Caffè Letterario
a cura di Elisabetta Rota
THE HATE U GIVE di Angie Thomas
di Elisabetta Rota
Quando dai sentimenti della società dipende il destino dei bambini.
“THUG LIFE”, è l’acronimo della frase “The hate u give little infants fucks everybody”. Ovvero: l’odio che rovesciamo sui bambini fotte tutti. E’ questo, il messaggio più importante che il rapper Tupac Shakur, ha cercato di trasmettere per tutta la durata della sua vita. Un messaggio forte quanto importante, che colpisce inevitabilmente per la sua schiettezza e veridicità. Infatti, ciò che il rapper voleva dimostrare, è quanto sia importante controllare e gestire ciò che la società riversa sui bambini, in quanto, è proprio ciò che viene dettato o consigliato a quest’ultimi, che forma e condiziona il loro pensiero, e dunque, il modo di vivere di una persona. Se però, ciò che viene dato, sono elementi come discriminazione o emarginazione, le persone tenderanno a ribellarsi contro una società per cui hanno riservato solo odio e disprezzo. “Thug Life”, dunque, non è solo un termine per indicare la vita da teppista, ma è un grido di rivolta che accomuna tutti coloro che sono riusciti ad emergere ed ottenere ciò che volevano superando ostacoli e difficoltà. Chi rappresenta meglio questo pensiero, quindi, sono le minoranze, i poveri e soprattutto “i neri”, gli oppressi. E’ proprio dalla parte di quest’ultimi, che si schiera la scrittrice e rapper Angie Thomas nel suo romanzo d’esordio “The hate u give.
Il coraggio della verità.” Un capolavoro in cui razzismo e brutalità vengono raccontati e descritti da una ragazzina di nome Starr, costretta a vivere fra gang e sparatorie, e ad assistere all’ingiusta morte del suo migliore amico, aggredito e sparato da un poliziotto. La scrittrice, denuncia e descrive tutte le ingiustizie che da secoli ormai, coloro che vengono ritenuti diversi per il colore della pelle e per le loro origini, sono costretti a subire. Attraverso un piccolo monologo interpretato dal padre della protagonista del libro, Angie Thomas, descrive proprio il significato dell’acronimo Thug Life, dimostrando al lettore che spesso, sono proprio coloro che vengono emarginati e discriminati ad essere i più temuti. Perché, l’oppressione e il senso di ingiustizia che hanno dentro, li rende abbastanza forti da creare rivolte e gridare forte la verità.
Nel libro, infatti, vengono citate persone come Nat Turner (schiavo statunitense che guidò la rivolta degli schiavi neri nel 1831) o Malcom X (politico e attivista per i diritti umani e soprattutto afroamericani), che hanno avuto il coraggio di denunciare ciò che non rende le persone come loro completamente libere. Nel libro, però, oltre al razzismo, sono molti gli avvenimenti che catturano l’attenzione del lettore. Ci si presenta davanti, infatti, una visione dell’America, che non offre occupazione o un’adeguata preparazione scolastica ai quartieri abitati da coloro ritenuti diversi; e che al contempo, incalza i giri di droga e i gruppi criminali, per poter portare avanti indisturbata un sistema studiato appositamente per le minoranze, affinché quest’ultime, rimangano tali. Un libro, dunque, che non nasconde nulla, anzi, incita e invoglia chi lo legge a di dire sempre la verità. Perché non ha senso avere una voce, se si rimane in silenzio quando non si dovrebbe. Non a caso, il messaggio che dovrebbe arrivare a tutti i lettori, è proprio quello di fare sempre la cosa giusta anche nei momenti in cui tutto sembra andare male.
“THUG LIFE”, è l’acronimo della frase “The hate u give little infants fucks everybody”. Ovvero: l’odio che rovesciamo sui bambini fotte tutti. E’ questo, il messaggio più importante che il rapper Tupac Shakur, ha cercato di trasmettere per tutta la durata della sua vita. Un messaggio forte quanto importante, che colpisce inevitabilmente per la sua schiettezza e veridicità. Infatti, ciò che il rapper voleva dimostrare, è quanto sia importante controllare e gestire ciò che la società riversa sui bambini, in quanto, è proprio ciò che viene dettato o consigliato a quest’ultimi, che forma e condiziona il loro pensiero, e dunque, il modo di vivere di una persona. Se però, ciò che viene dato, sono elementi come discriminazione o emarginazione, le persone tenderanno a ribellarsi contro una società per cui hanno riservato solo odio e disprezzo. “Thug Life”, dunque, non è solo un termine per indicare la vita da teppista, ma è un grido di rivolta che accomuna tutti coloro che sono riusciti ad emergere ed ottenere ciò che volevano superando ostacoli e difficoltà. Chi rappresenta meglio questo pensiero, quindi, sono le minoranze, i poveri e soprattutto “i neri”, gli oppressi. E’ proprio dalla parte di quest’ultimi, che si schiera la scrittrice e rapper Angie Thomas nel suo romanzo d’esordio “The hate u give.
Il coraggio della verità.” Un capolavoro in cui razzismo e brutalità vengono raccontati e descritti da una ragazzina di nome Starr, costretta a vivere fra gang e sparatorie, e ad assistere all’ingiusta morte del suo migliore amico, aggredito e sparato da un poliziotto. La scrittrice, denuncia e descrive tutte le ingiustizie che da secoli ormai, coloro che vengono ritenuti diversi per il colore della pelle e per le loro origini, sono costretti a subire. Attraverso un piccolo monologo interpretato dal padre della protagonista del libro, Angie Thomas, descrive proprio il significato dell’acronimo Thug Life, dimostrando al lettore che spesso, sono proprio coloro che vengono emarginati e discriminati ad essere i più temuti. Perché, l’oppressione e il senso di ingiustizia che hanno dentro, li rende abbastanza forti da creare rivolte e gridare forte la verità.
