantisce risultati migliori rispetto alle altre tecniche meccaniche e soprattutto permette di eliminare i metalli pesanti, i nitrati e altri componenti indesiderati, ma non è ancora scientificamente provato che riesca a debellare i pesticidi e i solventi industriali. Con questa tecnica l'acqua viene separata (osmosi) in due livelli: da una parte viene depositata l'acqua purificata, dall'altra quella scartata (ricca di sali minerali), che di solito è in quantità doppia.
Insomma è importante sottolineare che i filtri domestici possono correggere il sapore di cloro o, con diversi sistemi, eliminare le eventuali tracce di alcuni inquinanti che anche se sono sempre al di sotto dei limiti di legge imposti,possono però se assunti in abbondanza causare problemi di salute come calcoli renali e gastrite.
L'acqua è la risorsa più importare della terra,l'elemento decisivo e vitale per ogni essere vivente.Va difesa,va tutelata e va purificata qualora sia necessario.L'acqua potabile italiana è nel suo insieme accettabile e sicura anche se la sua composizione microbiologica può essere migliorata. In questo senso allora si sono diffuse negli ultimi anni tecniche e sistemi per filtrare e quindi migliorare la qualità dell'acqua.Un netto ed evidente aumento del livello standard qualitativo della nostra acqua potabile può essere raggiunto solo a monte,cioè migliorando la rete di acquedotti e le reti idriche municipali.Ma anche alcuni sistemi di recente invenzione possono essere utili ed eliminare dall'acqua non solo quel fastidioso sapore di cloro che contraddistingue l'acqua di alcune città ma anche una serie di elementi e metalli disciolti in essa,che sono sempre sotto il limite di legge,ma che la cui assenza è cosa ancora più utile per la nostra salute. Queste tecniche vanno applicate solo su acqua già potabile poichè non compiono il miracolo di purificarla ma solo di filtrarne elementi non utili alla nostra salute.
SISTEMA AI CARBONI ATTIVI
Il grande pregio del sistema con filtri a carboni attivi è la porosità e la capacità di trattenere alcune sostanze, soprattutto inquinanti organici come pesticidi e solventi industriali. E' risaputo che alcuni di questi componenti rendono cattivo l'odore, il colore e il sapore dell'acqua, i carboni attivi vengono impiegati molto sopratutto per ripulire le acque sgradevoli. Non sono però in grado di eliminare batteri e nitrati o ad agire sulla durezza dell'acqua. Il difetto principale di questo sistema è dato dal fatto che i carboni attivi,per loro caratteristica possono diventare un potenziale luogo di proliferazione per alcuni batteri. Per non provocare ciò la legge impone che tali apparecchiature a carboni attivi devono disporre di un sistema che disinfetti l'acqua dopo il trattamento (con raggi UV, ozono, argento).
SISTEMA AD OSMOSI INVERSA
Questa particolare tecnica prevede che l'acqua venga trattata in uno specifico modo alzandone la pressione, attraverso una membrana semimpermeabile, mediante la quale riescono a fluire solo poche sostanze e in determinate quantità. Questa vera filtrazione garantisce risultati migliori rispetto alle altre tecniche meccaniche e soprattutto permette di eliminare i metalli pesanti, i nitrati e altri componenti indesiderati, ma non è ancora scientificamente provato che riesca a debellare i pesticidi e i solventi industriali. Con questa tecnica l'acqua viene separata (osmosi) in due livelli: da una parte viene depositata l'acqua purificata, dall'altra quella scartata (ricca di sali minerali), che di solito è in quantità doppia.
Insomma è importante sottolineare che i filtri domestici possono correggere il sapore di cloro o, con diversi sistemi, eliminare le eventuali tracce di alcuni inquinanti che anche se sono sempre al di sotto dei limiti di legge imposti,possono però se assunti in abbondanza causare problemi di salute come calcoli renali e gastrite.
Le energie rinnovabili conquistano mercato.
di Valeria Piras
Nel mercato energetico in rialzo le energie verdi.
Sono stati resi i noti i dati di Agosto riferiti al semestre del 2013 sul contributo delle energie rinnovabili su produzione e domanda elettrica;si tratta di un dato in aumento rispetto al dato originario di inizio anno. In 6 mesi le rinnovabili hanno soddisfatto il 35,9% della richiesta elettrica e il 40,5% dell'offerta. In grande diminuzione l'energia termoelettrica, mentre è sempre con segno positivo il fotovoltaico, con quasi il 20% in più di produzione rispetto allo stesso periodo del 2012. Una cosa è utile sottolineare,sembra in lieve calo la domanda generale di energia elettrica rispetto allo stesso periodo del 2012, sebbene si sia comunque manifestata una richiesta decisamente più elevata del mese precedente (29,9 TWh contro 25,7 TWh).Il calo rispetto al 2012 è di circa 3-4%.
Quello che comunque rende ottimisti è appunto l'elevato apporto energetico giunto dalle rinnovabili elettriche che sulla produzione risultano del 40,5% e sulla domanda del 35,9% senza considerare il contributo delle biomasse che però meritano un discorso a parte ed una classificazione specifica.Sempre in costante crescita poi la quota di energia realizzata tramite apparecchiature fotovoltaiche che sulla produzione netta segnano un forte +11,1%. Sulla richiesta di elettricità il fotovoltaico ha soddisfatto invece il 9,87%.L'energia termoelettrica,la più inquinante del blocco potremmo definirla,in questo semestre ha segnato un calo molto forte,circa il 14% in meno rispetto al luglio 2012. Invece discorso diverso è per l'idroelettrico che secondo i dati dell'Agenzia Territoriale Energia ha invece prodotto un buon aumento del 18,8%; dati di minor impatto invece per ciò che attiene alla tecnologia geotermica che conquista solo un aumento del 4% sull'anno passato; stranamente in calo invece l'energia eolica che a sorpresa ha riportato una forte diminuzione di impiego del 17%.Una cosa che rende felice tutti,istituzioni,ambientalisti e tecnici è inoltre un dato importante e cioè che ben l'89% del fabbisogno energetico del nostro paese è stato soddisfatto dalla produzione nazionale e solo il restante 11% invece ottenutio tramite importazioni di energia dall'estero,rispetto al 2012 un netto aumento del 10% a favore delle fonti energetiche interne.
La potenza massima richiesta dall'intera nazione si è avuta in data 29 luglio alle ore 12:30 con una richiesta di 53.942 MW.Ciò che risulta lusinghiero dai dati dell'Agenzia è quindi non solo il fatto che il paese riesca finalmente a soddisfare da solo o quasi il proprio fabbisogno energetico ma soprattutto che ogni forma di energia rinnovabile risulta in aumento rispetto al medesimo periodo dell'anno precedente.Questo ci fa intuire che sia la popolazione che le istiruzioni abbiano finalmente capito la gravità del problema e si siano immessi in un sentiero finalizzato al rispetto dell'ambiente e dell'atmosfera senza con questo deludere la richiesta energetica nazionale, comunque elevata.Non possiamo che affermare che c'è speranza per il futuro del nostro ambiente.
Sono stati resi i noti i dati di Agosto riferiti al semestre del 2013 sul contributo delle energie rinnovabili su produzione e domanda elettrica;si tratta di un dato in aumento rispetto al dato originario di inizio anno. In 6 mesi le rinnovabili hanno soddisfatto il 35,9% della richiesta elettrica e il 40,5% dell'offerta. In grande diminuzione l'energia termoelettrica, mentre è sempre con segno positivo il fotovoltaico, con quasi il 20% in più di produzione rispetto allo stesso periodo del 2012. Una cosa è utile sottolineare,sembra in lieve calo la domanda generale di energia elettrica rispetto allo stesso periodo del 2012, sebbene si sia comunque manifestata una richiesta decisamente più elevata del mese precedente (29,9 TWh contro 25,7 TWh).Il calo rispetto al 2012 è di circa 3-4%.
Quello che comunque rende ottimisti è appunto l'elevato apporto energetico giunto dalle rinnovabili elettriche che sulla produzione risultano del 40,5% e sulla domanda del 35,9% senza considerare il contributo delle biomasse che però meritano un discorso a parte ed una classificazione specifica.Sempre in costante crescita poi la quota di energia realizzata tramite apparecchiature fotovoltaiche che sulla produzione netta segnano un forte +11,1%. Sulla richiesta di elettricità il fotovoltaico ha soddisfatto invece il 9,87%.L'energia termoelettrica,la più inquinante del blocco potremmo definirla,in questo semestre ha segnato un calo molto forte,circa il 14% in meno rispetto al luglio 2012. Invece discorso diverso è per l'idroelettrico che secondo i dati dell'Agenzia Territoriale Energia ha invece prodotto un buon aumento del 18,8%; dati di minor impatto invece per ciò che attiene alla tecnologia geotermica che conquista solo un aumento del 4% sull'anno passato; stranamente in calo invece l'energia eolica che a sorpresa ha riportato una forte diminuzione di impiego del 17%.Una cosa che rende felice tutti,istituzioni,ambientalisti e tecnici è inoltre un dato importante e cioè che ben l'89% del fabbisogno energetico del nostro paese è stato soddisfatto dalla produzione nazionale e solo il restante 11% invece ottenutio tramite importazioni di energia dall'estero,rispetto al 2012 un netto aumento del 10% a favore delle fonti energetiche interne.
