Editoriale del Direttore
Salvini. Per molti è lui il vero Premier.
24 Giugno 2018
di Nicola Giordano
Profilo e carattere decisionista.Così il leader leghista si prende la scena.
Il Governo Lega - M5S va avanti, per ora nessun intoppo insormontabile alle attività dell'esecutivo e nessun grosso problema da affrontare ad onor del vero. Sembra che la luna di miele tra i grillini e i leghisti prosegua spedita, e per il bene del Paese ce lo auguriamo, ad essere sinceri. Un aspetto però è interessante affrontare già adesso ed è quello della leadership. Nelle ultime settimane, tra interventi, parole coraggiose e scelte di carisma è Matteo Salvini che sta senza dubbio rubando la scena a tutti, a Conte e Di Maio in primis. Le parole forti sui migranti, le opinioni concrete sulla questione rom e il piglio decisionista senza essere succube dell' Europa o intimoriti a livello internazionale stanno facendo di Salvini il vero premier del nostro paese. Il buon Di Maio, vuoi anche per inesperienza complessiva, sua e di partito, appare a volte spaurito, un pò perso nei tentativi di correre dietro alle bombe dialettiche del leader della Lega.
Lo stesso premier Conte è ancora irrigidito e poco naturale sulle scene, le sue parole sono spesso parole accomodanti e da burocrate e non giova certamente l'opinione che di lui si è fatta almeno metà del Paese, ovvero quella di essere un uomo manovrato dalle due forze al Governo, messo in quel ruolo solo per dare esecuzione formale al contratto di Governo. Tornando a Salvini è innegabile come negli ultimi giorni abbia cavalcato i sentimenti di molti, sia nel bene che nel male. I suoi estimatori vedono in lui una specie di capo popolo, nel senso positivo, uno che si fa carico dell'opinione generale sulle cose e le rende tangibili e concrete anche nelle sedi istituzionali. Il modo in cui sta affrontano la vicenda dei migranti è emblematico, tranne i radical chic di sinistra, che vedono i problemi dall'alto delle loro torri d'avorio, al fresco dell'aria condizionata dei loro studi da insigni professionisti della polemica sterile, moltissimi italiani lo appoggiano e sono straconvinti che l'italia abbia per molti anni fatto da porto franco per l'immigrazione clandestina. Diciamolo chiaramente, per decenni con la scusa dell'aiuto umanitario e dell' asilo politico, migliaia di immigrati sono sbarcati sul suolo nazionale e dopo pochi giorni, letteralmente spariti e diventati fantasmi, liberi di muoversi e di delinquere sul territorio italiano. L'idea di Salvini è la seguente: perchè permettere alle navi di attraccare per forza nei nostri porti e liberare il loro carico di immigrati irregolari? Se servono aiuti ed interventi anche medici, questi possono essere garantiti, anzi vanno garantiti, direttamente sulle navi, al largo delle nostre coste, senza esplicita autorizzazione nessuna nave può e deve attraccare nei nostri porti.
E' una politica ferma e dura ma che da decenni tutti i paesi dell'eurozona applicano, tutti tranne l'Italia, ecco perchè il capo popolo Salvini si becca gli applausi, ha reso concreta un'idea di tutti e lo ha fatto con coraggio. Proprio il coraggio pare mancare sia al premier Conte che allo stesso Di Maio. Il capo grillino sembra aver solo voglia di lanciare slogan e campagne, per ora di tangibile nella sua azione di ministro del lavoro c'è pochissimo; la stessa idea sul reddito di cittadinanza viene corretta e calibrata ogni giorno e per ora nulla viene spiegato sulle coperture finanziarie, forse proprio perchè non ci sono. Identico discorso vale per la riforma pensionistica, abbattere la legge Fornero è una giusta promessa del contratto ma per adesso in sede di esecutivo si è ancora in altissimo mare, speriamo bene. Alla fine della fiera una cosa è certa: non basta prendere più preferenze in sede elettorale o vantarsi di essere il partito singolo con più voti in Parlamento, il carisma e l'indole da leader è una caratteristica innata in politica, non si compra di certo a furia di promesse e slogan da propaganda. Il tempo ci dirà dove sta la verità.
Il Governo Lega - M5S va avanti, per ora nessun intoppo insormontabile alle attività dell'esecutivo e nessun grosso problema da affrontare ad onor del vero. Sembra che la luna di miele tra i grillini e i leghisti prosegua spedita, e per il bene del Paese ce lo auguriamo, ad essere sinceri. Un aspetto però è interessante affrontare già adesso ed è quello della leadership. Nelle ultime settimane, tra interventi, parole coraggiose e scelte di carisma è Matteo Salvini che sta senza dubbio rubando la scena a tutti, a Conte e Di Maio in primis. Le parole forti sui migranti, le opinioni concrete sulla questione rom e il piglio decisionista senza essere succube dell' Europa o intimoriti a livello internazionale stanno facendo di Salvini il vero premier del nostro paese. Il buon Di Maio, vuoi anche per inesperienza complessiva, sua e di partito, appare a volte spaurito, un pò perso nei tentativi di correre dietro alle bombe dialettiche del leader della Lega.
Lo stesso premier Conte è ancora irrigidito e poco naturale sulle scene, le sue parole sono spesso parole accomodanti e da burocrate e non giova certamente l'opinione che di lui si è fatta almeno metà del Paese, ovvero quella di essere un uomo manovrato dalle due forze al Governo, messo in quel ruolo solo per dare esecuzione formale al contratto di Governo. Tornando a Salvini è innegabile come negli ultimi giorni abbia cavalcato i sentimenti di molti, sia nel bene che nel male. I suoi estimatori vedono in lui una specie di capo popolo, nel senso positivo, uno che si fa carico dell'opinione generale sulle cose e le rende tangibili e concrete anche nelle sedi istituzionali. Il modo in cui sta affrontano la vicenda dei migranti è emblematico, tranne i radical chic di sinistra, che vedono i problemi dall'alto delle loro torri d'avorio, al fresco dell'aria condizionata dei loro studi da insigni professionisti della polemica sterile, moltissimi italiani lo appoggiano e sono straconvinti che l'italia abbia per molti anni fatto da porto franco per l'immigrazione clandestina. Diciamolo chiaramente, per decenni con la scusa dell'aiuto umanitario e dell' asilo politico, migliaia di immigrati sono sbarcati sul suolo nazionale e dopo pochi giorni, letteralmente spariti e diventati fantasmi, liberi di muoversi e di delinquere sul territorio italiano. L'idea di Salvini è la seguente: perchè permettere alle navi di attraccare per forza nei nostri porti e liberare il loro carico di immigrati irregolari? Se servono aiuti ed interventi anche medici, questi possono essere garantiti, anzi vanno garantiti, direttamente sulle navi, al largo delle nostre coste, senza esplicita autorizzazione nessuna nave può e deve attraccare nei nostri porti.
E' una politica ferma e dura ma che da decenni tutti i paesi dell'eurozona applicano, tutti tranne l'Italia, ecco perchè il capo popolo Salvini si becca gli applausi, ha reso concreta un'idea di tutti e lo ha fatto con coraggio. Proprio il coraggio pare mancare sia al premier Conte che allo stesso Di Maio. Il capo grillino sembra aver solo voglia di lanciare slogan e campagne, per ora di tangibile nella sua azione di ministro del lavoro c'è pochissimo; la stessa idea sul reddito di cittadinanza viene corretta e calibrata ogni giorno e per ora nulla viene spiegato sulle coperture finanziarie, forse proprio perchè non ci sono. Identico discorso vale per la riforma pensionistica, abbattere la legge Fornero è una giusta promessa del contratto ma per adesso in sede di esecutivo si è ancora in altissimo mare, speriamo bene. Alla fine della fiera una cosa è certa: non basta prendere più preferenze in sede elettorale o vantarsi di essere il partito singolo con più voti in Parlamento, il carisma e l'indole da leader è una caratteristica innata in politica, non si compra di certo a furia di promesse e slogan da propaganda. Il tempo ci dirà dove sta la verità.
Lega-M5S. Apologia di un'unione forzata.
di Nicola Giordano 02 Giugno 2018
Analisi profonda di un duopolio pericoloso.
Dopo quasi tre mesi finalmente è nato il nuovo Governo. Le tensioni, gli scontri e le polemiche sono state tantissime ma con tanta fatica alla fine le due forze che hanno ottenuto le maggiori preferenze alle ultime elezioni sono riuscite nel loro progetto iniziale, dare vita ad un esecutivo Lega-M5S sancito con la firma di uno specifico contratto programmatico di lavoro, il tempo dirà se si tratta di un contratto utopistico o realistico. Di sicuro nulla ci permetta, ad oggi, di sapere se sarà un’ alleanza duratura o meno, condividere il potere tra due poli è spesso sinonimo di incomprensioni ed equivoci, di sicuro si conosce ciò che accomuna le due forze politiche alleate. Da una parte abbiamo una sorta di concezione sovranistica del potere, una base ideologica di matrice fortemente populista, si spera non nell’ eccezione negativa del termine, ed un approccio quasi adolescenziale, nel senso puristico del termine, al fare politica, senza concepire dinamiche di palazzo sancite nelle buie stanze del potere romano.
Ad essere grandi sono però anche le marcate differenze tra Lega e M5S, differenze che alle prime difficoltà di una certa consistenza potranno senza dubbio mettere in crisi l’accordo di governo. Il Movimento 5 Stelle è un vero fenomeno politico-sociale non certo nuovo. In molti paesi esteri un fenomeno del genere è sempre scoppiato a cavallo dei periodi di grande crisi economica e politica: basti pensare al peronismo argentino o al movimento populista di Chavez in Venezuela. Questo tipo di movimento ha caratteristiche ben definite: c’è un leader carismatico che catalizza le preferenze, c’è un grande nemico da combattere ( nel caso italiano è la vecchia classe politica da decapitare), l’odio verso il liberismo politico e la lotta alla borghesia capitalistica con il fermo principio di ridistribuire reddito verso le classi povere, un esempio su tutti il reddito di cittadinanza. Molti politologi cercano da anni di stabilire se i M5S sia un movimento di sinistra o di destra e ad oggi non sono arrivati ad affermazioni concrete. Azzardando un’ ipotesi ideologica possiamo affermare che i grillini sono allo stesso tempo sia un prodotto del populismo di sinistra sia un prodotto del populismo di destra, ecco perché l’alleanza con la Lega di Salvini è apparsa così naturale, quasi profetica. Possiamo dire che si tratta di un fenomeno camaleontico, più sociale che politico, sono gli istinti della società a percuoterlo e a cavalcarlo ecco perché politicamente si tratta di un fenomeno imprevedibile e dalla stabilità davvero sottilissima. Il duopolio del potere è condiviso, come detto, con la Lega di Matteo Salvini. La Lega è un partito nella concezione più tradizionale del termine e detto già delle comunanze con il M5S, altrettanto nette sono le sue differenti peculiarità.
Nonostante il suo leader sia riuscito nell’ultimo anno a raccogliere preferenze anche nelle terre meridionali, la Lega resta un movimento politico a matrice nordica, non a caso la lotta all’immigrazione e la flat tax sono i suoi principali cavalli di battaglia. Mentre i grillini con la promessa del reddito di cittadinanza hanno fatto man bassa di voti al sud, raccogliendo le rivendicazioni dell’enorme massa di disoccupati del meridione, la Lega (ed il centro-destra in generale) ha trionfato al nord dove la pressione fiscale sulle famigerate partite IVA, è vista come un cancro da curare. Salvini, grazie anche ai consigli berlusconiani, che comunque nonostante le rassicurazioni, siamo convinti si muova ancora dietro le quinte, ha senza dubbio un approccio più smaliziato alle dinamiche parlamentari e un piglio decisionale maggiore del suo alter ego grillino, questo potrebbe essere un motivo di scontro nel corso dei prossimi mesi. Aldilà del contratto di governo, Lega e M5S hanno molte differenze che li dividono, se riusciranno a tenere a bada i loro istinti sociali che li caratterizzano bene, altrimenti i motivi su cui scontrarsi sono molti e, siamo sicuri, proprio sul tentativo di evidenziare questi motivi di scontro che si concentrerà la politica di opposizione sia di Forza Italia che dello stesso PD. Mettiamoci comodi ed assistiamo all’ennesimo spettacolo politico italiano, con la paura, davvero gigantesca, che l’Italia possa perdere ancora una grande occasione di cambiamento.
Dopo quasi tre mesi finalmente è nato il nuovo Governo. Le tensioni, gli scontri e le polemiche sono state tantissime ma con tanta fatica alla fine le due forze che hanno ottenuto le maggiori preferenze alle ultime elezioni sono riuscite nel loro progetto iniziale, dare vita ad un esecutivo Lega-M5S sancito con la firma di uno specifico contratto programmatico di lavoro, il tempo dirà se si tratta di un contratto utopistico o realistico. Di sicuro nulla ci permetta, ad oggi, di sapere se sarà un’ alleanza duratura o meno, condividere il potere tra due poli è spesso sinonimo di incomprensioni ed equivoci, di sicuro si conosce ciò che accomuna le due forze politiche alleate. Da una parte abbiamo una sorta di concezione sovranistica del potere, una base ideologica di matrice fortemente populista, si spera non nell’ eccezione negativa del termine, ed un approccio quasi adolescenziale, nel senso puristico del termine, al fare politica, senza concepire dinamiche di palazzo sancite nelle buie stanze del potere romano.
Ad essere grandi sono però anche le marcate differenze tra Lega e M5S, differenze che alle prime difficoltà di una certa consistenza potranno senza dubbio mettere in crisi l’accordo di governo. Il Movimento 5 Stelle è un vero fenomeno politico-sociale non certo nuovo. In molti paesi esteri un fenomeno del genere è sempre scoppiato a cavallo dei periodi di grande crisi economica e politica: basti pensare al peronismo argentino o al movimento populista di Chavez in Venezuela. Questo tipo di movimento ha caratteristiche ben definite: c’è un leader carismatico che catalizza le preferenze, c’è un grande nemico da combattere ( nel caso italiano è la vecchia classe politica da decapitare), l’odio verso il liberismo politico e la lotta alla borghesia capitalistica con il fermo principio di ridistribuire reddito verso le classi povere, un esempio su tutti il reddito di cittadinanza. Molti politologi cercano da anni di stabilire se i M5S sia un movimento di sinistra o di destra e ad oggi non sono arrivati ad affermazioni concrete. Azzardando un’ ipotesi ideologica possiamo affermare che i grillini sono allo stesso tempo sia un prodotto del populismo di sinistra sia un prodotto del populismo di destra, ecco perché l’alleanza con la Lega di Salvini è apparsa così naturale, quasi profetica. Possiamo dire che si tratta di un fenomeno camaleontico, più sociale che politico, sono gli istinti della società a percuoterlo e a cavalcarlo ecco perché politicamente si tratta di un fenomeno imprevedibile e dalla stabilità davvero sottilissima. Il duopolio del potere è condiviso, come detto, con la Lega di Matteo Salvini. La Lega è un partito nella concezione più tradizionale del termine e detto già delle comunanze con il M5S, altrettanto nette sono le sue differenti peculiarità.
Nonostante il suo leader sia riuscito nell’ultimo anno a raccogliere preferenze anche nelle terre meridionali, la Lega resta un movimento politico a matrice nordica, non a caso la lotta all’immigrazione e la flat tax sono i suoi principali cavalli di battaglia. Mentre i grillini con la promessa del reddito di cittadinanza hanno fatto man bassa di voti al sud, raccogliendo le rivendicazioni dell’enorme massa di disoccupati del meridione, la Lega (ed il centro-destra in generale) ha trionfato al nord dove la pressione fiscale sulle famigerate partite IVA, è vista come un cancro da curare. Salvini, grazie anche ai consigli berlusconiani, che comunque nonostante le rassicurazioni, siamo convinti si muova ancora dietro le quinte, ha senza dubbio un approccio più smaliziato alle dinamiche parlamentari e un piglio decisionale maggiore del suo alter ego grillino, questo potrebbe essere un motivo di scontro nel corso dei prossimi mesi. Aldilà del contratto di governo, Lega e M5S hanno molte differenze che li dividono, se riusciranno a tenere a bada i loro istinti sociali che li caratterizzano bene, altrimenti i motivi su cui scontrarsi sono molti e, siamo sicuri, proprio sul tentativo di evidenziare questi motivi di scontro che si concentrerà la politica di opposizione sia di Forza Italia che dello stesso PD. Mettiamoci comodi ed assistiamo all’ennesimo spettacolo politico italiano, con la paura, davvero gigantesca, che l’Italia possa perdere ancora una grande occasione di cambiamento.
La rinascita del Cavaliere adesso è realtà.
di Nicola Giordano
Berlusconi torna in pista.Sarà garante della nuova alleanza di destra.
Ormai questi mesi di bagarre politica lo hanno dimostrato in modo netto. C'è un nuovo personaggio che galoppa sulla scena politica in modo forte, il suo nome è Silvio Berlusconi. Ebbene si, il nome nuovo del 2018 è un nome vecchio, potremmo anche dire quasi antico e questo fa ben capire come minimo sia stato ed è tuttora lo spessore ed il carisma politico dei vari leader di destra e sinistra che si sono succeduti in questi anni, compreso il Rottamatore Renzi. Nessuno realmente in grado di prendere la posizione ingombrante del Cavaliere. Matteo Renzi ci ha provato in maniera assidua ma la sua caduta sia referendaria che prettamente programmatica e governativa è sotto gli occhi di tutti. A destra la scena è stata ancor più deficitaria, se solo Giorgia Meloni è riuscita a ridare entusiasmo al popolo del centro-destra questo la dice lunga sulla totale assenza di carisma della componente maschile presente in Forza Italia ma non solo. Soltanto Salvini in questi ultimi anni aveva dimostrato un piglio e delle doti di un certo tipo, ma alla fine dei conti, ci si accorge che si, uno come il Cavaliere in Italia non esiste e chissà se esisterà mai un suo vero erede.
La rinascita politica di Berlusconi è avvenuta non solo grazie alla sua perseveranza ma anche grazie alle vicissitudini parlamentari e governative. Ma Berlusconi, adesso che può dirsi finito l'universo del maggioritario, non avrà sicuramente la possibilità di accentrare il potere esclusivamente nelle sue mani, come spesso gli accadeva in passato, ma sarà tenuto a mediare (come le elezioni siciliane hanno dimostrato), cercando anche di virare verso gli altri membri della coalizione, Meloni e Salvini in testa. Forse nel suo ritorno politico Berlusconi, a cui va dato il merito di aver aderito allo stile Macron decidendo di circondarsi solo di collaboratori giovani e capaci, non potrà essere più il deus ex machina, il salvatore del Paese e uomo forte e onnipotente come era accaduto in passato, ma non necessariamente sarà un problema anzi.
Forse questo avvicinamento del Cavaliere al mondo terreno, contribuirà a smorzare l’antiberlusconismo, il vero male che ha bloccato l'Italia per decenni, frenando giuste o sbagliate tutte le riforme istituzionali che il leader di Forza Italia ha propinato in questi anni. L'odio personale verso il Cavaliere è stato il grande errore delle sinistre di ogni decennio, è stata l'aggravante che ha condotto il Paese verso la crisi politica ed economica degli anni 2000; e per fortuna forse, ce lo siamo messo alle spalle. Nella sua nuova epoca politica, il Berlusconi sarà quello che è, un leader di centro-destra, ricco di difetti ma pieno di carisma e con quella voglia che mai scompare dal suo cuore anziano e anche malandato, la voglia di sorprendere e cambiare l'Italia.
Ormai questi mesi di bagarre politica lo hanno dimostrato in modo netto. C'è un nuovo personaggio che galoppa sulla scena politica in modo forte, il suo nome è Silvio Berlusconi. Ebbene si, il nome nuovo del 2018 è un nome vecchio, potremmo anche dire quasi antico e questo fa ben capire come minimo sia stato ed è tuttora lo spessore ed il carisma politico dei vari leader di destra e sinistra che si sono succeduti in questi anni, compreso il Rottamatore Renzi. Nessuno realmente in grado di prendere la posizione ingombrante del Cavaliere. Matteo Renzi ci ha provato in maniera assidua ma la sua caduta sia referendaria che prettamente programmatica e governativa è sotto gli occhi di tutti. A destra la scena è stata ancor più deficitaria, se solo Giorgia Meloni è riuscita a ridare entusiasmo al popolo del centro-destra questo la dice lunga sulla totale assenza di carisma della componente maschile presente in Forza Italia ma non solo. Soltanto Salvini in questi ultimi anni aveva dimostrato un piglio e delle doti di un certo tipo, ma alla fine dei conti, ci si accorge che si, uno come il Cavaliere in Italia non esiste e chissà se esisterà mai un suo vero erede.
La rinascita politica di Berlusconi è avvenuta non solo grazie alla sua perseveranza ma anche grazie alle vicissitudini parlamentari e governative. Ma Berlusconi, adesso che può dirsi finito l'universo del maggioritario, non avrà sicuramente la possibilità di accentrare il potere esclusivamente nelle sue mani, come spesso gli accadeva in passato, ma sarà tenuto a mediare (come le elezioni siciliane hanno dimostrato), cercando anche di virare verso gli altri membri della coalizione, Meloni e Salvini in testa. Forse nel suo ritorno politico Berlusconi, a cui va dato il merito di aver aderito allo stile Macron decidendo di circondarsi solo di collaboratori giovani e capaci, non potrà essere più il deus ex machina, il salvatore del Paese e uomo forte e onnipotente come era accaduto in passato, ma non necessariamente sarà un problema anzi.
Forse questo avvicinamento del Cavaliere al mondo terreno, contribuirà a smorzare l’antiberlusconismo, il vero male che ha bloccato l'Italia per decenni, frenando giuste o sbagliate tutte le riforme istituzionali che il leader di Forza Italia ha propinato in questi anni. L'odio personale verso il Cavaliere è stato il grande errore delle sinistre di ogni decennio, è stata l'aggravante che ha condotto il Paese verso la crisi politica ed economica degli anni 2000; e per fortuna forse, ce lo siamo messo alle spalle. Nella sua nuova epoca politica, il Berlusconi sarà quello che è, un leader di centro-destra, ricco di difetti ma pieno di carisma e con quella voglia che mai scompare dal suo cuore anziano e anche malandato, la voglia di sorprendere e cambiare l'Italia.
Partiti politici. La crisi senza fine.
di Nicola Giordano
Il peccato originale sta per essere compiuto.
E’ davvero da molti anni che la situazione politica italiana non riversava in uno stato di totale nebbia e confusione come sta accadendo negli ultimi mesi. Questa forte nebulosità avrà a breve un vero momento di certificazione ovvero l’accordo, ormai alle porte tra i quattro maggiori partiti italiani, il Pd, Forza Italia, Movimento 5Stelle e Lega Nord, – per agevolare l’approvazione della una nuova legge elettorale e andare di corsa al voto. Si dirà, non a torto, che il nostro Paese ha spesso passato momenti di pura confusione istituzionale, quasi come fosse una italica tradizione; ma la differenza, rispetto alla situazione di oggi, è che in tutti gli altri casi esisteva un’alternativa, un punto di riferimento visibile e consistente, in grado di opporsi ai disegni ambigui che si profilavano nella nostra repubblica. Oggi no, non c’è, o non ha abbastanza forza politica per essere a noi visibile. Ciò permette alle quattro forze politiche di cui sopra di avanzare di pari passo e in modo apparentemente compatto, compiere un chiaro atto di rivoluzione, appunto, politico-istituzionale, da cui sarà sicuramente complicatissimo poi tornare indietro.
Naturalmente quello che stiamo vivendo in questi mesi è il risultato quasi scientifico di un inesorabile processo globale che si sviluppa da lunghi decenni e cioè il mutamento di natura e di destinazione di quegli spazi di partecipazione collettiva che sono state il nucleo del sistema democratico in Italia, e cioè i partiti politici. Sorti da principio con ideologie spesso contrapposte ma con modalità sostanzialmente omologhe, oggi i partiti politici hanno perduto a poco a poco questa funzione di rappresentanza allargata e si sono tramutati in strumenti di ristretti gruppi dirigenti, anzi, nell’ultima e più significativa fase, in strumento di proiezione della volontà di uno solo, il leader. Questa è senza dubbio la motivazione per cui i quattro leader dei partiti con più consenso elettorale siano riusciti agevolmente a trovare il patto di ferro su caratteristiche e finalità della legge elettorale, di cui in questi giorni si sta parlando. Di solito le leggi elettorali dovrebbero consentire di individuare al meglio il consenso, e permettere quindi di volta in volta l’alternanza delle diverse forze politiche al governo.
Questa nuova legge invece serve a rendere stabile, anzi permanente, lo status quo: i quattro Re di cui sopra, sono tutti concordi col principio che, innanzitutto, la rappresentanza parlamentare venga statualmente divisa fra loro quattro: alleanze e coalizioni saranno poi un discorso successivo dal quale l’elettore rimane escluso. In realtà esisteva ed esiste ancora in Italia un grande spazio, individuabile con enormi zone di cultura dell’alternativa e della partecipazione, nelle quali pure nel nostro incontrarsi e colloquiare. La paura però è ovviamente che anche su questo versante, come sarebbe paradossale, non finisca col concretizzarsi un semplice incontro elettorale, ma si sviluppi una rinascita profonda delle forze in gioco, per giungere poi, in modo più agevole ad organi politici di rappresentanza diversi da quelli tradizionali.
E’ davvero da molti anni che la situazione politica italiana non riversava in uno stato di totale nebbia e confusione come sta accadendo negli ultimi mesi. Questa forte nebulosità avrà a breve un vero momento di certificazione ovvero l’accordo, ormai alle porte tra i quattro maggiori partiti italiani, il Pd, Forza Italia, Movimento 5Stelle e Lega Nord, – per agevolare l’approvazione della una nuova legge elettorale e andare di corsa al voto. Si dirà, non a torto, che il nostro Paese ha spesso passato momenti di pura confusione istituzionale, quasi come fosse una italica tradizione; ma la differenza, rispetto alla situazione di oggi, è che in tutti gli altri casi esisteva un’alternativa, un punto di riferimento visibile e consistente, in grado di opporsi ai disegni ambigui che si profilavano nella nostra repubblica. Oggi no, non c’è, o non ha abbastanza forza politica per essere a noi visibile. Ciò permette alle quattro forze politiche di cui sopra di avanzare di pari passo e in modo apparentemente compatto, compiere un chiaro atto di rivoluzione, appunto, politico-istituzionale, da cui sarà sicuramente complicatissimo poi tornare indietro.
Naturalmente quello che stiamo vivendo in questi mesi è il risultato quasi scientifico di un inesorabile processo globale che si sviluppa da lunghi decenni e cioè il mutamento di natura e di destinazione di quegli spazi di partecipazione collettiva che sono state il nucleo del sistema democratico in Italia, e cioè i partiti politici. Sorti da principio con ideologie spesso contrapposte ma con modalità sostanzialmente omologhe, oggi i partiti politici hanno perduto a poco a poco questa funzione di rappresentanza allargata e si sono tramutati in strumenti di ristretti gruppi dirigenti, anzi, nell’ultima e più significativa fase, in strumento di proiezione della volontà di uno solo, il leader. Questa è senza dubbio la motivazione per cui i quattro leader dei partiti con più consenso elettorale siano riusciti agevolmente a trovare il patto di ferro su caratteristiche e finalità della legge elettorale, di cui in questi giorni si sta parlando. Di solito le leggi elettorali dovrebbero consentire di individuare al meglio il consenso, e permettere quindi di volta in volta l’alternanza delle diverse forze politiche al governo.
Questa nuova legge invece serve a rendere stabile, anzi permanente, lo status quo: i quattro Re di cui sopra, sono tutti concordi col principio che, innanzitutto, la rappresentanza parlamentare venga statualmente divisa fra loro quattro: alleanze e coalizioni saranno poi un discorso successivo dal quale l’elettore rimane escluso. In realtà esisteva ed esiste ancora in Italia un grande spazio, individuabile con enormi zone di cultura dell’alternativa e della partecipazione, nelle quali pure nel nostro incontrarsi e colloquiare. La paura però è ovviamente che anche su questo versante, come sarebbe paradossale, non finisca col concretizzarsi un semplice incontro elettorale, ma si sviluppi una rinascita profonda delle forze in gioco, per giungere poi, in modo più agevole ad organi politici di rappresentanza diversi da quelli tradizionali.
Saviano.Da martire a guru mediatico.
di Nicola Giordano
La strana metamorfosi del coraggioso cronista della criminalità.