Nel libro, infatti, vengono citate persone come Nat Turner (schiavo statunitense che guidò la rivolta degli schiavi neri nel 1831) o Malcom X (politico e attivista per i diritti umani e soprattutto afroamericani), che hanno avuto il coraggio di denunciare ciò che non rende le persone come loro completamente libere. Nel libro, però, oltre al razzismo, sono molti gli avvenimenti che catturano l’attenzione del lettore. Ci si presenta davanti, infatti, una visione dell’America, che non offre occupazione o un’adeguata preparazione scolastica ai quartieri abitati da coloro ritenuti diversi; e che al contempo, incalza i giri di droga e i gruppi criminali, per poter portare avanti indisturbata un sistema studiato appositamente per le minoranze, affinché quest’ultime, rimangano tali. Un libro, dunque, che non nasconde nulla, anzi, incita e invoglia chi lo legge a di dire sempre la verità. Perché non ha senso avere una voce, se si rimane in silenzio quando non si dovrebbe. Non a caso, il messaggio che dovrebbe arrivare a tutti i lettori, è proprio quello di fare sempre la cosa giusta anche nei momenti in cui tutto sembra andare male.
LA CITTA' PERFETTA di Angelo Petrella
di Elisabetta Rota
Un libro sincero che fotografa bene tutte le contraddizioni di una città magica.
La crisi del partito comunista, la rabbia dei giovani del movimento studentesco verso la nuova legge Ruberti, ed infine, la complicità fra malavita, politica e forze dell’Ordine, sono solo alcune delle imperfezioni che compongono e caratterizzano la Napoli narrata dallo scrittore, poeta e sceneggiatore napoletano Angelo Petrella ne “La città perfetta”. Un titolo quasi satirico, usato per descrivere una città solo apparentemente perfetta, in cui, in realtà, tutto e tutti sono complici di un’organizzazione tanto grande quanto pericolosa e letale come la Camorra. I fatti narrati dallo scrittore, che si aggirano e si intrecciano con le vite dei protagonisti Sanguetta, Chimicone e l’Americano, seppur frutto di fantasia (anche se non troppo) e ambientati dal 1988 al 1994, rispecchiano sfortunatamente una realtà tutt’oggi ancora presente. I piccoli boss e i diversi clan presenti a Napoli, infatti, continuano a scontrarsi o allearsi in base alle esigenze, mostrandoci quanto sia facile per un’organizzazione del genere, agire indisturbata sotto gli occhi di tutti. Ed è incredibile, come tale organismo, sia col tempo riuscito ad allargarsi fino a raggiungere la creazione di fenomeni come il coinvolgimento di giovani ragazzi, o addirittura, di istituzioni politiche o riguardanti le forze dell’Ordine. La cosa più sconvolgente, è forse, proprio il coinvolgimento dei giovani; in quanto, sempre più ragazzi, in particolar modo provenienti da classi disagiate, vedono la Camorra come un mezzo di svolta.
Come un aiuto per il raggiungimento di una vita migliore, anche se ciò, comporta reati e coscienza sporca. Anche se, spesso, proprio come capita anche a Sanguetta, la scelta di ritrovarsi in tali esperienze non è personale, bensì imposta e necessaria. E’ quindi, davvero inquietante il quadro che ci si presenta davanti, se ci si ferma ad osservare la realtà che ci circonda dopo aver letto un libro del genere; basti pensare a tutti gli omicidi, i traffici di droga esistenti, o anche solo alla classica rapina avvenuta in uno dei “soliti” quartieri. Basti pensare, a quanto la Camorra sia ormai una realtà troppo forte e presente, per essere eliminata.
Una realtà, che davvero ha la capacità di trasformare un giovane ragazzo dei Quartieri Spagnoli come Sanguetta in un boss, un poliziotto come l’Americano in un cocainomane al servizio della Camorra, e un adolescente come Chimicone in un piccolo terrorista. Perché la Camorra, ormai, ha tanti, troppi mezzi a disposizione con cui comprare tutto ciò che vuole. Una realtà così può dunque scoraggiare e spaventare, ma se unite, tutte le voci di chi non vuole subire tali ingiustizie, possono diventare un unico grande coro che fa la differenza. Un pò, come fecero anche gli studenti con il movimento della Pantera contro la privatizzazione dell’Università, solo, mantenendo un clima più calmo e pacifico. Perché, la violenza e le ingiustizie, vanno combattute usando calma e intelletto. In fondo, proprio come nel libro, prima o poi ognuno ha ciò che gli spetta.
La crisi del partito comunista, la rabbia dei giovani del movimento studentesco verso la nuova legge Ruberti, ed infine, la complicità fra malavita, politica e forze dell’Ordine, sono solo alcune delle imperfezioni che compongono e caratterizzano la Napoli narrata dallo scrittore, poeta e sceneggiatore napoletano Angelo Petrella ne “La città perfetta”. Un titolo quasi satirico, usato per descrivere una città solo apparentemente perfetta, in cui, in realtà, tutto e tutti sono complici di un’organizzazione tanto grande quanto pericolosa e letale come la Camorra. I fatti narrati dallo scrittore, che si aggirano e si intrecciano con le vite dei protagonisti Sanguetta, Chimicone e l’Americano, seppur frutto di fantasia (anche se non troppo) e ambientati dal 1988 al 1994, rispecchiano sfortunatamente una realtà tutt’oggi ancora presente. I piccoli boss e i diversi clan presenti a Napoli, infatti, continuano a scontrarsi o allearsi in base alle esigenze, mostrandoci quanto sia facile per un’organizzazione del genere, agire indisturbata sotto gli occhi di tutti. Ed è incredibile, come tale organismo, sia col tempo riuscito ad allargarsi fino a raggiungere la creazione di fenomeni come il coinvolgimento di giovani ragazzi, o addirittura, di istituzioni politiche o riguardanti le forze dell’Ordine. La cosa più sconvolgente, è forse, proprio il coinvolgimento dei giovani; in quanto, sempre più ragazzi, in particolar modo provenienti da classi disagiate, vedono la Camorra come un mezzo di svolta.