La potenza massima richiesta dall'intera nazione si è avuta in data 29 luglio alle ore 12:30 con una richiesta di 53.942 MW.Ciò che risulta lusinghiero dai dati dell'Agenzia è quindi non solo il fatto che il paese riesca finalmente a soddisfare da solo o quasi il proprio fabbisogno energetico ma soprattutto che ogni forma di energia rinnovabile risulta in aumento rispetto al medesimo periodo dell'anno precedente.Questo ci fa intuire che sia la popolazione che le istiruzioni abbiano finalmente capito la gravità del problema e si siano immessi in un sentiero finalizzato al rispetto dell'ambiente e dell'atmosfera senza con questo deludere la richiesta energetica nazionale, comunque elevata.Non possiamo che affermare che c'è speranza per il futuro del nostro ambiente.
Auto ibrida.La scelta giusta per l'ambiente.
di Valeria Piras
Il settore dell'ibrido opzione ecologica importante.
In passato allo scopo di abbattere i costi inerenti i carburanti e anche per dare una maggiore attenzione all'ambiente si era avuto un vero boom delle auto alimentate con gpl.Da alcuni anni invece la vera novità è rappresentata dalle autovetture ibride,davvero utili per azzerare o quasi le emissioni di CO2.Forse la scelta più netta sarebbe il ricorso alle auto elettriche ma le problematiche sia sistemiche che strutturali su tale tecnologia rimangono ancora.Quindi sono le auto ibride il miglior compromesso tra una vettura tradizionale e una alimentata a batterie. Ma partendo dal risparmio sui consumi,è sufficiente acquistare un’auto ibrida per abbattere i costi?La risposta non è sempre si.Infatti molto dipende anche dal modo in cui l'auto viene guidata.Lo stile di guida deve adattarsi alla nuova tecnologia soprattutto al passaggio tra sistema elettrico e termico, per poter davvero risparmiare sul carburante.Andando nello specifico del funzionamento,le automobili ibride hanno la caratteristica di possedere ben due motori: uno termico, cioè a benzina o diesel, e uno elettrico, che trae alimentazione da un supporto di batterie, come avviene sulle vetture elettriche. In questo momento non esistono ancora auto ibride a gpl o auto ibride a metano.
Quando un'auto ha due motori questo permette di ottimizzare le situazioni a seconda dei momenti e dei percorsi: è risaputo che i motori benzina consumano maggiormente nelle fasi di ripartenza da fermo in città, mentre garantiscono minor consumi ed emissioni nei percorsi a velocità costante, una volta lanciata l’auto. Quindi nella fase di partenza oppure a marce basse ecco la presenza dell'ibrido,sia per risparmiare carburante sia per inquinare molto di meno. I pregi notevoli della tecnolgia ibrida sono infatti evidenti nei percorsi cittadini e nella fase iniziale dell'accelerazione, in questa fase infatti i due motori si attivano in maniera combinata per garantire la potenza necessaria.La stabilità ed il funzionamento della tecnologia ibrida avviene in modo automatica, come anche il recupero dell’energia nelle fasi di frenata, una tecnica davvero utile per ricaricare le batterie del motore elettrico. Inoltre molti modelli ibridi permettono di installare uno strumento di selezione per meglio scegliere la modalità di funzionamento dell’auto: ibrida, esclusivamente elettrica e, su alcuni modelli, anche 4×4. Una utile novità,performante e ecologica è poi la possibilità di montare i due diversi propulsori su assi diversi della macchina.
Di solito il motore benzina o diesel all’anteriore, quello elettrico sull’asse posteriore.Attraverso un utilizzo elettronico dei due sistemi, si riesce a garantire una vera trazione integrale senza necessità di ingombranti alberi di trasmissione che corrono lungo l’auto per portare la potenza anche alle ruote posteriori.Esistono poi dei particolari modelli che ci danno la possibilità di impostare la modalità di marcia esclusivamente elettrica, con il motore termico spento, si chiamano auto full hybrid, a loro volta sviluppate anche in auto ibride plug-in, ovvero quando rendono possibile ricaricare la batteria direttamente dalla rete elettrica.Forse questi modelli rappresento l'evoluzione prossima del comparto,di sicuro è la tecnologia ibrida la tecnologia più prossima e decisiva per abbattere le emissioni di CO2 e iniziare a salvare il nostro ambiente.
In passato allo scopo di abbattere i costi inerenti i carburanti e anche per dare una maggiore attenzione all'ambiente si era avuto un vero boom delle auto alimentate con gpl.Da alcuni anni invece la vera novità è rappresentata dalle autovetture ibride,davvero utili per azzerare o quasi le emissioni di CO2.Forse la scelta più netta sarebbe il ricorso alle auto elettriche ma le problematiche sia sistemiche che strutturali su tale tecnologia rimangono ancora.Quindi sono le auto ibride il miglior compromesso tra una vettura tradizionale e una alimentata a batterie. Ma partendo dal risparmio sui consumi,è sufficiente acquistare un’auto ibrida per abbattere i costi?La risposta non è sempre si.Infatti molto dipende anche dal modo in cui l'auto viene guidata.Lo stile di guida deve adattarsi alla nuova tecnologia soprattutto al passaggio tra sistema elettrico e termico, per poter davvero risparmiare sul carburante.Andando nello specifico del funzionamento,le automobili ibride hanno la caratteristica di possedere ben due motori: uno termico, cioè a benzina o diesel, e uno elettrico, che trae alimentazione da un supporto di batterie, come avviene sulle vetture elettriche. In questo momento non esistono ancora auto ibride a gpl o auto ibride a metano.
Quando un'auto ha due motori questo permette di ottimizzare le situazioni a seconda dei momenti e dei percorsi: è risaputo che i motori benzina consumano maggiormente nelle fasi di ripartenza da fermo in città, mentre garantiscono minor consumi ed emissioni nei percorsi a velocità costante, una volta lanciata l’auto. Quindi nella fase di partenza oppure a marce basse ecco la presenza dell'ibrido,sia per risparmiare carburante sia per inquinare molto di meno. I pregi notevoli della tecnolgia ibrida sono infatti evidenti nei percorsi cittadini e nella fase iniziale dell'accelerazione, in questa fase infatti i due motori si attivano in maniera combinata per garantire la potenza necessaria.La stabilità ed il funzionamento della tecnologia ibrida avviene in modo automatica, come anche il recupero dell’energia nelle fasi di frenata, una tecnica davvero utile per ricaricare le batterie del motore elettrico. Inoltre molti modelli ibridi permettono di installare uno strumento di selezione per meglio scegliere la modalità di funzionamento dell’auto: ibrida, esclusivamente elettrica e, su alcuni modelli, anche 4×4. Una utile novità,performante e ecologica è poi la possibilità di montare i due diversi propulsori su assi diversi della macchina.
Di solito il motore benzina o diesel all’anteriore, quello elettrico sull’asse posteriore.Attraverso un utilizzo elettronico dei due sistemi, si riesce a garantire una vera trazione integrale senza necessità di ingombranti alberi di trasmissione che corrono lungo l’auto per portare la potenza anche alle ruote posteriori.Esistono poi dei particolari modelli che ci danno la possibilità di impostare la modalità di marcia esclusivamente elettrica, con il motore termico spento, si chiamano auto full hybrid, a loro volta sviluppate anche in auto ibride plug-in, ovvero quando rendono possibile ricaricare la batteria direttamente dalla rete elettrica.Forse questi modelli rappresento l'evoluzione prossima del comparto,di sicuro è la tecnologia ibrida la tecnologia più prossima e decisiva per abbattere le emissioni di CO2 e iniziare a salvare il nostro ambiente.
Energia eolica.La più pulita del pianeta.
di Valeria Piras
Scopriamo come si produce energia dal vento.