Quando parliamo di Roberto Saviano non si può che essere fieri del grande contributo dato dai suoi libri e dalle sue idee sul tema della lotta alla criminalità, camorra soprattutto. Grazie alle storie delle sue opere ha risvegliato le coscienze di noi tutti su un argomento spesso dimenticato o comunque non percepito da tutti come un enorme cancro della nostra società. Il suo pensiero è stato importante quasi come le inchieste dei pool di magistrati che a colpi di sentenze hanno poco alla volta inflitto ferite sanguinose ai clan camorristici, casalesi in primis. La sua è stata una dirompente e incosciente forza che ha spazzato via tutto, pagine coraggiose le sue, non è da tutti mettere nero su bianco fatti e soprattutto nomi veri su vicende criminali. Se a ciò aggiungiamo che a causa di tali pagine coraggiose Saviano abbia pagato in termini di perdita di libertà personale e paura per la sua stessa vita, allora l'alone di martirio si cala insistente su di lui e ce lo erge a simbolo di un' Italia che tutto fagocita e nulla protegge, neppure i suoi eroi sociali. Questa appena fatta è però la premessa, perentoria ed importante, ma pur sempre una premessa.
Negli ultimi anni Saviano è cambiato; è diventato complicato seguirlo se non addirittura arduo districarsi nei suoi ragionamenti e nelle sue intenzioni implicite. Da tempo veste altri panni, quelli del guru mediatico, del magistrato moralista che parla e sentenzia di tutto, seguendo le impronte di quegli intellettuali da cui si era da sempre discostato, che trascorrono le estati a Forte dei Marmi e non mancano un party esclusivo di La Repubblica o una sana ospitata dal fidato Fazio. La cosa che lascia interdetti è che da paladino della libertà di pensiero e di espressione,lui stesso sia diventato un fautore del pensiero unico, pronto a bollare come sacrilega bestemmia, o invidioso pensiero chiunque critichi le sue parole o qualche sua affermazione azzardata. I suoi editoriali su La Repubblica o su l'Espresso vengono spesso amplificati all’ennesima potenza, aldilà del reale contenuto. Perché Saviano, da giudice morale, sa bene che la massa mediatica eleva ogni suo ragionamento al rango dell' inoppugnabilità totale, una sorta di comandamento laico. Da alcuni anni lo scrittore d'inchiesta, coraggioso e aggressivo, pronto a dare il petto contro i camorristi più brutali si è tramutato in esplicito brand sia commerciale che politico, un marchio da registrare e sfruttare.
Le sue opinioni sono diventate verdetti categorici, ricchi di solennità e nettezza su qualsiasi argomento, siano essi giuridici, politici, letterari, antropologici e addirittura anche religiosi. Le sue parole sono diventate Bibbia laica, marchiate dal fregio del martire illuminato che la giostra mediatica, cui stringi stringi, importa solo l'audience, è pronta a ripetere come mantra amplificato e genuflesso. Il Saviano che conoscevamo era un ottimo scrittore di fatti criminali, coraggioso ed eroico proprio perchè pronto ad indagare nei santuari della criminalità.Il Saviano di oggi è un simil profeta che dibatte di storia, politica, economia e religione con la saccenza di chi ha sempre ragione e che confida nei media come portavoce interessati delle sue parole. Quando Saviano tornerà a fare lo scrittore di storie criminali, quelle che conosce bene e di cui è esperto e metterà nel cassetto l'abito del guru filosofico cui tutto è dovuto e a cui nessuna critica è concessa, allora tornerà a piacerci.
Quando parliamo di Roberto Saviano non si può che essere fieri del grande contributo dato dai suoi libri e dalle sue idee sul tema della lotta alla criminalità, camorra soprattutto. Grazie alle storie delle sue opere ha risvegliato le coscienze di noi tutti su un argomento spesso dimenticato o comunque non percepito da tutti come un enorme cancro della nostra società. Il suo pensiero è stato importante quasi come le inchieste dei pool di magistrati che a colpi di sentenze hanno poco alla volta inflitto ferite sanguinose ai clan camorristici, casalesi in primis. La sua è stata una dirompente e incosciente forza che ha spazzato via tutto, pagine coraggiose le sue, non è da tutti mettere nero su bianco fatti e soprattutto nomi veri su vicende criminali. Se a ciò aggiungiamo che a causa di tali pagine coraggiose Saviano abbia pagato in termini di perdita di libertà personale e paura per la sua stessa vita, allora l'alone di martirio si cala insistente su di lui e ce lo erge a simbolo di un' Italia che tutto fagocita e nulla protegge, neppure i suoi eroi sociali. Questa appena fatta è però la premessa, perentoria ed importante, ma pur sempre una premessa.
Negli ultimi anni Saviano è cambiato; è diventato complicato seguirlo se non addirittura arduo districarsi nei suoi ragionamenti e nelle sue intenzioni implicite. Da tempo veste altri panni, quelli del guru mediatico, del magistrato moralista che parla e sentenzia di tutto, seguendo le impronte di quegli intellettuali da cui si era da sempre discostato, che trascorrono le estati a Forte dei Marmi e non mancano un party esclusivo di La Repubblica o una sana ospitata dal fidato Fazio. La cosa che lascia interdetti è che da paladino della libertà di pensiero e di espressione,lui stesso sia diventato un fautore del pensiero unico, pronto a bollare come sacrilega bestemmia, o invidioso pensiero chiunque critichi le sue parole o qualche sua affermazione azzardata. I suoi editoriali su La Repubblica o su l'Espresso vengono spesso amplificati all’ennesima potenza, aldilà del reale contenuto. Perché Saviano, da giudice morale, sa bene che la massa mediatica eleva ogni suo ragionamento al rango dell' inoppugnabilità totale, una sorta di comandamento laico. Da alcuni anni lo scrittore d'inchiesta, coraggioso e aggressivo, pronto a dare il petto contro i camorristi più brutali si è tramutato in esplicito brand sia commerciale che politico, un marchio da registrare e sfruttare.
Le sue opinioni sono diventate verdetti categorici, ricchi di solennità e nettezza su qualsiasi argomento, siano essi giuridici, politici, letterari, antropologici e addirittura anche religiosi. Le sue parole sono diventate Bibbia laica, marchiate dal fregio del martire illuminato che la giostra mediatica, cui stringi stringi, importa solo l'audience, è pronta a ripetere come mantra amplificato e genuflesso. Il Saviano che conoscevamo era un ottimo scrittore di fatti criminali, coraggioso ed eroico proprio perchè pronto ad indagare nei santuari della criminalità.Il Saviano di oggi è un simil profeta che dibatte di storia, politica, economia e religione con la saccenza di chi ha sempre ragione e che confida nei media come portavoce interessati delle sue parole. Quando Saviano tornerà a fare lo scrittore di storie criminali, quelle che conosce bene e di cui è esperto e metterà nel cassetto l'abito del guru filosofico cui tutto è dovuto e a cui nessuna critica è concessa, allora tornerà a piacerci.
Terrorismo edintegrazione.Il falso binomio.
di Nicola Giordano
Non sempre il fattore integrazione è la soluzione a ogni male.
La questione terrorismo è il grande male dei nostri tempi. Ormai da decenni l’attenzione mondiale è concentrata essenzialmente su come affrontare e risolvere questo tipo di problematica che anno per anno miete centinaia di vittime nel 99% dei casi innocenti ed estranei a qualsiasi lotta integralista tra religioni. Istituzioni, governi ed eserciti danno il meglio di se ma il terrorismo sembra qualcosa di sfuggente, un dilemma irrisolvibile soprattutto perché spesso non se ne riescono a comprendere ragioni e motivi d’essere. Dopo i recenti attentati in Francia ed in Germania la questione si è riaperta più che mai. L’interrogativo che tutte le menti moderate d’occidente si pongono è fondamentalmente uno solo: è possibile riuscire ad integrare i musulmani nei nostri paesi? L’attentatore di Nizza era un cittadino europeo integrato apparentemente in Francia, quello di Monaco di Baviera era un afghano giunto in Germania pochi anni fa come rifugiato politico.
Tutto questo porta a farci una domanda in piena schiettezza ovvero se i musulmani che vengono pacificamente accolti in Europa e a cui viene data anche un’occasione per cambiare la loro esistenza si ribellano comunque e provocano morte e paura in mezzo a quei popoli che li avevano accolti salvando le loro vite, che speranza di cambiamento c’è? Forse nessuna. Molti hanno provato e provano a spiegare il terrorismo islamico da un punto di vista psicologico come se essere terrorista fosse una sorta di psichica patologia da comprendere e curare. Credo che sia profondamente errato. L’atto terroristico è e resta comunque un atto di matrice ideologica e politica, una vera e consapevole scelta di strategia politico-militare.
Non serve quindi incentivare i mezzi di integrazione, il terrorismo nasce non per mancanza di integrazione ma come una specifica scelta dell’uomo che integrato o non integrato decide volontariamente di compiere un’azione terroristica per lanciare agli altri un messaggio di pura ideologia, sia essa religiosa o politica o entrambe. L’integrazione diventa fondamentale per combattere altre problematiche come il disagio sociale o il proliferare delle criminalità; solo aiutando l’immigrato a trovare una collocazione sicura e certa nella società che lo accoglie si può evitare che egli diventi terreno fertile per disagi di cui sopra. Ma di certo l’integrazione o meno non serve per combattere né ha nulla a che vedere con una scelta ideologica come il terrorismo islamico. Prima si arriva a comprendere questo fattore e prima si potrà intervenire in maniera più efficace per opporsi al male dei nostri giorni.
La questione terrorismo è il grande male dei nostri tempi. Ormai da decenni l’attenzione mondiale è concentrata essenzialmente su come affrontare e risolvere questo tipo di problematica che anno per anno miete centinaia di vittime nel 99% dei casi innocenti ed estranei a qualsiasi lotta integralista tra religioni. Istituzioni, governi ed eserciti danno il meglio di se ma il terrorismo sembra qualcosa di sfuggente, un dilemma irrisolvibile soprattutto perché spesso non se ne riescono a comprendere ragioni e motivi d’essere. Dopo i recenti attentati in Francia ed in Germania la questione si è riaperta più che mai. L’interrogativo che tutte le menti moderate d’occidente si pongono è fondamentalmente uno solo: è possibile riuscire ad integrare i musulmani nei nostri paesi? L’attentatore di Nizza era un cittadino europeo integrato apparentemente in Francia, quello di Monaco di Baviera era un afghano giunto in Germania pochi anni fa come rifugiato politico.
Tutto questo porta a farci una domanda in piena schiettezza ovvero se i musulmani che vengono pacificamente accolti in Europa e a cui viene data anche un’occasione per cambiare la loro esistenza si ribellano comunque e provocano morte e paura in mezzo a quei popoli che li avevano accolti salvando le loro vite, che speranza di cambiamento c’è? Forse nessuna. Molti hanno provato e provano a spiegare il terrorismo islamico da un punto di vista psicologico come se essere terrorista fosse una sorta di psichica patologia da comprendere e curare. Credo che sia profondamente errato. L’atto terroristico è e resta comunque un atto di matrice ideologica e politica, una vera e consapevole scelta di strategia politico-militare.
Non serve quindi incentivare i mezzi di integrazione, il terrorismo nasce non per mancanza di integrazione ma come una specifica scelta dell’uomo che integrato o non integrato decide volontariamente di compiere un’azione terroristica per lanciare agli altri un messaggio di pura ideologia, sia essa religiosa o politica o entrambe. L’integrazione diventa fondamentale per combattere altre problematiche come il disagio sociale o il proliferare delle criminalità; solo aiutando l’immigrato a trovare una collocazione sicura e certa nella società che lo accoglie si può evitare che egli diventi terreno fertile per disagi di cui sopra. Ma di certo l’integrazione o meno non serve per combattere né ha nulla a che vedere con una scelta ideologica come il terrorismo islamico. Prima si arriva a comprendere questo fattore e prima si potrà intervenire in maniera più efficace per opporsi al male dei nostri giorni.
Reagire all'odio con forte europeismo.
di Nicola Giordano
Capire chi siamo per capire come agire contro gli integralisti.
Negli ultimi mesi l'atteggiamento dell'Unione Europea verso la lotta al terrorismo islamico sembra essere cambiato.Il sangue versato negli attentati parigini e nel recente attacco all'aeroporto di Bruxelles sembrano aver svegliato dal torpore i palazzi delle istituzioni europee. A volte serve solo uno shock per spingere ad agire,solo assaggiando sulla pelle l’odio ravvicinato e l'odore dei cadaveri in piazza, la politica europea può iniziare ad ammettere i propri fallimenti in primis le sbagliate politiche immigratorie degli ultimi decenni. La paura della paura adesso ci obbliga ad aprire gli occhi a darci da fare.Adesso l'UE deve reagire e solo un forte europeismo impostato su un unico coordinamento antiterrorismo e di intelligence può essere lo strumento iniziale alla lotta contro l'integralismo.
Serve unità e coerenza nelle scelte partendo da come comportarsi in Libia oppure in Siria, e soprattutto aiutare i paesi costieri,come l'Italia, nella gestione dei disperati in transito dal Nordafrica e dalla Grecia. Quello che maggiormente ferisce del recente attentato in Belgio è il fatto che tutto sia partito dai cosiddetti integralisiti «integrati» nella nostra terra europea,se a ciò aggiungiamo che i poliziotti presenti nel quartiere per arrestare l'attentatore in fuga Salah siano stati accolti da persone in strada pronti a lanciare loro pietre, ci rendiamo conto che qualcosa non è andato nel modo europeo di accettare l'immigrato.Il nemico adesso è in casa e serve quindi agire in modo diverso.Colpendo Bruxelles i sicari di Allah hanno colpito il cuore politico, economico, militare del Vecchio Continente. La moderna Europa oggi è chiamata ad una prova di coraggio e di unità,adesso cova nel suo ventre il germe del dolore e della morte.Se da sempre le nostre politiche immigratorie ci hanno imposto giustamente di accogliere lo straniero, di difenderlo e di aiutarlo a crescere permettendogli di avere famiglia e figli e poi i suoi stessi figli invece ci odiano e ci combattono è un fallimento che non bisogna ignorare.
L'integrazione europeista non è affatto avvenuta.Lo straniero è rimasto straniero e il suo odio è montato ed esploso.L'UE ha da sempre imposto il dogma dell’accoglienza. È il fondamento di quel mondo senza frontiere, né fisiche né culturali. Ma nonostante questo l'integralismo si è radicato e quartieri interi delle nostra città anche se non ghettizzati,sono diventati centri di raccordo, pianificazione e protezione delle reti terroristiche.Basta chiedere aiuto all'Islam moderato.L'Islam non è moderazione,è fanatismo acceso.Va rispettato ma non subito.La colpa è una colpa politica,è colpa dei nostri leader senza potere, delle migliaia di burocrati dell’Unione che sguazzano nella retorica senza alcun coraggio nelle decisioni. L'Europa deve cogliere l'occasione per dare unità alla sua politica,coesione nelle scelte strategiche e capire che la guerra terroristica è una guerra più culturale che militare.Solo capendo chi siamo noi possiamo capire il perchè di gesti estremi come quelli di Bruxelles e trovare ulteriore forza per difendere la nostra libertà.La libertà di essere europei.
Negli ultimi mesi l'atteggiamento dell'Unione Europea verso la lotta al terrorismo islamico sembra essere cambiato.Il sangue versato negli attentati parigini e nel recente attacco all'aeroporto di Bruxelles sembrano aver svegliato dal torpore i palazzi delle istituzioni europee. A volte serve solo uno shock per spingere ad agire,solo assaggiando sulla pelle l’odio ravvicinato e l'odore dei cadaveri in piazza, la politica europea può iniziare ad ammettere i propri fallimenti in primis le sbagliate politiche immigratorie degli ultimi decenni. La paura della paura adesso ci obbliga ad aprire gli occhi a darci da fare.Adesso l'UE deve reagire e solo un forte europeismo impostato su un unico coordinamento antiterrorismo e di intelligence può essere lo strumento iniziale alla lotta contro l'integralismo.
Serve unità e coerenza nelle scelte partendo da come comportarsi in Libia oppure in Siria, e soprattutto aiutare i paesi costieri,come l'Italia, nella gestione dei disperati in transito dal Nordafrica e dalla Grecia. Quello che maggiormente ferisce del recente attentato in Belgio è il fatto che tutto sia partito dai cosiddetti integralisiti «integrati» nella nostra terra europea,se a ciò aggiungiamo che i poliziotti presenti nel quartiere per arrestare l'attentatore in fuga Salah siano stati accolti da persone in strada pronti a lanciare loro pietre, ci rendiamo conto che qualcosa non è andato nel modo europeo di accettare l'immigrato.Il nemico adesso è in casa e serve quindi agire in modo diverso.Colpendo Bruxelles i sicari di Allah hanno colpito il cuore politico, economico, militare del Vecchio Continente. La moderna Europa oggi è chiamata ad una prova di coraggio e di unità,adesso cova nel suo ventre il germe del dolore e della morte.Se da sempre le nostre politiche immigratorie ci hanno imposto giustamente di accogliere lo straniero, di difenderlo e di aiutarlo a crescere permettendogli di avere famiglia e figli e poi i suoi stessi figli invece ci odiano e ci combattono è un fallimento che non bisogna ignorare.
L'integrazione europeista non è affatto avvenuta.Lo straniero è rimasto straniero e il suo odio è montato ed esploso.L'UE ha da sempre imposto il dogma dell’accoglienza. È il fondamento di quel mondo senza frontiere, né fisiche né culturali. Ma nonostante questo l'integralismo si è radicato e quartieri interi delle nostra città anche se non ghettizzati,sono diventati centri di raccordo, pianificazione e protezione delle reti terroristiche.Basta chiedere aiuto all'Islam moderato.L'Islam non è moderazione,è fanatismo acceso.Va rispettato ma non subito.La colpa è una colpa politica,è colpa dei nostri leader senza potere, delle migliaia di burocrati dell’Unione che sguazzano nella retorica senza alcun coraggio nelle decisioni. L'Europa deve cogliere l'occasione per dare unità alla sua politica,coesione nelle scelte strategiche e capire che la guerra terroristica è una guerra più culturale che militare.Solo capendo chi siamo noi possiamo capire il perchè di gesti estremi come quelli di Bruxelles e trovare ulteriore forza per difendere la nostra libertà.La libertà di essere europei.
Italia,riforme ed Europa.Ecco la strada.
di Nicola Giordano
Qualcosa davvero può cambiare nel nostro Paese.
L'Italia da anni veniva considerato il Paese immobile,irriformabile,una specie di nazione di sabbie mobili dove tutto restava uguale e ogni passo nuovo era destinato al fallimento.La settimana scorsa invece c'è stato un episodio eclatante.Il Senato ha approvato la sua stessa riforma che di fatto lo elimina anzi lo tramuta in un'istituzione diversa e più efficace. Le riforme della carta costituzionale sono un atto di estrema importanza,sarebbe stato ideale farle insieme alla minoranza ma non è stato possibile.Sono sorte grazieadc un tacito accordo nella maggioranza stessa, con un aiutino esterno di dubbia valenza politica. Ne è scaturita una riforma diversa sia da come la desiderava Renzi sia da quella che voleva la minoranza Dem interna al PD.
Ancora molti aspetti sono oscuri, ad esempio le regole di nomina dei senatori; il rapporto tra le Regioni e il nuovo Senato, che rischia di diventare una scusa per alimentare nuovi conflitti invece che un luogo di mediazione tra poteri. A dire il vero la strada per concretizzare la riforma è ancora lunghetta perchè manca il voto della Camera e poi il referendum, che sarebbe sbagliato trasformare in un giudizio popolare nei confronti di Renzi.Questo perchè modificare la Costituzione non è mai una questione personale di leadership politica ma un fatto di portata generale. Una cosa però è importante dirla.Dopo decenni di immobilismo congenito e di discussioni, l'Italia ha dimostrato di saper cambiare la sua natura e le sue norme dandole rapidità e accellerazione.
Il voto del Senato è giunto in un momento davvero particolare per il paese.C'è una crisi bancaria alle porte con annessi scandali e reati,c'è l’Europa che critica il modo italiano di far parte dell'UE, c'è un rapporto che resta teso e complicato con il leader europeo maggiore,ovvero Angela Merkel. Se un paese come il nostro riesce a riformare istituzioni e settori nevralgici come lavoro ed economia tutto ciò rafforza la nostra credibilità e il peso specifico del nostro Paese. Ma questo non deve portarci al muro contro muro con l’Europa nordica che vuole modificate il patto di Schengen.Se la Merkel accetterà un radicale cambio della sua stessa politica estera,come molti tedeschi già invocano,ciò non sarà positivo ma provocherà minore dialogo e minore solidarietà. L'Italia non dovrà isolarsi dalle politiche comunitarie nè seguire le derive nazionaliste che all'est prendono piede sempre più.L'atteggiamento anti Berlino e anti Bruxelles non serve a nulla. Se una lezione va tratta dagli avvenimenti del passato è che in un momento così complicato nessun paese è tale se non riesce a fare riforme serie e ad avere un dialogo costruttivo con le istituzioni europee.
L'Italia da anni veniva considerato il Paese immobile,irriformabile,una specie di nazione di sabbie mobili dove tutto restava uguale e ogni passo nuovo era destinato al fallimento.La settimana scorsa invece c'è stato un episodio eclatante.Il Senato ha approvato la sua stessa riforma che di fatto lo elimina anzi lo tramuta in un'istituzione diversa e più efficace. Le riforme della carta costituzionale sono un atto di estrema importanza,sarebbe stato ideale farle insieme alla minoranza ma non è stato possibile.Sono sorte grazieadc un tacito accordo nella maggioranza stessa, con un aiutino esterno di dubbia valenza politica. Ne è scaturita una riforma diversa sia da come la desiderava Renzi sia da quella che voleva la minoranza Dem interna al PD.
Ancora molti aspetti sono oscuri, ad esempio le regole di nomina dei senatori; il rapporto tra le Regioni e il nuovo Senato, che rischia di diventare una scusa per alimentare nuovi conflitti invece che un luogo di mediazione tra poteri. A dire il vero la strada per concretizzare la riforma è ancora lunghetta perchè manca il voto della Camera e poi il referendum, che sarebbe sbagliato trasformare in un giudizio popolare nei confronti di Renzi.Questo perchè modificare la Costituzione non è mai una questione personale di leadership politica ma un fatto di portata generale. Una cosa però è importante dirla.Dopo decenni di immobilismo congenito e di discussioni, l'Italia ha dimostrato di saper cambiare la sua natura e le sue norme dandole rapidità e accellerazione.
Il voto del Senato è giunto in un momento davvero particolare per il paese.C'è una crisi bancaria alle porte con annessi scandali e reati,c'è l’Europa che critica il modo italiano di far parte dell'UE, c'è un rapporto che resta teso e complicato con il leader europeo maggiore,ovvero Angela Merkel. Se un paese come il nostro riesce a riformare istituzioni e settori nevralgici come lavoro ed economia tutto ciò rafforza la nostra credibilità e il peso specifico del nostro Paese. Ma questo non deve portarci al muro contro muro con l’Europa nordica che vuole modificate il patto di Schengen.Se la Merkel accetterà un radicale cambio della sua stessa politica estera,come molti tedeschi già invocano,ciò non sarà positivo ma provocherà minore dialogo e minore solidarietà. L'Italia non dovrà isolarsi dalle politiche comunitarie nè seguire le derive nazionaliste che all'est prendono piede sempre più.L'atteggiamento anti Berlino e anti Bruxelles non serve a nulla. Se una lezione va tratta dagli avvenimenti del passato è che in un momento così complicato nessun paese è tale se non riesce a fare riforme serie e ad avere un dialogo costruttivo con le istituzioni europee.
Superare il renzismo è davvero possibile?
di Nicola Giordano
Andare oltre il fenomeno Renzi è un obbligo politico.
Nel complesso è variegato universo di sinistra comincia a diventare davvero forte la nausea verso il renzismo.Non parliamo del Governo Renzi e delle sue politiche per l'Italia,parliamo invece di quel fenomeno che pone l'approccio carismatico,personalistico e lievemente superficiale come ingredienti base del successo politico.Il Renzismo è un evoluzione in chiave leggermente progressista del Berlusconismo di destra,ma con uguali pregi e difetti, in primis l'enorme propensione a suscitare critiche ed accuse.Nel PD in cui Renzi si muove si è fatta davvero gigantesca la schiera di nemici che in modo non più velato si augurano una caduta del Governo.
Ma esiste davvero un'alternativa al Renzismo per il PD senza cadere nel vortice dell'autolesionismo e del fallimento politico sistematico?Alcuni grandi mentori del mondo di sinistra,tra cui D'Alema e Bersani, ritengono che tutto ciò sia possibile. Costruendo un nuovo partito di sinistra, ampliando l'elettorato di SEL e seguendo gli ideali di sindacati e manifestanti, proprio quei soggetti che Renzi boccia come inconcludenti e deleteri per il paese. La riconquista del PD o la nascita di una nuova sinistra è però collegata all'insuccesso o meno delle riforme renziane.Se il premier riesce a concretizzare le sue politiche ed il paese consolida la sua ripresa economica allora sarà davvero complicato per il mondo di sinistra superare il Renzismo che invece rischierebbe di divenire la soluzione ai problemi del Paese.
Il Berlusconismo cadde non per merito dei nemici politici del Cavaliere ma a causa della crisi economica europea del 2011 che investì tutto il continente;oggi però una cosa del genere è impensabile perchè le istituzioni europee hanno nuovi metodi di solidarietà ed aiuto economico, ma qualche rivolta finanziaria potrebbe sempre accadere ed in quel caso,col suo eccessivo debito pubblico, l'Italia potrebbe rischiare moltissimo e con essa il suo Governo.In quel frangente allora l'alternativa al Renzismo dovrà essere veloce e pronta, una candidatura autorevole dell'opposizione dovrà emergere solida e pretendere di prendere il posto del premier attuale.L'alternanza politica è un bene per il paese e nulla,neppure il Renzismo possono resistere alle crisi economiche.
Nel complesso è variegato universo di sinistra comincia a diventare davvero forte la nausea verso il renzismo.Non parliamo del Governo Renzi e delle sue politiche per l'Italia,parliamo invece di quel fenomeno che pone l'approccio carismatico,personalistico e lievemente superficiale come ingredienti base del successo politico.Il Renzismo è un evoluzione in chiave leggermente progressista del Berlusconismo di destra,ma con uguali pregi e difetti, in primis l'enorme propensione a suscitare critiche ed accuse.Nel PD in cui Renzi si muove si è fatta davvero gigantesca la schiera di nemici che in modo non più velato si augurano una caduta del Governo.
Ma esiste davvero un'alternativa al Renzismo per il PD senza cadere nel vortice dell'autolesionismo e del fallimento politico sistematico?Alcuni grandi mentori del mondo di sinistra,tra cui D'Alema e Bersani, ritengono che tutto ciò sia possibile. Costruendo un nuovo partito di sinistra, ampliando l'elettorato di SEL e seguendo gli ideali di sindacati e manifestanti, proprio quei soggetti che Renzi boccia come inconcludenti e deleteri per il paese. La riconquista del PD o la nascita di una nuova sinistra è però collegata all'insuccesso o meno delle riforme renziane.Se il premier riesce a concretizzare le sue politiche ed il paese consolida la sua ripresa economica allora sarà davvero complicato per il mondo di sinistra superare il Renzismo che invece rischierebbe di divenire la soluzione ai problemi del Paese.
Il Berlusconismo cadde non per merito dei nemici politici del Cavaliere ma a causa della crisi economica europea del 2011 che investì tutto il continente;oggi però una cosa del genere è impensabile perchè le istituzioni europee hanno nuovi metodi di solidarietà ed aiuto economico, ma qualche rivolta finanziaria potrebbe sempre accadere ed in quel caso,col suo eccessivo debito pubblico, l'Italia potrebbe rischiare moltissimo e con essa il suo Governo.In quel frangente allora l'alternativa al Renzismo dovrà essere veloce e pronta, una candidatura autorevole dell'opposizione dovrà emergere solida e pretendere di prendere il posto del premier attuale.L'alternanza politica è un bene per il paese e nulla,neppure il Renzismo possono resistere alle crisi economiche.
La vera prova di forza di Renzi.
di Nicola Giordano
Approvato l'Italicum per il premier la strada si fa spianata.