Come un aiuto per il raggiungimento di una vita migliore, anche se ciò, comporta reati e coscienza sporca. Anche se, spesso, proprio come capita anche a Sanguetta, la scelta di ritrovarsi in tali esperienze non è personale, bensì imposta e necessaria. E’ quindi, davvero inquietante il quadro che ci si presenta davanti, se ci si ferma ad osservare la realtà che ci circonda dopo aver letto un libro del genere; basti pensare a tutti gli omicidi, i traffici di droga esistenti, o anche solo alla classica rapina avvenuta in uno dei “soliti” quartieri. Basti pensare, a quanto la Camorra sia ormai una realtà troppo forte e presente, per essere eliminata.
Una realtà, che davvero ha la capacità di trasformare un giovane ragazzo dei Quartieri Spagnoli come Sanguetta in un boss, un poliziotto come l’Americano in un cocainomane al servizio della Camorra, e un adolescente come Chimicone in un piccolo terrorista. Perché la Camorra, ormai, ha tanti, troppi mezzi a disposizione con cui comprare tutto ciò che vuole. Una realtà così può dunque scoraggiare e spaventare, ma se unite, tutte le voci di chi non vuole subire tali ingiustizie, possono diventare un unico grande coro che fa la differenza. Un pò, come fecero anche gli studenti con il movimento della Pantera contro la privatizzazione dell’Università, solo, mantenendo un clima più calmo e pacifico. Perché, la violenza e le ingiustizie, vanno combattute usando calma e intelletto. In fondo, proprio come nel libro, prima o poi ognuno ha ciò che gli spetta.
IL GIORNO DEGLI ORCHI di Divier Nelli
di Elisabetta Rota
Percorso profondo nella mente e nei segreti social dei nostri adolescenti.
Un libro contro gli orchi Phishing, pharming e furti d'identità, sono solo alcune delle trappole pericolose che compongono il mondo del web, e, in cui, una persona, e soprattutto un adolescente, può cadere. Internet, è infatti, un mondo parallelo in cui ognuno può fare ed essere ciò che vuole, dove il rischio d’essere scoperti, è tanto alto quanto facilmente evitabile. Ai giovani, questo mondo in cui si può quasi tutto, può apparire affascinante, e col passare del tempo, addirittura essenziale. Quando, però, entrano in gioco, elementi come il cyberbullismo, furti d’identità ed “incontri” spiacevoli con malintenzionati, allora tutto cambia, e l’Internet, non appare più come un luogo sicuro e divertente, bensì, come una gabbia virtuale da cui è difficile uscire. E’ proprio di questo, che ci parla Divier Nelli nel suo ultimo libro “Il giorno degli orchi”; un romanzo contemporaneo in cui, sentimenti, adolescenti e i pericoli che quest’ultimi incontrano sul web, vengono raccontanti in modo nuovo e non convenzionale.
Divier Nelli, nasce il 1974 a Viareggio, vive a Firenze ed occupa il ruolo di scrittore, editor, consulente editoriale e insegnante di narrazione. Ne “Il giorno degli orchi”, lo scrittore, racconta di Aurora, una ragazzina bella e sicura di se, che, consapevole del potere del suo fascino e di come sia possibile utilizzarlo per sedurre compagni e uomini adulti; inizia ad usare questa sua qualità, e la sua furbizia, per adescare con falsi account, i pedofili in rete, per poi ricattarli. Uno strano gioco che sembra funzionare e fruttarle guadagni, fino a quando, un “Orco”, risale alla sua vera identità ed inverte il gioco cominciando a minacciarla. Un romanzo essenziale e preciso che vuole arrivare a tutti, grandi e piccoli, attraverso il quale, lo scrittore, ci fa notare quanto sia difficile tenere i propri figli lontani dai pericoli al giorno d’oggi. In quanto, con la presenza dei social, un “orco” può contattare tranquillamente chiunque.
Inoltre, risalta, un elemento ormai troppo spesso presente fra i ragazzi di quest’epoca, ovvero, la mancanza di comunicazione con gli adulti. E’ pur vero, però, che anche quest’ultimi, dovrebbero impegnarsi di più, nel capirli ed ascoltarli, in quanto, è solo attraverso la comunicazione e l’ascolto reciproco, che molti problemi e tragedie, possono essere evitate.