Parlando energia verde,pulita e alternativa,è importante fissare un principio,l’energia più ecologica è quella che non viene consumata e che non deve , quindi , essere prodotta. Un esempio chiaro quindi della fonte energetica migliore è quella eolica, una fonte rinnovabile, poiché non richiede alcun tipo di combustibile, ma si produce utilizzando l’energia cinetica del vento, e tramutandola e convertendola in energia meccanica e poi in energia elettrica. E’ una delle più pulite fonti energetiche infatti non provoca emissioni dannose per l’uomo e per l’ambiente. L’utilizzo sistematico dell’energia eolica risale ad epoche lontanissime: un chiaro esempio sono i mulini a vento dei popoli antichi che utilizzavano questo tipo di energia per ricavare energia meccanica da usare nelle più varie applicazioni, come la macinazione,il pompaggio dell’acqua e le grosse imbarcazioni a vela usavano invece il vento come forza motrice per poter navigare.
Solamente agli inizi del ‘900 in Danimarca fu realizzato il primo vero e proprio generatore eolico accoppiando due dinamo da 9 KW ad un motore ad alette a quattro pale. Le particelle dell’aria del vento, essendo in movimento, sono dotate di una specifica energia cinetica che può essere veicolata verso un mezzo che venga interposto: i generatori eolici o aerogeneratori trasformano direttamente l’energia cinetica del vento in energia meccanica, che verrà poi dopo usata per la generazione di energia elettrica.Quasi tutti gli aerogeneratori installati sono ad asse orizzontale, con asse di trasmissione parallelo al suolo. Il sostegno è dotato poi sull’estremità di una gondola o navicella, che è in grado di ruotare rispetto al sostegno, con la chiara finalità di mantenere l’asse della macchina sempre parallelo alla direzione del vento (orizzontale).Nella gondola vengono alloggiati in modo stabile: l’albero di trasmissione lento, il moltiplicatore di giri, l’albero veloce, il generatore elettrico e i dispositivi ausiliari; alla sommità della gondola è fissato poi il rotore, costituito da un mozzo sul quale sono applicate le pale (1.2 o 3 con diametro da 10 a 40m.).
Le pale sono costruite in fibra di vetro; dalle loro dimensioni e caratteristiche dipende la quantità di area spazzata. La regolazione della velocità di rotazione del rotore avviene attraverso la variazione dell’angolo di inclinazione delle pale.La forma che possiede la pala è realizzata di modo che il flusso dell’aria che le investe azioni il rotore; dal rotore, l’energia cinetica del vento viene poi condotta ad un generatore di corrente collegato ai sistemi di controllo e trasformazione così facendo inizia la produzione di elettricità. L’aerogeneratore funziona in base alla forza del vento, al di sotto di una certa velocità la macchina è incapace di partire; affinchè si garantisca la partenza è necessario che la velocità raggiunga una soglia minima di inserimento. Durante il funzionamento, si definisce funzionalità del vento "nominale" la minima velocità del vento necessaria per permettere alla macchina di fornire la potenza di progetto: se però si manifesta una elevata velocità l’aerogeneratore viene posto fuori servizio per motivi di sicurezza. Gli aerogeneratori vengono costruiti in posti ben elevati , affinché possano utilizzare al meglio il vento; un piccolo impianto ad esempio andrebbe elevato almeno a 18 metri, una struttura di grandi dimensioni invece ad almeno 30 metri di altezza.Le centrali eoliche sono il futuro dell’energia verde,un mezzo da sfruttare con maggiore intensità essendo la forma di energia più pulita presente sul nostro pianeta.
Parlando energia verde,pulita e alternativa,è importante fissare un principio,l’energia più ecologica è quella che non viene consumata e che non deve , quindi , essere prodotta. Un esempio chiaro quindi della fonte energetica migliore è quella eolica, una fonte rinnovabile, poiché non richiede alcun tipo di combustibile, ma si produce utilizzando l’energia cinetica del vento, e tramutandola e convertendola in energia meccanica e poi in energia elettrica. E’ una delle più pulite fonti energetiche infatti non provoca emissioni dannose per l’uomo e per l’ambiente. L’utilizzo sistematico dell’energia eolica risale ad epoche lontanissime: un chiaro esempio sono i mulini a vento dei popoli antichi che utilizzavano questo tipo di energia per ricavare energia meccanica da usare nelle più varie applicazioni, come la macinazione,il pompaggio dell’acqua e le grosse imbarcazioni a vela usavano invece il vento come forza motrice per poter navigare.
Solamente agli inizi del ‘900 in Danimarca fu realizzato il primo vero e proprio generatore eolico accoppiando due dinamo da 9 KW ad un motore ad alette a quattro pale. Le particelle dell’aria del vento, essendo in movimento, sono dotate di una specifica energia cinetica che può essere veicolata verso un mezzo che venga interposto: i generatori eolici o aerogeneratori trasformano direttamente l’energia cinetica del vento in energia meccanica, che verrà poi dopo usata per la generazione di energia elettrica.Quasi tutti gli aerogeneratori installati sono ad asse orizzontale, con asse di trasmissione parallelo al suolo. Il sostegno è dotato poi sull’estremità di una gondola o navicella, che è in grado di ruotare rispetto al sostegno, con la chiara finalità di mantenere l’asse della macchina sempre parallelo alla direzione del vento (orizzontale).Nella gondola vengono alloggiati in modo stabile: l’albero di trasmissione lento, il moltiplicatore di giri, l’albero veloce, il generatore elettrico e i dispositivi ausiliari; alla sommità della gondola è fissato poi il rotore, costituito da un mozzo sul quale sono applicate le pale (1.2 o 3 con diametro da 10 a 40m.).
Le pale sono costruite in fibra di vetro; dalle loro dimensioni e caratteristiche dipende la quantità di area spazzata. La regolazione della velocità di rotazione del rotore avviene attraverso la variazione dell’angolo di inclinazione delle pale.La forma che possiede la pala è realizzata di modo che il flusso dell’aria che le investe azioni il rotore; dal rotore, l’energia cinetica del vento viene poi condotta ad un generatore di corrente collegato ai sistemi di controllo e trasformazione così facendo inizia la produzione di elettricità. L’aerogeneratore funziona in base alla forza del vento, al di sotto di una certa velocità la macchina è incapace di partire; affinchè si garantisca la partenza è necessario che la velocità raggiunga una soglia minima di inserimento. Durante il funzionamento, si definisce funzionalità del vento "nominale" la minima velocità del vento necessaria per permettere alla macchina di fornire la potenza di progetto: se però si manifesta una elevata velocità l’aerogeneratore viene posto fuori servizio per motivi di sicurezza. Gli aerogeneratori vengono costruiti in posti ben elevati , affinché possano utilizzare al meglio il vento; un piccolo impianto ad esempio andrebbe elevato almeno a 18 metri, una struttura di grandi dimensioni invece ad almeno 30 metri di altezza.Le centrali eoliche sono il futuro dell’energia verde,un mezzo da sfruttare con maggiore intensità essendo la forma di energia più pulita presente sul nostro pianeta.
Le biomasse.Nuova soluzione energetica.
di Valeria Piras
Energie alternative per salvare il nostro ambiente.
Negli ultimi anni hanno avuto una grande diffusione in vari settori i biocombustibili.Energie alternative di origine naturale che promettono di risolvere il fabbisogno energetico di intere zone con emissioni zero,riducendo quindi l'impatto ambientale.Si parla di biomasse poichè l'energia viene realizzata partendo da masse di origine biologica e attraverso processi di sintesi,tramutate in calore.
ETANOLO - E' un prodotto utilizzabile anche nei motori a combustione interna,anche se in questo caso l'utilizzo è ancora residuale;infatti negli anni '70 l’iniziale grande disponibilità ed il basso costo degli idrocarburi avevano bloccato il suo rapido uso come combustibile, poi dopo la grave crisi petrolifera del 1977 sono stati studiati altri prodotti per sostituire il carburante tipico (benzina e gasolio); sulla base di suddette analisi il biocombustibile che mostra il miglior rapporto tra prezzo, disponibilità e prestazioni è proprio l’etanolo. La procedura di sintesi dell’etanolo da biomassa è sviluppata in quattro stadi:produzione della biomassa fissando la CO2 atmosferica in carbonio organico, conversione della biomassa in un’alimentazione utilizzabile per la fermentazione (sotto forma di zucchero) utilizzando uno dei processi tecnologici disponibili: questa conversione costituisce lo stadio che differenzia le varie soluzioni tecnologiche nella sintesi del bioetanolo.Abbiamo infatti la fermentazione degli intermedi della biomassa usando biocatalizzatori (microrganismi come lievito e batteri) che ci permette di creare etanolo in una soluzione poco concentrata: questa è sicuramente la più antica forma di biotecnologia sviluppata dall’uomo.Inoltre se si processa il prodotto della fermentazione si riesce ad ottenere etanolo combustibile o anche dei sottoprodotti utilizzabili nella produzione di altri combustibili, composti chimici, calore ed energia elettrica.Questi particolari processi, anche se molto diversi fra loro,prevedono come ultimo stadio di sintesi la fermentazione. La fermentazione alcolica è un complesso processo che opera la trasformazione dei glucidi contenuti nelle produzioni vegetali in bio-etanolo.