Incassando le sue varie fiducie dal Parlamento in primis sulla legge elettorale,Matteo Renzi si è preso la sua personale vittoria politica.Molti avversari politici la chiamano una vittoria sulle rovine del Paese ma la locuzione in effetti non è molto lontana dalla realtà.Lo stesso Governo Renzi di fatti è sorto sulle rovine di governi precedenti,sulle rovine della stessa Seconda Repubblica.Forse è proprio il ricordo della negativa realtà politica in cui versava il paese da spingere Renzi sempre più su,a fomentare gli elettori e ad alimentare il suo personale consenso.Non sono i critici o i professori a conquistare i voti ma chi da l'idea di avere la situazione in pugno con piglio deciso.Tornando all'Italicum,si tratta di una legge ricca di difetti una sorta di anomalo ibrido tra un sistema di tipo proporzionale e uno maggioritario,una specie di mostro elettorale senza precedenti in Europa.L'opinione pubblica è ben cosciente quindi che tale legge non sia perfetta anzi tutt'altro ma il concetto che passa è il seguente:o tenersi Renzi con le sue riforme imperfette o tornare all'immobilismo di prima.
La risposta è scontata.Gli avversari politici invece sono in un'altra situazione.Essendo contrari al Governo dovrebbero coalizzarsi e con coraggio opporsi a tali riforme mirando a far crollare l'Esecutivo.Ma ciò non accade.Il coraggio di cui sopra manca e mancano i leader politici in grado di ergersi a solidi oppositori di Renzi.Facendo leva su questa situazione Renzi va avanti,usa la fiducia e conquista le aule del Parlamento facendo approvare le sue anomale riforme,ma pur sempre riforme;riuscendo anche a mettere i dissidenti con le spalle al muro, prendendosi tutto ciò che è in palio. Il futuro parlamentare è molto incerto.Di sicuro il premier rafforza e rafforzerà il suo ruolo di dominus della scena politica e grazie all'Italicum sarà proprio lui a decidere quando e se sciogliere le camere,anche se la formale decisione resterà al Presidente della Repubblica.Insomma sarà Renzi a imporre la data di scadenza sulla sua stessa legislatura.
Di sicuro il nuovo sistema elettorale permetterà allo stesso premier di spazzare via tutti i vecchi detriti di un’opposizione annientata dal tempo.Il colpo di genio però potrebbe essere un altro ancora.Ovvero tentare,con fatica,di usare l'Italicum per ricreare un sistema politico più equilibrato,che ponga sempre il bipolarismo come schema generale.Solo l'alternanza insomma potrebbe salvare la democraticità del paese.A Renzi però conviene non solo vincere ma anche farlo in modo elegante e convincente perchè comunque alla fine l'Italicum darà vita ad una Camera dei Deputati con equilibri molto sottili,dove chi vince comunque potrebbe essere messo in crisi da un gruppo di dissidenti esiguo ma compatto.
Incassando le sue varie fiducie dal Parlamento in primis sulla legge elettorale,Matteo Renzi si è preso la sua personale vittoria politica.Molti avversari politici la chiamano una vittoria sulle rovine del Paese ma la locuzione in effetti non è molto lontana dalla realtà.Lo stesso Governo Renzi di fatti è sorto sulle rovine di governi precedenti,sulle rovine della stessa Seconda Repubblica.Forse è proprio il ricordo della negativa realtà politica in cui versava il paese da spingere Renzi sempre più su,a fomentare gli elettori e ad alimentare il suo personale consenso.Non sono i critici o i professori a conquistare i voti ma chi da l'idea di avere la situazione in pugno con piglio deciso.Tornando all'Italicum,si tratta di una legge ricca di difetti una sorta di anomalo ibrido tra un sistema di tipo proporzionale e uno maggioritario,una specie di mostro elettorale senza precedenti in Europa.L'opinione pubblica è ben cosciente quindi che tale legge non sia perfetta anzi tutt'altro ma il concetto che passa è il seguente:o tenersi Renzi con le sue riforme imperfette o tornare all'immobilismo di prima.
La risposta è scontata.Gli avversari politici invece sono in un'altra situazione.Essendo contrari al Governo dovrebbero coalizzarsi e con coraggio opporsi a tali riforme mirando a far crollare l'Esecutivo.Ma ciò non accade.Il coraggio di cui sopra manca e mancano i leader politici in grado di ergersi a solidi oppositori di Renzi.Facendo leva su questa situazione Renzi va avanti,usa la fiducia e conquista le aule del Parlamento facendo approvare le sue anomale riforme,ma pur sempre riforme;riuscendo anche a mettere i dissidenti con le spalle al muro, prendendosi tutto ciò che è in palio. Il futuro parlamentare è molto incerto.Di sicuro il premier rafforza e rafforzerà il suo ruolo di dominus della scena politica e grazie all'Italicum sarà proprio lui a decidere quando e se sciogliere le camere,anche se la formale decisione resterà al Presidente della Repubblica.Insomma sarà Renzi a imporre la data di scadenza sulla sua stessa legislatura.
Di sicuro il nuovo sistema elettorale permetterà allo stesso premier di spazzare via tutti i vecchi detriti di un’opposizione annientata dal tempo.Il colpo di genio però potrebbe essere un altro ancora.Ovvero tentare,con fatica,di usare l'Italicum per ricreare un sistema politico più equilibrato,che ponga sempre il bipolarismo come schema generale.Solo l'alternanza insomma potrebbe salvare la democraticità del paese.A Renzi però conviene non solo vincere ma anche farlo in modo elegante e convincente perchè comunque alla fine l'Italicum darà vita ad una Camera dei Deputati con equilibri molto sottili,dove chi vince comunque potrebbe essere messo in crisi da un gruppo di dissidenti esiguo ma compatto.
La nostra nuova battaglia contro l'Isis.
di Nicola Giordano
Una vera sfida di civiltà ci attende contro il Califfato.
Dopo gli attentati,dopo le morti,gli stupri e le minacce ossessive una cosa sembra essere diventata ovvia: l'occidente prepara la guerra contro lo Stato islamico dell'Isis.Ma non sarà una semplice guerra in senso classico,secondo molti ci troveremo dinanzi a due tipologie di battaglie diverse per specie e nemici.Da una parte sicuramente vi sarà la tipica guerra in chiave militare; una guerra dove le forze occidentali daranno soprattutto aiuto aereo alle varie milizie anti-Isis per agevolarle nel cacciare e stanare i terroristi dalle loro tane.Lo scopo principale sarà soprattutto liberare le regioni a nord della Siria,in particolare la roccaforte di Raqqa, il tutto senza arrecare danni particolari sia materiali che politici al regime di Assad.
Forse qualche nazione,Usa o Inghilterra invieranno anche qualche plotone di fanteria per dare manforte agli eserciti locali sempre troppo poco addestrati in chiave prettamente militare.Molti infatti sono ben consapevoli che il nemico Isis è forte e radicato e quindi il solo appoggio aereo potrebbe essere troppo poco per il buon esito delle operazioni.L'importante è che si riesca a cancellare il concetto stesso di Califfato dimostrando che un'idea del genere nel XXI secolo è non solo un qualcosa di anacronistico ma soprattutto una vera barbarie contro i principi basilari della democrazia e della libertà.Un progetto fanatico assurdo ed irrealizzabile, fortemente dannoso per tutti i Paesi del Medioriente.La seconda tipologia di battaglia invece andrà condotta da noi in Occidente.I nemici in questo caso non sono i membri dell'Isis ma i fanatici islamisti veterani di vecchie lotte o semplicemente circuiti in chiave religiosa che giorno per giorno aumentano nel numero.
Si tratta di soggetti pericolosi perchè insospettabili il cui scopo è creare caos e attirare nei loro folli progetti fanatici le pacifiche comunità musulmane, aizzare lo scontro ideologico e spingerci ad odiare gli altri semplicemente perchè diversi da noi.Il loro obiettivo è questo,farci odiare dal mondo musulmano in modo da giustificare i loro piani fanatici e pericolosi. In questa battaglia la questione è delicata ed il campo anche pericolosamente indefinito. Ma in questo caso abbiamo un forte alleato individuabile della comunità musulmana presente in Europa. La nostra strategia sarà riuscire a dialogare con essi,attirarli nel dibattito pacifico e mostrare in tal modo l'orrore di un sistema come l'Isis. In tali termini la guerra contro il Califfato potrebbe diventare una vera occasione da sfruttare; potrebbe ergersi a momento in cui l'umanità,indipendentemente sia essa cristiana o musulmana, si coalizza ed unisce contro il fanatismo a tutela di concetti sacri come libertà e fratellanza. E' una sfida molto ardua ma non può più essere rimandata.
Dopo gli attentati,dopo le morti,gli stupri e le minacce ossessive una cosa sembra essere diventata ovvia: l'occidente prepara la guerra contro lo Stato islamico dell'Isis.Ma non sarà una semplice guerra in senso classico,secondo molti ci troveremo dinanzi a due tipologie di battaglie diverse per specie e nemici.Da una parte sicuramente vi sarà la tipica guerra in chiave militare; una guerra dove le forze occidentali daranno soprattutto aiuto aereo alle varie milizie anti-Isis per agevolarle nel cacciare e stanare i terroristi dalle loro tane.Lo scopo principale sarà soprattutto liberare le regioni a nord della Siria,in particolare la roccaforte di Raqqa, il tutto senza arrecare danni particolari sia materiali che politici al regime di Assad.
Forse qualche nazione,Usa o Inghilterra invieranno anche qualche plotone di fanteria per dare manforte agli eserciti locali sempre troppo poco addestrati in chiave prettamente militare.Molti infatti sono ben consapevoli che il nemico Isis è forte e radicato e quindi il solo appoggio aereo potrebbe essere troppo poco per il buon esito delle operazioni.L'importante è che si riesca a cancellare il concetto stesso di Califfato dimostrando che un'idea del genere nel XXI secolo è non solo un qualcosa di anacronistico ma soprattutto una vera barbarie contro i principi basilari della democrazia e della libertà.Un progetto fanatico assurdo ed irrealizzabile, fortemente dannoso per tutti i Paesi del Medioriente.La seconda tipologia di battaglia invece andrà condotta da noi in Occidente.I nemici in questo caso non sono i membri dell'Isis ma i fanatici islamisti veterani di vecchie lotte o semplicemente circuiti in chiave religiosa che giorno per giorno aumentano nel numero.
Si tratta di soggetti pericolosi perchè insospettabili il cui scopo è creare caos e attirare nei loro folli progetti fanatici le pacifiche comunità musulmane, aizzare lo scontro ideologico e spingerci ad odiare gli altri semplicemente perchè diversi da noi.Il loro obiettivo è questo,farci odiare dal mondo musulmano in modo da giustificare i loro piani fanatici e pericolosi. In questa battaglia la questione è delicata ed il campo anche pericolosamente indefinito. Ma in questo caso abbiamo un forte alleato individuabile della comunità musulmana presente in Europa. La nostra strategia sarà riuscire a dialogare con essi,attirarli nel dibattito pacifico e mostrare in tal modo l'orrore di un sistema come l'Isis. In tali termini la guerra contro il Califfato potrebbe diventare una vera occasione da sfruttare; potrebbe ergersi a momento in cui l'umanità,indipendentemente sia essa cristiana o musulmana, si coalizza ed unisce contro il fanatismo a tutela di concetti sacri come libertà e fratellanza. E' una sfida molto ardua ma non può più essere rimandata.
Un nome per salvare la politica italiana.
di Nicola Giordano
Un solo nome per combattere delegittimazione e caos.
Sergio Mattarella è il nuovo Presidente della Repubblica ma quello che si è verificato in queste ultime settimane resta nella memoria politica di tutti.Il bisogno di disciplina evocato da alcuni leader è stato totalmente ignorato dalle Camere,dando vita a situazioni dispettose e fragili facendo crollare ogni forma di coalizione o accordo su nomi ed idee.Questa è la forma di pura delegittimazione che l’intero sistema politico italiano ha ormai assunto a suo simbolo.Non si tratta solo dei pessimi franchi tiratori che impediscono scelte e decisioni,ci troviamo dinanzi ad un fenomeno congenito,virale,una sorta di malata degenerazione.
Solo in questo modo si può spiegare come mai il celebre Patto del Nazareno tra Matteo Renzi e Silvio Berlusconi venga sancito e pochi giorni dopo rifiutato e bocciato da tutti gli eletti dei due partiti. Alla fine la certa realtà è che tutte queste tensioni impediranno un futuro percorso fluido sulle riforme o almeno un rallentamento: come se esse fossero un capriccio di pochi e non una necessità per il Paese.Sergio Mattarella potrebbe mettere fine a queste diatribe,il suo nome accomuna e non divide e con la sua esperienza anche di giudice della Consulta e le doti di equilibrio che gli si riconoscono potrebbe essere quel vero garante e regista costituzionale utile all'Italia.
Il problema resta sempre il medesimo.Non è sicuro che i vari partiti lo aiutino, come non hanno aiutato Giorgio Napolitano nonostante alla sua rielezione lo avessero promesso.Oggi con Mattarella si potrebbe riconquistare un minimo di credibilità per la politica, con la convinzione che l'Italia rimane spaventata e divisa, lì pronta a ricevere rassicurazioni e indicazioni da una mano ferma ed equilibrata.Renzi resta un energico gigante la cui abilità può anche diventare un limite,irritare gli avversari e ingelosire i suoi stessi alleati.Un Presidente come Mattarella darebbe affidabilità alle istituzioni e grande competenza, tutte qualità preziose ed importanti ma non affatto scontate nella politica italiana.
Sergio Mattarella è il nuovo Presidente della Repubblica ma quello che si è verificato in queste ultime settimane resta nella memoria politica di tutti.Il bisogno di disciplina evocato da alcuni leader è stato totalmente ignorato dalle Camere,dando vita a situazioni dispettose e fragili facendo crollare ogni forma di coalizione o accordo su nomi ed idee.Questa è la forma di pura delegittimazione che l’intero sistema politico italiano ha ormai assunto a suo simbolo.Non si tratta solo dei pessimi franchi tiratori che impediscono scelte e decisioni,ci troviamo dinanzi ad un fenomeno congenito,virale,una sorta di malata degenerazione.
Solo in questo modo si può spiegare come mai il celebre Patto del Nazareno tra Matteo Renzi e Silvio Berlusconi venga sancito e pochi giorni dopo rifiutato e bocciato da tutti gli eletti dei due partiti. Alla fine la certa realtà è che tutte queste tensioni impediranno un futuro percorso fluido sulle riforme o almeno un rallentamento: come se esse fossero un capriccio di pochi e non una necessità per il Paese.Sergio Mattarella potrebbe mettere fine a queste diatribe,il suo nome accomuna e non divide e con la sua esperienza anche di giudice della Consulta e le doti di equilibrio che gli si riconoscono potrebbe essere quel vero garante e regista costituzionale utile all'Italia.
Il problema resta sempre il medesimo.Non è sicuro che i vari partiti lo aiutino, come non hanno aiutato Giorgio Napolitano nonostante alla sua rielezione lo avessero promesso.Oggi con Mattarella si potrebbe riconquistare un minimo di credibilità per la politica, con la convinzione che l'Italia rimane spaventata e divisa, lì pronta a ricevere rassicurazioni e indicazioni da una mano ferma ed equilibrata.Renzi resta un energico gigante la cui abilità può anche diventare un limite,irritare gli avversari e ingelosire i suoi stessi alleati.Un Presidente come Mattarella darebbe affidabilità alle istituzioni e grande competenza, tutte qualità preziose ed importanti ma non affatto scontate nella politica italiana.
La solita politica del falso compromesso.
di Nicola Giordano
Il fallimento della politica italiana è sempre all'orizzonte.
Da alcuni mesi a questa parte le forze politiche in campo sia di destra che sinistra stanno subendo una fortissima delegittimazione.Ricorrere ai rimproveri o ai discorsi in piazza severi e gelidi serve a poco o nulla.Una sorta di vero sistema degenerativo sembra essersi impossessato della classe politica italiana e non accenna a frenare,nemmeno davanti alle minacce di crisi politica ed economica.In questo tipo di dimensione in cui è piombato il Parlamento italiano maggioranza e opposizione sembrano avere sfumature molto leggere quasi non scrutabili e l'accordo segreto o l'inciucio di palazzo diventano l'unico mezzo per garantirsi reciproca sopravvivenza.Un esempio lampante è l'ormai noto Patto del Nazareno tra Matteo Renzi e Silvio Berlusconi, un esplicito accordo si reciproca assistenza tra PD e FI, un patto che però funziona tra i protagonisti ma non al di fuori della stanza segreta in cui è stato stipulato.
Il suo scopo era ed è dare stabilità al paese e riformare le istituzioni; ma pezzi di entrambi i partiti, Pd e FI, sembrano rifiutare l'accordo, quasi impauriti dal suo contenuto. Questo tipo di reazione è ovvia nel PD renziano nel cui nucleo vivono ben due partiti:uno parlamentare e l'altro extra-parlamentare.Il premier cerca soluzioni ed insegue sogni di rinascita italiana,ma alle sue spalle file intere di colleghi di partito capeggiati dall’ex segretario Pier Luigi Bersani, seguono logiche ben diverse.Si tratta della solita e vecchia nomenklatura progressista che non accetta di diventare un partito di matrice quasi liberale.Ma Renzi ha la forza e la volontà per farlo, col suo 40 per cento delle Europee di maggio.Serve solo un pò di coraggio in più per cambiare per sempre la sinistra italiana.
Per Forza Italia invece i dilemmi sono ben altri.Berlusconi teme che il Patto con Renzi possa strangolarlo perchè alcune delle riforme renziane sono un copia e incolla delle riforme che il centro-destra ha spesso invocato ma mai concretizzato.Anche gruppi interni a FI sembrano indietreggiare davanti all'accordo col PD, soprattutto perchè i voti continuano a sparire sia alle urne che nei sondaggi.Si tratta di vere patologie che avvelenano il Parlamento e minano la governabilità perchè sorprese potrebbe scoppiare in ogni momento.Come problemi simmetrici che attanagliano le Camere.Il terrore del vero collasso del sistema potrebbe essere alle porte nel momento in cui bisognerà sedersi a tavolino e decidere il successore di Giorgio Napolitano. Molto probabilmente anche in quel caso assisteremo al solito ed inguardabile spettacolo della politica italiana del falso compromesso.
Da alcuni mesi a questa parte le forze politiche in campo sia di destra che sinistra stanno subendo una fortissima delegittimazione.Ricorrere ai rimproveri o ai discorsi in piazza severi e gelidi serve a poco o nulla.Una sorta di vero sistema degenerativo sembra essersi impossessato della classe politica italiana e non accenna a frenare,nemmeno davanti alle minacce di crisi politica ed economica.In questo tipo di dimensione in cui è piombato il Parlamento italiano maggioranza e opposizione sembrano avere sfumature molto leggere quasi non scrutabili e l'accordo segreto o l'inciucio di palazzo diventano l'unico mezzo per garantirsi reciproca sopravvivenza.Un esempio lampante è l'ormai noto Patto del Nazareno tra Matteo Renzi e Silvio Berlusconi, un esplicito accordo si reciproca assistenza tra PD e FI, un patto che però funziona tra i protagonisti ma non al di fuori della stanza segreta in cui è stato stipulato.
Il suo scopo era ed è dare stabilità al paese e riformare le istituzioni; ma pezzi di entrambi i partiti, Pd e FI, sembrano rifiutare l'accordo, quasi impauriti dal suo contenuto. Questo tipo di reazione è ovvia nel PD renziano nel cui nucleo vivono ben due partiti:uno parlamentare e l'altro extra-parlamentare.Il premier cerca soluzioni ed insegue sogni di rinascita italiana,ma alle sue spalle file intere di colleghi di partito capeggiati dall’ex segretario Pier Luigi Bersani, seguono logiche ben diverse.Si tratta della solita e vecchia nomenklatura progressista che non accetta di diventare un partito di matrice quasi liberale.Ma Renzi ha la forza e la volontà per farlo, col suo 40 per cento delle Europee di maggio.Serve solo un pò di coraggio in più per cambiare per sempre la sinistra italiana.
Per Forza Italia invece i dilemmi sono ben altri.Berlusconi teme che il Patto con Renzi possa strangolarlo perchè alcune delle riforme renziane sono un copia e incolla delle riforme che il centro-destra ha spesso invocato ma mai concretizzato.Anche gruppi interni a FI sembrano indietreggiare davanti all'accordo col PD, soprattutto perchè i voti continuano a sparire sia alle urne che nei sondaggi.Si tratta di vere patologie che avvelenano il Parlamento e minano la governabilità perchè sorprese potrebbe scoppiare in ogni momento.Come problemi simmetrici che attanagliano le Camere.Il terrore del vero collasso del sistema potrebbe essere alle porte nel momento in cui bisognerà sedersi a tavolino e decidere il successore di Giorgio Napolitano. Molto probabilmente anche in quel caso assisteremo al solito ed inguardabile spettacolo della politica italiana del falso compromesso.
Renzi e PD.E' un duello senza fine.
di Nicola Giordano
La lunga battaglia per il dominio della Sinistra continua.
In questi giorni stiamo assistendo alla forse definitiva lacerazione tra il gruppo Renzi e il resto del Pd.Le due parallele manifestazioni organizzate nel medesimo giorno,ovvero la Leopolda a Firenze e la manifestazione sindacale a Roma ha sancito un momento di definitiva scelta di campo tra chi ha deciso di seguire il nuovo corso renziano e chi invece opporsi alla sua leadership e alla sua personalità politica.Un importante merito che va dato a Matteo Renzi è sicuramente quello di aver ben sintetizzato la fine della prima e seconda Repubblica, una sorta di tabula rasa ideologica su tutto il Novecento italiano. Silvio Berlusconi aveva provato un tentativo del genere ma la sua origine e il suo piano politico comunque si agganciava ad ideali di matrice liberale o, secondo alcuni, democristiani. Renzi ha cercato ed in parte riuscito a far esplodere le mura della roccaforte di Sinistra nella quale quasi l’intero apparato politico della seconda Repubblica si era mimetizzato nel ventennio berlusconiano.
In questi mesi la sua opera si sta compiendo, interi pezzi di PD vengono letteralmente gettati all’ortica mettendo fine a tutta una serie di stereotipi politici che fino a pochi anni fa venivano come vessilli sventolati dalla vecchia sinistra ma che invece essenzialmente rappresentano vecchiume ideologico, inutile e pericoloso. Una sorta di rivoluzione passiva ma fatta con modi e maniere eclatanti ed esplicite perché solo in tal modo simboli radicati come i D’Alema,i Veltroni e i Bersani potevano essere sradicati dal partito. Con la Leopolda Renzi traccia una linea netta tra chi farà parte del suo nuovo corso e chi invece ha deciso di restare nella roccaforte di cui sopra. Lo Job Act che tanti dibattiti ha causato è solo una debole scusa, chi è contro questa legge è in realtà contro Renzi e il suo piano politico,poco importa della reale portata della legge sulla vita dei lavoratori.
Una sorta di battaglia di risiko nella quale Renzi prova a mettere punti a capo dimenticando il passato; cercando di crearsi un vuoto politico intorno in cui muoversi con smaliziata serenità strategica. Anche la Destra è in parte coinvolta in questo risiko,dovendo comunque controbattere al fare renziano. Ma nonostante tutto questo,oggi nell’attuale sistema dei partiti, a parte Renzi e Berlusconi ancora pochissime sono le leadership realmente alternative,anzi, il nulla politico sembra delinearsi nell’immediatezza. Ecco spiegato il recente consenso plebiscitario che il Presidente del Consiglio ha ottenuto. Da oggi, dopo che i dissidenti del PD si sono espressamente palesati con la manifestazione sindacale opposta alla Leopolda, Renzi sente maggiormente la solitudine politica,ma tale solitudine potrà essere la base su cui consolidare le sue idee, finalmente libere da freni e sincretismi ideologici.
In questi giorni stiamo assistendo alla forse definitiva lacerazione tra il gruppo Renzi e il resto del Pd.Le due parallele manifestazioni organizzate nel medesimo giorno,ovvero la Leopolda a Firenze e la manifestazione sindacale a Roma ha sancito un momento di definitiva scelta di campo tra chi ha deciso di seguire il nuovo corso renziano e chi invece opporsi alla sua leadership e alla sua personalità politica.Un importante merito che va dato a Matteo Renzi è sicuramente quello di aver ben sintetizzato la fine della prima e seconda Repubblica, una sorta di tabula rasa ideologica su tutto il Novecento italiano. Silvio Berlusconi aveva provato un tentativo del genere ma la sua origine e il suo piano politico comunque si agganciava ad ideali di matrice liberale o, secondo alcuni, democristiani. Renzi ha cercato ed in parte riuscito a far esplodere le mura della roccaforte di Sinistra nella quale quasi l’intero apparato politico della seconda Repubblica si era mimetizzato nel ventennio berlusconiano.
In questi mesi la sua opera si sta compiendo, interi pezzi di PD vengono letteralmente gettati all’ortica mettendo fine a tutta una serie di stereotipi politici che fino a pochi anni fa venivano come vessilli sventolati dalla vecchia sinistra ma che invece essenzialmente rappresentano vecchiume ideologico, inutile e pericoloso. Una sorta di rivoluzione passiva ma fatta con modi e maniere eclatanti ed esplicite perché solo in tal modo simboli radicati come i D’Alema,i Veltroni e i Bersani potevano essere sradicati dal partito. Con la Leopolda Renzi traccia una linea netta tra chi farà parte del suo nuovo corso e chi invece ha deciso di restare nella roccaforte di cui sopra. Lo Job Act che tanti dibattiti ha causato è solo una debole scusa, chi è contro questa legge è in realtà contro Renzi e il suo piano politico,poco importa della reale portata della legge sulla vita dei lavoratori.
Una sorta di battaglia di risiko nella quale Renzi prova a mettere punti a capo dimenticando il passato; cercando di crearsi un vuoto politico intorno in cui muoversi con smaliziata serenità strategica. Anche la Destra è in parte coinvolta in questo risiko,dovendo comunque controbattere al fare renziano. Ma nonostante tutto questo,oggi nell’attuale sistema dei partiti, a parte Renzi e Berlusconi ancora pochissime sono le leadership realmente alternative,anzi, il nulla politico sembra delinearsi nell’immediatezza. Ecco spiegato il recente consenso plebiscitario che il Presidente del Consiglio ha ottenuto. Da oggi, dopo che i dissidenti del PD si sono espressamente palesati con la manifestazione sindacale opposta alla Leopolda, Renzi sente maggiormente la solitudine politica,ma tale solitudine potrà essere la base su cui consolidare le sue idee, finalmente libere da freni e sincretismi ideologici.
Sindacati anacronistici ed impotenti.
di Nicola Giordano
Una nuova fase di rapporti per salvare un paese intero.
In queste prime settimane autunnali si sta consumando l'ennesimo duello tra governo e sindacati,una sfida ripetitiva che da decenni blocca riforme e cambiamenti.Ogni esecutivo, di destra e di sinistra, deve ad un certo punto scontrarsi con i dictat sindacali che su certe tematiche arrivano alla solita minaccia dell'autunno caldo tra scioperi selvaggi e manifestazioni spesso poco pacifiche. Con il governo Renzi sembra essersi accentuata l'incomunicabilità con le sigle sindacali,in particolare con CGIL e FIOM. In parte era ipotizzabile visto che l'ex Rottamatore spesso ha preso di mira gli atteggiamenti controproducenti della Camusso e anzi a volte ne ha fatto un vero argomento elettorale con cui costruire il proprio consenso, soprattutto tra i lavoratori delle aziende del Nord.
Oggi la constatazione che si arriva agevolmente a fare è davvero amara: i sindacati hanno perso il fascino popolare di un tempo e non riescono più a garantire una potente forza rappresentativa al lavoratore.Una sorta di vero ossimoro, ma ormai chiaro e sincero.Pare che i leader sindacali,avvolti nei loro mantra ideologici e spesso estremi, non riescano a mantenere saldo il contatto con la realtà economica, restando appollaiati su posizioni e fantomatici ruoli di vigilanza e garanzia che non riescono più a concretizzare.La conseguenza non immediata ma inevitabile è che tra alcuni anni Cgil-Cisl-Uil diventeranno sigle inutili ed irrilevanti nel comparto sociale ed economico del paese. Questo non vuole certo essere un elogio al governo Renzi,anzi,i prossimi mesi saranno duri e pericolosi per il paese,con il rischio di manovre bis e tris imposte da Bruxelles, detto questo però, le politiche sindacali dei veti e degli scioperi restano inutili e anacronistiche.