Un libro contro gli orchi Phishing, pharming e furti d'identità, sono solo alcune delle trappole pericolose che compongono il mondo del web, e, in cui, una persona, e soprattutto un adolescente, può cadere. Internet, è infatti, un mondo parallelo in cui ognuno può fare ed essere ciò che vuole, dove il rischio d’essere scoperti, è tanto alto quanto facilmente evitabile. Ai giovani, questo mondo in cui si può quasi tutto, può apparire affascinante, e col passare del tempo, addirittura essenziale. Quando, però, entrano in gioco, elementi come il cyberbullismo, furti d’identità ed “incontri” spiacevoli con malintenzionati, allora tutto cambia, e l’Internet, non appare più come un luogo sicuro e divertente, bensì, come una gabbia virtuale da cui è difficile uscire. E’ proprio di questo, che ci parla Divier Nelli nel suo ultimo libro “Il giorno degli orchi”; un romanzo contemporaneo in cui, sentimenti, adolescenti e i pericoli che quest’ultimi incontrano sul web, vengono raccontanti in modo nuovo e non convenzionale.
Divier Nelli, nasce il 1974 a Viareggio, vive a Firenze ed occupa il ruolo di scrittore, editor, consulente editoriale e insegnante di narrazione. Ne “Il giorno degli orchi”, lo scrittore, racconta di Aurora, una ragazzina bella e sicura di se, che, consapevole del potere del suo fascino e di come sia possibile utilizzarlo per sedurre compagni e uomini adulti; inizia ad usare questa sua qualità, e la sua furbizia, per adescare con falsi account, i pedofili in rete, per poi ricattarli. Uno strano gioco che sembra funzionare e fruttarle guadagni, fino a quando, un “Orco”, risale alla sua vera identità ed inverte il gioco cominciando a minacciarla. Un romanzo essenziale e preciso che vuole arrivare a tutti, grandi e piccoli, attraverso il quale, lo scrittore, ci fa notare quanto sia difficile tenere i propri figli lontani dai pericoli al giorno d’oggi. In quanto, con la presenza dei social, un “orco” può contattare tranquillamente chiunque.
Inoltre, risalta, un elemento ormai troppo spesso presente fra i ragazzi di quest’epoca, ovvero, la mancanza di comunicazione con gli adulti. E’ pur vero, però, che anche quest’ultimi, dovrebbero impegnarsi di più, nel capirli ed ascoltarli, in quanto, è solo attraverso la comunicazione e l’ascolto reciproco, che molti problemi e tragedie, possono essere evitate.
Letteratura Americana - Viaggio nel mito
di Lisa Mariani
I sentieri letterari di una nazione diventata culla dell'occidente.
Oggi iniziamo un viaggio dentro al mondo americano, in particolare nella storia letteraria di questo paese pieno di sensazioni e contraddizioni. Essendo una nazione molto giovane, gli Stati Uniti non hanno un background letterario paragonabile a quello europeo, anzi si può dire che la vera letteratura tipicamente statunitense fiorisce solo nella metà dell’800, periodo in cui cominciano a manifestarsi menti artistiche che riescono davvero a creare opere nuove, originali e dalle tonalità tipicamente americane. Prima di allora infatti, negli USA, la letteratura era un continuo rimandi con il mondo anglosassone, i pochissimi autori esistenti si ispiravano alle correnti inglesi ed europee, senza originalità ma con devoto ed eccessivo spirito imitativo, rifacendosi comunque in modo esagerato alla morale ed alla filosofia. Nella seconda metà dell’800 si fa invece molto intenso l’universo letterario americano, personaggi come E.A.Poe, Walt Whitman, Hermann Melville ed Emily Dickinson danno letteralmente vita all’America e si fanno portatori di correnti letterarie nuove e di stili diversi, insomma danno agli USA le basi per una vera letteratura.
Di Poe abbiamo già parlato abbondantemente, Whitman invece è un autore spesso dimenticato ma che con il suo spirito ribelle alle tradizioni letterarie da un’anima alla poetica americana, nei suoi scritti si tocca con mano l’amore per la sua terra e la visione cosmica e minimalista della natura. La Dickinson fu la prima vera poetessa degli Usa, il suo stile intimo e particolare anticipa alcune sfumature dell’ermetismo del primo 900, l’uso ricercato della parola ne fanno una letterata di notevole spessore, nelle sue parole, la sua terra, il New England, ci viene descritto in modo unico, meglio di una reale fotografia. Melville fu lo scrittore del primo individualismo americano, il suo Moby Dick non è solo il romanzo di uomo nel mezzo dell’oceano, in lotta con la natura, ma è la nascita della mitologia americana, una sorta di racconto spirituale che da all’America la sua prima anima letteraria. Sul finire del ‘800 esplode poi la figura di Mark Twain, giornalista scrittore che crea un linguaggio nuovo, colorito e vicino alla parlata comune, i suoi romanzi di avventura ne fanno il precursore del moderno linguaggio americano, coronato da una laurea ad honorem ad Oxford, mai successo a nessuno scrittore statunitense.
Sempre in quei decenni, un altro personaggio di grande valore per la letteratura americana fu senza dubbio Henry James, primo vero precursore del realismo letterario. James si allontanò dal naturalismo francese, del quale non accettava l’eccessiva crudezza e ben sintetizzò il rapporto che l’americano aveva di fronte all’Europa, in una sorta di legame madre-figlio. Con i suoi romanzi James ben delinea il bisogno del cittadino americano di trovare una società nella quale riconoscersi, una comunità che non fosse imitazione di quella inglese, ma una società nuova, tipicamente americana, in Ritratto di Signora tutti questi suoi desideri intimi vengono splendidamente rappresentati. Gli inizi del ‘900 sono segnati dagli scrittori del famoso Gruppo di Chicago, un circolo di autori che decide di spostare la lente sull’americano medio, raccontando le difficoltà della vita reale, la lotta sociale per emergere, la continua ricerca della ricchezza e del benessere, l’ansia di fuggire dalla povertà a tutti i costi anche calpestando gli altri, tutti concetti che erano tangibili nella società americana dei primi del ‘900. Scrittori come Stephen Crane, Theodore Draiser e Sinclair Lewis danno delle immagini perfette di quei tempi, dando vita ad un realismo letterario che in alcuni punti supera di gran lunga anche quello europeo per la fedeltà della rappresentazione. La prima decade del ‘900 è poi ricordata per le figure splendidamente indimenticate di due scrittori del calibro di Francis S. Fitzgerald ed Ernest Hemingway, di cui però parleremo la prossima settimana – CONTINUA.