METANOLO - Un altro combustile alternativo diverso è il metanolo: un articolato composto chimico di sintesi prodotto principalmente da gas naturale (LNG) o da carbone. E' un combustile intermedio dell'industria chimica, impiegato nella produzione di acido acetico, resine, MTBE e altri chemicals. Ultimamente sta acquisendo sempre più importanza come prodotto energetico, grazie alle sue buone caratteristiche di carburante per autotrazione, qualità già conosciute da anni ma rilanciate negli ultimi decenni soprattutto in Cina,dove è stato individuato l'impiego del metanolo per autotrazione,in particolare quello prodotto da carbone locale; una valida alternativa all'importazione di greggio. Da due anni poi si sta sperimentando un derivato del metanolo, il di-metil-etere (DME), ottimo GPL di sintesi. Sempre nel campo energetico il metanolo trova impiego nelle fuel cells. Recenti studi hanno dimostrato che l'utilizzo di metanolo può essere utilissimo per la produzione di olefine, attraverso il processo detto MTO (Methanol-To-Olefins).Il mercato mondiale del metanolo per il 2014 è stimato in 40 milioni di tonnellate,il 13% in più rispetto all'anno precedente.Un dato che parla da solo.
Negli ultimi anni hanno avuto una grande diffusione in vari settori i biocombustibili.Energie alternative di origine naturale che promettono di risolvere il fabbisogno energetico di intere zone con emissioni zero,riducendo quindi l'impatto ambientale.Si parla di biomasse poichè l'energia viene realizzata partendo da masse di origine biologica e attraverso processi di sintesi,tramutate in calore.
ETANOLO - E' un prodotto utilizzabile anche nei motori a combustione interna,anche se in questo caso l'utilizzo è ancora residuale;infatti negli anni '70 l’iniziale grande disponibilità ed il basso costo degli idrocarburi avevano bloccato il suo rapido uso come combustibile, poi dopo la grave crisi petrolifera del 1977 sono stati studiati altri prodotti per sostituire il carburante tipico (benzina e gasolio); sulla base di suddette analisi il biocombustibile che mostra il miglior rapporto tra prezzo, disponibilità e prestazioni è proprio l’etanolo. La procedura di sintesi dell’etanolo da biomassa è sviluppata in quattro stadi:produzione della biomassa fissando la CO2 atmosferica in carbonio organico, conversione della biomassa in un’alimentazione utilizzabile per la fermentazione (sotto forma di zucchero) utilizzando uno dei processi tecnologici disponibili: questa conversione costituisce lo stadio che differenzia le varie soluzioni tecnologiche nella sintesi del bioetanolo.Abbiamo infatti la fermentazione degli intermedi della biomassa usando biocatalizzatori (microrganismi come lievito e batteri) che ci permette di creare etanolo in una soluzione poco concentrata: questa è sicuramente la più antica forma di biotecnologia sviluppata dall’uomo.Inoltre se si processa il prodotto della fermentazione si riesce ad ottenere etanolo combustibile o anche dei sottoprodotti utilizzabili nella produzione di altri combustibili, composti chimici, calore ed energia elettrica.Questi particolari processi, anche se molto diversi fra loro,prevedono come ultimo stadio di sintesi la fermentazione. La fermentazione alcolica è un complesso processo che opera la trasformazione dei glucidi contenuti nelle produzioni vegetali in bio-etanolo.
METANOLO - Un altro combustile alternativo diverso è il metanolo: un articolato composto chimico di sintesi prodotto principalmente da gas naturale (LNG) o da carbone. E' un combustile intermedio dell'industria chimica, impiegato nella produzione di acido acetico, resine, MTBE e altri chemicals. Ultimamente sta acquisendo sempre più importanza come prodotto energetico, grazie alle sue buone caratteristiche di carburante per autotrazione, qualità già conosciute da anni ma rilanciate negli ultimi decenni soprattutto in Cina,dove è stato individuato l'impiego del metanolo per autotrazione,in particolare quello prodotto da carbone locale; una valida alternativa all'importazione di greggio. Da due anni poi si sta sperimentando un derivato del metanolo, il di-metil-etere (DME), ottimo GPL di sintesi. Sempre nel campo energetico il metanolo trova impiego nelle fuel cells. Recenti studi hanno dimostrato che l'utilizzo di metanolo può essere utilissimo per la produzione di olefine, attraverso il processo detto MTO (Methanol-To-Olefins).Il mercato mondiale del metanolo per il 2014 è stimato in 40 milioni di tonnellate,il 13% in più rispetto all'anno precedente.Un dato che parla da solo.
Energia pulita dal carbone.E' possibile?
di Valeria Piras
Una risorsa vecchia da potenziare e purificare.
E’ possibile produrre energia con il carbone in modo pulito e non inquinante? Questo è l’obiettivo dei due progetti sperimentali che la Regione Sardegna ha deciso di avviare nel Sulcis. Il sistema metodologico da mettere alla prova è definito ossido-combustione, ed è un sistema di cattura della CO2 anzi,da molti è definito il più promettente sistema a livello di efficienza.
La cattura della CO2 viene garantita in modo rapido attraverso tre tecniche diverse: la post-combustione, quando l’anidride carbonica è catturata dai fumi esausti della combustione e assorbita in un solvente chimico; la pre-combustione, quando il combustibile viene trasformato in una miscela di idrogeno e anidride carbonica prima della combustione, usando la gassificazione; l’ossi-combustione, quando l’ossigeno è diviso dall’aria prima della combustione e poi miscelato con il combustibile in una caldaia ad altissima pressione. Questo terzo metodo produce, come rifiuti esterni, solo vapore e anidride carbonica concentrata: la più facile da fare oggetto di trattamenti e tecniche di stoccaggio sicuro.
Il progetto della Regione Sardegna è stato annunciato dal presidente della Regione durante la presentazione del “Protocollo d’intesa per lo sviluppo di un Polo tecnologico per il carbone pulito nell’area del Sulcis Iglesiente”: un programma ambizioso e diviso in due fasi, che prevede per primo la creazione di un centro di ricerca sull’ossi-combustione e, successivamente, la vera e propria centrale di stoccaggio. Il centro di ricerca sull’ossi-combustione, sarà realizzato entro due o tre anni e avrà una struttura tecnologia evoluta dalla potenza di 50 MWt. La seconda fase del progetto riguarderà la realizzazione di una centrale elettrica con tecnologia Carbon Capture and Storage (CCS) per la conservazione dell’anidride carbonica nel sottosuolo del Sulcis, entro il 2016. Finalmente anche in Italia si muovono i primi passi per la produzione sistematica di energia pulita.
E’ possibile produrre energia con il carbone in modo pulito e non inquinante? Questo è l’obiettivo dei due progetti sperimentali che la Regione Sardegna ha deciso di avviare nel Sulcis. Il sistema metodologico da mettere alla prova è definito ossido-combustione, ed è un sistema di cattura della CO2 anzi,da molti è definito il più promettente sistema a livello di efficienza.
La cattura della CO2 viene garantita in modo rapido attraverso tre tecniche diverse: la post-combustione, quando l’anidride carbonica è catturata dai fumi esausti della combustione e assorbita in un solvente chimico; la pre-combustione, quando il combustibile viene trasformato in una miscela di idrogeno e anidride carbonica prima della combustione, usando la gassificazione; l’ossi-combustione, quando l’ossigeno è diviso dall’aria prima della combustione e poi miscelato con il combustibile in una caldaia ad altissima pressione. Questo terzo metodo produce, come rifiuti esterni, solo vapore e anidride carbonica concentrata: la più facile da fare oggetto di trattamenti e tecniche di stoccaggio sicuro.
Il progetto della Regione Sardegna è stato annunciato dal presidente della Regione durante la presentazione del “Protocollo d’intesa per lo sviluppo di un Polo tecnologico per il carbone pulito nell’area del Sulcis Iglesiente”: un programma ambizioso e diviso in due fasi, che prevede per primo la creazione di un centro di ricerca sull’ossi-combustione e, successivamente, la vera e propria centrale di stoccaggio. Il centro di ricerca sull’ossi-combustione, sarà realizzato entro due o tre anni e avrà una struttura tecnologia evoluta dalla potenza di 50 MWt. La seconda fase del progetto riguarderà la realizzazione di una centrale elettrica con tecnologia Carbon Capture and Storage (CCS) per la conservazione dell’anidride carbonica nel sottosuolo del Sulcis, entro il 2016. Finalmente anche in Italia si muovono i primi passi per la produzione sistematica di energia pulita.
Le caratteristiche basilari dei pannelli solari.
di Valeria Piras
Una risorsa energetica ricca di potenzialità.