Discorso similare riguarda anche la Confindustria, che col passare dei mesi arretra nelle sue posizioni originariamente di sostegno al cambiamento. La presidenza di Giorgio Squinzi finora non è stata eccezionale e pioniera di rivoluzioni economiche come all'inizio era stato promesso.La settimana scorsa è però vero che la Confindustria ha partorito due ottimi documenti sul tema di credito e lavoro ma per adesso restano atti teorici ben lontani dalla realtà dei lavoratori.Urge un profondo confronto con banche e governo per dare il via a una politica industriale che porti a sostenere il settore manifatturiero e combattere le selvagge delocalizzazioni degli ultimi anni che tanta disoccupazione ha provocato.Le associazioni di categoria insomma,siano essi tra lavoratori o tra industriali, necessitano di un vigoroso bagno di umiltà e di nuove leadership che facciano delle proposte e non delle minacce le loro armi migliori.Non ci sembra di chiedere troppo.
In queste prime settimane autunnali si sta consumando l'ennesimo duello tra governo e sindacati,una sfida ripetitiva che da decenni blocca riforme e cambiamenti.Ogni esecutivo, di destra e di sinistra, deve ad un certo punto scontrarsi con i dictat sindacali che su certe tematiche arrivano alla solita minaccia dell'autunno caldo tra scioperi selvaggi e manifestazioni spesso poco pacifiche. Con il governo Renzi sembra essersi accentuata l'incomunicabilità con le sigle sindacali,in particolare con CGIL e FIOM. In parte era ipotizzabile visto che l'ex Rottamatore spesso ha preso di mira gli atteggiamenti controproducenti della Camusso e anzi a volte ne ha fatto un vero argomento elettorale con cui costruire il proprio consenso, soprattutto tra i lavoratori delle aziende del Nord.
Oggi la constatazione che si arriva agevolmente a fare è davvero amara: i sindacati hanno perso il fascino popolare di un tempo e non riescono più a garantire una potente forza rappresentativa al lavoratore.Una sorta di vero ossimoro, ma ormai chiaro e sincero.Pare che i leader sindacali,avvolti nei loro mantra ideologici e spesso estremi, non riescano a mantenere saldo il contatto con la realtà economica, restando appollaiati su posizioni e fantomatici ruoli di vigilanza e garanzia che non riescono più a concretizzare.La conseguenza non immediata ma inevitabile è che tra alcuni anni Cgil-Cisl-Uil diventeranno sigle inutili ed irrilevanti nel comparto sociale ed economico del paese. Questo non vuole certo essere un elogio al governo Renzi,anzi,i prossimi mesi saranno duri e pericolosi per il paese,con il rischio di manovre bis e tris imposte da Bruxelles, detto questo però, le politiche sindacali dei veti e degli scioperi restano inutili e anacronistiche.
Discorso similare riguarda anche la Confindustria, che col passare dei mesi arretra nelle sue posizioni originariamente di sostegno al cambiamento. La presidenza di Giorgio Squinzi finora non è stata eccezionale e pioniera di rivoluzioni economiche come all'inizio era stato promesso.La settimana scorsa è però vero che la Confindustria ha partorito due ottimi documenti sul tema di credito e lavoro ma per adesso restano atti teorici ben lontani dalla realtà dei lavoratori.Urge un profondo confronto con banche e governo per dare il via a una politica industriale che porti a sostenere il settore manifatturiero e combattere le selvagge delocalizzazioni degli ultimi anni che tanta disoccupazione ha provocato.Le associazioni di categoria insomma,siano essi tra lavoratori o tra industriali, necessitano di un vigoroso bagno di umiltà e di nuove leadership che facciano delle proposte e non delle minacce le loro armi migliori.Non ci sembra di chiedere troppo.
PD.Il partito con più dissidenti d'Italia.
di Nicola Giordano
Un nuovo caso di dissenso nelle file del partito di Renzi.
Il Pd è senza dubbio un raro esempio di partito politico con alto tasso di democraticità interna,ma tale pregio spesso è volentieri sembra diventare difetto ed innalzare a livelli insostenibili la litigiosità ed il grado di dissenso.Un esempio eclatante lo si è avuto con i senatori contrari al progetto di riforma del Senato,nato dal particolare accordo tra Renzi e Berlusconi. Il Pd ha inoltre manifestato uno strano senso delle istituzioni. Davvero strano è stato l'aver concepito la commissione parlamentare per la sede di partito, decidendo a sorpresa di estromettere i senatori come se fossero semplici membri di partito e non senatori nell'esercizio del loro ruolo costituzionalmente garantito. In tal modo Renzi e gli altri dirigenti del Pd hanno compiuto un errore grossolano e gravissimo epurando i senatori Mineo e Chiti dalla commissione Affari Costituzionali.Ciò ha prodotto la paradossale conseguenza dell'unione di circa 13 dissidenti ai due senatori sospesi,con il risultato di un grande caos istituzionale.
L'unica scusante per il PD è che probabilmente i vari senatori epurati rappresentano quell'ala conservatrice all'interno del partito che da anni blocca ed ostacola ogni tipologia di riforma strutturale del paese. Se è vero che effettivamente Renzi è stato il solo leader PD capace fin da subito di accelerare sul tema delle riforme e spezzare il circolo vizioso dei rinvii e delle inconcludenti riunioni,è anche vero che un argomento così delicato costituzionalmente doveva essere forse affrontato in modo più istituzionale che politico,senza lanciare accuse di sabotaggio verso gli eventuali dissidenti. Obbligare ad un mese la durata necessaria per le discussioni del caso è un eccesso di potere con il rischio di avere alla fine una riforma così importante elaborata in modo superficiale. L’immagine riformista del governo e del Parlamento cui Renzi tiene molto,non è in pericolo a maggior ragione dopo che le elezioni europee hanno rafforzato la sua leadership nazionale.
Se come sembra esiste un conflitto interno tra la segreteria plebiscitaria renziana e un gruppo parlamentare eletto,allora gli equilibri interni possono essere ricreati solo con una scelta politica, senza punizioni disciplinari o allontanamenti preventivi pericolosi per l'immagine del partito.La decisione di escludere i dissidenti dall'attività parlamentare è un boomerang che se da un lato evidenzia il piglio decisionista renziano dall'altro però rischia di alimentare il dissenso e accentuare il contesto caotico interno al partito facendo scoppiare una vera guerra tra renziani ed anti-renziani.Il rischio è quello di tramutare un partito democratico in un ring tra fazioni.Non sarebbe di certo una situazione agevole per approntare le riforme che un paese invoca da decenni.
Il Pd è senza dubbio un raro esempio di partito politico con alto tasso di democraticità interna,ma tale pregio spesso è volentieri sembra diventare difetto ed innalzare a livelli insostenibili la litigiosità ed il grado di dissenso.Un esempio eclatante lo si è avuto con i senatori contrari al progetto di riforma del Senato,nato dal particolare accordo tra Renzi e Berlusconi. Il Pd ha inoltre manifestato uno strano senso delle istituzioni. Davvero strano è stato l'aver concepito la commissione parlamentare per la sede di partito, decidendo a sorpresa di estromettere i senatori come se fossero semplici membri di partito e non senatori nell'esercizio del loro ruolo costituzionalmente garantito. In tal modo Renzi e gli altri dirigenti del Pd hanno compiuto un errore grossolano e gravissimo epurando i senatori Mineo e Chiti dalla commissione Affari Costituzionali.Ciò ha prodotto la paradossale conseguenza dell'unione di circa 13 dissidenti ai due senatori sospesi,con il risultato di un grande caos istituzionale.
L'unica scusante per il PD è che probabilmente i vari senatori epurati rappresentano quell'ala conservatrice all'interno del partito che da anni blocca ed ostacola ogni tipologia di riforma strutturale del paese. Se è vero che effettivamente Renzi è stato il solo leader PD capace fin da subito di accelerare sul tema delle riforme e spezzare il circolo vizioso dei rinvii e delle inconcludenti riunioni,è anche vero che un argomento così delicato costituzionalmente doveva essere forse affrontato in modo più istituzionale che politico,senza lanciare accuse di sabotaggio verso gli eventuali dissidenti. Obbligare ad un mese la durata necessaria per le discussioni del caso è un eccesso di potere con il rischio di avere alla fine una riforma così importante elaborata in modo superficiale. L’immagine riformista del governo e del Parlamento cui Renzi tiene molto,non è in pericolo a maggior ragione dopo che le elezioni europee hanno rafforzato la sua leadership nazionale.
Se come sembra esiste un conflitto interno tra la segreteria plebiscitaria renziana e un gruppo parlamentare eletto,allora gli equilibri interni possono essere ricreati solo con una scelta politica, senza punizioni disciplinari o allontanamenti preventivi pericolosi per l'immagine del partito.La decisione di escludere i dissidenti dall'attività parlamentare è un boomerang che se da un lato evidenzia il piglio decisionista renziano dall'altro però rischia di alimentare il dissenso e accentuare il contesto caotico interno al partito facendo scoppiare una vera guerra tra renziani ed anti-renziani.Il rischio è quello di tramutare un partito democratico in un ring tra fazioni.Non sarebbe di certo una situazione agevole per approntare le riforme che un paese invoca da decenni.
Immigrazione.Tra solidarietà ed esigenze
di Nicola Giordano
Quando il dovere non fa rima con l'interesse generale.
Salvare un essere umano dalla morte certa in mare è un vero obbligo morale ma dare cittadinanza e stabilità in modo aperto agli immigrati è un discorso diverso,una vera scelta di tipo politico.La recente operazione «Mare nostrum» produce la particolare e contraddittoria sovrapposizione delle due cose.L'opinione pubblica spesso non coglie la diversità dei due concetti e il rischio di un clima teso e confuso è enorme.Fino ad oggi le istituzioni italiane si sono mosse con equilibrismo spesso usando un vero trucco logico: l'immigrato viene salvato dal naufragio ma violando le norme europee,l'immigrato non viene identificato con il metodo delle impronte digitali.Così facendo non si ha traccia futura dell'immigrato e questi può spostarsi in altri paesi dell'Unione Europea.Qualora venisse fermato non avendo tracciabilità del suo passaggio non potrà mai essere rispedito al paese di prima accoglienza che li ha identificati,il motivo è legato al fatto che tale Paese semplicemente non c'è.
Stando così le cose il problema si moltiplica e la questione si aggrava sempre più in Italia e in altri paesi europei.Il nodo basilare è individuare il numero di immigrati che ogni anno l’Unione è in grado di assorbire. Nessuno può dirlo sinceramente anche se dall'Africa arrivano esigenze elevate di aiuto e assistenza. Secondo molti già farsi questa domanda è uno sbaglio grave.Ma aldilà dei risvolti ideologici il dilemma pratico rimane nella sua plasticità.Qual è il numero ideale di immigrati che il nostro paese può accogliere? Tutti vorrebbero aiutare il numero maggiore di individui ma realisticamente ciò non è possibile.Le classi politiche italiane ed europee glissano da sempre sul tema e lasciano che principi ideologici e populisti prevalgono sulla ragion pratica. Concetti come tutela del cosmopolitismo multiculturale o valori come la carità cristiana per i poveri finiscono con il dominare sulla realtà.
Questi valori sono di alta levatura ma non permettono di controllare e limitare il fenomeno migratorio, anzi spesso finiscono con l'aggravare il problema e i governi sembrano lasciare i confini aperti senza limitazioni e freni di alcun tipo.Il frutto di tutto ciò è l'allontanamento dei cittadini dalla politica ed il trionfo dei partiti demagogici e radicali,di destra e sinistra; ideologie fortemente xenofobe che sguazzano nell'immobilismo delle forze politiche democratiche,approfittando della lentezza con cui i singoli Stati danno voce ai propri interessi nazionali.Insomma fare del bene e aiutare chi in mare rischia la vita è un dovere ma non sempre da un dovere morale nasce un utile interesse per una Nazione intera.Quando i populisti di professione capiranno questa differenza?Un conto è la solidarietà,un conto le esigenze normative e sociali di uno Stato intero.
Salvare un essere umano dalla morte certa in mare è un vero obbligo morale ma dare cittadinanza e stabilità in modo aperto agli immigrati è un discorso diverso,una vera scelta di tipo politico.La recente operazione «Mare nostrum» produce la particolare e contraddittoria sovrapposizione delle due cose.L'opinione pubblica spesso non coglie la diversità dei due concetti e il rischio di un clima teso e confuso è enorme.Fino ad oggi le istituzioni italiane si sono mosse con equilibrismo spesso usando un vero trucco logico: l'immigrato viene salvato dal naufragio ma violando le norme europee,l'immigrato non viene identificato con il metodo delle impronte digitali.Così facendo non si ha traccia futura dell'immigrato e questi può spostarsi in altri paesi dell'Unione Europea.Qualora venisse fermato non avendo tracciabilità del suo passaggio non potrà mai essere rispedito al paese di prima accoglienza che li ha identificati,il motivo è legato al fatto che tale Paese semplicemente non c'è.
Stando così le cose il problema si moltiplica e la questione si aggrava sempre più in Italia e in altri paesi europei.Il nodo basilare è individuare il numero di immigrati che ogni anno l’Unione è in grado di assorbire. Nessuno può dirlo sinceramente anche se dall'Africa arrivano esigenze elevate di aiuto e assistenza. Secondo molti già farsi questa domanda è uno sbaglio grave.Ma aldilà dei risvolti ideologici il dilemma pratico rimane nella sua plasticità.Qual è il numero ideale di immigrati che il nostro paese può accogliere? Tutti vorrebbero aiutare il numero maggiore di individui ma realisticamente ciò non è possibile.Le classi politiche italiane ed europee glissano da sempre sul tema e lasciano che principi ideologici e populisti prevalgono sulla ragion pratica. Concetti come tutela del cosmopolitismo multiculturale o valori come la carità cristiana per i poveri finiscono con il dominare sulla realtà.
Questi valori sono di alta levatura ma non permettono di controllare e limitare il fenomeno migratorio, anzi spesso finiscono con l'aggravare il problema e i governi sembrano lasciare i confini aperti senza limitazioni e freni di alcun tipo.Il frutto di tutto ciò è l'allontanamento dei cittadini dalla politica ed il trionfo dei partiti demagogici e radicali,di destra e sinistra; ideologie fortemente xenofobe che sguazzano nell'immobilismo delle forze politiche democratiche,approfittando della lentezza con cui i singoli Stati danno voce ai propri interessi nazionali.Insomma fare del bene e aiutare chi in mare rischia la vita è un dovere ma non sempre da un dovere morale nasce un utile interesse per una Nazione intera.Quando i populisti di professione capiranno questa differenza?Un conto è la solidarietà,un conto le esigenze normative e sociali di uno Stato intero.
Caso Ruby.Berlusconi assolto in appello.
di Nicola Giordano
La Procura di Milano sconfitta in Appello.E ora?
Ieri la Procura di Milano,l’acerrima nemica di Silvio Berlusconi in questi ultimi decenni,ha subito un duro,durissimo colpo. La Corte d'appello di Milano ha assolto il celebre imputato del caso Ruby.Nei due minuti di lettura del dispositivo della sentenza, l’intera vicenda pruriginosa della ragazza marocchina che quattro anni fa aveva investito Silvio Berlusconi trascinandolo sul banco degli imputati e portando ad una condanna a sette anni di carcere per concussione e utilizzo della prostituzione minorile,è stata capovolta. Il Cavaliere,secondo la Corte d'appello, è innocente. Ora bisognerà aspettare i fatidici novanta giorni per poter comprendere le motivazioni della sentenza, ma già dalla lettura del dispositivo si capisce chiaramente come la Corte abbia scelto di demolire sia l’impianto accusatorio della procura sia il ragionamento giuridico del Tribunale di primo grado che aveva emesso sentenza di colpevolezza. Ciò che viene demolito dalla Corte è il capo d’imputazione più grave: la concussione ai danni del vicequestore. Il Tribunale di prima istanza aveva punito il Cavaliere con sei anni di carcere.
La Corte d'appello invece lo ha assolto poiché il «fatto non sussiste»,quindi non c’è stata alcuna forma di concussione. Berlusconi chiamò il vicequestore ma non in toni minacciosi,né promettendo conseguenze gravi,quindi il reato non si configura affatto. Questa tesi era stata sostenuta in modo fermo dal penalista Franco Coppi per tutto il corso del processo di primo grado. Insomma su indicazione della Procura il giudice di primo grado avrebbe travisato i fatti. La Corte compie poi un ragionamento complesso sulla seconda imputazione. Ovvero lo sfruttamento della prostituzione minorile. I legali del Cavaliere avevano sottolineato che pure in questo caso il fatto non sussisteva, poiché nessuna prova chiara dimostrava l’esistenza di un rapporto fisico nelle serate di Arcore tra il padrone di casa e la giovane ospite. La Corte non ha affermato che il fatto non sia realmente avvenuto ma che la circostanza in sé non costituisce reato. Quindi se rapporti ci furono Berlusconi non sapeva che Ruby fosse minorenne. Per legge questo non è reato. La Procura ritiene che almeno in parte la sua tesi resista poiché quelle di Arcore non erano solo «cene eleganti».
Ma da qui ad imbastire un impianto accusatorio sulla prostituzione è stata una vera forzatura processuale mossa da chi sa quali motivazioni. Chi non fa una bella figura è il magistrato di primo grado che lo scorso anno avevano scritto che Berlusconi sapeva sicuramente che Ruby era minorenne. La consecutio logica del tribunale di primo grado non è stata ritenuta valida dalla Corte che l’ha totalmente cancellata,il Cavaliere non sapeva l’età della ragazza e qualsiasi cosa sia successa resta nella privacy della sua camera da letto. Alla fine la Procura si trova con un fallimento grosso fra le mani e neppure le speranze di un ricorso per Cassazione potranno cancellare la pessima figura fatta dalla Boccassini e dai suoi sostituti procuratori,il tutto per una strana voglia di vendetta processuale verso Berlusconi.Ne valeva la pena?
Ieri la Procura di Milano,l’acerrima nemica di Silvio Berlusconi in questi ultimi decenni,ha subito un duro,durissimo colpo. La Corte d'appello di Milano ha assolto il celebre imputato del caso Ruby.Nei due minuti di lettura del dispositivo della sentenza, l’intera vicenda pruriginosa della ragazza marocchina che quattro anni fa aveva investito Silvio Berlusconi trascinandolo sul banco degli imputati e portando ad una condanna a sette anni di carcere per concussione e utilizzo della prostituzione minorile,è stata capovolta. Il Cavaliere,secondo la Corte d'appello, è innocente. Ora bisognerà aspettare i fatidici novanta giorni per poter comprendere le motivazioni della sentenza, ma già dalla lettura del dispositivo si capisce chiaramente come la Corte abbia scelto di demolire sia l’impianto accusatorio della procura sia il ragionamento giuridico del Tribunale di primo grado che aveva emesso sentenza di colpevolezza. Ciò che viene demolito dalla Corte è il capo d’imputazione più grave: la concussione ai danni del vicequestore. Il Tribunale di prima istanza aveva punito il Cavaliere con sei anni di carcere.
La Corte d'appello invece lo ha assolto poiché il «fatto non sussiste»,quindi non c’è stata alcuna forma di concussione. Berlusconi chiamò il vicequestore ma non in toni minacciosi,né promettendo conseguenze gravi,quindi il reato non si configura affatto. Questa tesi era stata sostenuta in modo fermo dal penalista Franco Coppi per tutto il corso del processo di primo grado. Insomma su indicazione della Procura il giudice di primo grado avrebbe travisato i fatti. La Corte compie poi un ragionamento complesso sulla seconda imputazione. Ovvero lo sfruttamento della prostituzione minorile. I legali del Cavaliere avevano sottolineato che pure in questo caso il fatto non sussisteva, poiché nessuna prova chiara dimostrava l’esistenza di un rapporto fisico nelle serate di Arcore tra il padrone di casa e la giovane ospite. La Corte non ha affermato che il fatto non sia realmente avvenuto ma che la circostanza in sé non costituisce reato. Quindi se rapporti ci furono Berlusconi non sapeva che Ruby fosse minorenne. Per legge questo non è reato. La Procura ritiene che almeno in parte la sua tesi resista poiché quelle di Arcore non erano solo «cene eleganti».
Ma da qui ad imbastire un impianto accusatorio sulla prostituzione è stata una vera forzatura processuale mossa da chi sa quali motivazioni. Chi non fa una bella figura è il magistrato di primo grado che lo scorso anno avevano scritto che Berlusconi sapeva sicuramente che Ruby era minorenne. La consecutio logica del tribunale di primo grado non è stata ritenuta valida dalla Corte che l’ha totalmente cancellata,il Cavaliere non sapeva l’età della ragazza e qualsiasi cosa sia successa resta nella privacy della sua camera da letto. Alla fine la Procura si trova con un fallimento grosso fra le mani e neppure le speranze di un ricorso per Cassazione potranno cancellare la pessima figura fatta dalla Boccassini e dai suoi sostituti procuratori,il tutto per una strana voglia di vendetta processuale verso Berlusconi.Ne valeva la pena?
Renzi e Berlusconi due anime allo specchio.
di Nicola Giordano
Renzismo e Berlusconismo.Una piccola esegesi.
Molti ne sono convinti da tempo,da molto tempo. Renzi e Berlusconi altro non sono che due facce della stessa medaglia,due anime di un medesimo corpo,due lievi sfaccettature di uno stesso modo di intendere e concepire la politica oggi in Italia. Così come il Cavaliere nel lontano 1994 si abbattè sulla classe politica italiana capovolgendo tutto e gettando nel panico gli avversari, così Renzi ha fatto in questi mesi. Ha capovolto il suo partito,ha spaventato i cuori comunisti del PD costringendoli alla fuga,ha insomma iniziato una tabula rasa ideologica nel centro-sinistra. Il berlusconismo ed il renzismo hanno davvero tantissimi punti di contatto e non parlo dei punti programmatici di governo,lì la similitudine è davvero netta e palese (abbassamento tasse,piano case,cuneo fiscale,privati nei beni culturali sono tutte idee di matrice berlusconiana); il discorso verte su una similitudine più ampia e profonda. Berlusconi con la sua presenza portò in Italia una rivoluzione nella televisione, diffondendo quella società dell’immagine già esistente in altre parti del mondo, una società con il culto “patinato”, fatta di icone pop, di miti dello spettacolo e della moda.
Berlusconi portò anche in Italia un “qualcosa” che negli anni ’80 si iniziava ad intravedere in tutto il mondo occidentale: la “cultura pop”, prorompente e impetuosa, in grado di cancellare una società sessantottina oramai vecchia e noiosa tramutandola in una società edonistica e moderna in puro stile reaganiano. Detto questo se guardiamo al “renzismo” attuale i punti di contatto ci sembrano davvero incredibili. Partendo dalla vera esaltazione della cultura pop, una cultura presente innanzitutto nel linguaggio di Renzi, una dialettica studiata, quasi “scenografica”, che mira ad attirare e ad ipnotizzare. Il renzismo inoltre come il berlusconismo fa della presenza mediatica un’arma basilare: il neo premier è tutti i giorni in televisione, nei telegiornali, su internet, nei talk-show, essere presente è il mantra. Anche in linea con i tempi di oggi,mentre il Cavaliere aveva le tv,Renzi usa il tweet come mezzo di collegamento,un legame con il consenso ancora più diretto ed istantaneo. Politicamente poi berlusconismo e renzismo posseggono quella matrice post-ideologica che nei rispettivi periodi è stata la vera novità italiana. Entrambi scesi in campo hanno da subito provato a catturare il consenso sia dell’elettorato di destra, che di sinistra con un messaggio politico liberale e postmoderno, un messaggio di chiusura con il passato. Passando poi al culto della leadership,anche qui la similitudine è sfacciata.
Berlusconi si è creato da solo, ha fondato un partito, un credo simbiotico alla sua figura e con esso ha fabbricato un consenso enorme. Renzi mira anch’egli alla personalizzazione della politica tendente ad una forma di leaderismo assoluto; è nato non da solo ma assorbendo linfa dai pezzi di sinistra che a poco a poco ha frantumato nel PD. D’Alema,Veltroni,Bersani e ultimo Letta tutti sono stati abbattuti dal Rottamatore e hanno contribuito ad alimentarlo politicamente. Il Cavaliere e Renzi non sono simboli di una vera cultura politica e di una tradizione ideologica. No,questo non serve al loro percorso. Essi vogliono rappresentare la società presente, che fa della democrazia diretta, quasi plebiscitaria, e basata sulla leadership, lo strumento per cambiare il paese demolendo caste secolari,burocratiche ed elitarie; una nuova forma di rappresentanza politica e istituzionale che cresce su un terreno tradizionalmente di destra. Per questo i veri seguaci di sinistra odiano Renzi, hanno intuito questa sua radice liberale. La decadenza della politica è un’occasione irripetibile,soprattutto per Renzi che insediatosi in un partito preesistente, di tipo novecentesco e quasi allergico alla leadership forte,ha dinanzi due prospettive: o essere lui stesso inghiottito dalla palude politica e antica del centro-sinistra oppure farla esplodere definitivamente e sulle ceneri creare una nuova ideologia.
Molti ne sono convinti da tempo,da molto tempo. Renzi e Berlusconi altro non sono che due facce della stessa medaglia,due anime di un medesimo corpo,due lievi sfaccettature di uno stesso modo di intendere e concepire la politica oggi in Italia. Così come il Cavaliere nel lontano 1994 si abbattè sulla classe politica italiana capovolgendo tutto e gettando nel panico gli avversari, così Renzi ha fatto in questi mesi. Ha capovolto il suo partito,ha spaventato i cuori comunisti del PD costringendoli alla fuga,ha insomma iniziato una tabula rasa ideologica nel centro-sinistra. Il berlusconismo ed il renzismo hanno davvero tantissimi punti di contatto e non parlo dei punti programmatici di governo,lì la similitudine è davvero netta e palese (abbassamento tasse,piano case,cuneo fiscale,privati nei beni culturali sono tutte idee di matrice berlusconiana); il discorso verte su una similitudine più ampia e profonda. Berlusconi con la sua presenza portò in Italia una rivoluzione nella televisione, diffondendo quella società dell’immagine già esistente in altre parti del mondo, una società con il culto “patinato”, fatta di icone pop, di miti dello spettacolo e della moda.
Berlusconi portò anche in Italia un “qualcosa” che negli anni ’80 si iniziava ad intravedere in tutto il mondo occidentale: la “cultura pop”, prorompente e impetuosa, in grado di cancellare una società sessantottina oramai vecchia e noiosa tramutandola in una società edonistica e moderna in puro stile reaganiano. Detto questo se guardiamo al “renzismo” attuale i punti di contatto ci sembrano davvero incredibili. Partendo dalla vera esaltazione della cultura pop, una cultura presente innanzitutto nel linguaggio di Renzi, una dialettica studiata, quasi “scenografica”, che mira ad attirare e ad ipnotizzare. Il renzismo inoltre come il berlusconismo fa della presenza mediatica un’arma basilare: il neo premier è tutti i giorni in televisione, nei telegiornali, su internet, nei talk-show, essere presente è il mantra. Anche in linea con i tempi di oggi,mentre il Cavaliere aveva le tv,Renzi usa il tweet come mezzo di collegamento,un legame con il consenso ancora più diretto ed istantaneo. Politicamente poi berlusconismo e renzismo posseggono quella matrice post-ideologica che nei rispettivi periodi è stata la vera novità italiana. Entrambi scesi in campo hanno da subito provato a catturare il consenso sia dell’elettorato di destra, che di sinistra con un messaggio politico liberale e postmoderno, un messaggio di chiusura con il passato. Passando poi al culto della leadership,anche qui la similitudine è sfacciata.
Berlusconi si è creato da solo, ha fondato un partito, un credo simbiotico alla sua figura e con esso ha fabbricato un consenso enorme. Renzi mira anch’egli alla personalizzazione della politica tendente ad una forma di leaderismo assoluto; è nato non da solo ma assorbendo linfa dai pezzi di sinistra che a poco a poco ha frantumato nel PD. D’Alema,Veltroni,Bersani e ultimo Letta tutti sono stati abbattuti dal Rottamatore e hanno contribuito ad alimentarlo politicamente. Il Cavaliere e Renzi non sono simboli di una vera cultura politica e di una tradizione ideologica. No,questo non serve al loro percorso. Essi vogliono rappresentare la società presente, che fa della democrazia diretta, quasi plebiscitaria, e basata sulla leadership, lo strumento per cambiare il paese demolendo caste secolari,burocratiche ed elitarie; una nuova forma di rappresentanza politica e istituzionale che cresce su un terreno tradizionalmente di destra. Per questo i veri seguaci di sinistra odiano Renzi, hanno intuito questa sua radice liberale. La decadenza della politica è un’occasione irripetibile,soprattutto per Renzi che insediatosi in un partito preesistente, di tipo novecentesco e quasi allergico alla leadership forte,ha dinanzi due prospettive: o essere lui stesso inghiottito dalla palude politica e antica del centro-sinistra oppure farla esplodere definitivamente e sulle ceneri creare una nuova ideologia.