Oggi iniziamo un viaggio dentro al mondo americano, in particolare nella storia letteraria di questo paese pieno di sensazioni e contraddizioni. Essendo una nazione molto giovane, gli Stati Uniti non hanno un background letterario paragonabile a quello europeo, anzi si può dire che la vera letteratura tipicamente statunitense fiorisce solo nella metà dell’800, periodo in cui cominciano a manifestarsi menti artistiche che riescono davvero a creare opere nuove, originali e dalle tonalità tipicamente americane. Prima di allora infatti, negli USA, la letteratura era un continuo rimandi con il mondo anglosassone, i pochissimi autori esistenti si ispiravano alle correnti inglesi ed europee, senza originalità ma con devoto ed eccessivo spirito imitativo, rifacendosi comunque in modo esagerato alla morale ed alla filosofia. Nella seconda metà dell’800 si fa invece molto intenso l’universo letterario americano, personaggi come E.A.Poe, Walt Whitman, Hermann Melville ed Emily Dickinson danno letteralmente vita all’America e si fanno portatori di correnti letterarie nuove e di stili diversi, insomma danno agli USA le basi per una vera letteratura.
Di Poe abbiamo già parlato abbondantemente, Whitman invece è un autore spesso dimenticato ma che con il suo spirito ribelle alle tradizioni letterarie da un’anima alla poetica americana, nei suoi scritti si tocca con mano l’amore per la sua terra e la visione cosmica e minimalista della natura. La Dickinson fu la prima vera poetessa degli Usa, il suo stile intimo e particolare anticipa alcune sfumature dell’ermetismo del primo 900, l’uso ricercato della parola ne fanno una letterata di notevole spessore, nelle sue parole, la sua terra, il New England, ci viene descritto in modo unico, meglio di una reale fotografia. Melville fu lo scrittore del primo individualismo americano, il suo Moby Dick non è solo il romanzo di uomo nel mezzo dell’oceano, in lotta con la natura, ma è la nascita della mitologia americana, una sorta di racconto spirituale che da all’America la sua prima anima letteraria. Sul finire del ‘800 esplode poi la figura di Mark Twain, giornalista scrittore che crea un linguaggio nuovo, colorito e vicino alla parlata comune, i suoi romanzi di avventura ne fanno il precursore del moderno linguaggio americano, coronato da una laurea ad honorem ad Oxford, mai successo a nessuno scrittore statunitense.
Sempre in quei decenni, un altro personaggio di grande valore per la letteratura americana fu senza dubbio Henry James, primo vero precursore del realismo letterario. James si allontanò dal naturalismo francese, del quale non accettava l’eccessiva crudezza e ben sintetizzò il rapporto che l’americano aveva di fronte all’Europa, in una sorta di legame madre-figlio. Con i suoi romanzi James ben delinea il bisogno del cittadino americano di trovare una società nella quale riconoscersi, una comunità che non fosse imitazione di quella inglese, ma una società nuova, tipicamente americana, in Ritratto di Signora tutti questi suoi desideri intimi vengono splendidamente rappresentati. Gli inizi del ‘900 sono segnati dagli scrittori del famoso Gruppo di Chicago, un circolo di autori che decide di spostare la lente sull’americano medio, raccontando le difficoltà della vita reale, la lotta sociale per emergere, la continua ricerca della ricchezza e del benessere, l’ansia di fuggire dalla povertà a tutti i costi anche calpestando gli altri, tutti concetti che erano tangibili nella società americana dei primi del ‘900. Scrittori come Stephen Crane, Theodore Draiser e Sinclair Lewis danno delle immagini perfette di quei tempi, dando vita ad un realismo letterario che in alcuni punti supera di gran lunga anche quello europeo per la fedeltà della rappresentazione. La prima decade del ‘900 è poi ricordata per le figure splendidamente indimenticate di due scrittori del calibro di Francis S. Fitzgerald ed Ernest Hemingway, di cui però parleremo la prossima settimana – CONTINUA.
Edgar A. Poe. Stile ed allucinazioni.
di Lisa Mariani
Il primo vero grande scrittore della letteratura americana.
Edgar Allan Poe è stato il primo massimo scrittore della letteratura americana di fine ‘800; dapprima poco considerato nel suo paese, ma amato dai simbolisti francesi e da Baudelaire, fu poi rivalutato negli anni anche grazie al critico e scrittore T.S. Eliot, che lo amava particolarmente, oggi ha recuperato il posto che gli spetta nella letteratura americana ed è considerato uno dei maestri della narrativa moderna. Nelle sue numerose opere ha lasciato fulgidi esempi per la analisi compiuta con imperturbabile lucidità di stile, delle zone oscure e delle ossessioni della personalità umana; ha anche anticipato, o addirittura creato, generi nuovi quali il poliziesco e la fantascienza. La fama di Poe è soprattutto legata ai Racconti straordinari, titolo delle due raccolte di racconti pubblicati originariamente su diverse riviste americane nel 1841 e nel 1846.