Uno dei mezzi principali per produrre energia verde,pulita e in modo non inquinante è certamente quello di ricorrere al pannello solare.Ma come funziona questo strumento e quali sono i suoi pregi principali?Il pannello solare serve essenzialmente a catturare l'energia che giunge dal Sole sulla Terra e a riutilizzarla per produrre acqua ad una temperatura fino ai 60 -70°C. L'insolazione è però molto condizionata dalla nuvolosità e dall'orientamento del pannello rispetto al sole; ovviamente un pannello è in grado di produrre più energia solare quando è più orientato verso il sole. I moderni pannelli vengono spesso dotati un vero motore guida,un sistema che riesce a seguire la traiettoria apparente del sole,ma spesso si tratta di apparecchiature molto costose e non adatte al largo consumo,il costo dei sistemi di inseguimento e la loro manutenzione sono certamente un freno al loro utilizzo che resta comunque sempre valido. Il pannello fisso resta certamente il più diffuso e il migliore in termini di resa e costo;va orientato a sud ed inclinato di 10 gradi in meno rispetto alla latitudine del luogo se deve produrre acqua calda, 10 gradi in più se serve per il riscaldamento. L'Italia per fortuna è un paese con un buon livello di irraggiamento,con una media di circa 5-6 kwh/mq/giorno, ciò significa che in concreto l'energia solare reale su 4mq di pannelli solari è in grado di produrre energia per il 70% circa del fabbisogno di acqua calda di una famiglia di 4 persone.
L'acqua calda prodotta, convogliata in uno specifico serbatoio, potrà essere poi utilizzata per gli usi sanitari di casa, oppure per riscaldare piscine o servire le esigenze di alberghi, scuole, camping.I pannelli solari di solito vengono catalogati in alcune tipologie principali: scoperti (senza vetro), vetrati (o piani) e sottovuoto (o con tubo evacuato).Il pannello solare più usato è quello vetrato che ha una struttura così costituita: un assorbitore della luce solare, ovvero una lastra simile ad un radiatore (fatto di acciaio o rame), all'interno di essa è presente un fascio di tubi in cui scorre il liquido del circuito primario finalizzato ad essere riscaldato. Tale liquido è di solito acqua addizionata con antigelo in modo da resistere al freddo invernale senza congelarsi. Una piastra di vetro trasparente, posta superiormente all'assorbitore, che ha lo scopo di agevolare il passaggio dei raggi solari. L'assorbitore, riscaldandosi, prodice energia sotto forma di radiazione infrarossa: il vetro però impedisce a tali radiazioni di disperdersi all’esterno perché è opacizzato (effetto serra). Nella parte inferiore del pannello è posto poi un isolante termico (in fibra di vetro o in poliuretano espanso privo) che permette di eliminare la dispersione di calore. Il pannello infine è chiuso dietro da una scocca, di solito costituita da lamiera in ferro zincato. Il tutto (vetro, assorbitore e fascio tubiero, isolante termico e scocca posteriore) è tenuto insieme tramite un case che assembla le parti e dona all’intero pannello robustezza e stabilità.
Il serbatoio di accumulo dell'acqua contiene uno scambiatore di calore ad intercapedine,in esso circola il liquido del circuito primario che, cedendo il calore ricevuto dal sole, riscalda l'acqua del serbatoio e crea energia.Quindi nel serbatoio (che ha la funzione di conservare il calore) sono presenti due circuiti idraulici separati: quello primario del pannello, in cui circola il liquido che il sole riscalda e quello secondario in cui circola acqua e che é collegato all'impianto idraulico di casa. La dimensione ottimale dell'accumulatore permette di soddisfare al meglio le esigenze e dipende dalle condizioni climatiche e dal tipo di fabbisogno dell'energia. Se si valutano accuratamente sia gli aspetti tecnici che economici il campo dei valori ottimali è quasi sempre compreso tra i 50 e i 100 lt per mq di area abitata. Oltre alla struttura, l'isolamento del boiler rappresenta un fattore importante nel buon funzionamento del sistema in quanto, diminuendo l'energia dispersa, aumenta quella disponibile per l’utente. E' basilare quindi controllare spesso il grado di isolamento dei bollitori, soprattutto se sono esterni come succede negli impianti a circolazione naturale.In questo modo efficienza energetica e rispetto per l’ambiente saranno agevolmente garantiti.
Uno dei mezzi principali per produrre energia verde,pulita e in modo non inquinante è certamente quello di ricorrere al pannello solare.Ma come funziona questo strumento e quali sono i suoi pregi principali?Il pannello solare serve essenzialmente a catturare l'energia che giunge dal Sole sulla Terra e a riutilizzarla per produrre acqua ad una temperatura fino ai 60 -70°C. L'insolazione è però molto condizionata dalla nuvolosità e dall'orientamento del pannello rispetto al sole; ovviamente un pannello è in grado di produrre più energia solare quando è più orientato verso il sole. I moderni pannelli vengono spesso dotati un vero motore guida,un sistema che riesce a seguire la traiettoria apparente del sole,ma spesso si tratta di apparecchiature molto costose e non adatte al largo consumo,il costo dei sistemi di inseguimento e la loro manutenzione sono certamente un freno al loro utilizzo che resta comunque sempre valido. Il pannello fisso resta certamente il più diffuso e il migliore in termini di resa e costo;va orientato a sud ed inclinato di 10 gradi in meno rispetto alla latitudine del luogo se deve produrre acqua calda, 10 gradi in più se serve per il riscaldamento. L'Italia per fortuna è un paese con un buon livello di irraggiamento,con una media di circa 5-6 kwh/mq/giorno, ciò significa che in concreto l'energia solare reale su 4mq di pannelli solari è in grado di produrre energia per il 70% circa del fabbisogno di acqua calda di una famiglia di 4 persone.
L'acqua calda prodotta, convogliata in uno specifico serbatoio, potrà essere poi utilizzata per gli usi sanitari di casa, oppure per riscaldare piscine o servire le esigenze di alberghi, scuole, camping.I pannelli solari di solito vengono catalogati in alcune tipologie principali: scoperti (senza vetro), vetrati (o piani) e sottovuoto (o con tubo evacuato).Il pannello solare più usato è quello vetrato che ha una struttura così costituita: un assorbitore della luce solare, ovvero una lastra simile ad un radiatore (fatto di acciaio o rame), all'interno di essa è presente un fascio di tubi in cui scorre il liquido del circuito primario finalizzato ad essere riscaldato. Tale liquido è di solito acqua addizionata con antigelo in modo da resistere al freddo invernale senza congelarsi. Una piastra di vetro trasparente, posta superiormente all'assorbitore, che ha lo scopo di agevolare il passaggio dei raggi solari. L'assorbitore, riscaldandosi, prodice energia sotto forma di radiazione infrarossa: il vetro però impedisce a tali radiazioni di disperdersi all’esterno perché è opacizzato (effetto serra). Nella parte inferiore del pannello è posto poi un isolante termico (in fibra di vetro o in poliuretano espanso privo) che permette di eliminare la dispersione di calore. Il pannello infine è chiuso dietro da una scocca, di solito costituita da lamiera in ferro zincato. Il tutto (vetro, assorbitore e fascio tubiero, isolante termico e scocca posteriore) è tenuto insieme tramite un case che assembla le parti e dona all’intero pannello robustezza e stabilità.
Il serbatoio di accumulo dell'acqua contiene uno scambiatore di calore ad intercapedine,in esso circola il liquido del circuito primario che, cedendo il calore ricevuto dal sole, riscalda l'acqua del serbatoio e crea energia.Quindi nel serbatoio (che ha la funzione di conservare il calore) sono presenti due circuiti idraulici separati: quello primario del pannello, in cui circola il liquido che il sole riscalda e quello secondario in cui circola acqua e che é collegato all'impianto idraulico di casa. La dimensione ottimale dell'accumulatore permette di soddisfare al meglio le esigenze e dipende dalle condizioni climatiche e dal tipo di fabbisogno dell'energia. Se si valutano accuratamente sia gli aspetti tecnici che economici il campo dei valori ottimali è quasi sempre compreso tra i 50 e i 100 lt per mq di area abitata. Oltre alla struttura, l'isolamento del boiler rappresenta un fattore importante nel buon funzionamento del sistema in quanto, diminuendo l'energia dispersa, aumenta quella disponibile per l’utente. E' basilare quindi controllare spesso il grado di isolamento dei bollitori, soprattutto se sono esterni come succede negli impianti a circolazione naturale.In questo modo efficienza energetica e rispetto per l’ambiente saranno agevolmente garantiti.
Ottenere energia dai batteri.Ora si può.
di Valeria Piras
Finalmente un utilizzo utile per i batteri.