Italia bloccata che chiede cambiamenti.
di Nicola Giordano
Legge elettorale e riforme costituzionali.Ecco la ricetta.
Nelle ultime settimane il dibattito politico sembra essersi bloccato su due temi: la legge elettorale e le riforme alla Costituzione per compiere le quali si ipotizzano alleanze e patti politici tra destra e sinistra.Ma a dire il vero,la popolazione non pare molto coinvolta nè tantomeno attirata nel dialogo sul tema,quasi come se si trattasse di argomenti inutili e poco importanti rispetto alla vita di tutti i giorni.Politici,accademici e nullafacenti di professione sarebbero i soli autorizzati a trattate queste tematiche,il cittadino invece no,le sue attenzioni sono essenzialmente sugli aspetti economici.Per i politici quindi legge elettorale e riforme sarebbero solo un altro alibi cui dedicarsi fino a fine legislatura senza realizzare nulla di serio e concreto per il paese. I cittadini che pensano ciò sono innegabilmente in errore.Il problema occupazionale ed economico è un aspetto ma non il solo aspetto di cui debbano occuparsi Parlamento e Governo.L'importanza di temi come la nuova legge elettorale e le riforme dello Stato è enorme e fuori discussione.
Il principale problema dell'Italia è senza dubbio l'immobilismo decisionale che in venti anni ha bloccato il paese senza attivare alcuna forma di sviluppo o crescita economica.Ma questo immobilismo è proprio figlio di quelle mancate riforme costituzionali non compiute in passato. Non è colpa dei politici,almeno non sempre,se le decisioni necessarie non vengono prese o vengono prese in ritardo.La colpa che blocca il sistema politico è dell'eccessiva frammentazione partitica,del tempo dilatato che serve tra veti,controveti e eterne mediazioni per prendere un provvedimento spesso palese e chiaro ma a cui sono sempre legati interessi specifici cui nessuna classe e nessuna casta intende rinunciare. Frammentazione ed eccessiva burocratizzazione delle istituzioni dello Stato sono le cause dell'immobilismo attuale e vanno combattute proprio con una nuova legge elettorale e profonde riforme costituzionali.Ecco l'importanza notevole delle discussioni di queste settimane. Le persone e i partiti che si oppongono ad una riforma radicale dello stato non lo fanno perchè non ve ne sia bisogno ma tentano solo di proteggere quel loro potere di veto che da un senso alla loro esistenza politica.
E' un ragionamento terribile e pericoloso.Per difendere il proprio ruolo bloccano una paese intero condannandolo alla crescita zero e all'arretratezza strutturale. Renzi e Berlusconi in questi giorni hanno ratificato un accordo politico serio e responsabile.L'obiettivo è approvare una legge elettorale nuova e seria e mettere mano alla Costituzione abbattendo il bicameralismo perfetto che tanti freni ha messo in questi anni all'ammodernamento del paese. Il patto stretto dai due leader anche se non perfetto sarà un duro colpo per i protettori della frammentazione politica.Sarà un accordo grazie al quale l'Italia potrà svoltare in senso moderato allontanando le ali estreme e demagogiche dalle aule parlamentari. Il declino di un paese può essere fermato solo con coraggio di idee e sviluppo.Cambiare per migliorare,ecco lo scopo verso cui tendere.
Nelle ultime settimane il dibattito politico sembra essersi bloccato su due temi: la legge elettorale e le riforme alla Costituzione per compiere le quali si ipotizzano alleanze e patti politici tra destra e sinistra.Ma a dire il vero,la popolazione non pare molto coinvolta nè tantomeno attirata nel dialogo sul tema,quasi come se si trattasse di argomenti inutili e poco importanti rispetto alla vita di tutti i giorni.Politici,accademici e nullafacenti di professione sarebbero i soli autorizzati a trattate queste tematiche,il cittadino invece no,le sue attenzioni sono essenzialmente sugli aspetti economici.Per i politici quindi legge elettorale e riforme sarebbero solo un altro alibi cui dedicarsi fino a fine legislatura senza realizzare nulla di serio e concreto per il paese. I cittadini che pensano ciò sono innegabilmente in errore.Il problema occupazionale ed economico è un aspetto ma non il solo aspetto di cui debbano occuparsi Parlamento e Governo.L'importanza di temi come la nuova legge elettorale e le riforme dello Stato è enorme e fuori discussione.
Il principale problema dell'Italia è senza dubbio l'immobilismo decisionale che in venti anni ha bloccato il paese senza attivare alcuna forma di sviluppo o crescita economica.Ma questo immobilismo è proprio figlio di quelle mancate riforme costituzionali non compiute in passato. Non è colpa dei politici,almeno non sempre,se le decisioni necessarie non vengono prese o vengono prese in ritardo.La colpa che blocca il sistema politico è dell'eccessiva frammentazione partitica,del tempo dilatato che serve tra veti,controveti e eterne mediazioni per prendere un provvedimento spesso palese e chiaro ma a cui sono sempre legati interessi specifici cui nessuna classe e nessuna casta intende rinunciare. Frammentazione ed eccessiva burocratizzazione delle istituzioni dello Stato sono le cause dell'immobilismo attuale e vanno combattute proprio con una nuova legge elettorale e profonde riforme costituzionali.Ecco l'importanza notevole delle discussioni di queste settimane. Le persone e i partiti che si oppongono ad una riforma radicale dello stato non lo fanno perchè non ve ne sia bisogno ma tentano solo di proteggere quel loro potere di veto che da un senso alla loro esistenza politica.
E' un ragionamento terribile e pericoloso.Per difendere il proprio ruolo bloccano una paese intero condannandolo alla crescita zero e all'arretratezza strutturale. Renzi e Berlusconi in questi giorni hanno ratificato un accordo politico serio e responsabile.L'obiettivo è approvare una legge elettorale nuova e seria e mettere mano alla Costituzione abbattendo il bicameralismo perfetto che tanti freni ha messo in questi anni all'ammodernamento del paese. Il patto stretto dai due leader anche se non perfetto sarà un duro colpo per i protettori della frammentazione politica.Sarà un accordo grazie al quale l'Italia potrà svoltare in senso moderato allontanando le ali estreme e demagogiche dalle aule parlamentari. Il declino di un paese può essere fermato solo con coraggio di idee e sviluppo.Cambiare per migliorare,ecco lo scopo verso cui tendere.
Abbattere un sistema politico fallimentare.
di Nicola Giordano
Uscire dalla crisi dei partiti e della moralità.
Spesso sentiamo commenti politici lontani,lontanissimi dalla realtà.Uno di questi è che il sistema maggioritario abbia azzerato il rischio alluvionale dei partitini e favorito il consolidarsi di tre sole aree agglomerate,una di destra,una di sinistra ed una di centro.Se però passiamo una giornata in Parlamento durante l'iter di approvazione di una legge ci accorgiamo che la realtà vera è tutta un'altra cosa.Partiamo dal PD.All'interno del partito che dovrebbe rappresentare l'intero centro-sinistra italiano abbiamo i Renziani e gli anti-Renziani,abbiamo un gruppetto di eletti collegati direttamente alla CGIL,cosa davvero assurda tecnicamente,abbiamo i Giovani Turchi che la pensano in modo laburista su molti argomenti e abbiamo i lettiani che rimangono di indole governativa,come non capirli.Passando alla destra,nel PDL le cose non sembrano diverse e soprattutto nell'ultimo anno si sono rese ancor più complesse.Sono sorti gli Alfaniani che ruotano attorno alla figura dell'ex segretario e che restano di approccio governativo,c'è il gruppo Fitto,sorto da poco che mostra una forte propensione alle questioni del meridione,c'è infine la banda dei Falchi che si reputa l'unica ala veramente berlusconiana del PDL e che da mesi chiede la fuoriuscita dall'esecutivo.Il centro dovrebbe grosso modo essere rappresentato da Scelta civica,terza forza politica espressa dalle recenti elezioni.Ma anche in questo caso le novità sono molte.Il fondatore,Mario Monti,solo il mese scorso si è già fatto da parte abbandonando la neve in tempesta.
Non c'è più grande unita interna ma si sono formate due principali fazioni che spingono verso mete opposte.Quindi facendo una rapida sintesi,ogni provvedimento che necessiti del visto parlamentare deve mettere d'accordo tutte queste voci dissidenti e il tutto farlo ben due volte tra Camera e Senato.Il sistema non si è semplificato bensì complicato e non poco.Nel caso miracoloso poi in cui si raggiunga uno straccio di intesa,la legge poi va applicata tramite regolamento governativo e in questo caso riparte una nuova girandola di veti e contro veti fra gli alti dirigenti dei ministeri che hanno la competenza ad elaborare il regolamento necessario.Il perchè di questo esempio della vita parlamentare è presto svelato.Il nostro Sistema politico istituzionale ha fallito,non è più in grado di garantire interventi decisi e soprattutto tempestivi.Non è rappresentativo della volontà popolare nè di alcuna vera forma di volontà politica nazionale.Viviamo,politicamente,in balia del capriccio e del formalismo e nel frattempo il paese non cresce e non si sviluppa.Per fortuna la crisi economica sembra essersi arrestata ma senza decisioni utili,il treno famigerato della crescita,verrà mancato ancora una volta.Al maggioritario si chiedeva unità e semplificazione invece ha prodotto frammentazione e polarizzazione di principi.PD,PDL,M5S,Lista Civica sono in realtà nuclei esplosivi ricchi di agglomerati interni diversi e in contrasto palese o implicito ma pronti a schizzare fuori da un momento all'altro.Poggiando su queste basi così instabili è davvero miracoloso che si sia riusciti a creare un esecutivo e che sia durato fino ad oggi senza grossi scossoni.
Ma ciò che spaventa di più è che eventuali future elezioni non risolverebbero per nulla la questione su delineata.Non esiste nel paese una volontà elettorale così maggioritaria da dare serenità ad un futuro governo,siamo destinati all'instabilità e d'altronde è chiaro come il sole che da almeno tre anni l'Italia non è governata da soggetti indicati dal popolo,la volontà delle urne non c'è più,non la si riesce più a formare.Non esistono ricette immediate,nè cure istantanee.Il segreto sta proprio qui,nel riuscire a cambiare un sistema parlamentare lento e troppo complesso,nel mettere a tacere le troppe voci discordanti fra Regioni,Province e Comuni,nel ridurre drasticamente il numero dei partiti alla maniera americana.Meno partiti avranno sicuramente meno potere e quindi meno interessi da seguire e ai quali piegare l'interesse principe della nazione. Non servirà però solo cambiare la Costituzione,a patto che ciò riesca.Servirà rivoluzionare la cultura stessa dei partiti,cambiare la morale del fare politica.La seconda,la terza e la quarta repubblica sembrano essere uscite identiche alla prima perchè di essa sono figlie e dirette propagazioni. Serve un taglio netto,uomini nuovi e non di partito.Ricreare un legame,una ragione tra la politica e il bene comune.Allontanare i vecchi maestri,i populisti,gli strillonni e gli incapaci.Si svuoterebbe mezzo Parlamento direte voi.Vero,ma almeno quelli che resterebbero rappresenteranno l'Italia migliore.
Spesso sentiamo commenti politici lontani,lontanissimi dalla realtà.Uno di questi è che il sistema maggioritario abbia azzerato il rischio alluvionale dei partitini e favorito il consolidarsi di tre sole aree agglomerate,una di destra,una di sinistra ed una di centro.Se però passiamo una giornata in Parlamento durante l'iter di approvazione di una legge ci accorgiamo che la realtà vera è tutta un'altra cosa.Partiamo dal PD.All'interno del partito che dovrebbe rappresentare l'intero centro-sinistra italiano abbiamo i Renziani e gli anti-Renziani,abbiamo un gruppetto di eletti collegati direttamente alla CGIL,cosa davvero assurda tecnicamente,abbiamo i Giovani Turchi che la pensano in modo laburista su molti argomenti e abbiamo i lettiani che rimangono di indole governativa,come non capirli.Passando alla destra,nel PDL le cose non sembrano diverse e soprattutto nell'ultimo anno si sono rese ancor più complesse.Sono sorti gli Alfaniani che ruotano attorno alla figura dell'ex segretario e che restano di approccio governativo,c'è il gruppo Fitto,sorto da poco che mostra una forte propensione alle questioni del meridione,c'è infine la banda dei Falchi che si reputa l'unica ala veramente berlusconiana del PDL e che da mesi chiede la fuoriuscita dall'esecutivo.Il centro dovrebbe grosso modo essere rappresentato da Scelta civica,terza forza politica espressa dalle recenti elezioni.Ma anche in questo caso le novità sono molte.Il fondatore,Mario Monti,solo il mese scorso si è già fatto da parte abbandonando la neve in tempesta.
Non c'è più grande unita interna ma si sono formate due principali fazioni che spingono verso mete opposte.Quindi facendo una rapida sintesi,ogni provvedimento che necessiti del visto parlamentare deve mettere d'accordo tutte queste voci dissidenti e il tutto farlo ben due volte tra Camera e Senato.Il sistema non si è semplificato bensì complicato e non poco.Nel caso miracoloso poi in cui si raggiunga uno straccio di intesa,la legge poi va applicata tramite regolamento governativo e in questo caso riparte una nuova girandola di veti e contro veti fra gli alti dirigenti dei ministeri che hanno la competenza ad elaborare il regolamento necessario.Il perchè di questo esempio della vita parlamentare è presto svelato.Il nostro Sistema politico istituzionale ha fallito,non è più in grado di garantire interventi decisi e soprattutto tempestivi.Non è rappresentativo della volontà popolare nè di alcuna vera forma di volontà politica nazionale.Viviamo,politicamente,in balia del capriccio e del formalismo e nel frattempo il paese non cresce e non si sviluppa.Per fortuna la crisi economica sembra essersi arrestata ma senza decisioni utili,il treno famigerato della crescita,verrà mancato ancora una volta.Al maggioritario si chiedeva unità e semplificazione invece ha prodotto frammentazione e polarizzazione di principi.PD,PDL,M5S,Lista Civica sono in realtà nuclei esplosivi ricchi di agglomerati interni diversi e in contrasto palese o implicito ma pronti a schizzare fuori da un momento all'altro.Poggiando su queste basi così instabili è davvero miracoloso che si sia riusciti a creare un esecutivo e che sia durato fino ad oggi senza grossi scossoni.
Ma ciò che spaventa di più è che eventuali future elezioni non risolverebbero per nulla la questione su delineata.Non esiste nel paese una volontà elettorale così maggioritaria da dare serenità ad un futuro governo,siamo destinati all'instabilità e d'altronde è chiaro come il sole che da almeno tre anni l'Italia non è governata da soggetti indicati dal popolo,la volontà delle urne non c'è più,non la si riesce più a formare.Non esistono ricette immediate,nè cure istantanee.Il segreto sta proprio qui,nel riuscire a cambiare un sistema parlamentare lento e troppo complesso,nel mettere a tacere le troppe voci discordanti fra Regioni,Province e Comuni,nel ridurre drasticamente il numero dei partiti alla maniera americana.Meno partiti avranno sicuramente meno potere e quindi meno interessi da seguire e ai quali piegare l'interesse principe della nazione. Non servirà però solo cambiare la Costituzione,a patto che ciò riesca.Servirà rivoluzionare la cultura stessa dei partiti,cambiare la morale del fare politica.La seconda,la terza e la quarta repubblica sembrano essere uscite identiche alla prima perchè di essa sono figlie e dirette propagazioni. Serve un taglio netto,uomini nuovi e non di partito.Ricreare un legame,una ragione tra la politica e il bene comune.Allontanare i vecchi maestri,i populisti,gli strillonni e gli incapaci.Si svuoterebbe mezzo Parlamento direte voi.Vero,ma almeno quelli che resterebbero rappresenteranno l'Italia migliore.
Il metodo Renzi snatura la vera anima del PD.
di Nicola Giordano
Il Renzismo prosciuga storia ed ideologia del Partito Democratico.
Si potrebbe operare una sottile analogia tra la figura di Matteo Renzi e quella dell'ormai defunto,politicamente,Gianfranco Fini.Il Rottamatore infatti potrebbe avere sul PD gli stessi effetti deflagratori che ebbe l'ex delfino di Almitante su Alleanza Nazionale;divenuto leader del maggiore partito della destra italiana,una sorta di MSI ripulito da ogni vecchia nostalgia,Fini impegnò i primi anni della sua leadership a ripulire il partito dalla vecchia anima fascista,a mette alla porta quelle menti che non avevano mai effettivamente rotto il legame viscerale con Almirante e la matrice totalitaria.Insomma un vero repulisti che normalizzò la destra italiana e in parte ne snaturò origine e caratteristiche.Ecco Renzi sembrerebbe portato verso un lavoro di tal tipo.Già da alcuni mesi ha più volte sottolineato di desiderare una sinistra diversa,più moderna e concreta.Non è arrivato a definire il comunismo "il male assoluto" ma poco ci manca,questione di tempo e di primarie.La luce del potere è un'arma che tramuta le menti e quella di Renzi non ne sarebbe immune.
Già da alcuni mesi il Rottamatore invita il PD a guardare oltre,a proporre alternative politiche, non a fossilizzarsi sulla lotta al berlusconismo,anche perchè ventanni non sono bastati a debellarlo e quindi è dura credere che sia un'azione reale da inseguire.Per gli anti-Berlusconi e per i casini da manifestazione Renzi è il male politico,è il simil Cavaliere da tenere lontano dalla segreteria.Una vera minaccia perchè potrebbe inchiodarli alle loro responsabilità e al loro modo fallimentare di gestire il PD in questi anni. Le analogie tra il sindaco di Firenze e Berlusconi sono del resto molto evidenti.Anch'egli è portatore della retorica del nuovo, non proviene da un luogo socialmente e culturalmente alternativo a ciò che contesta,le sue linee programmatiche del resto, sono belle ricche di idee e suggestioni non certo di vere risposte politiche. Quello di Renzi non è semplice populismo,è dialettica del sogno,è qualcosa di più evoluto che segue la dialettica berlusconiana del fare e non del dire.Già Veltroni anni prima aveva tentato di seguire una scia del genere ma i tempi erano acerbi e soprattutto l'icona spietata e ingombrante di D'Alema si stagliava ancora su tutto il partito.I renziani di adesso sono tutti ex comunisti ravveduti e proprio questo desiderio di staccarsi dalla vecchia ideologia,di alleggerire la storia fino a farla sparire;ecco il motivo che porterà Renzi in caso di vittoria alle primarie,a fagocitare il PD,ad ingoiarlo come un simil Crono.
Con lui al vertice il Partito Democratico subirà una forte sterzata verso il centro,dicendo addio non solo al vecchiume delle stanze,comunque abbondante,ma anche alle sue radici ideologiche e storiche.Anche se c'è la consapevolezza che la segreteria PD per Renzi sia solo una tappa momentanea,il suo progetto è Palazzo Chigi,ovviamente.La paura che si può percepire però è che,così facendo,nella sinistra tutto cambi per non cambiare veramente.Tutto sembra rivoluzionato ma spostandosi al centro la diplomazia potrebbe impossessarsi dei renziani e non compiere alcuna forma di cambiamento.E' difficile e complesso da prevedere perchè ancora poco chiari sono i gruppi di interesse che si muovono alle spalle di Renzi e che lo sostengono.Chi sono i suoi finanziatori,chi gli industriali che lo appoggiano?Il timore è che siano i medesimi che hanno fino ad oggi sostenuto la sinistra italiana e che vedono in Renzi il nuovo necessario ma utile affinchè tutto resti com'è.
Si potrebbe operare una sottile analogia tra la figura di Matteo Renzi e quella dell'ormai defunto,politicamente,Gianfranco Fini.Il Rottamatore infatti potrebbe avere sul PD gli stessi effetti deflagratori che ebbe l'ex delfino di Almitante su Alleanza Nazionale;divenuto leader del maggiore partito della destra italiana,una sorta di MSI ripulito da ogni vecchia nostalgia,Fini impegnò i primi anni della sua leadership a ripulire il partito dalla vecchia anima fascista,a mette alla porta quelle menti che non avevano mai effettivamente rotto il legame viscerale con Almirante e la matrice totalitaria.Insomma un vero repulisti che normalizzò la destra italiana e in parte ne snaturò origine e caratteristiche.Ecco Renzi sembrerebbe portato verso un lavoro di tal tipo.Già da alcuni mesi ha più volte sottolineato di desiderare una sinistra diversa,più moderna e concreta.Non è arrivato a definire il comunismo "il male assoluto" ma poco ci manca,questione di tempo e di primarie.La luce del potere è un'arma che tramuta le menti e quella di Renzi non ne sarebbe immune.
Già da alcuni mesi il Rottamatore invita il PD a guardare oltre,a proporre alternative politiche, non a fossilizzarsi sulla lotta al berlusconismo,anche perchè ventanni non sono bastati a debellarlo e quindi è dura credere che sia un'azione reale da inseguire.Per gli anti-Berlusconi e per i casini da manifestazione Renzi è il male politico,è il simil Cavaliere da tenere lontano dalla segreteria.Una vera minaccia perchè potrebbe inchiodarli alle loro responsabilità e al loro modo fallimentare di gestire il PD in questi anni. Le analogie tra il sindaco di Firenze e Berlusconi sono del resto molto evidenti.Anch'egli è portatore della retorica del nuovo, non proviene da un luogo socialmente e culturalmente alternativo a ciò che contesta,le sue linee programmatiche del resto, sono belle ricche di idee e suggestioni non certo di vere risposte politiche. Quello di Renzi non è semplice populismo,è dialettica del sogno,è qualcosa di più evoluto che segue la dialettica berlusconiana del fare e non del dire.Già Veltroni anni prima aveva tentato di seguire una scia del genere ma i tempi erano acerbi e soprattutto l'icona spietata e ingombrante di D'Alema si stagliava ancora su tutto il partito.I renziani di adesso sono tutti ex comunisti ravveduti e proprio questo desiderio di staccarsi dalla vecchia ideologia,di alleggerire la storia fino a farla sparire;ecco il motivo che porterà Renzi in caso di vittoria alle primarie,a fagocitare il PD,ad ingoiarlo come un simil Crono.
Con lui al vertice il Partito Democratico subirà una forte sterzata verso il centro,dicendo addio non solo al vecchiume delle stanze,comunque abbondante,ma anche alle sue radici ideologiche e storiche.Anche se c'è la consapevolezza che la segreteria PD per Renzi sia solo una tappa momentanea,il suo progetto è Palazzo Chigi,ovviamente.La paura che si può percepire però è che,così facendo,nella sinistra tutto cambi per non cambiare veramente.Tutto sembra rivoluzionato ma spostandosi al centro la diplomazia potrebbe impossessarsi dei renziani e non compiere alcuna forma di cambiamento.E' difficile e complesso da prevedere perchè ancora poco chiari sono i gruppi di interesse che si muovono alle spalle di Renzi e che lo sostengono.Chi sono i suoi finanziatori,chi gli industriali che lo appoggiano?Il timore è che siano i medesimi che hanno fino ad oggi sostenuto la sinistra italiana e che vedono in Renzi il nuovo necessario ma utile affinchè tutto resti com'è.
Rifiuti tossici.La Campania ora è infelix.
di Nicola Giordano
Una tragedia ambientale di proporzioni gigantesche.
Eccoci di nuovo a trattare un tema quasi eterno ovvero il problema dei rifiuti in Campania; di recente è saltata alla cronaca una problematica ancor più pericolosa e di difficile soluzione,quella dei rifiuti tossici. Non semplici rifiuti urbani il cui stoccaggio o la cui combustione risulta essere difficoltosa e affrontata in modo poco serio,ma rifiuti industriali,di dubbia provenienza e di accertata pericolosità il cui smaltimento viene ed è stato per anni compiuto abusivamente nelle terre delle province campane,soprattutto nel napoletano e nel casertano. Per risolvere la generale emergenza rifiuti a Napoli sono giunti in 15 anni ben 7 miliardi di euro in aiuti e finanziamenti. Un vero affare che ovviamente ha attirato nel giro di pochissimo tempo i vari clan camorristici,uno su tutti,quello dei Casalesi,guidati nell’affare immondizia dal boss Bidognetti, ora in carcere. Numerosissimi sono stati i procedimenti penali aperti dalle autorità giudiziarie,molti dei quali conclusi con nulla di fatto. Ma la situazione rimane grandemente complessa così come complessi sono i danni ambientali e umani provocati in questi anni alle varie popolazioni locali. Il business illecito dei rifiuti non riguarda solo la Campania, alcuni dati hanno sottolineato che il problema colpisce il 3% del territorio della penisola,dati davvero allarmanti.In Campania i rifiuti sono divenuti un vero fenomeno da analizzare e studiare e non a caso è la Campania una delle regioni italiane più interessate. Proprio da Napoli la magistratura ha scoperto che partono le navi con container pieni zeppi di barili tossici e pericolosi,il tutto clandestinamente. L’Africa è la destinazione,la meta preferita per smaltire senza controlli i materiali non riciclabili o pericolosi e medesima sorte spetta agli scarti delle apparecchiature elettriche ed elettroniche.
Quindi mentre i rifiuti tossici in Italia ed in Campania soprattutto vengono smaltiti sotterrandoli nelle campagne,nei Paesi dell’Africa tali rifiuti vengano usati in maniera impropria. Ovviamente,come detto,è la camorra che si nasconde dietro al business dei rifiuti, un affare diventato davvero lucrosissimo. Ciò che a volte lascia di sasso è la totale impotenza che caratterizza queste situazioni di palese illeicità,un po’ perché le norme procedurali in vigore sono complesse e a volte poco efficaci,un po’ perché il sistema giudiziario spesso saturo è lentissimo nel mettersi in moto ma soprattutto perché sono le istituzioni politiche locali le prime a non vigilare prontamente o peggio ancora ad essere collegate e conniventi con i gruppi criminali. Il risultato della somma di questi fattori è la realtà desolante che abbiamo nei territori succitati,intere fette della provincia napoletana e casertana avvelenate dai rifiuti,zone ferite mortalmente,nelle quali alcuna forma di bonifica potrà mai restituire i danni oramai subiti da persone e cose. L’affare dei rifiuti tossici è da sempre stato nelle mani del clan casalese.Sul finire degli anni novanta però,il clan,che fino ad allora inviava all’estero i rifiuti da smaltire illegalmente,decise di cambiare metodo,utilizzando uno stratagemma molto più pratico ed economico,ma certamente scriteriato e incosciente. Seppellire nelle proprie campagne l’enorme massa di rifiuti pericolosi che le aziende del nord commissionavano alle ditte casalesi. Nel giro di pochi anni intere zone agricole sono state riempite di materiali e scarti industriali,senza badare alle conseguenze che tali operazioni nel tempo avrebbero provocato al territorio e alla stessa popolazione del luogo. La magistratura dal 1998 ha iniziato a scoperchiare la drammatica situazione:le inchieste Adelphi ed Eco svelarono il giro di affari tra il clan casalese e numerose industrie settentrionali. Soprattutto la zona casertana col comune di Santa Maria La Fossa è risultata essere l’epicentro di questo dramma ambientale. Intere campagne contaminate con arsenico, cadmio e zinco.
Le indagini hanno dimostrato che circa 100 viaggi a settimana venivano compiuti per sversare tali rifiuti pericolosi; tutto accadeva senza alcun tipo di autorizzazione né di controllo locale. Nel 2005 i giudici del Tribunale di Napoli hanno poi affrontato la questione Montefibre,un’azienda di grosse dimensioni nel comune di Acerra,fallita nel 2003.L’industria era attiva nella produzione di poliestere,i giudici hanno scoperto che per risparmiare sullo smaltimento dei rifiuti prodotti, questi venivano sotterrati nelle vicinanze, tonnellate di liquami industriali, che per decenni sono stati nascosti nel sottosuolo e che ora hanno causato l’inquinamento delle falde acquifere locali. Discorso analogo va fatto per il comune di Giugliano in Campania.Un grande e popoloso comune del napoletano dove numerosissime sono state le discariche abusive scoperte e sequestrate di recente,ma attive da decenni. In queste discariche numerosi quantitativi di mercurio,cadmio e tungsteno sono stati rilevati e i risultati dell’Arpac, fatti sulle acque del territorio, hanno dimostrato la contaminazione grave tanto da scongiurare la coltivazione delle medesime terre. Insomma un vero avvelenamento di quella che un tempo era una terra prospera e fertile. Tanto c’è ancora da fare,tante le situazioni illegali ancora da scoprire e da bloccare ma un elemento positivo c’è,almeno adesso la popolazione sembra essersi destata,non più succube dei clan e della politica corrotta. Proteste e manifestazioni sono giunte fino alle massime istituzioni e una maggiore attenzione locale e nazionale sembra essere stata fatta sul drammatico problema dei rifiuti tossici in Campania. Ma lo sdegno e la protesta cadranno nel vuoto se non accompagnati da interventi politici e processuali severi ed efficaci,chi ha avvelenato la Campania venga punito e paghi senza remore per i danni irrimediabili causati alle future generazioni.