L'interpretazione che di Poe e delle sue opere diede Baudelaire (al quale si deve riconoscere il merito della precoce popolarità europea del narratore americano) ha molto spesso condizionato il giudizio critico, causando fraintendimenti che sono stati chiariti solo di recente. Presentato come "poeta maledetto", Poe è stato spesso interpretato esclusivamente in chiave autobiografica: i suoi racconti sono stati considerati il più delle volte il prodotto di una fantasia traumatizzata e allucinata e sono stati oggetto di superficiali letture in chiave psicoanalitica. Nei racconti, che sono quindi costruiti con la massima accuratezza, al punto da apparire talora troppo letterari o addirittura eruditi, facendo ricorso a elementi "gotici" e della tradizione del romanzo nero, Poe non si preoccupò tanto di dar voce ai mostri della sua fantasia quanto di tracciare dall'interno (donde il frequente ricorso all'io narrante) un quadro dell'uomo lacerato fra il desiderio di sopravvivenza e l'istinto segreto di autodistruzione, fra l'intelletto e il cuore, tra il desiderio di vivere e l'ansia di conoscere. Del 1845 è la migliore e più popolare raccolta, The raven and other poems (Il corvo e altre poesie).
In continuità con alcuni temi dei racconti, egli mise al centro della propria produzione poetica l'esplorazione delle possibilità creative della parola, legandovi un interesse molto personale per la sperimentazione ritmica. La sua poesia si sviluppa fra soggettivismo lirico (Ulalume; Annabel Lee), echi fonico-musicali (ma con uso anche di parole "scientifiche") e allusività simbolizzanti, il tutto sempre sostenuto da un dominio rigoroso delle emozioni, una strategia di controllo e di consapevolezza stilistica mai vista prima in America. Nel 1848, dopo la morte della moglie Virginia, completò a fatica Eureka, un ambizioso poema in prosa d'ispirazione filosofica, in cui rappresentò la sua visione dell'universo e il destino dell'uomo.
Edgar Allan Poe è stato il primo massimo scrittore della letteratura americana di fine ‘800; dapprima poco considerato nel suo paese, ma amato dai simbolisti francesi e da Baudelaire, fu poi rivalutato negli anni anche grazie al critico e scrittore T.S. Eliot, che lo amava particolarmente, oggi ha recuperato il posto che gli spetta nella letteratura americana ed è considerato uno dei maestri della narrativa moderna. Nelle sue numerose opere ha lasciato fulgidi esempi per la analisi compiuta con imperturbabile lucidità di stile, delle zone oscure e delle ossessioni della personalità umana; ha anche anticipato, o addirittura creato, generi nuovi quali il poliziesco e la fantascienza. La fama di Poe è soprattutto legata ai Racconti straordinari, titolo delle due raccolte di racconti pubblicati originariamente su diverse riviste americane nel 1841 e nel 1846.
L'interpretazione che di Poe e delle sue opere diede Baudelaire (al quale si deve riconoscere il merito della precoce popolarità europea del narratore americano) ha molto spesso condizionato il giudizio critico, causando fraintendimenti che sono stati chiariti solo di recente. Presentato come "poeta maledetto", Poe è stato spesso interpretato esclusivamente in chiave autobiografica: i suoi racconti sono stati considerati il più delle volte il prodotto di una fantasia traumatizzata e allucinata e sono stati oggetto di superficiali letture in chiave psicoanalitica. Nei racconti, che sono quindi costruiti con la massima accuratezza, al punto da apparire talora troppo letterari o addirittura eruditi, facendo ricorso a elementi "gotici" e della tradizione del romanzo nero, Poe non si preoccupò tanto di dar voce ai mostri della sua fantasia quanto di tracciare dall'interno (donde il frequente ricorso all'io narrante) un quadro dell'uomo lacerato fra il desiderio di sopravvivenza e l'istinto segreto di autodistruzione, fra l'intelletto e il cuore, tra il desiderio di vivere e l'ansia di conoscere. Del 1845 è la migliore e più popolare raccolta, The raven and other poems (Il corvo e altre poesie).
In continuità con alcuni temi dei racconti, egli mise al centro della propria produzione poetica l'esplorazione delle possibilità creative della parola, legandovi un interesse molto personale per la sperimentazione ritmica. La sua poesia si sviluppa fra soggettivismo lirico (Ulalume; Annabel Lee), echi fonico-musicali (ma con uso anche di parole "scientifiche") e allusività simbolizzanti, il tutto sempre sostenuto da un dominio rigoroso delle emozioni, una strategia di controllo e di consapevolezza stilistica mai vista prima in America. Nel 1848, dopo la morte della moglie Virginia, completò a fatica Eureka, un ambizioso poema in prosa d'ispirazione filosofica, in cui rappresentò la sua visione dell'universo e il destino dell'uomo.
Surrealismo.Letteratura e bisogno di libertà.
di Lisa Mariani
L' Avanguardia si diffonde insieme alla crisi dei valori del tempo.
Il Surrealismo è un movimento di avanguardia artistico e letterario sviluppatosi in Francia tra il 1919 e la fine degli anni '30.Il surrealismo trae la sua linfa dalla totale crisi di valori (ed identità) del primo dopoguerra, che portò anche allo sviluppo di vari movimenti e gruppi di artisti accomunati dal rifiuto violento e radicale della società borghese del tempo. L'atteggiamento surrealista parte da un'assoluta negazione sistematica della cultura razionalista, positivista in particolare, e di tutti i vincoli da essa imposti. A quella il surrealismo contrappone un desiderio profondo di cambiamento, il bisogno di trovare un modo di espressione libero dalle censure razionali, culturali, religiose e sociali. La contestazione dei surrealisti ha vari aspetti in comune con il dadaismo: la negatività, la rivolta, il costituirei come netta frattura, la propensione per provocazione e scandalo, l'essere gruppo.