Dalla Gran Bretagna arriva l’ultima scoperta scientifica nel settore delle energie rinnovabili.Si tratta di un complicato sistema in grado di produrre energia pulita attraverso i batteri.Si tratta degli stessi batteri che depurano le acque reflue, il segreto svelato sta nella loro combinazione. L’obiettivo degli scienziati sarebbe quello di riuscire a produrre batterie portatili a combustibile microbico. L’energia del futuro sarebbe quindi di origine batterica e potrebbe essere rinnovabile, facilmente trasportabile e molto adatta per le popolazioni ancora tagliate fuori dall’accesso all’elettricità. Questa particolare speranza arriva dalla alcuni ricercatori dell’Università di Newcastle, in Inghilterra, ed è stata pubblicata nell’ultimo numero del Journal of Environmental Science and Technology edito dalla American Chemical Society.
Partendo da alcuni microrganismi raccolti nell’estuario del fiume Wear, gli scienziati sono riusciti a ottenere una cella a combustibile microbico dotata di una potenza di 200 Watt, capace di alimentare una lampadina elettrica. Le colonie batteriche sono da molti anni adoperate dagli esperti per il trattamento delle acque reflue, ma il loro potenziale in materia di produzione energetica è ancora largamente inesplorato e sconosciuto. La ricerca di cui stiamo parlando potrebbe finalmente aprire nuovi scenari per questa nuova tecnologia:dai dati emersi dallo studio vengono mostrate le potenzialità di questa tecnica. Quello che è stato fatto nello specifico è manipolare deliberatamente il mix da microrganismi per ottenere un biofilm che risulta particolarmente efficiente nella produzione di elettricità.
I ricercatori hanno testato 80 specie di batteri, prima di riuscire a scoprire la combinazione più adatta alla produzione di energia. Uno dei microrganismi più capaci allo scopo è risultato essere il Bacillus stratosphericus, presente in grandissima quantità nell’atmosfera, a una distanza di 30 km dalla superficie terrestre, e portato sul nostro pianeta in seguito alla normale attività atmosferica. Questa, spiegano gli stessi scienziati, è solo una prima indagine dettagliata su diversi mix microbici, che indica la modalità per nuovi studi, anche a carico dei batteri che vivono nelle profondità marine. Il chiaro scopo che l’equipe universitaria inglese si è prefissato è quello di riuscire a produrre batterie portatili a combustibile microbico in grado di entrare in azione subito nel momento in cui vengano immersi in acqua o nel suolo e fin da subito cominciare a produrre energia.Un altro passo importante verso una pianeta sempre più verde e pulito.
Dalla Gran Bretagna arriva l’ultima scoperta scientifica nel settore delle energie rinnovabili.Si tratta di un complicato sistema in grado di produrre energia pulita attraverso i batteri.Si tratta degli stessi batteri che depurano le acque reflue, il segreto svelato sta nella loro combinazione. L’obiettivo degli scienziati sarebbe quello di riuscire a produrre batterie portatili a combustibile microbico. L’energia del futuro sarebbe quindi di origine batterica e potrebbe essere rinnovabile, facilmente trasportabile e molto adatta per le popolazioni ancora tagliate fuori dall’accesso all’elettricità. Questa particolare speranza arriva dalla alcuni ricercatori dell’Università di Newcastle, in Inghilterra, ed è stata pubblicata nell’ultimo numero del Journal of Environmental Science and Technology edito dalla American Chemical Society.
Partendo da alcuni microrganismi raccolti nell’estuario del fiume Wear, gli scienziati sono riusciti a ottenere una cella a combustibile microbico dotata di una potenza di 200 Watt, capace di alimentare una lampadina elettrica. Le colonie batteriche sono da molti anni adoperate dagli esperti per il trattamento delle acque reflue, ma il loro potenziale in materia di produzione energetica è ancora largamente inesplorato e sconosciuto. La ricerca di cui stiamo parlando potrebbe finalmente aprire nuovi scenari per questa nuova tecnologia:dai dati emersi dallo studio vengono mostrate le potenzialità di questa tecnica. Quello che è stato fatto nello specifico è manipolare deliberatamente il mix da microrganismi per ottenere un biofilm che risulta particolarmente efficiente nella produzione di elettricità.
I ricercatori hanno testato 80 specie di batteri, prima di riuscire a scoprire la combinazione più adatta alla produzione di energia. Uno dei microrganismi più capaci allo scopo è risultato essere il Bacillus stratosphericus, presente in grandissima quantità nell’atmosfera, a una distanza di 30 km dalla superficie terrestre, e portato sul nostro pianeta in seguito alla normale attività atmosferica. Questa, spiegano gli stessi scienziati, è solo una prima indagine dettagliata su diversi mix microbici, che indica la modalità per nuovi studi, anche a carico dei batteri che vivono nelle profondità marine. Il chiaro scopo che l’equipe universitaria inglese si è prefissato è quello di riuscire a produrre batterie portatili a combustibile microbico in grado di entrare in azione subito nel momento in cui vengano immersi in acqua o nel suolo e fin da subito cominciare a produrre energia.Un altro passo importante verso una pianeta sempre più verde e pulito.
La Geotermia.Energia dalla Terra.
di Valeria Piras
Usare il calore del pianeta per creare energia.
Il mondo delle energie rinnovabili,quelle che comunemente chiamiamo energie verdi, è arricchito dalla presenza di una particolare forma,una risorsa importante,parliamo nello specifico della geotermia.Il calore della Terra è una fonte di energia naturale che contraddistingue da sempre la storia del pianeta. Ma cos’è e come funziona la geotermia? La temperatura della superficie terrestre è soggetta ad aumenti man mano che si scende in profondità, in media ogni 100 metri la temperatura delle rocce cresce di +3° C. Esistono poi delle zone specifiche del mondo in cui questa peculiarità si accentua con temperature nel sottosuolo anche più alte della media, ad esempio a causa di fenomeni vulcanici o tettonici. In queste zone calde l'energia viene convogliata in maniera molto semplice proprio grazie alla geotermia. I vapori che giungono dalle sorgenti d'acqua nel sottosuolo sono incamerati verso apposite turbine adibite alla produzione di energia elettrica. Il calore che viene prodotto dai vapori può anche essere riutilizzato per il riscaldamento, le coltivazioni in serra e gli impianti termali. Le principali applicazioni del vapore naturale proveniente dal sottosuolo sono:
Un vero equilibrio naturale,una sorta di miracolo ambientale che viene sfruttato dagli islandesi anche per la produzione di energia elettrica con gli impianti geotermici. L'Islanda può essere considerata l’esempio per eccellenza riguardo gli impianti geotermici. La geotermia è una risorsa e un’ottima fonte energetica alternativa,ma ha un tasso di marginalità poiché può essere sfruttata soltanto in alcuni limitati contesti territoriali. Deve comunque essere considerata una vera potenzialità energetica da sfruttare laddove il territorio lo renda possibile. In Italia ad esempio la produzione di energia elettrica dalla geotermia non è possibile ovunque ma solo in alcune zone,la regione più dotata sotto questo punto di vista è certamente la Toscana.
Il mondo delle energie rinnovabili,quelle che comunemente chiamiamo energie verdi, è arricchito dalla presenza di una particolare forma,una risorsa importante,parliamo nello specifico della geotermia.Il calore della Terra è una fonte di energia naturale che contraddistingue da sempre la storia del pianeta. Ma cos’è e come funziona la geotermia? La temperatura della superficie terrestre è soggetta ad aumenti man mano che si scende in profondità, in media ogni 100 metri la temperatura delle rocce cresce di +3° C. Esistono poi delle zone specifiche del mondo in cui questa peculiarità si accentua con temperature nel sottosuolo anche più alte della media, ad esempio a causa di fenomeni vulcanici o tettonici. In queste zone calde l'energia viene convogliata in maniera molto semplice proprio grazie alla geotermia. I vapori che giungono dalle sorgenti d'acqua nel sottosuolo sono incamerati verso apposite turbine adibite alla produzione di energia elettrica. Il calore che viene prodotto dai vapori può anche essere riutilizzato per il riscaldamento, le coltivazioni in serra e gli impianti termali. Le principali applicazioni del vapore naturale proveniente dal sottosuolo sono:
- la generazione di energia elettrica tramite turbine;
- il calore geotermico viene incanalato in un sistema di tubature per servire attività locali di teleriscaldamento.
Un vero equilibrio naturale,una sorta di miracolo ambientale che viene sfruttato dagli islandesi anche per la produzione di energia elettrica con gli impianti geotermici. L'Islanda può essere considerata l’esempio per eccellenza riguardo gli impianti geotermici. La geotermia è una risorsa e un’ottima fonte energetica alternativa,ma ha un tasso di marginalità poiché può essere sfruttata soltanto in alcuni limitati contesti territoriali. Deve comunque essere considerata una vera potenzialità energetica da sfruttare laddove il territorio lo renda possibile. In Italia ad esempio la produzione di energia elettrica dalla geotermia non è possibile ovunque ma solo in alcune zone,la regione più dotata sotto questo punto di vista è certamente la Toscana.