Eccoci di nuovo a trattare un tema quasi eterno ovvero il problema dei rifiuti in Campania; di recente è saltata alla cronaca una problematica ancor più pericolosa e di difficile soluzione,quella dei rifiuti tossici. Non semplici rifiuti urbani il cui stoccaggio o la cui combustione risulta essere difficoltosa e affrontata in modo poco serio,ma rifiuti industriali,di dubbia provenienza e di accertata pericolosità il cui smaltimento viene ed è stato per anni compiuto abusivamente nelle terre delle province campane,soprattutto nel napoletano e nel casertano. Per risolvere la generale emergenza rifiuti a Napoli sono giunti in 15 anni ben 7 miliardi di euro in aiuti e finanziamenti. Un vero affare che ovviamente ha attirato nel giro di pochissimo tempo i vari clan camorristici,uno su tutti,quello dei Casalesi,guidati nell’affare immondizia dal boss Bidognetti, ora in carcere. Numerosissimi sono stati i procedimenti penali aperti dalle autorità giudiziarie,molti dei quali conclusi con nulla di fatto. Ma la situazione rimane grandemente complessa così come complessi sono i danni ambientali e umani provocati in questi anni alle varie popolazioni locali. Il business illecito dei rifiuti non riguarda solo la Campania, alcuni dati hanno sottolineato che il problema colpisce il 3% del territorio della penisola,dati davvero allarmanti.In Campania i rifiuti sono divenuti un vero fenomeno da analizzare e studiare e non a caso è la Campania una delle regioni italiane più interessate. Proprio da Napoli la magistratura ha scoperto che partono le navi con container pieni zeppi di barili tossici e pericolosi,il tutto clandestinamente. L’Africa è la destinazione,la meta preferita per smaltire senza controlli i materiali non riciclabili o pericolosi e medesima sorte spetta agli scarti delle apparecchiature elettriche ed elettroniche.
Quindi mentre i rifiuti tossici in Italia ed in Campania soprattutto vengono smaltiti sotterrandoli nelle campagne,nei Paesi dell’Africa tali rifiuti vengano usati in maniera impropria. Ovviamente,come detto,è la camorra che si nasconde dietro al business dei rifiuti, un affare diventato davvero lucrosissimo. Ciò che a volte lascia di sasso è la totale impotenza che caratterizza queste situazioni di palese illeicità,un po’ perché le norme procedurali in vigore sono complesse e a volte poco efficaci,un po’ perché il sistema giudiziario spesso saturo è lentissimo nel mettersi in moto ma soprattutto perché sono le istituzioni politiche locali le prime a non vigilare prontamente o peggio ancora ad essere collegate e conniventi con i gruppi criminali. Il risultato della somma di questi fattori è la realtà desolante che abbiamo nei territori succitati,intere fette della provincia napoletana e casertana avvelenate dai rifiuti,zone ferite mortalmente,nelle quali alcuna forma di bonifica potrà mai restituire i danni oramai subiti da persone e cose. L’affare dei rifiuti tossici è da sempre stato nelle mani del clan casalese.Sul finire degli anni novanta però,il clan,che fino ad allora inviava all’estero i rifiuti da smaltire illegalmente,decise di cambiare metodo,utilizzando uno stratagemma molto più pratico ed economico,ma certamente scriteriato e incosciente. Seppellire nelle proprie campagne l’enorme massa di rifiuti pericolosi che le aziende del nord commissionavano alle ditte casalesi. Nel giro di pochi anni intere zone agricole sono state riempite di materiali e scarti industriali,senza badare alle conseguenze che tali operazioni nel tempo avrebbero provocato al territorio e alla stessa popolazione del luogo. La magistratura dal 1998 ha iniziato a scoperchiare la drammatica situazione:le inchieste Adelphi ed Eco svelarono il giro di affari tra il clan casalese e numerose industrie settentrionali. Soprattutto la zona casertana col comune di Santa Maria La Fossa è risultata essere l’epicentro di questo dramma ambientale. Intere campagne contaminate con arsenico, cadmio e zinco.
Le indagini hanno dimostrato che circa 100 viaggi a settimana venivano compiuti per sversare tali rifiuti pericolosi; tutto accadeva senza alcun tipo di autorizzazione né di controllo locale. Nel 2005 i giudici del Tribunale di Napoli hanno poi affrontato la questione Montefibre,un’azienda di grosse dimensioni nel comune di Acerra,fallita nel 2003.L’industria era attiva nella produzione di poliestere,i giudici hanno scoperto che per risparmiare sullo smaltimento dei rifiuti prodotti, questi venivano sotterrati nelle vicinanze, tonnellate di liquami industriali, che per decenni sono stati nascosti nel sottosuolo e che ora hanno causato l’inquinamento delle falde acquifere locali. Discorso analogo va fatto per il comune di Giugliano in Campania.Un grande e popoloso comune del napoletano dove numerosissime sono state le discariche abusive scoperte e sequestrate di recente,ma attive da decenni. In queste discariche numerosi quantitativi di mercurio,cadmio e tungsteno sono stati rilevati e i risultati dell’Arpac, fatti sulle acque del territorio, hanno dimostrato la contaminazione grave tanto da scongiurare la coltivazione delle medesime terre. Insomma un vero avvelenamento di quella che un tempo era una terra prospera e fertile. Tanto c’è ancora da fare,tante le situazioni illegali ancora da scoprire e da bloccare ma un elemento positivo c’è,almeno adesso la popolazione sembra essersi destata,non più succube dei clan e della politica corrotta. Proteste e manifestazioni sono giunte fino alle massime istituzioni e una maggiore attenzione locale e nazionale sembra essere stata fatta sul drammatico problema dei rifiuti tossici in Campania. Ma lo sdegno e la protesta cadranno nel vuoto se non accompagnati da interventi politici e processuali severi ed efficaci,chi ha avvelenato la Campania venga punito e paghi senza remore per i danni irrimediabili causati alle future generazioni.
In Italia ogni riforma pare impossibile.
di Nicola Giordano
Tagli,riforme e riorganizzazioni.Nulla viene realmente applicato.
Strano ma vero,tutti i buoni propositi che erano iniziati con il precedente governo Monti,gli obiettivi di ridurre la spesa e tagliare gli sprechi nella Pubblica Amministrazione,tanto da nominare appositamente il commissario Biondi per occuparsi di tale competenza,sembrano già tramontati.La famosa spending review non è più una priorità del governo.Sembra quasi che oltre alla rinuncia,sia diventato impossibile,in Italia,tagliare gli sprechi nel settore pubblico.Troppi sono gli interessi molteplici a riguardo.Non giova a ciò la recente sentenza della Corte Costituzionale che ha definito come illegittimo l'accordo collettivo stipulato tra Fiat e sindacati,facendo un regalo propagandistico ai vertici Fiom.Sembra quasi una maledizione ma di recente,ogni tentativo di abbassare la spesa pubblica e ridurre i costi della PA si sono ridotti in un fallimento completo per chi li aveva ideati e proposti.
Ma il perchè non deve lasciarci sorpresi.Ogni annuncio di tagli metteva e mette in moto le barricate della burocrazia autoreferenziale,sotto i colpi delle sentenze della magistratura e anche a causa della scarsa produzione di norme attuative,tutto resta solo sulla carta dei disegni legge.La burocrazia vince. Sempre.D'altronde è davvero difficile pensare che gli stessi vertici della burocrazia responsabili di sperchi ed errori di spesa,collaborino ad evitare e a punire i loro stessi sbagli.Sarebbe davvero un miraggio.Come detto proprio la Consulta di recente ha dato un colpo molto pesante a questi propositi.Prima con totale non curanza degli sforzi del Parlamento,ha cancellato in pochi minuti una proposta di riforma delle Province,poi ha sancito la chiusura degli enti strumentali di regioni ed enti locali, ha ripristinato il contributo di solidarietà alle pensioni dei dirigenti pubblici,e ha dichiarato illegittimo il blocco degli avanzamenti di stipendio dei magistrati,in questo ultimo caso era e resta evidente il plateale conflitto d’interessi,ma nessuno ha fiatato a riguardo.Ma non è tutto.Quando non è colpa dei giudici compiacenti ecco che scatta pronta la farraginosa macchina amministrativa che diventa qui efficientissima e in pochi mesi riesce ad affossare i tentativi messi in campo da qualche volenteroso politico.
Un caso emblematico è la recente riforma Fornero,che,è vero è stata fonte di una serie di errori e sbagli di valutazione,ma che aveva impostato un buon progetto di armonizzazione del lavoro pubblico,un programma che avrebbe dovuto individuare il personale degli enti locali in esubero ed agire poi di conseguenza.Questi provvedimenti dovevano essere applicati già da due mesi ma una serie di formalità sollevate ai Tar dalla stessa Pubblica Amministrazione hanno bloccato tutto,in attesa di interventi ad hoc di cui non si vedono segnali nell'attuale governo Letta.In attesa di ciò queste riforme si adagiano nel dimenticatoio e poi spariscono.O le norme non vengono inserite o peggio ancora vengono totalmente disattese come la legge 123 del 2010 che avrebbe dovuto tagliare l’80 per cento dei costi di consulenze e sponsorizzazioni: spese che,da tre anni a questa parte, non sono diminuite nemmeno del 10 per cento.Di chi sarà la colpa?
Strano ma vero,tutti i buoni propositi che erano iniziati con il precedente governo Monti,gli obiettivi di ridurre la spesa e tagliare gli sprechi nella Pubblica Amministrazione,tanto da nominare appositamente il commissario Biondi per occuparsi di tale competenza,sembrano già tramontati.La famosa spending review non è più una priorità del governo.Sembra quasi che oltre alla rinuncia,sia diventato impossibile,in Italia,tagliare gli sprechi nel settore pubblico.Troppi sono gli interessi molteplici a riguardo.Non giova a ciò la recente sentenza della Corte Costituzionale che ha definito come illegittimo l'accordo collettivo stipulato tra Fiat e sindacati,facendo un regalo propagandistico ai vertici Fiom.Sembra quasi una maledizione ma di recente,ogni tentativo di abbassare la spesa pubblica e ridurre i costi della PA si sono ridotti in un fallimento completo per chi li aveva ideati e proposti.
Ma il perchè non deve lasciarci sorpresi.Ogni annuncio di tagli metteva e mette in moto le barricate della burocrazia autoreferenziale,sotto i colpi delle sentenze della magistratura e anche a causa della scarsa produzione di norme attuative,tutto resta solo sulla carta dei disegni legge.La burocrazia vince. Sempre.D'altronde è davvero difficile pensare che gli stessi vertici della burocrazia responsabili di sperchi ed errori di spesa,collaborino ad evitare e a punire i loro stessi sbagli.Sarebbe davvero un miraggio.Come detto proprio la Consulta di recente ha dato un colpo molto pesante a questi propositi.Prima con totale non curanza degli sforzi del Parlamento,ha cancellato in pochi minuti una proposta di riforma delle Province,poi ha sancito la chiusura degli enti strumentali di regioni ed enti locali, ha ripristinato il contributo di solidarietà alle pensioni dei dirigenti pubblici,e ha dichiarato illegittimo il blocco degli avanzamenti di stipendio dei magistrati,in questo ultimo caso era e resta evidente il plateale conflitto d’interessi,ma nessuno ha fiatato a riguardo.Ma non è tutto.Quando non è colpa dei giudici compiacenti ecco che scatta pronta la farraginosa macchina amministrativa che diventa qui efficientissima e in pochi mesi riesce ad affossare i tentativi messi in campo da qualche volenteroso politico.
Un caso emblematico è la recente riforma Fornero,che,è vero è stata fonte di una serie di errori e sbagli di valutazione,ma che aveva impostato un buon progetto di armonizzazione del lavoro pubblico,un programma che avrebbe dovuto individuare il personale degli enti locali in esubero ed agire poi di conseguenza.Questi provvedimenti dovevano essere applicati già da due mesi ma una serie di formalità sollevate ai Tar dalla stessa Pubblica Amministrazione hanno bloccato tutto,in attesa di interventi ad hoc di cui non si vedono segnali nell'attuale governo Letta.In attesa di ciò queste riforme si adagiano nel dimenticatoio e poi spariscono.O le norme non vengono inserite o peggio ancora vengono totalmente disattese come la legge 123 del 2010 che avrebbe dovuto tagliare l’80 per cento dei costi di consulenze e sponsorizzazioni: spese che,da tre anni a questa parte, non sono diminuite nemmeno del 10 per cento.Di chi sarà la colpa?
Morto Andreotti.Muore un pezzo d'Italia.
di Nicola Giordano
A 94 anni muore il Divo Giulio.Il simbolo della Prima Repubblica.
Giulio Andreotti è morto.L'ex Presidente del Consiglio,l'ex ministro,l'ex senatore a vita,l'ex leader DC è morto all'età di 94 anni nella sua casa romana.Da alcuni anni era letteralmente svanito e allontanatosi dalla politica,il peso dell'età era evidente e aveva tramutato questo uomo politico,ricco di sagacia,astuzia e bravura in un nonno,un vecchietto mezzo sordo che si trascinava in questi ultimi anni di vita.Lui che dai nemici era definito Belzebù,La Volpe Immortale o il Divo,lui che aveva immune attraversato mille avvenimenti,mille crisi e mille rivoluzioni,restando sempre in piedi e in posizioni favorevoli.Ora con la sua morte muore definitivamente la Prima Repubblica.La sua carriera politica parla per lui,è stato il simbolo dell'Italia per molti decenni,il simbolo di un certo modo di intendere la politica,il potere in generale.E' riuscito a sopravvivere a tutto e a tutti,a due Guerre Mondiali,alla Guerra Fredda,al Terrorismo,alla Mafia,alle Stragi di Stato,alle crisi economiche e in parte anche alla Seconda Repubblica.Coinvolto in maniera diretta o indiretta in tutti gli avvenimenti più importanti della vita della Repubblica Italiana.Sopravvissuto a terribili accuse giudiziare,per Mafia e addirittura come mandante dell'omicidio di Nino Pecorelli.Una figura particolare e misteriosa,tremendamente italiana nella sua sagoma.Ora non c'è più.Per decenni ha simboleggiato la Democrazia Cristiana,un partito che per anni ha funzionato come una vera Istituzione,il cosiddetto partito di Stato come veniva definito dagli avversari,un gruppo politico capace di essere contemporaneamente vicino agli USA e alla Russia,al mondo arabo e ad Israele,ai comunisti e al Vaticano.
Crocevia di potere e misteri di Stato.Il suo percorso di uomo di potere iniziò nel lontanssimo 1947,all'alba della Costituzione Italiana,quando De Gasperi lo nominò a soli 27 anni sottosegretario ed è durato fino al 1992,quando in prossimità d Tangentopoli fu Presidente del Consiglio dal 1989 al 1992 appunto.Molti amici politici lo definivano una sorta di Papa eterno,in grado di essere l'unico politico all'interno del Vaticano a pesare come un vero Pontefice,tanto erano strettissimi i suoi rapporti con lo Stato della Chiesa.Andreotti simboleggiava mille anni di storia cattolica e la sua figura fu perfetta e fondamentale nel periodo della guerra fredda.Tra i due blocchi,quello americano e quello russo,egli si muoveva in modo felpato,diplomatico e sicuro.Re dei compromessi e delle intese sia con gli amici che,soprattutto ,coi nemici.Il suo unico credo,a parte quello cattolico,era il rispetto del Patto Atlantico,dell'equilibrio imposto in Europa doppo la II Guerra Mondiale e per il rispetto del quale ha governato spesso con accordi e decisioni senza scrupoli e ai limiti del reato penale.La Responsabilità di garantire quell'equlibrio lo hanno spesso spinto a coprire stragi ed episodi misteriosi d'Italia.Secondo molti,insieme alla CIA americano fu proprio lui negli anni settanta e ottanta a fomentare la strategia della tensione come strumento per reggere il caos e isolare le spinte estremiste che provenivano dal mondo comunista.Stragi di Stato per evitare un regime sovietico anche in Italia.La caduta del Muro di Berlino però incrinò per sempre la situazione.Il suo ruolo di arbitro divenne meno utile,quando poi Mani Pulite scoppiò nella sua violenza, finì tutto.Finì la Guerra Fredda,finì la sua DC,nella quale aveva creato una corrente interna potente e complessa,finì anche il suo sogno di raggiungere il Quirinale quando venne poi coinvolto nei processi di Mafia.
Dai processi riuscì ad uscirne pulito con assoluzioni e prescrizioni.Ma ormai la sua figura di demone di Stato,di Lucifero dei segreti d'Italia era divenuta inscalfibile.Alcune sue frasi sono divenute leggenda,chi non ricorda:" Il potere logora chi non ce l'ha oppure sono di media altezza (politica) ma intorno a me non vedo giganti ". Senza dimenticare la frase che forse meglio di tutte sintetizza la sua personalità e il suo ruolo nei misteri d'Italia: " Ho una grande archivio a casa mia,ricco di documenti e carte,quando cito il mio archivio segreto, tutti i miei nemici politici che mi urlano addosso, all'improvviso tacciono ". Questo era Giulio Andreotti,l'Immortale della politica italiana,con la sua morte muore un pezzo di noi,un pezzo d'Italia che non ritornerà mai più.
Giulio Andreotti è morto.L'ex Presidente del Consiglio,l'ex ministro,l'ex senatore a vita,l'ex leader DC è morto all'età di 94 anni nella sua casa romana.Da alcuni anni era letteralmente svanito e allontanatosi dalla politica,il peso dell'età era evidente e aveva tramutato questo uomo politico,ricco di sagacia,astuzia e bravura in un nonno,un vecchietto mezzo sordo che si trascinava in questi ultimi anni di vita.Lui che dai nemici era definito Belzebù,La Volpe Immortale o il Divo,lui che aveva immune attraversato mille avvenimenti,mille crisi e mille rivoluzioni,restando sempre in piedi e in posizioni favorevoli.Ora con la sua morte muore definitivamente la Prima Repubblica.La sua carriera politica parla per lui,è stato il simbolo dell'Italia per molti decenni,il simbolo di un certo modo di intendere la politica,il potere in generale.E' riuscito a sopravvivere a tutto e a tutti,a due Guerre Mondiali,alla Guerra Fredda,al Terrorismo,alla Mafia,alle Stragi di Stato,alle crisi economiche e in parte anche alla Seconda Repubblica.Coinvolto in maniera diretta o indiretta in tutti gli avvenimenti più importanti della vita della Repubblica Italiana.Sopravvissuto a terribili accuse giudiziare,per Mafia e addirittura come mandante dell'omicidio di Nino Pecorelli.Una figura particolare e misteriosa,tremendamente italiana nella sua sagoma.Ora non c'è più.Per decenni ha simboleggiato la Democrazia Cristiana,un partito che per anni ha funzionato come una vera Istituzione,il cosiddetto partito di Stato come veniva definito dagli avversari,un gruppo politico capace di essere contemporaneamente vicino agli USA e alla Russia,al mondo arabo e ad Israele,ai comunisti e al Vaticano.
Crocevia di potere e misteri di Stato.Il suo percorso di uomo di potere iniziò nel lontanssimo 1947,all'alba della Costituzione Italiana,quando De Gasperi lo nominò a soli 27 anni sottosegretario ed è durato fino al 1992,quando in prossimità d Tangentopoli fu Presidente del Consiglio dal 1989 al 1992 appunto.Molti amici politici lo definivano una sorta di Papa eterno,in grado di essere l'unico politico all'interno del Vaticano a pesare come un vero Pontefice,tanto erano strettissimi i suoi rapporti con lo Stato della Chiesa.Andreotti simboleggiava mille anni di storia cattolica e la sua figura fu perfetta e fondamentale nel periodo della guerra fredda.Tra i due blocchi,quello americano e quello russo,egli si muoveva in modo felpato,diplomatico e sicuro.Re dei compromessi e delle intese sia con gli amici che,soprattutto ,coi nemici.Il suo unico credo,a parte quello cattolico,era il rispetto del Patto Atlantico,dell'equilibrio imposto in Europa doppo la II Guerra Mondiale e per il rispetto del quale ha governato spesso con accordi e decisioni senza scrupoli e ai limiti del reato penale.La Responsabilità di garantire quell'equlibrio lo hanno spesso spinto a coprire stragi ed episodi misteriosi d'Italia.Secondo molti,insieme alla CIA americano fu proprio lui negli anni settanta e ottanta a fomentare la strategia della tensione come strumento per reggere il caos e isolare le spinte estremiste che provenivano dal mondo comunista.Stragi di Stato per evitare un regime sovietico anche in Italia.La caduta del Muro di Berlino però incrinò per sempre la situazione.Il suo ruolo di arbitro divenne meno utile,quando poi Mani Pulite scoppiò nella sua violenza, finì tutto.Finì la Guerra Fredda,finì la sua DC,nella quale aveva creato una corrente interna potente e complessa,finì anche il suo sogno di raggiungere il Quirinale quando venne poi coinvolto nei processi di Mafia.
Dai processi riuscì ad uscirne pulito con assoluzioni e prescrizioni.Ma ormai la sua figura di demone di Stato,di Lucifero dei segreti d'Italia era divenuta inscalfibile.Alcune sue frasi sono divenute leggenda,chi non ricorda:" Il potere logora chi non ce l'ha oppure sono di media altezza (politica) ma intorno a me non vedo giganti ". Senza dimenticare la frase che forse meglio di tutte sintetizza la sua personalità e il suo ruolo nei misteri d'Italia: " Ho una grande archivio a casa mia,ricco di documenti e carte,quando cito il mio archivio segreto, tutti i miei nemici politici che mi urlano addosso, all'improvviso tacciono ". Questo era Giulio Andreotti,l'Immortale della politica italiana,con la sua morte muore un pezzo di noi,un pezzo d'Italia che non ritornerà mai più.
Il rischio del conservatorismo costituzionale.
di Nicola Giordano
Cambiare la Costituzione.Unica via per la stabilità del paese.
La vera democrazia,quella reale ed utile ha senso solo ed esclusivamente se viene dotata di regole,organi ed istituzioni tali da rendere concreto e tangibile il manifestarsi del volere popolare.La volontà degli elettori si materializza non solo attraverso una buona e giusta legge elettorale,ma anche fornendo agli eletti i giusti mezzi per collegare la volontà suddetta del popolo alle stanze del potere centrale.Sono decenni che si vocifera di modificare la Carta Costituzionale in modo da dare vita a forme di governo forti e stabili,senza soffire troppo la precarietà e spesso le minacce che giungono dalle Camere elette.L'attuale classe dirigente però,sia di destra che di sinistra soprattutto,una classe sull'orlo del fallimento come il tribuno Grillo urla da anni,non sembra mai porre questi interventi nell'agenda delle cose urgenti da fare.Spesso si evidenzia che bisogna cambiare i volti della politica,cambiare le offerte politiche da presentare agli elettori,insomma rivoluzionare i partiti stessi;ma queste rivoluzioni rischiano comunque l'insuccesso se non si rivoluzionano le regole del potere,se non si rende stabile l'intera struttura governativa.Non basta cambiare una legge elettorale,anche se pessima,per ottenere stabilità e coesione istituzionale.Su queste pagine si è spesso sottolineato la necessità impellente di modificare vasti campi della Costituzione.Una Costituzione formale che oggi non rispecchia i reali bisogni della Nazione.Oggi non vi è più il pericolo di colpi di Stato o di forme di governo autoritario e dittatoriali,anzi al contrario,l'eccessiva frammentarietà parlamentare provoca stati di precarietà politica indicibii.Forme di vero e proprio panico istituzionale che rende impossibile nemmeno a dieci giorni dal risultato elettorale, riuscire ad aver una bozza di nuovo governo.
Oggi la realtà ci chiede stabilità.Solo un sistema maggioritario e una forma di semi-presidenzialismo donerebbero al paese un governo forte e autonomo,non schiavo dei capricci Parlamentari.E dire che nel lontanissimo 1997 la Commissione Bicamerale per le riforme costituzionali capeggiata nientemeno che dalla coppia Berlusconi - D'Alema aveva tracciato una linea riformatrice davvero notevole,ma poi come spesso accade,tra invidie e personalismi tutto naufragò mestamente senza alcuna novità degna di nota.Fu una grande occasione sprecata perchè in quella Commissione si intuivano barlumi di speranza e modernità per il paese.Oggi invece ogni qualvolta si vociferi anche solo distrattamente di mettere mano alla Costutuzione il vento pregiudizievole ed ottuso dei conservatori si alza potente.Nessuno tocchi la Carta costituzionale,questo è lo slogan che intere sacche e caste di potere soprattutto pubblico come magistrati e insegnanti urlano e fomentano in scioperi e piazze.Mai svista fu più grande ahiloro.Uno dei difetti congeniti e più criticati della nostra architettura costituzionale è soprattutto il bicameralismo perfetto,ovvero possedere due Camere di uguali livello e potere.Questo bicameralismo impedisce la vità parlamentare,blocca e rallenta ogni procedura legislativa e costringe spesso gli esecutivi a ricorrere, spesso abusandone, allo strumento del decreto-legge o al ricattevole mezzo del voto di fiducia.Anche il Professor Mario Monti nel suo anno di governo tecnico sottolineò questa anomalia tutta italiana,come anche lo stesso Berlusconi urla da anni ai quattro venti.Se al bicameralismo perfetto uniamo poi i regolamenti parlamentari che come fonte di diritto esclusiva troneggiano sull'intera esistenza delle istituzioni parlamentari il gioco è fatto.Ci troviamo dinanzi ad un mostro imbattibile,divoratore dei governi e dell' efficienza legislativa,garante dell'immobilismo e della pigrizia riformatrice.
Un Cerbero potente e resistente e ciò che spaventa di più, anche ricco di una lunga schiera di difensori e protettori che però ciecamente non si avvedono di essere le principali vittime del demone che essi stessi tanto difendono.O dea della Sapienza e della Ragione,cala su queste menti ottuse e libera i loro occhi ottenebrati dalle fitte nebbie del conservatorismo costituzionale.Solo allora ci saranno speranze per il nostro amato Paese.
La vera democrazia,quella reale ed utile ha senso solo ed esclusivamente se viene dotata di regole,organi ed istituzioni tali da rendere concreto e tangibile il manifestarsi del volere popolare.La volontà degli elettori si materializza non solo attraverso una buona e giusta legge elettorale,ma anche fornendo agli eletti i giusti mezzi per collegare la volontà suddetta del popolo alle stanze del potere centrale.Sono decenni che si vocifera di modificare la Carta Costituzionale in modo da dare vita a forme di governo forti e stabili,senza soffire troppo la precarietà e spesso le minacce che giungono dalle Camere elette.L'attuale classe dirigente però,sia di destra che di sinistra soprattutto,una classe sull'orlo del fallimento come il tribuno Grillo urla da anni,non sembra mai porre questi interventi nell'agenda delle cose urgenti da fare.Spesso si evidenzia che bisogna cambiare i volti della politica,cambiare le offerte politiche da presentare agli elettori,insomma rivoluzionare i partiti stessi;ma queste rivoluzioni rischiano comunque l'insuccesso se non si rivoluzionano le regole del potere,se non si rende stabile l'intera struttura governativa.Non basta cambiare una legge elettorale,anche se pessima,per ottenere stabilità e coesione istituzionale.Su queste pagine si è spesso sottolineato la necessità impellente di modificare vasti campi della Costituzione.Una Costituzione formale che oggi non rispecchia i reali bisogni della Nazione.Oggi non vi è più il pericolo di colpi di Stato o di forme di governo autoritario e dittatoriali,anzi al contrario,l'eccessiva frammentarietà parlamentare provoca stati di precarietà politica indicibii.Forme di vero e proprio panico istituzionale che rende impossibile nemmeno a dieci giorni dal risultato elettorale, riuscire ad aver una bozza di nuovo governo.