Oltre a ciò, tuttavia, per i surrealisti fu fondamentale impegnarsi in una seria elaborazione teorica, volta ad individuare precursori, a riconoscere influenze, a fare propri strumenti culturali innovativi, per fondare una cultura alternativa su nuovi "valori". Si fissa la nascita nel 1919, data della fondazione della rivista "Littérature" ad opera di Breton, Aragon, Eluard e Soupault. Nel '20, con l'arrivo di Tzara a Parigi, il neonato surrealismo si intrecciò col dadaismo. Nel gennaio del '22 però Breton ruppe coi dadaisti, ormai in netto declino: da quel momento il surrealismo fu un movimento del tutto autonomo, senza "ambiguità".Di estrema importanza per l'elaborazione surrealista era stata la lettura dell'opera di Freud (ma anche di Nietzsche e, per certi versi, di Einstein), "pubblico" agli inizi del secolo.Grazie alla psicanalisi i surrealisti accedevano ad una concezione moderna ed articolata del ruolo dell'inconscio e del valore della comunicazione non razionale, ritrovavano quelli che Breton definiva "i poteri originali dello spirito".
Nel Manifesto Breton fa il processo al realismo ed alla ragione, esaltando il potere dell'immaginazione e della fantasia, della poesia intesa come espressione non filtrata dell'inconscio e dei desideri.Il surrealismo è, dice Aragon, "una nuova dichiarazione dei diritti dell'uomo". Soprattutto, gravida di conseguenze letterarie, pesa l'affermazione che la liberazione della personalità passa attraverso l'affrancamento dal linguaggio. A questo scopo il surrealismo recuperò il simbolismo e la poesia pura di Rimbaud inventando la scrittura automatica (il "block notes automatico" di Freud, mio), esperienza che si proponeva di superare le censure della logica, della grammatica, dell'estetica, della morale. L'eredità del surrealismo va molto al di là delle opere prodotte dai suoi aderenti In senso stretto, come ben al di là dei confini "territoriali" francesi (basta pensare ad Alberti, Garcia Lorca, Machado,..in Spagna).Forse i surrealisti non sono riusciti a liberare la personalità e a trasformare il mondo, ma essi hanno l'innegabile merito di aver fondato un'estetica nuova, aprendo le porte all' "immaginario" creativo.La libertà della scrittura, l'unità profonda dell'individuo, la volontà di trasgredire e superare tutte le strettezze formali e culturali, hanno costituito il lascito più significativo del movimento, che in questo senso va considerato uno dei più significativi di tutto il '900.
Il Surrealismo è un movimento di avanguardia artistico e letterario sviluppatosi in Francia tra il 1919 e la fine degli anni '30.Il surrealismo trae la sua linfa dalla totale crisi di valori (ed identità) del primo dopoguerra, che portò anche allo sviluppo di vari movimenti e gruppi di artisti accomunati dal rifiuto violento e radicale della società borghese del tempo. L'atteggiamento surrealista parte da un'assoluta negazione sistematica della cultura razionalista, positivista in particolare, e di tutti i vincoli da essa imposti. A quella il surrealismo contrappone un desiderio profondo di cambiamento, il bisogno di trovare un modo di espressione libero dalle censure razionali, culturali, religiose e sociali. La contestazione dei surrealisti ha vari aspetti in comune con il dadaismo: la negatività, la rivolta, il costituirei come netta frattura, la propensione per provocazione e scandalo, l'essere gruppo.
Oltre a ciò, tuttavia, per i surrealisti fu fondamentale impegnarsi in una seria elaborazione teorica, volta ad individuare precursori, a riconoscere influenze, a fare propri strumenti culturali innovativi, per fondare una cultura alternativa su nuovi "valori". Si fissa la nascita nel 1919, data della fondazione della rivista "Littérature" ad opera di Breton, Aragon, Eluard e Soupault. Nel '20, con l'arrivo di Tzara a Parigi, il neonato surrealismo si intrecciò col dadaismo. Nel gennaio del '22 però Breton ruppe coi dadaisti, ormai in netto declino: da quel momento il surrealismo fu un movimento del tutto autonomo, senza "ambiguità".Di estrema importanza per l'elaborazione surrealista era stata la lettura dell'opera di Freud (ma anche di Nietzsche e, per certi versi, di Einstein), "pubblico" agli inizi del secolo.Grazie alla psicanalisi i surrealisti accedevano ad una concezione moderna ed articolata del ruolo dell'inconscio e del valore della comunicazione non razionale, ritrovavano quelli che Breton definiva "i poteri originali dello spirito".
Nel Manifesto Breton fa il processo al realismo ed alla ragione, esaltando il potere dell'immaginazione e della fantasia, della poesia intesa come espressione non filtrata dell'inconscio e dei desideri.Il surrealismo è, dice Aragon, "una nuova dichiarazione dei diritti dell'uomo". Soprattutto, gravida di conseguenze letterarie, pesa l'affermazione che la liberazione della personalità passa attraverso l'affrancamento dal linguaggio. A questo scopo il surrealismo recuperò il simbolismo e la poesia pura di Rimbaud inventando la scrittura automatica (il "block notes automatico" di Freud, mio), esperienza che si proponeva di superare le censure della logica, della grammatica, dell'estetica, della morale. L'eredità del surrealismo va molto al di là delle opere prodotte dai suoi aderenti In senso stretto, come ben al di là dei confini "territoriali" francesi (basta pensare ad Alberti, Garcia Lorca, Machado,..in Spagna).Forse i surrealisti non sono riusciti a liberare la personalità e a trasformare il mondo, ma essi hanno l'innegabile merito di aver fondato un'estetica nuova, aprendo le porte all' "immaginario" creativo.La libertà della scrittura, l'unità profonda dell'individuo, la volontà di trasgredire e superare tutte le strettezze formali e culturali, hanno costituito il lascito più significativo del movimento, che in questo senso va considerato uno dei più significativi di tutto il '900.