Il grande boom delle energie rinnovabili.
di Valeria Piras
Solare,eolico e biocarburanti.Cresceranno gli utilizzi.
Le energie rinnovabili sono il futuro della nostra generazione e per esse si prospetta davvero un decennio di grandi soddisfazioni.Questa informazione è stata dedotta da un recente studio della Clean Edge, società statunitense di ricerca inerente le tecnologie “verdi”. Dalla ricerca di Clean Energy Trends 2013 si nota un primo dato significativo: Il mercato che riguarda l'energia solare ed eolica ad esempio, oltre ai biocarburanti, raddoppierà tra 2012 e 2022, aumentando da da 191 a 327 miliardi di euro.Una crescita davvero enorme, malgrado l’anno scorso non sia stato uno scenario edificante, come segnala il rapporto: basta dare uno sguardo al mercato dell’energia fotovoltaica, passato dai 71 miliardi di euro ai 62 circa, alle tante situazioni difficili vissute dalle imprese del settore.
Detto questo però sembra che tutto indichi che il prossimo futuro sarà all’insegna delle energie pulite: lo studio, pur sottolineando che i ricavi legati a biocarburanti, solare ed eolico sono aumentati dell’1% lo scorso anno, la distribuzione invece è stata caratterizzata da uno sviluppo formidabile.Iniziamo coi biocarburanti: in irrefrenabile ascesa negli ultimi anni (tra il 2011 e il 2012 si è passati a una produzione di 105 miliardi a 118 miliardi di litri), il suo mercato nel mondo nel 2005 era di soli 12 miliardi di euro, quello del 2012 di quasi 74 miliardi di euro. La valutazione fatta da Clean Edge è di raggiungere i 137,7 miliardi di euro.Anche l’energia eolica ha vissuto anni di crescita esponenziale: il mercato mondiale è passato dal 2000 al 2012 dai 3 miliardi di euro ai 57 miliardi e la potenza creata dai parchi eolici è cresciuta di 44 GW.
Partendo da queste valutazioni allora per il 2022 si assisterà ad una crescita certamente significativa, passando da 57 a 96,6 miliardi di dollari.Infine l’energia solare: le installazioni dei parchi fotovoltaici pur raggiungendo un nuovo record a 30,9 GW è stato però caratterizzato da un mercato corrispondente calato del 13% e 80 miliardi di dollari, motivato dai prezzi dei pannelli in ribasso. Clean Edge ritiene però che il settore passerà da 61 a 96 miliardi di euro e questo soprattutto grazie ad un forte abbassamento dei costi riguardanti la di tecnologia eolica.
Le energie rinnovabili sono il futuro della nostra generazione e per esse si prospetta davvero un decennio di grandi soddisfazioni.Questa informazione è stata dedotta da un recente studio della Clean Edge, società statunitense di ricerca inerente le tecnologie “verdi”. Dalla ricerca di Clean Energy Trends 2013 si nota un primo dato significativo: Il mercato che riguarda l'energia solare ed eolica ad esempio, oltre ai biocarburanti, raddoppierà tra 2012 e 2022, aumentando da da 191 a 327 miliardi di euro.Una crescita davvero enorme, malgrado l’anno scorso non sia stato uno scenario edificante, come segnala il rapporto: basta dare uno sguardo al mercato dell’energia fotovoltaica, passato dai 71 miliardi di euro ai 62 circa, alle tante situazioni difficili vissute dalle imprese del settore.
Detto questo però sembra che tutto indichi che il prossimo futuro sarà all’insegna delle energie pulite: lo studio, pur sottolineando che i ricavi legati a biocarburanti, solare ed eolico sono aumentati dell’1% lo scorso anno, la distribuzione invece è stata caratterizzata da uno sviluppo formidabile.Iniziamo coi biocarburanti: in irrefrenabile ascesa negli ultimi anni (tra il 2011 e il 2012 si è passati a una produzione di 105 miliardi a 118 miliardi di litri), il suo mercato nel mondo nel 2005 era di soli 12 miliardi di euro, quello del 2012 di quasi 74 miliardi di euro. La valutazione fatta da Clean Edge è di raggiungere i 137,7 miliardi di euro.Anche l’energia eolica ha vissuto anni di crescita esponenziale: il mercato mondiale è passato dal 2000 al 2012 dai 3 miliardi di euro ai 57 miliardi e la potenza creata dai parchi eolici è cresciuta di 44 GW.
Partendo da queste valutazioni allora per il 2022 si assisterà ad una crescita certamente significativa, passando da 57 a 96,6 miliardi di dollari.Infine l’energia solare: le installazioni dei parchi fotovoltaici pur raggiungendo un nuovo record a 30,9 GW è stato però caratterizzato da un mercato corrispondente calato del 13% e 80 miliardi di dollari, motivato dai prezzi dei pannelli in ribasso. Clean Edge ritiene però che il settore passerà da 61 a 96 miliardi di euro e questo soprattutto grazie ad un forte abbassamento dei costi riguardanti la di tecnologia eolica.
Ecco l'auto solare che ci porterà nel futuro.
di Valeria Piras
Il solare nell'auto è una sfida da vincere assolutamente.
Ogni due anni in Australia si tiene una particolare ed interessante gara,si chiama World Solar Challenge ed è una vera competizione in cui si sfidano scienziati con le loro scoperte nel settore dell'energia solare applicata all'auto.Si è avuta nel lontano 1987 per la prima volta mentre per questo 2013 si terrà a fine settembre fra il 18 e il 24.La garà vedrà i veicoli partire dalla città di Darwin,nel nord dell'Australia, attraversare i deserti centrali della nazione e dopo 3.000 km giungere ad Adelaide, sulla costa sud. La sfida di questo 2013 prevede ben 47 team tra questi uno italiano,denominato Onda Solare dell’Università degli studi di Bologna che gareggerà con l’auto Emilia III. Il progetto di questa vettura è stato iniziato almeno tre anni fa e ha richiesto l'impiego ininterroto di circa una cinquantina di studiosi dell'Università,in particolare del dipartimento di ingegneria dell’energia elettrica e dell’informazione Guglielmo Marconi della facoltà di ingegneria.
Il team italiano non ha sponsor o aziende che finanziano il progetto,ma comunque eventuali sovvenzioni da privati sarebbero ben accette,anche in termini di aiuti materiali e competenze.L'auto solare che gareggerà è una monoposto,chiamata appunto Emilia III, è lunga 4,5 metri, larga 1,80 metri e pesa circa 200 kg.In condizioni di rettilineo raggiunge i 110 km all'ora ed è completamente ricoperta di moduli solari fotovoltaici (potenza totale di 1.368 Watt in 6 m²). Tutta l'energia elettrica prodotta dai moduli viene convogliata in 21 kg di batterie agli ioni di litio, che permetteranno 300 km di autonomia in una giornata nuvolosa con una velocità media di 80 km/h.Nella presentazione del progetto,il Dipartimento di ingegneria sottolinea che la parola chiave di un auto solare è "efficienza" perché l’energia del Sole è diluita nel tempo e non è concentrata come ad esempio accade per l' energia chimica del petrolio.Un primo passo decisiovo è allora diminuire il peso del veicolo.Infatti per la scocca sono stati adoperati materiali compositi in fibra di carbonio e kevlar. L’aerodinamica è stata elaborata nello specifico con un software dedicato e i due motori elettrici sono miniaturizzati e incastonati nelle ruote posteriori,questa dislocazione fa si che la trasmissione venga eliminata e anche gli attriti totalmente azzerati.
Il modo di guida l'auto è molto simile a quello di una macchina sportiva con sospensioni ribassate.La sola differnaza è il posto di guida,non a sinistra bensì al centro. Come di consueto nelle auto elettriche, non c’è il cambio e l’auto è mono-marcia perché il motore elettrico è direttamente collegato alle ruote. C’è un solo pedale (quello del freno) e l'accellerazione avviene grazie ad un tasto inserito sul manubrio per motivi di spazio e praticità.Sono state adoperate per la costruzione ben 391 celle solari in silicio monocristallino ad alta efficienza prodotte negli Stati Uniti, che garantiscono il 25% di efficienza contro una media delle celle tipiche sul mercato del 16-18%. Gli spazi tra le celle e tra i moduli sono state ridotte al minimo e non c’è il tradizionale vetro anteriore, ma le celle sono racchiuse tra strati di materiali plastici: l’Etfe e il Tpo (poliolefina termoplastica) al posto del tradizionale etilene più acetato di vinile.Chissà se questo concentrato di alta tecnologia solare sarà sufficiente per permettere al team italiano la vittoria della competizione.In bocca al lupo.