Oggi la realtà ci chiede stabilità.Solo un sistema maggioritario e una forma di semi-presidenzialismo donerebbero al paese un governo forte e autonomo,non schiavo dei capricci Parlamentari.E dire che nel lontanissimo 1997 la Commissione Bicamerale per le riforme costituzionali capeggiata nientemeno che dalla coppia Berlusconi - D'Alema aveva tracciato una linea riformatrice davvero notevole,ma poi come spesso accade,tra invidie e personalismi tutto naufragò mestamente senza alcuna novità degna di nota.Fu una grande occasione sprecata perchè in quella Commissione si intuivano barlumi di speranza e modernità per il paese.Oggi invece ogni qualvolta si vociferi anche solo distrattamente di mettere mano alla Costutuzione il vento pregiudizievole ed ottuso dei conservatori si alza potente.Nessuno tocchi la Carta costituzionale,questo è lo slogan che intere sacche e caste di potere soprattutto pubblico come magistrati e insegnanti urlano e fomentano in scioperi e piazze.Mai svista fu più grande ahiloro.Uno dei difetti congeniti e più criticati della nostra architettura costituzionale è soprattutto il bicameralismo perfetto,ovvero possedere due Camere di uguali livello e potere.Questo bicameralismo impedisce la vità parlamentare,blocca e rallenta ogni procedura legislativa e costringe spesso gli esecutivi a ricorrere, spesso abusandone, allo strumento del decreto-legge o al ricattevole mezzo del voto di fiducia.Anche il Professor Mario Monti nel suo anno di governo tecnico sottolineò questa anomalia tutta italiana,come anche lo stesso Berlusconi urla da anni ai quattro venti.Se al bicameralismo perfetto uniamo poi i regolamenti parlamentari che come fonte di diritto esclusiva troneggiano sull'intera esistenza delle istituzioni parlamentari il gioco è fatto.Ci troviamo dinanzi ad un mostro imbattibile,divoratore dei governi e dell' efficienza legislativa,garante dell'immobilismo e della pigrizia riformatrice.
Un Cerbero potente e resistente e ciò che spaventa di più, anche ricco di una lunga schiera di difensori e protettori che però ciecamente non si avvedono di essere le principali vittime del demone che essi stessi tanto difendono.O dea della Sapienza e della Ragione,cala su queste menti ottuse e libera i loro occhi ottenebrati dalle fitte nebbie del conservatorismo costituzionale.Solo allora ci saranno speranze per il nostro amato Paese.
Morale e Istituzione fra scopo e funzione.
di Nicola Giordano
Le qualità etiche o quelle delle istituzioni servono a rendere migliore la politica?
In che modo si può stabilire se in un dato paese vi sia una buona o cattiva politica?In che modo determinare se una specifica società sia gestita da una classe dirigente giusta o ingiusta?E' lo spirito collettivo che permane in essa a condizionare ciò oppure è la natura stessa delle istituzioni e delle regole connesse al loro funzionamento ad influenzare il risultato politico finale?Si potrebbe dire che a fronteggiarsi a riguardo vi siano due correnti di pensiero piuttosto radicate:i moralisti e gli istituzionalisti.Per i moralisti ciò che conta davvero in politica è la qualità etica della persona.I criteri discriminanti quindi sarebbero onestà e disonestà,la dedizione all'interesse pubblico o la cupidigia personale legata al potere.Dateci politici che siano uomini onesti,dicono i moralisti,e tutto vedrete che andrà per il meglio,qualsiasi siano le norme e le istituzioni da esse regolate.Gli istituzionalisti la vedono in modo molto differente.
Credono che gli uomini siano,chi più chi meno,sempre gli stessi.Pensano che non sia il politico ad essere moralmente ladro ma sia l'occasione a fare l'uomo ladro.Lo stesso individuo si comporterebbe in maniera diversa a seconda delle regole del gioco prevalenti.Se le istituzioni sono ben congegnate i comportamenti diciamo predatori di certi politici,volti a massimizzare il proprio vantaggio a danno degli altri,saranno disincentivati:qualche deviante ci sarà comunque,per carità,ma i più si asterranno dal danneggiare l'interesse pubblico.Non si tratta di una querelle accademica:è la sostanza del dibattito pubblico che c'è in Italia,fin dal crollo della cosiddetta Prima Repubblica.Se la questione fosse davvero così posta,non ci sarebbe problema.Gli istituzionalisti avrebbero palesemente ragione.Sono le circostanze e non qualche innata qualità metafisica e morale che solo qualcuno possiede a fare il politico ladro,compreso il politico moralista.Gli uomini perseguiranno i loro interessi astenendosi da comportamenti predatori se le istituzioni fossero strutturate in modo tale che convenga agire in tal modo.Se invece sono,come sono,mal strutturate,se invece dello Stato di diritto prevale lo Stato personale,se le norme sono numerose e troppo ambigue,i comportamenti predatori saranno molti e diffusi.Il rischio di essere sanzionati diminuisce,la convenienza a sfruttare le istituzioni a danno degli altri si rafforza e prevale.
Le istituzioni ben congegnate questo non lo permetterebbero.Esse sono quelle nelle quali il perseguimento dell'interesse personale che comunque esiste sempre,non entra in conflitto con scopi e funzioni delle stesse istituzioni.Tuttavia,in maniera molto diversa da come lo intendono i moralisti,gli uomini contano comunque.Nel senso che le tradizioni culturali che ne ispirano le azioni,favoriscono o sfavoriscono comunque la formazione di istituzioni ben strutturate.Il quesito iniziale resta comunque privo di risposta certa.Morale o Istituzione?Qual è più determinante per fare della politica una buona politica?
In che modo si può stabilire se in un dato paese vi sia una buona o cattiva politica?In che modo determinare se una specifica società sia gestita da una classe dirigente giusta o ingiusta?E' lo spirito collettivo che permane in essa a condizionare ciò oppure è la natura stessa delle istituzioni e delle regole connesse al loro funzionamento ad influenzare il risultato politico finale?Si potrebbe dire che a fronteggiarsi a riguardo vi siano due correnti di pensiero piuttosto radicate:i moralisti e gli istituzionalisti.Per i moralisti ciò che conta davvero in politica è la qualità etica della persona.I criteri discriminanti quindi sarebbero onestà e disonestà,la dedizione all'interesse pubblico o la cupidigia personale legata al potere.Dateci politici che siano uomini onesti,dicono i moralisti,e tutto vedrete che andrà per il meglio,qualsiasi siano le norme e le istituzioni da esse regolate.Gli istituzionalisti la vedono in modo molto differente.
Credono che gli uomini siano,chi più chi meno,sempre gli stessi.Pensano che non sia il politico ad essere moralmente ladro ma sia l'occasione a fare l'uomo ladro.Lo stesso individuo si comporterebbe in maniera diversa a seconda delle regole del gioco prevalenti.Se le istituzioni sono ben congegnate i comportamenti diciamo predatori di certi politici,volti a massimizzare il proprio vantaggio a danno degli altri,saranno disincentivati:qualche deviante ci sarà comunque,per carità,ma i più si asterranno dal danneggiare l'interesse pubblico.Non si tratta di una querelle accademica:è la sostanza del dibattito pubblico che c'è in Italia,fin dal crollo della cosiddetta Prima Repubblica.Se la questione fosse davvero così posta,non ci sarebbe problema.Gli istituzionalisti avrebbero palesemente ragione.Sono le circostanze e non qualche innata qualità metafisica e morale che solo qualcuno possiede a fare il politico ladro,compreso il politico moralista.Gli uomini perseguiranno i loro interessi astenendosi da comportamenti predatori se le istituzioni fossero strutturate in modo tale che convenga agire in tal modo.Se invece sono,come sono,mal strutturate,se invece dello Stato di diritto prevale lo Stato personale,se le norme sono numerose e troppo ambigue,i comportamenti predatori saranno molti e diffusi.Il rischio di essere sanzionati diminuisce,la convenienza a sfruttare le istituzioni a danno degli altri si rafforza e prevale.
Le istituzioni ben congegnate questo non lo permetterebbero.Esse sono quelle nelle quali il perseguimento dell'interesse personale che comunque esiste sempre,non entra in conflitto con scopi e funzioni delle stesse istituzioni.Tuttavia,in maniera molto diversa da come lo intendono i moralisti,gli uomini contano comunque.Nel senso che le tradizioni culturali che ne ispirano le azioni,favoriscono o sfavoriscono comunque la formazione di istituzioni ben strutturate.Il quesito iniziale resta comunque privo di risposta certa.Morale o Istituzione?Qual è più determinante per fare della politica una buona politica?
Da Santoro Berlusconi ritorna il solito leone.
di Nicola Giordano
Il Cavaliere inizia la campagna elettorale in trasferta.Ma la vittoria è eclatante.
L'arena politico-televisiva ieri ha espresso un vero evento,atteso da anni.Lo scontro fra il Cavaliere e il giornalista più fazioso e schierato delle "terre emerse",Michele Santoro.In questo inizio di campagna elettorale si è cominciato subito forte con questa battaglia mediato-dialettica che ieri sera a tratti ha raggiunto vertici di puro piacere.Diciamolo chiaramente,la trasmissione di Santoro è un vero ricettacolo di comunisti,anarchici ed estremisti sia tra il pubblico,mai equilibrato ma anzi sempre pro-sinistra e sicuramente raccolto fra centri-sociali e circoli universitari di ispirazione marxista,sia tra i giornalisti,tutti intrisi di idiologia proletaria come l'oramai mitico Ruotolo,coi suoi baffoni da soviet in disarmo,il dionisiaco Travaglio,sulla cui attendibilità ed equilibrio è sempre meglio stendere un velo pietoso fino alla bella Costamagna,che anche se cerca e prova si vede che non sa,o meglio che sa farlo ma solo se imbeccata ad hoc da quel mago di faziosità che è il buon Michele.Nella schiera di giornalisti guerriglieri mancava il povero Telese e l'alcida Lilli Gruber e il quadro di come un giornalista non dovrebbe fare il suo mestiere avrebbe avuto i suoi esempi migliori e più convincenti.Un plauso va fatto tutto però,oltre che a Berlusconi,sulle cui doti di One Man Show già si sapeva tutto,anche allo stesso Santoro,che con ritmo ed efficacia ha incalzato l'accusato della situazione per ben due ore.Alla fine però gli effetti sono stati sorprendenti.
Chi credeva che l'ex premier sarebbe crollato sotto i colpi di mitra dei giornalisti schierati si è dovuto ricredere.Con prontezza,velocità e un pizzico di tipico umorismo,Berlusconi ha risposto a ogni singola domanda o accusa rivoltagli,anzi, in molti casi facendo luce su tutta una serie di circostanze passate,sulle quali nessuno ha potuto controbbattere.Poi come sempre è stato il turno del fido Travaglio,che al solito,si è dedicato alle ennesime accuse verso il Cavaliere,le stesse da anni,sempre con il suo cadenzare da gesuita proletario.Qui il Cavaliere ha ancora una volta risposto per le rime,iniziando un lungo elenco delle numerose condanne civili e penali che il giornalista del Fatto (inquadrato tremante e scosso) ha subito in questi anni e delle quali nella trasmissione non si da mai voce ne spazio.Tutte condanne inerenti la diffamazione e l'uso improprio e spesso impreciso delle fonti e degli articoli.Senza scordare gli ingenti guadagni degli ultimi anni del giornalista (perfettamente leciti,ci mancherebbe),quelli si taciuti sempre,nonostante l'aria da mesto figlio del popolo che Travaglio indossa in ogni occasione pubblica.Il gioco solito insomma non è riuscito potremmo dire.Un conto è salire sul pulpito e snocciolare accuse,date e fatti (metà dei quali impreci) senza contradditorio e senza controparte,come sempre accaduto nelle trasmissioni di Santoro;un conto è avere il Genio del Male (così definito il Cavaliere) di fronte agli occhi e perdere quella naturale boria dell'uomo mediocre,anzi non riuscire nemmeno a ben articolare concetti e accuse,impaurito dal venir sbugiardato e quindi smascherato e perdere in un solo minuto anni e anni di carriera costruita solo contro una persona.
Alla fine vincitore quasi assoluto è parso Silvio Berlusconi,che non solo ha rivoltato le varie critiche ed accuse personali facendo finalmente chiarezza sulle parole subdole che venivano spesso sussurrate codarde,ma è anche riuscito a centrare una serie di punti sulla campagna elettorale.Da un lato le critiche a Monti e a come ad un certo punto abbia preso una strada sbagliata che ha poi portato alla spirale recessiva,dall'altro ha elargito le sue promesse elettorali come l'abolizione dell'Imu e i 5 anni di sgravi fiscali per chi assume a tempo indeterminato,sottolineando come la crisi economica è stata il frutto non del suo governo,ma di congiunture e circostanze a livello mondiale,anzi alcune ben imbeccate dalle scelte finanziarie e bancarie egoistiche di alcuni paesi quali la Germania.Alla fine della trasmissione Santoro sembrava colpito al cuore e ha perso un pò la flemma avendogli Berlusconi strappato il ruolo di accusatore in casa propria,Travaglio docilmente si riposizionava sul suo baldacchino molto innervosito dalla lettura delle dieci sentenze subite da lui,che spesso sui suoi libri si auto-dipinge come il Dio della Legalità.Resta un sol uomo al centro dello studio,seduto,allegro e sgignazzante per le difficoltà palesi imposte ai nemici,Silvio Berlusconi.Che avrà pure qualche anno in più,avrà pure perso alcune percentuali di elettori,ma resta il leone di sempre.Uno showman a tutto tondo,unica e vera novità politica italiana degli ultimi 25 anni.
L'arena politico-televisiva ieri ha espresso un vero evento,atteso da anni.Lo scontro fra il Cavaliere e il giornalista più fazioso e schierato delle "terre emerse",Michele Santoro.In questo inizio di campagna elettorale si è cominciato subito forte con questa battaglia mediato-dialettica che ieri sera a tratti ha raggiunto vertici di puro piacere.Diciamolo chiaramente,la trasmissione di Santoro è un vero ricettacolo di comunisti,anarchici ed estremisti sia tra il pubblico,mai equilibrato ma anzi sempre pro-sinistra e sicuramente raccolto fra centri-sociali e circoli universitari di ispirazione marxista,sia tra i giornalisti,tutti intrisi di idiologia proletaria come l'oramai mitico Ruotolo,coi suoi baffoni da soviet in disarmo,il dionisiaco Travaglio,sulla cui attendibilità ed equilibrio è sempre meglio stendere un velo pietoso fino alla bella Costamagna,che anche se cerca e prova si vede che non sa,o meglio che sa farlo ma solo se imbeccata ad hoc da quel mago di faziosità che è il buon Michele.Nella schiera di giornalisti guerriglieri mancava il povero Telese e l'alcida Lilli Gruber e il quadro di come un giornalista non dovrebbe fare il suo mestiere avrebbe avuto i suoi esempi migliori e più convincenti.Un plauso va fatto tutto però,oltre che a Berlusconi,sulle cui doti di One Man Show già si sapeva tutto,anche allo stesso Santoro,che con ritmo ed efficacia ha incalzato l'accusato della situazione per ben due ore.Alla fine però gli effetti sono stati sorprendenti.
Chi credeva che l'ex premier sarebbe crollato sotto i colpi di mitra dei giornalisti schierati si è dovuto ricredere.Con prontezza,velocità e un pizzico di tipico umorismo,Berlusconi ha risposto a ogni singola domanda o accusa rivoltagli,anzi, in molti casi facendo luce su tutta una serie di circostanze passate,sulle quali nessuno ha potuto controbbattere.Poi come sempre è stato il turno del fido Travaglio,che al solito,si è dedicato alle ennesime accuse verso il Cavaliere,le stesse da anni,sempre con il suo cadenzare da gesuita proletario.Qui il Cavaliere ha ancora una volta risposto per le rime,iniziando un lungo elenco delle numerose condanne civili e penali che il giornalista del Fatto (inquadrato tremante e scosso) ha subito in questi anni e delle quali nella trasmissione non si da mai voce ne spazio.Tutte condanne inerenti la diffamazione e l'uso improprio e spesso impreciso delle fonti e degli articoli.Senza scordare gli ingenti guadagni degli ultimi anni del giornalista (perfettamente leciti,ci mancherebbe),quelli si taciuti sempre,nonostante l'aria da mesto figlio del popolo che Travaglio indossa in ogni occasione pubblica.Il gioco solito insomma non è riuscito potremmo dire.Un conto è salire sul pulpito e snocciolare accuse,date e fatti (metà dei quali impreci) senza contradditorio e senza controparte,come sempre accaduto nelle trasmissioni di Santoro;un conto è avere il Genio del Male (così definito il Cavaliere) di fronte agli occhi e perdere quella naturale boria dell'uomo mediocre,anzi non riuscire nemmeno a ben articolare concetti e accuse,impaurito dal venir sbugiardato e quindi smascherato e perdere in un solo minuto anni e anni di carriera costruita solo contro una persona.
Alla fine vincitore quasi assoluto è parso Silvio Berlusconi,che non solo ha rivoltato le varie critiche ed accuse personali facendo finalmente chiarezza sulle parole subdole che venivano spesso sussurrate codarde,ma è anche riuscito a centrare una serie di punti sulla campagna elettorale.Da un lato le critiche a Monti e a come ad un certo punto abbia preso una strada sbagliata che ha poi portato alla spirale recessiva,dall'altro ha elargito le sue promesse elettorali come l'abolizione dell'Imu e i 5 anni di sgravi fiscali per chi assume a tempo indeterminato,sottolineando come la crisi economica è stata il frutto non del suo governo,ma di congiunture e circostanze a livello mondiale,anzi alcune ben imbeccate dalle scelte finanziarie e bancarie egoistiche di alcuni paesi quali la Germania.Alla fine della trasmissione Santoro sembrava colpito al cuore e ha perso un pò la flemma avendogli Berlusconi strappato il ruolo di accusatore in casa propria,Travaglio docilmente si riposizionava sul suo baldacchino molto innervosito dalla lettura delle dieci sentenze subite da lui,che spesso sui suoi libri si auto-dipinge come il Dio della Legalità.Resta un sol uomo al centro dello studio,seduto,allegro e sgignazzante per le difficoltà palesi imposte ai nemici,Silvio Berlusconi.Che avrà pure qualche anno in più,avrà pure perso alcune percentuali di elettori,ma resta il leone di sempre.Uno showman a tutto tondo,unica e vera novità politica italiana degli ultimi 25 anni.
La corruzione come sistema endemico.
di Nicola Giordano
Casi su casi di politici corrotti.Una nuova Mani pulite sembra dietro l’angolo.
Forse aveva ragione qualcuno affermando che il vero risparmio in politica,la vera riduzione delle spese pubbliche in questo settore si ha solo nelle dittature,dove uno solo decide e non c’è bisogno di centinaia e centinaia di rappresentanti del popolo,che spesso rappresentano solo se stessi.Si eviterebbe lo spreco certamente,ma forse non è la scelta più democratica.Ora che quasi tutti sono entrati nell’ordine delle idee che le varie notizie sulla corruzione,sull’indegno universo dei consiglieri regionali,sulle patologiche problematiche connesse ai partiti e sulle infezioni amorali delle istituzioni romane sono verità certe,si cerca una soluzione o perlomeno una via di fuga.Inutile dire che tale via d’uscita o non c’è o è lontanissima dall’essere scoperta.
Il Presidente della Repubblica ha sottolineato spesso che il fenomeno corruttivo che sta infestando la nostra politica può e deve essere corretto solo ed esclusivamente reintroducendo principi etici e di onestà comportamentale,mai come in questo periodo assenti.Un importante passo avanti sembra però essere stato fatto.Tutti i partiti oggi,a differenza dell’epoca di Tangentopoli,si schierano contro anche i propri dirigenti che vengono coinvolti in suddetti casi di corruzione.Nessuno si sognerebbe oggi di ripetere le frasi di personaggi dell’epoca tipo Craxi o Fanfani,evidenziando come la tangente fosse un esercizio sistemico e comune a tutti.Oggi i leader dei partiti si oppongono a ricevere il fango che riguarda personalmente alcuni soggetti singoli.Non vi è nulla di sistemico,nulla da concepire come meccanismo di autodifesa.Sono fatti da evidenziare e rimarcare.E soprattutto da bollare come immorali.Su questo almeno i partiti,sono tuti d’accordo.Detto questo non ci trova concorde il pensiero che meno rappresentanza,meno finanziamenti o fondi significhino per forza diminuire la democraticità della politica.
Il reale impoverimento del fenomeno politico non è monetario o finanziario,non dipende dalle somme spese per essa.Dipende dalle idee,dai propositi di cambiamento,dalle spinte a rinnovare società e sistemi.Questo sta davvero rendendo povera la politica.Tutti questi argomenti in passato venivano derubricati a demagogia o a sermoni dalle tonalità moralistiche.Mai errore fu più grande.Questa è la vera ricchezza del fare politica.L’orizzonte di drammi e macerie tipico dei fatti di corruzione spesso è insopportabile.Davvero forte la delusione e lo sconforto in chi osserva e commenta.Ma una cosa bisogna sottolineare.Non contano le casacche di appartenenza,o le tessere cui sono iscritti i corrotti.Cosi come Mani Pulite era un fenomeno che interessava non solo il partito Socialista o la Democrazia Cristiana,anche quello di adesso è un fenomeno che investe non solo i partiti interessati ne tantomeno i soli Consigli regionali coinvolti.E’ un atteggiamento,un modo di fare politica poco etico e responsabile.L’impunità o meglio la non imputabilità che spesso e volentieri contraddistingue i politici , la vera molla,il vero motivo che fa dilagare questo fenomeno.Pene più certe e severe.Autorizzazioni a procedere non stabilite dalla casta ma da un vero organo di probiviri e infine l'allontanamento perpetuo dai ruoli pubblici dei politici condannati per corruzione.Interventi di cotanta portata si che sarebbero utili a combattere la patologia corruttiva di questi anni.Ma nessuno sembra capirlo o avere voglia di capirlo.
E’ ovvio che dinanzi all’immobilismo,dinanzi all’atteggiamento non netto della politica su tali episodi il cittadino e l’elettore si allontanino sempre di più,sfiducia e disincanto amaro inziano a regnare verso la politica.Anzi a proliferare è l’esatto opposto,l’antipolitica,la critica totale e finale a ogni forma di istituzione rappresentativa.L’antipolitica è giustamente da condannare e infatti ogni partito lo fa con costanza e fermezza ma cosa abbiano fatto i partiti fino ad oggi per evitare che essa prendesse il sopravvento è sotto gli occhi di tutti.La risposta è una sola,nulla.
di Nicola Giordano
Forse aveva ragione qualcuno affermando che il vero risparmio in politica,la vera riduzione delle spese pubbliche in questo settore si ha solo nelle dittature,dove uno solo decide e non c’è bisogno di centinaia e centinaia di rappresentanti del popolo,che spesso rappresentano solo se stessi.Si eviterebbe lo spreco certamente,ma forse non è la scelta più democratica.Ora che quasi tutti sono entrati nell’ordine delle idee che le varie notizie sulla corruzione,sull’indegno universo dei consiglieri regionali,sulle patologiche problematiche connesse ai partiti e sulle infezioni amorali delle istituzioni romane sono verità certe,si cerca una soluzione o perlomeno una via di fuga.Inutile dire che tale via d’uscita o non c’è o è lontanissima dall’essere scoperta.
Il Presidente della Repubblica ha sottolineato spesso che il fenomeno corruttivo che sta infestando la nostra politica può e deve essere corretto solo ed esclusivamente reintroducendo principi etici e di onestà comportamentale,mai come in questo periodo assenti.Un importante passo avanti sembra però essere stato fatto.Tutti i partiti oggi,a differenza dell’epoca di Tangentopoli,si schierano contro anche i propri dirigenti che vengono coinvolti in suddetti casi di corruzione.Nessuno si sognerebbe oggi di ripetere le frasi di personaggi dell’epoca tipo Craxi o Fanfani,evidenziando come la tangente fosse un esercizio sistemico e comune a tutti.Oggi i leader dei partiti si oppongono a ricevere il fango che riguarda personalmente alcuni soggetti singoli.Non vi è nulla di sistemico,nulla da concepire come meccanismo di autodifesa.Sono fatti da evidenziare e rimarcare.E soprattutto da bollare come immorali.Su questo almeno i partiti,sono tuti d’accordo.Detto questo non ci trova concorde il pensiero che meno rappresentanza,meno finanziamenti o fondi significhino per forza diminuire la democraticità della politica.
Il reale impoverimento del fenomeno politico non è monetario o finanziario,non dipende dalle somme spese per essa.Dipende dalle idee,dai propositi di cambiamento,dalle spinte a rinnovare società e sistemi.Questo sta davvero rendendo povera la politica.Tutti questi argomenti in passato venivano derubricati a demagogia o a sermoni dalle tonalità moralistiche.Mai errore fu più grande.Questa è la vera ricchezza del fare politica.L’orizzonte di drammi e macerie tipico dei fatti di corruzione spesso è insopportabile.Davvero forte la delusione e lo sconforto in chi osserva e commenta.Ma una cosa bisogna sottolineare.Non contano le casacche di appartenenza,o le tessere cui sono iscritti i corrotti.Cosi come Mani Pulite era un fenomeno che interessava non solo il partito Socialista o la Democrazia Cristiana,anche quello di adesso è un fenomeno che investe non solo i partiti interessati ne tantomeno i soli Consigli regionali coinvolti.E’ un atteggiamento,un modo di fare politica poco etico e responsabile.L’impunità o meglio la non imputabilità che spesso e volentieri contraddistingue i politici , la vera molla,il vero motivo che fa dilagare questo fenomeno.Pene più certe e severe.Autorizzazioni a procedere non stabilite dalla casta ma da un vero organo di probiviri e infine l'allontanamento perpetuo dai ruoli pubblici dei politici condannati per corruzione.Interventi di cotanta portata si che sarebbero utili a combattere la patologia corruttiva di questi anni.Ma nessuno sembra capirlo o avere voglia di capirlo.
E’ ovvio che dinanzi all’immobilismo,dinanzi all’atteggiamento non netto della politica su tali episodi il cittadino e l’elettore si allontanino sempre di più,sfiducia e disincanto amaro inziano a regnare verso la politica.Anzi a proliferare è l’esatto opposto,l’antipolitica,la critica totale e finale a ogni forma di istituzione rappresentativa.L’antipolitica è giustamente da condannare e infatti ogni partito lo fa con costanza e fermezza ma cosa abbiano fatto i partiti fino ad oggi per evitare che essa prendesse il sopravvento è sotto gli occhi di tutti.La risposta è una sola,nulla.
di Nicola Giordano
11 Settembre.E il mondo perse l'innocenza.
di Nicola Giordano
Undicesimo anno dalla tragedia delle Twin Towers.Ecco i bilanci.
Sono trascorsi ormai undici anni dal dramma dell'undici settembre 2001,i due attentati alle Torri Gemelle non solo sfigurarono il volto di New York,ma sfreggiarono per sempre il cuore e l'anima dell'America e del mondo intero.Quest'anno l'anniversario dell'undicesimo anno non sarà celebrato con discorsi presidenziali o sfilate delle forze dell'ordine.Solo la lettura dei nomi delle persone che in quegli attentati persero la vita,seguiti da minuti di interminabile silenzio.Nel frattempo divampano le polemiche sia sull'inaugurazione del Museo dell'11 Settembre.Un grande museo celebrativo che è costato tantissimo alla città di New York ma la cui apertura è stata per la terza volta rinviata,sia sulle morti che hanno coinvolto i vari personali delle forze di soccorso che intervennero per aiutare le vittime durante il crollo delle torri.
Si stima che siano circa 4.000 le persone affette da malattie a causa delle esalazioni respirate durante quelle ore di soccorso.Una cifra davvero spaventosa.A ciò si aggiunge che le somme stanziate dall'amministrazione statale,una somma di aiuti di circa 3 miliardi di dollari,non siano state ancora perfettamente distribuite alle vittime.Il Presidente Obama,che nel 2011 per le celebrazioni si recò a New York insieme al suo predecessore Bush quest'anno non sarà presente.Ha dedicato una serie di pensieri alle persone cadute l'11 settembre nel suo ultimo discorso alla Casa Bianca.Presiederà una celebrazione a Washington e poi farà visita all'ospedale dei soldati americani che sono rimasti feriti nelle ultime missioni in Iraq e Afghanistan.Molto particolare invece le celebrazioni della società civile a New York.Circa 50 danzatori vestiti con i colori della pace balleranno per le strade della Grande Mela e alle 8:45,orario dell'impatto del primo aereo nella Torre A,si bloccheranno guardando il cielo.Da un punto di vista militare e strategico la lotta al terrorismo,incentivata dall'attentato dell'11 settembre ha portato il suo risultato più eclatante e massimo,l'uccisione di Osama Bin Laden,leader indiscusso di Al Qaeda e nel giugno scorso anche del suo principale luogotenente, il libico Abu Yahya al-Libi.Notizia recente ma non confermata del tutto poi è che nelle ultime ore sarebbe stato assassinato da commandos Americani anche l'erede spirituale di Bin Lade ovvero quell' Al Zawahiri,capo indiscusso del terrore nella zona Pakistana del Peshawar.
L'approccio statunitense alla lotta al terrorismo ha avuto una conseguenza piuttosto auspicabile.Al Qaeda,per sfuggire a questa caccia assidua si è frammentata,si è smembrata in tante piccole cellule,difficoltose da trovare e ancor pericolose nel modo di agire.Gruppi molto corposi di ex-talebani e membri alquaedisti si sono rifugiati nelle zone del Mali,in Africa;sempre in Africa,in Nigeria,negli ultimi anni sono triplicati gli attacchi ai centri di culto crisitiani e si ipotizza essere causati dalla presenza di alcune cellule deviate di Al Qaeda.Poi c'è l ' Iraq,dove fin da subito,dopo l'invasione americana,interi squadroni di talebani seguaci di Bin Laden si sono schierati con la resistenza iraquena ancora fedele al defunto dittatore Saddam Hussein.Negli ultimi giorni infine,nelle proteste sanguinose in Siria,tra la folla dei rivoltosi sono state intraviste anche alcune insegne inneggianti ad Al Qaeda e alla lotta armata contro gli infedeli.Insomma il Medio Oriente rimane un calderone di odio e intrighi.Quindi la lotta al terrorismo ha si privato Al Qaeda delle sue principali basi di organizzazione militare,dei suoi leader e capi armati e di gran parte della manodopera sempre pronta a farsi saltare in aria per la guerra santa,ma da un lato ha rafforzato l'odio anti-occidente e quasi mitizzato sia la figura di Bin Laden sia dello stesso gruppo terroristico da lui capeggiato.Un fenomeno infine, preoccupa e non poco gli analisti della CIA e del Pentagono.
Lo smembramento di Al Qaeda ha reso quasi impossibile scovare i mini-gruppi,a volte di poche persone,che continuano a tramare e a preparare attentati dinamitardi contro i simboli dell'Occidente ma la cosa peggiore è che sembrano in aumento le cifre di individui che provenienti dall'Europa o dagli stessi Stati Uniti si dirigono in Africa o in Afghanistan per unirsi ai gruppi del terrore o fare esperienze sul campo al fianco dei residui talebani.Cosa spinga queste persone a scelte del genere è davvero imponderabile,forse hanno già rimosso dai loro occhi il sangue e il dolore che l'11 settembre del 2001 invase il mondo.Il giorno in cui tutti abbiamo perso per sempre la nostra innocenza.
di Nicola Giordano
Sono trascorsi ormai undici anni dal dramma dell'undici settembre 2001,i due attentati alle Torri Gemelle non solo sfigurarono il volto di New York,ma sfreggiarono per sempre il cuore e l'anima dell'America e del mondo intero.Quest'anno l'anniversario dell'undicesimo anno non sarà celebrato con discorsi presidenziali o sfilate delle forze dell'ordine.Solo la lettura dei nomi delle persone che in quegli attentati persero la vita,seguiti da minuti di interminabile silenzio.Nel frattempo divampano le polemiche sia sull'inaugurazione del Museo dell'11 Settembre.Un grande museo celebrativo che è costato tantissimo alla città di New York ma la cui apertura è stata per la terza volta rinviata,sia sulle morti che hanno coinvolto i vari personali delle forze di soccorso che intervennero per aiutare le vittime durante il crollo delle torri.
Si stima che siano circa 4.000 le persone affette da malattie a causa delle esalazioni respirate durante quelle ore di soccorso.Una cifra davvero spaventosa.A ciò si aggiunge che le somme stanziate dall'amministrazione statale,una somma di aiuti di circa 3 miliardi di dollari,non siano state ancora perfettamente distribuite alle vittime.Il Presidente Obama,che nel 2011 per le celebrazioni si recò a New York insieme al suo predecessore Bush quest'anno non sarà presente.Ha dedicato una serie di pensieri alle persone cadute l'11 settembre nel suo ultimo discorso alla Casa Bianca.Presiederà una celebrazione a Washington e poi farà visita all'ospedale dei soldati americani che sono rimasti feriti nelle ultime missioni in Iraq e Afghanistan.Molto particolare invece le celebrazioni della società civile a New York.Circa 50 danzatori vestiti con i colori della pace balleranno per le strade della Grande Mela e alle 8:45,orario dell'impatto del primo aereo nella Torre A,si bloccheranno guardando il cielo.Da un punto di vista militare e strategico la lotta al terrorismo,incentivata dall'attentato dell'11 settembre ha portato il suo risultato più eclatante e massimo,l'uccisione di Osama Bin Laden,leader indiscusso di Al Qaeda e nel giugno scorso anche del suo principale luogotenente, il libico Abu Yahya al-Libi.Notizia recente ma non confermata del tutto poi è che nelle ultime ore sarebbe stato assassinato da commandos Americani anche l'erede spirituale di Bin Lade ovvero quell' Al Zawahiri,capo indiscusso del terrore nella zona Pakistana del Peshawar.
L'approccio statunitense alla lotta al terrorismo ha avuto una conseguenza piuttosto auspicabile.Al Qaeda,per sfuggire a questa caccia assidua si è frammentata,si è smembrata in tante piccole cellule,difficoltose da trovare e ancor pericolose nel modo di agire.Gruppi molto corposi di ex-talebani e membri alquaedisti si sono rifugiati nelle zone del Mali,in Africa;sempre in Africa,in Nigeria,negli ultimi anni sono triplicati gli attacchi ai centri di culto crisitiani e si ipotizza essere causati dalla presenza di alcune cellule deviate di Al Qaeda.Poi c'è l ' Iraq,dove fin da subito,dopo l'invasione americana,interi squadroni di talebani seguaci di Bin Laden si sono schierati con la resistenza iraquena ancora fedele al defunto dittatore Saddam Hussein.Negli ultimi giorni infine,nelle proteste sanguinose in Siria,tra la folla dei rivoltosi sono state intraviste anche alcune insegne inneggianti ad Al Qaeda e alla lotta armata contro gli infedeli.Insomma il Medio Oriente rimane un calderone di odio e intrighi.Quindi la lotta al terrorismo ha si privato Al Qaeda delle sue principali basi di organizzazione militare,dei suoi leader e capi armati e di gran parte della manodopera sempre pronta a farsi saltare in aria per la guerra santa,ma da un lato ha rafforzato l'odio anti-occidente e quasi mitizzato sia la figura di Bin Laden sia dello stesso gruppo terroristico da lui capeggiato.Un fenomeno infine, preoccupa e non poco gli analisti della CIA e del Pentagono.
Lo smembramento di Al Qaeda ha reso quasi impossibile scovare i mini-gruppi,a volte di poche persone,che continuano a tramare e a preparare attentati dinamitardi contro i simboli dell'Occidente ma la cosa peggiore è che sembrano in aumento le cifre di individui che provenienti dall'Europa o dagli stessi Stati Uniti si dirigono in Africa o in Afghanistan per unirsi ai gruppi del terrore o fare esperienze sul campo al fianco dei residui talebani.Cosa spinga queste persone a scelte del genere è davvero imponderabile,forse hanno già rimosso dai loro occhi il sangue e il dolore che l'11 settembre del 2001 invase il mondo.Il giorno in cui tutti abbiamo perso per sempre la nostra innocenza.
di Nicola Giordano
20 anni dalle Stragi di mafia.La loro eredità.
di Nicola Giordano
I più importanti lasciti di Falcone e Borsellino non furono solo gli ergastoli per i mafiosi.
Venti anni.Sono ben vent'anni da quel tragico giorno di maggio 23;del 1992 quando intorno alle sei di sera sull'autostrada che collega Palermo all'aereoporto di Punta Raisi,precisamente allo svincolo di Capaci,le auto su cui viaggiavano il magistrato Giovanni Falcone,sua moglie Francesca Morvillo e tre uomini della scorta saltarono in aria a causa di un attentato mafioso.
La collettività civile ha organizzato innumerevoli celebrazioni in ricordo di quei tragici giorni e fiumi di parole sono stati scritti su quel triste e oscuro periodo della nostra storia.Numerose anche le opere commemorative della figura indimenticata del giudice antimafia.Ma alcuni concetti e opinioni debbono comunque essere espressi.
Nelle ultime interviste uscite pubbliche di Falcone si evinceva il suo stato di esilio e di abbandono da parte delle istituzioni,una sorta di solitudine imposta dallo Stato“Si muore generalmente perché si è soli o perché si è entrati in un gioco troppo grande”.“In Sicilia la mafia colpisce i servitori dello Stato che lo Stato non è riuscito a proteggere”.“Ci troviamo di fronte a menti raffinatissime che tentano di orientare certe azioni della mafia. Esistono punti di collegamento tra i vertici di Cosa nostra e centri occulti di potere che hanno altri interessi”;sono solo alcune delle frasi che restano nella memoria di chi le ha ascoltate o lette.Frasi che spesso,anni dopo,sono state usate a scopo politico o propagandistico proprio da coloro che venivano accusati di aver lasciato da solo lo stesso Falcone.
La figura di Falcone e in generale del cosiddetto pool anti-mafia era già da anni al centro di dibattiti,accuse e critiche.Come non ricordare l'emblematico articolo di Sciascia,comparso sul Corriere della Sera nel 1987 dal titolo inequivocabile:I Professionisti dell'Antimafia?Nello scritto veniva elencata l'opinione secondo cui la lotta alla mafia non veniva compiuta da quei giudici per meri ideali di giustizia ma solo per fini carrieristici o peggio ancora in vista di future ascese politiche.Articolo che ferì molto non solo Falcone ma anche lo stesso Paolo Brosellino.Forse Sciascia voleva soltanto avvertire l'opinione pubblica dell'esistenza di qualche soggetto pronto ad usare l'antimafia come trampolino di lancio per carriere o altri interessi,ma collegare queste accuse all'onesta figura di Borsellino e Falcone fu davvero un errore imperdonabile per il famoso scrittore.Gli italiani allora come adesso si divisero nettamente,quasi da fazione,tra chi stava con Sciascia e chi con il pool antimafia e ancora adesso,dopo due decenni la diatriba è calda ed evidente;credo che però non sia questa l'esatta maniera per commemorare quelle morti,quelle persone,giudici, poliziotti e altri ancora che persero la vita donandola allo Stato,per schierarsi contro la Mafia.
L'arte retorica non è non sarà mai uno strumento utile per la lotta alla mafia in terra di Sicilia.Le parole a riguardo sono scorse a fiumi,spesso per fini diversi,ma non sono le parole che colpiscono i mafiosi o il senso stesso della criminalità.Come Napolitano di recente ha evidenziato serve la credibilità e l'onestà politica,serve la trasparenza delle Amministrazioni locali e soprattutto serve il senso e la presenza dello Stato in quei territori troppo spesso abbandonati a se stessi.
Tornando alle stragi del 1992.Quelli furono giorni terribili,dove tutti vivevano con un senso di ansia e paura per gli eventi presenti e futuri.Quando nel Gennaio del 1992 in Appello furono confermate le sentenze e gli ergastoli per i principali capi delle cosche mafiose,che erano stati protagonisti del maxi-processo istruito da Falcone e Borsellino , si avvertì nell'aria che la spirale di odio e vendetta verso quei magistrati stava montando in seno a Cosa Nostra.Infatti,solo due mesi dopo quelle sentenze,il collegamento politico della DC a Palermo,da sempre ritenuto colluso con la Mafia,cioè Salvo Lima venne assassinato nella sua auto da un commando di sicari mandati dai Corleonesi.L'accusa era quella di essere venuto meno ai patti e non aver difeso politicamente Cosa Nostra.Fu il primo e tragico avvertimento.Subito si capì che uccidendo un esponente politico così importante la Mafia iniziava apertamente a sfidare lo Stato,che tanto l'aveva punita nei processi di Palermo.Quasi si avvertiva l'inizio di una vera e propria sanguinosa battaglia.Già anni prima,con i cosiddetti delitti eccellenti come il Generale Dalla Chiesa e il parlamentare La Torre la Mafia aveva minacciato e sfidato lo stato.Ma in quel periodo del 1992 si respirava un odio ben più profondo e feroce e infatti si passò in breve dai proiettili alle stragi.Non solo le bombe per i giudici,ma nel 1993 e nel 1994 gli ordigni furono piazzati pure in luoghi affollati e di prestigio come il Museo degli Uffizzi a Firenze o allo Stadio Olimpico a Roma,al solo scopo di offendere lo Stato e uccidere innocenti.Per fortuna non tutto andò secondo i piani e le stragi furono evitate per poco.
Era quasi come se la Mafia volesse approfittare della situazione politica e instabile che il paese attraversava in quel periodo a causa pure delle inchieste di Tangentopoli.Quello che sorprese molto però fu l'atteggiamento della gente.Nelle immediatezze delle stragi a Falcone e Borselline le proteste e lo sdegno della collettività aumentarono a dismisura.C'era ora il coraggio di scendere nelle piazze e sputare in faccia alla Mafia la rabbia e l'indignazione covata per anni.Numerose associazioni antimafia nacquero e si organizzarono in breve.La cosidetta coscienza della comunità si risvegliava.Anche la politica,specialmente locale si ridestò.Nacque il Movimento dei Sindaci che,grazie anche all'elezione diretta della carica,riavvicinò i cittadini alle istituzioni.Un piccolo passo sembrava essere fatto,colmare quel vuoto politico e di assistenza in cui spesso proprio la Mafia si insinuava garantendo ai cittadini protezione e sicurezza che spesso lo Stato non dava ma chiedendo in cambio omertà e collusione.Politica locale e collettività civile iniziarono a colmare quel grande vuoto.Il tutto però , come affermava Paolo Borsellino in un suo discorso,doveva sempre essere accompagnato dal coraggio.Il coraggio di dire No alla Mafia,di opporsi alle ingiustizie e reagire.Poichè le parole e la paura da sole,rallentano il passo,impediscono di andare avanti.
Questo forse è il lascito più grande di Falcone,Borsellino e di tutte le vittime di quel periodo tragico.Donare le proprie vite per risvegliare le coscienze e un popolo intero dal proprio torpore.
di Nicola Giordano
Venti anni.Sono ben vent'anni da quel tragico giorno di maggio 23;del 1992 quando intorno alle sei di sera sull'autostrada che collega Palermo all'aereoporto di Punta Raisi,precisamente allo svincolo di Capaci,le auto su cui viaggiavano il magistrato Giovanni Falcone,sua moglie Francesca Morvillo e tre uomini della scorta saltarono in aria a causa di un attentato mafioso.
La collettività civile ha organizzato innumerevoli celebrazioni in ricordo di quei tragici giorni e fiumi di parole sono stati scritti su quel triste e oscuro periodo della nostra storia.Numerose anche le opere commemorative della figura indimenticata del giudice antimafia.Ma alcuni concetti e opinioni debbono comunque essere espressi.
Nelle ultime interviste uscite pubbliche di Falcone si evinceva il suo stato di esilio e di abbandono da parte delle istituzioni,una sorta di solitudine imposta dallo Stato“Si muore generalmente perché si è soli o perché si è entrati in un gioco troppo grande”.“In Sicilia la mafia colpisce i servitori dello Stato che lo Stato non è riuscito a proteggere”.“Ci troviamo di fronte a menti raffinatissime che tentano di orientare certe azioni della mafia. Esistono punti di collegamento tra i vertici di Cosa nostra e centri occulti di potere che hanno altri interessi”;sono solo alcune delle frasi che restano nella memoria di chi le ha ascoltate o lette.Frasi che spesso,anni dopo,sono state usate a scopo politico o propagandistico proprio da coloro che venivano accusati di aver lasciato da solo lo stesso Falcone.
La figura di Falcone e in generale del cosiddetto pool anti-mafia era già da anni al centro di dibattiti,accuse e critiche.Come non ricordare l'emblematico articolo di Sciascia,comparso sul Corriere della Sera nel 1987 dal titolo inequivocabile:I Professionisti dell'Antimafia?Nello scritto veniva elencata l'opinione secondo cui la lotta alla mafia non veniva compiuta da quei giudici per meri ideali di giustizia ma solo per fini carrieristici o peggio ancora in vista di future ascese politiche.Articolo che ferì molto non solo Falcone ma anche lo stesso Paolo Brosellino.Forse Sciascia voleva soltanto avvertire l'opinione pubblica dell'esistenza di qualche soggetto pronto ad usare l'antimafia come trampolino di lancio per carriere o altri interessi,ma collegare queste accuse all'onesta figura di Borsellino e Falcone fu davvero un errore imperdonabile per il famoso scrittore.Gli italiani allora come adesso si divisero nettamente,quasi da fazione,tra chi stava con Sciascia e chi con il pool antimafia e ancora adesso,dopo due decenni la diatriba è calda ed evidente;credo che però non sia questa l'esatta maniera per commemorare quelle morti,quelle persone,giudici, poliziotti e altri ancora che persero la vita donandola allo Stato,per schierarsi contro la Mafia.
L'arte retorica non è non sarà mai uno strumento utile per la lotta alla mafia in terra di Sicilia.Le parole a riguardo sono scorse a fiumi,spesso per fini diversi,ma non sono le parole che colpiscono i mafiosi o il senso stesso della criminalità.Come Napolitano di recente ha evidenziato serve la credibilità e l'onestà politica,serve la trasparenza delle Amministrazioni locali e soprattutto serve il senso e la presenza dello Stato in quei territori troppo spesso abbandonati a se stessi.
Tornando alle stragi del 1992.Quelli furono giorni terribili,dove tutti vivevano con un senso di ansia e paura per gli eventi presenti e futuri.Quando nel Gennaio del 1992 in Appello furono confermate le sentenze e gli ergastoli per i principali capi delle cosche mafiose,che erano stati protagonisti del maxi-processo istruito da Falcone e Borsellino , si avvertì nell'aria che la spirale di odio e vendetta verso quei magistrati stava montando in seno a Cosa Nostra.Infatti,solo due mesi dopo quelle sentenze,il collegamento politico della DC a Palermo,da sempre ritenuto colluso con la Mafia,cioè Salvo Lima venne assassinato nella sua auto da un commando di sicari mandati dai Corleonesi.L'accusa era quella di essere venuto meno ai patti e non aver difeso politicamente Cosa Nostra.Fu il primo e tragico avvertimento.Subito si capì che uccidendo un esponente politico così importante la Mafia iniziava apertamente a sfidare lo Stato,che tanto l'aveva punita nei processi di Palermo.Quasi si avvertiva l'inizio di una vera e propria sanguinosa battaglia.Già anni prima,con i cosiddetti delitti eccellenti come il Generale Dalla Chiesa e il parlamentare La Torre la Mafia aveva minacciato e sfidato lo stato.Ma in quel periodo del 1992 si respirava un odio ben più profondo e feroce e infatti si passò in breve dai proiettili alle stragi.Non solo le bombe per i giudici,ma nel 1993 e nel 1994 gli ordigni furono piazzati pure in luoghi affollati e di prestigio come il Museo degli Uffizzi a Firenze o allo Stadio Olimpico a Roma,al solo scopo di offendere lo Stato e uccidere innocenti.Per fortuna non tutto andò secondo i piani e le stragi furono evitate per poco.
Era quasi come se la Mafia volesse approfittare della situazione politica e instabile che il paese attraversava in quel periodo a causa pure delle inchieste di Tangentopoli.Quello che sorprese molto però fu l'atteggiamento della gente.Nelle immediatezze delle stragi a Falcone e Borselline le proteste e lo sdegno della collettività aumentarono a dismisura.C'era ora il coraggio di scendere nelle piazze e sputare in faccia alla Mafia la rabbia e l'indignazione covata per anni.Numerose associazioni antimafia nacquero e si organizzarono in breve.La cosidetta coscienza della comunità si risvegliava.Anche la politica,specialmente locale si ridestò.Nacque il Movimento dei Sindaci che,grazie anche all'elezione diretta della carica,riavvicinò i cittadini alle istituzioni.Un piccolo passo sembrava essere fatto,colmare quel vuoto politico e di assistenza in cui spesso proprio la Mafia si insinuava garantendo ai cittadini protezione e sicurezza che spesso lo Stato non dava ma chiedendo in cambio omertà e collusione.Politica locale e collettività civile iniziarono a colmare quel grande vuoto.Il tutto però , come affermava Paolo Borsellino in un suo discorso,doveva sempre essere accompagnato dal coraggio.Il coraggio di dire No alla Mafia,di opporsi alle ingiustizie e reagire.Poichè le parole e la paura da sole,rallentano il passo,impediscono di andare avanti.
Questo forse è il lascito più grande di Falcone,Borsellino e di tutte le vittime di quel periodo tragico.Donare le proprie vite per risvegliare le coscienze e un popolo intero dal proprio torpore.
di Nicola Giordano
La Patologia Politica. di Nicola Giordano
Come un virus,la Politica sta contagiando i tecnici.
Sembra strano ma è così.Pochi mesi di full-immersion nel mondo politico e già i tecnici del Governo,Monti in primis,sembrano essere stati contagiati dal morbo patologico che affligge la Politica italiana da ventenni,e cioè,dopo poche promesse e speranze,sbarazzarsi del fardello inerente la volontà popolare e concentrarsi fin da subito sulla propria carriera politica e sulle scelte di opportunità per scalare le poltrone più ambite.
Monti opterà per la carica di Presidente della Repubblica o deciderà di ricollocarsi al vertice del Governo per proseguire nel pilotare l'esecutivo anche per i prossimi cinque anni dal 2013? Ed è attraverso tale decisione di Monti chi inizierà a giocarsi la chance di gareggiare per impossessarsi dell'incarico scartato dal presente Presidente del Consiglio? La lotta senza quartiere sarà per il Quirinale o per per Palazzo Chigi? L’attenzione delle compagini politiche è quasi fossilizzata su tali questioni future.Se il Professor Monti andrà al Colle chi competerà nella gara per la Presidenza del Consiglio? Pierluigi Bersani? Pierferdinando Casini? Angelino Alfano? E se, viceversa, Monti sceglierà di autoproclamarsi nel ruolo di “ grande salvatore” posticipando la propria salita al Colle di sette anni (anche per lui e per i politici l’allungamento della vita media consente di allungare i progetto di vita e di attività) , chi e come potrà partecipare alla corsa per la successione a Giorgio Napolitano ? L’aspirante Casini? L’irriducibile D’Alema? Od il redivivo Berlusconi riconsegnato all’onor del mondo e trasformato da sciupafemmene a padre della patria da un anno e mezzo di sostegno convinto al governo del Santo Loden? Nessuno è in grado, oggi, di prevedere con un minimo di attendibilità cosa potrà riservare il prossimo futuro.
Però, senza avventurarsi in profezie prive di senso, qualche considerazione va fatta sul significato profondo ed inquietante espresso dell’attenzione che l’intera classe dirigente concentra su questi oscuri interrogativi. La prima è che, proprio nel momento in cui apparentemente i partiti raggiungono il punto culmine del proprio declino, la loro visione deviata della politica torna a dominare in maniera incontrastata la vita pubblica del paese.
Monti ed il suo governo tecnico appaiono fagocitati e metabolizzati da questa visione e da questa logica da Prima Repubblica. Non sono più i soggetti esterni ed innovatori della attività politica ma ne sono stati talmente conquistati e fatti propri da esserne diventati addirittura gli elementi centrali.La seconda considerazione, ancora più inquietante, è che l’attenzione si concentra sui futuri inquilini del Quirinale e di palazzo Chigi dando per scontato che la crisi economica si sia ormai esaurita, che l’emergenza sia finalmente terminata ed il risanamento completato. Ma non è così.
Lo spread che scende non è il segnale che la guerra è finita e che la vittoria è stata conseguita. La bufera è in corso. La disoccupazione cresce e la produzione scende. L’euro non è affatto salvo , come dimostrano le tensioni che scoppiano a ritmo sempre più incalzanti nei paesi europei.E soprattutto, il governo tecnico incaricato dal Presidente della Repubblica e dai partiti di fare il “ lavoro sporco” del risanamento del paese segna il passo sul terreno della riforma del lavoro indispensabile per la riuscita dell’operazione e non sembra avere ancora capito che non basterà aver corretto le pensioni e l’art.18 per rimettere l’Italia in carreggiata. Bisognerà dirottare sulla produzione e sui consumi quella gigantesca parte della spesa pubblica che al momento viene sperperata per tenere in piedi lo stato burocratico-assistenziale. Non c’è crescita in sostanza, se non si scarica la zavorra.
E non si scarica la zavorra senza un progetto complessivo di semplificazione e di riduzione di un apparato statale gonfiato a dismisura nel corso di decenni e senza aver convinto la maggioranza del paese che il futuro non passa per le alchimie ed i giochi dei politici di professione o di complemento ma dalla consapevolezza che solo un grande ed effettivo cambiamento farà terminare l’emergenza.
di Nicola Giordano
Sembra strano ma è così.Pochi mesi di full-immersion nel mondo politico e già i tecnici del Governo,Monti in primis,sembrano essere stati contagiati dal morbo patologico che affligge la Politica italiana da ventenni,e cioè,dopo poche promesse e speranze,sbarazzarsi del fardello inerente la volontà popolare e concentrarsi fin da subito sulla propria carriera politica e sulle scelte di opportunità per scalare le poltrone più ambite.
Monti opterà per la carica di Presidente della Repubblica o deciderà di ricollocarsi al vertice del Governo per proseguire nel pilotare l'esecutivo anche per i prossimi cinque anni dal 2013? Ed è attraverso tale decisione di Monti chi inizierà a giocarsi la chance di gareggiare per impossessarsi dell'incarico scartato dal presente Presidente del Consiglio? La lotta senza quartiere sarà per il Quirinale o per per Palazzo Chigi? L’attenzione delle compagini politiche è quasi fossilizzata su tali questioni future.Se il Professor Monti andrà al Colle chi competerà nella gara per la Presidenza del Consiglio? Pierluigi Bersani? Pierferdinando Casini? Angelino Alfano? E se, viceversa, Monti sceglierà di autoproclamarsi nel ruolo di “ grande salvatore” posticipando la propria salita al Colle di sette anni (anche per lui e per i politici l’allungamento della vita media consente di allungare i progetto di vita e di attività) , chi e come potrà partecipare alla corsa per la successione a Giorgio Napolitano ? L’aspirante Casini? L’irriducibile D’Alema? Od il redivivo Berlusconi riconsegnato all’onor del mondo e trasformato da sciupafemmene a padre della patria da un anno e mezzo di sostegno convinto al governo del Santo Loden? Nessuno è in grado, oggi, di prevedere con un minimo di attendibilità cosa potrà riservare il prossimo futuro.
Però, senza avventurarsi in profezie prive di senso, qualche considerazione va fatta sul significato profondo ed inquietante espresso dell’attenzione che l’intera classe dirigente concentra su questi oscuri interrogativi. La prima è che, proprio nel momento in cui apparentemente i partiti raggiungono il punto culmine del proprio declino, la loro visione deviata della politica torna a dominare in maniera incontrastata la vita pubblica del paese.
Monti ed il suo governo tecnico appaiono fagocitati e metabolizzati da questa visione e da questa logica da Prima Repubblica. Non sono più i soggetti esterni ed innovatori della attività politica ma ne sono stati talmente conquistati e fatti propri da esserne diventati addirittura gli elementi centrali.La seconda considerazione, ancora più inquietante, è che l’attenzione si concentra sui futuri inquilini del Quirinale e di palazzo Chigi dando per scontato che la crisi economica si sia ormai esaurita, che l’emergenza sia finalmente terminata ed il risanamento completato. Ma non è così.
Lo spread che scende non è il segnale che la guerra è finita e che la vittoria è stata conseguita. La bufera è in corso. La disoccupazione cresce e la produzione scende. L’euro non è affatto salvo , come dimostrano le tensioni che scoppiano a ritmo sempre più incalzanti nei paesi europei.E soprattutto, il governo tecnico incaricato dal Presidente della Repubblica e dai partiti di fare il “ lavoro sporco” del risanamento del paese segna il passo sul terreno della riforma del lavoro indispensabile per la riuscita dell’operazione e non sembra avere ancora capito che non basterà aver corretto le pensioni e l’art.18 per rimettere l’Italia in carreggiata. Bisognerà dirottare sulla produzione e sui consumi quella gigantesca parte della spesa pubblica che al momento viene sperperata per tenere in piedi lo stato burocratico-assistenziale. Non c’è crescita in sostanza, se non si scarica la zavorra.
E non si scarica la zavorra senza un progetto complessivo di semplificazione e di riduzione di un apparato statale gonfiato a dismisura nel corso di decenni e senza aver convinto la maggioranza del paese che il futuro non passa per le alchimie ed i giochi dei politici di professione o di complemento ma dalla consapevolezza che solo un grande ed effettivo cambiamento farà terminare l’emergenza.
di Nicola Giordano