Ogni due anni in Australia si tiene una particolare ed interessante gara,si chiama World Solar Challenge ed è una vera competizione in cui si sfidano scienziati con le loro scoperte nel settore dell'energia solare applicata all'auto.Si è avuta nel lontano 1987 per la prima volta mentre per questo 2013 si terrà a fine settembre fra il 18 e il 24.La garà vedrà i veicoli partire dalla città di Darwin,nel nord dell'Australia, attraversare i deserti centrali della nazione e dopo 3.000 km giungere ad Adelaide, sulla costa sud. La sfida di questo 2013 prevede ben 47 team tra questi uno italiano,denominato Onda Solare dell’Università degli studi di Bologna che gareggerà con l’auto Emilia III. Il progetto di questa vettura è stato iniziato almeno tre anni fa e ha richiesto l'impiego ininterroto di circa una cinquantina di studiosi dell'Università,in particolare del dipartimento di ingegneria dell’energia elettrica e dell’informazione Guglielmo Marconi della facoltà di ingegneria.
Il team italiano non ha sponsor o aziende che finanziano il progetto,ma comunque eventuali sovvenzioni da privati sarebbero ben accette,anche in termini di aiuti materiali e competenze.L'auto solare che gareggerà è una monoposto,chiamata appunto Emilia III, è lunga 4,5 metri, larga 1,80 metri e pesa circa 200 kg.In condizioni di rettilineo raggiunge i 110 km all'ora ed è completamente ricoperta di moduli solari fotovoltaici (potenza totale di 1.368 Watt in 6 m²). Tutta l'energia elettrica prodotta dai moduli viene convogliata in 21 kg di batterie agli ioni di litio, che permetteranno 300 km di autonomia in una giornata nuvolosa con una velocità media di 80 km/h.Nella presentazione del progetto,il Dipartimento di ingegneria sottolinea che la parola chiave di un auto solare è "efficienza" perché l’energia del Sole è diluita nel tempo e non è concentrata come ad esempio accade per l' energia chimica del petrolio.Un primo passo decisiovo è allora diminuire il peso del veicolo.Infatti per la scocca sono stati adoperati materiali compositi in fibra di carbonio e kevlar. L’aerodinamica è stata elaborata nello specifico con un software dedicato e i due motori elettrici sono miniaturizzati e incastonati nelle ruote posteriori,questa dislocazione fa si che la trasmissione venga eliminata e anche gli attriti totalmente azzerati.
Il modo di guida l'auto è molto simile a quello di una macchina sportiva con sospensioni ribassate.La sola differnaza è il posto di guida,non a sinistra bensì al centro. Come di consueto nelle auto elettriche, non c’è il cambio e l’auto è mono-marcia perché il motore elettrico è direttamente collegato alle ruote. C’è un solo pedale (quello del freno) e l'accellerazione avviene grazie ad un tasto inserito sul manubrio per motivi di spazio e praticità.Sono state adoperate per la costruzione ben 391 celle solari in silicio monocristallino ad alta efficienza prodotte negli Stati Uniti, che garantiscono il 25% di efficienza contro una media delle celle tipiche sul mercato del 16-18%. Gli spazi tra le celle e tra i moduli sono state ridotte al minimo e non c’è il tradizionale vetro anteriore, ma le celle sono racchiuse tra strati di materiali plastici: l’Etfe e il Tpo (poliolefina termoplastica) al posto del tradizionale etilene più acetato di vinile.Chissà se questo concentrato di alta tecnologia solare sarà sufficiente per permettere al team italiano la vittoria della competizione.In bocca al lupo.
Trasformare l'anidride carbonica in energia.
di Valeria Piras
Una recente scoperta potrebbe cambiare tutto.
Un giovane studente del Royal College di Londra,Chang Lee,ha elaborato una scoperta scientifica davvero particolare ed unica.Un moderno edificio che non solo purifica l'aria intorno ma utilizza l'elemento inquinante dell'anidride carbonica in un mezzo per creare energia utilizzabile e anche vendibile,non si sa mai.Il progetto inglese si chiama Synth Tecnology ed è frutto di ben 5 anni di ricerche e duri esperimenti,ma alla fine,la scoperta sembra ora essere realtà. L'idea è di trasformare la BT Tower, una delle torri più alte della città londinese che di recente è stata utilizzata nel settore telecomunicazioni,in una sorta di antenna per monitorare l'atmosfera,raccogliere le polveri sottili e lo smog che flagellano la capitale inglese.Una specie di gigante catalizzatore con struttura in leggera fibra di carbonio che ha in se una sorpresa,non solo raccogliere smog e CO2 ma poi riutilizzarla per produrre bio-carburante.Ecco l'idea geniale.
Oltre all'antenna infatti si dovrebbe montare un particolare strumento fatto di nanotubi in biossido di titanio in grado di convertire l'anidride in metanolo,un gas non inquinante,usando essenzialmente sole ed acqua.Secondo il progettista, in un anno si potrebbero produrre cento tonnellate di carburante sostenibile. Inoltre all'interno della torre è stata anche collocata una vera struttura di ricerca,un vero laboratorio attrezzato per studiare il funzionamento dell'opera, massimizzandone ancora di più l'efficienza.L’idea di Chang-Yeob Lee è davvero incredibile e anche in America,a Chicago,si sta studiando per realizzarne una simile con l'ausilio dell' Institute of Technology dell'Illinois.
In particolare negli States si ha l'intenzione di costruirne ben due in modo da aumentare la forza di assorbimento di anidride carbonica (e la sua riconversione in biocarburante) nelle due Congress Gateway Towers, nella trafficata zona del Congress Parkway, da cui passano circa 70 mila veicoli al giorno. Il sistema, dovrebbe essere collocato sulla copertura delle due torri, prevede che si raccolga l’anidride carbonica per poi spostarla insieme agli altri elementi catturati nell'aria in un grande silos di filtraggio. Qui, attraverso l'uso di una particolare tipologia di alghe marine, l’aria inquinata verrà purificata e poi tramutata in metanolo da usare come energia.C'è poco da dire,forse i prodigi della scienza salveranno il nostro pianeta malato.
Un giovane studente del Royal College di Londra,Chang Lee,ha elaborato una scoperta scientifica davvero particolare ed unica.Un moderno edificio che non solo purifica l'aria intorno ma utilizza l'elemento inquinante dell'anidride carbonica in un mezzo per creare energia utilizzabile e anche vendibile,non si sa mai.Il progetto inglese si chiama Synth Tecnology ed è frutto di ben 5 anni di ricerche e duri esperimenti,ma alla fine,la scoperta sembra ora essere realtà. L'idea è di trasformare la BT Tower, una delle torri più alte della città londinese che di recente è stata utilizzata nel settore telecomunicazioni,in una sorta di antenna per monitorare l'atmosfera,raccogliere le polveri sottili e lo smog che flagellano la capitale inglese.Una specie di gigante catalizzatore con struttura in leggera fibra di carbonio che ha in se una sorpresa,non solo raccogliere smog e CO2 ma poi riutilizzarla per produrre bio-carburante.Ecco l'idea geniale.
Oltre all'antenna infatti si dovrebbe montare un particolare strumento fatto di nanotubi in biossido di titanio in grado di convertire l'anidride in metanolo,un gas non inquinante,usando essenzialmente sole ed acqua.Secondo il progettista, in un anno si potrebbero produrre cento tonnellate di carburante sostenibile. Inoltre all'interno della torre è stata anche collocata una vera struttura di ricerca,un vero laboratorio attrezzato per studiare il funzionamento dell'opera, massimizzandone ancora di più l'efficienza.L’idea di Chang-Yeob Lee è davvero incredibile e anche in America,a Chicago,si sta studiando per realizzarne una simile con l'ausilio dell' Institute of Technology dell'Illinois.
In particolare negli States si ha l'intenzione di costruirne ben due in modo da aumentare la forza di assorbimento di anidride carbonica (e la sua riconversione in biocarburante) nelle due Congress Gateway Towers, nella trafficata zona del Congress Parkway, da cui passano circa 70 mila veicoli al giorno. Il sistema, dovrebbe essere collocato sulla copertura delle due torri, prevede che si raccolga l’anidride carbonica per poi spostarla insieme agli altri elementi catturati nell'aria in un grande silos di filtraggio. Qui, attraverso l'uso di una particolare tipologia di alghe marine, l’aria inquinata verrà purificata e poi tramutata in metanolo da usare come energia.C'è poco da dire,forse i prodigi della scienza salveranno il nostro pianeta malato.