Crepuscolarismo.La poesia è intimità.
di Lisa Mariani
Un nuovo stile incentrato sull'interiorità e sull'abbandono intimo.
Il termine crepuscolare venne adoperato per la prima volta il 10 settembre 1910 quando il critico letterario Giuseppe Borgese pubblicò sul quotidiano "La Stampa" un articolo, intitolato Poesia crepuscolare, nel quale parlava di tre splendide raccolte poetiche pubblicate pochi mesi prima: le Poesie scritte col lapis di Marino Moretti, le Poesie provinciali di Fausto Maria Martini e Sogno e ironia di Carlo Chiaves. L’aggettivo "crepuscolare" stava a sottolineare una presunta insufficienza della loro poesia, che chiudeva in tono sbiadito la grande stagione della tradizione ottocentesca, quella dannunziana e pascoliana.Divenne quindi «crepuscolare», senza alcuna intenzione negativa, un modo particolare di sentire la vita e di scrivere poesia. La definizione di Borgese ebbe fortuna, ma non fu mai molto amata dai poeti a cui si riferì, poiché essi non costituirono mai un gruppo o una corrente, rimanendo ciascuno isolato nella propria individualità.
Il termine «crepuscolare» servì piuttosto a comunicare un vero stato d'animo di ripiegamento e di abbandono ed una lirica dai toni languidi e malinconici che registrava fatti e volti della realtà quotidiana, anche la più comune e banale. Alle antiche gerarchie di valori, ormai venute meno, i poeti «crepuscolari» sostituiscono una visione malinconica della vita, spesso autoironica, che tende a mettere in crisi ogni certezza. La poesia crepuscolare è piena di cose, avvenimenti, personaggi modesti, di «buone cose di pessimo gusto» come le definì Gozzano, «povere piccole cose» come le chiamò Corazzini (corsie di ospedali, monachelle, fiori finti, animali imbalsamati, amori adolescenziali).L'assenza di un programma poetico unico spiega la diversità degli atteggiamenti dell'uno e dell'altro dei crepuscolari (Sergio Corazzini, Giudo Gozzano, Marino Moretti, Carlo Chiaves, Corrado Govoni, Aldo Palazzesci...) e il passaggio di alcuni di essi ad esperienze d'arte di altro tipo, per esempio al futurismo o all'ermetismo. Le loro composizioni sono accomunate da un tenue pessimismo, da una malinconia senza scosse e senza ribellioni, da una stanchezza di vivere che in alcuni, come Corazzini e Gozzano, è connessa con malattie fisiche.
La poesia crepuscolare afferma che la vita non è un’opera da plasmare con il gesto eroico, è uno spazio ristretto, angusto, da superare con l’arte, da far rivivere attraverso la mediazione della letteratura, cui l’esistenza comunica le sue tonalità, voci basse, gesti quotidiani e sommesse ironie.I crepuscolari negano alla poesia ogni ruolo sociale e civile, rifiutano il concetto di poeta vate, promotore del progresso della storia e considerano la tradizione e il Classicismo, cui si ispirarono in modi diversi Carducci, Pascoli e D’Annunzio, un’esperienza completamente conclusa.I poeti sono accomunati da una malinconica inquietudine che nasce dalla totale sfiducia in ogni ideale religioso, politico e sociale.Il silenzio dei crepuscolari se ha un significato non è quello di un rifiuto sdegnoso, ma piuttosto di un concreto appartarsi, fatto più di rinuncia e anche un po’ di pigra incomprensione, che di motivato giudizio morale e storico.
Il termine crepuscolare venne adoperato per la prima volta il 10 settembre 1910 quando il critico letterario Giuseppe Borgese pubblicò sul quotidiano "La Stampa" un articolo, intitolato Poesia crepuscolare, nel quale parlava di tre splendide raccolte poetiche pubblicate pochi mesi prima: le Poesie scritte col lapis di Marino Moretti, le Poesie provinciali di Fausto Maria Martini e Sogno e ironia di Carlo Chiaves. L’aggettivo "crepuscolare" stava a sottolineare una presunta insufficienza della loro poesia, che chiudeva in tono sbiadito la grande stagione della tradizione ottocentesca, quella dannunziana e pascoliana.Divenne quindi «crepuscolare», senza alcuna intenzione negativa, un modo particolare di sentire la vita e di scrivere poesia. La definizione di Borgese ebbe fortuna, ma non fu mai molto amata dai poeti a cui si riferì, poiché essi non costituirono mai un gruppo o una corrente, rimanendo ciascuno isolato nella propria individualità.
Il termine «crepuscolare» servì piuttosto a comunicare un vero stato d'animo di ripiegamento e di abbandono ed una lirica dai toni languidi e malinconici che registrava fatti e volti della realtà quotidiana, anche la più comune e banale. Alle antiche gerarchie di valori, ormai venute meno, i poeti «crepuscolari» sostituiscono una visione malinconica della vita, spesso autoironica, che tende a mettere in crisi ogni certezza. La poesia crepuscolare è piena di cose, avvenimenti, personaggi modesti, di «buone cose di pessimo gusto» come le definì Gozzano, «povere piccole cose» come le chiamò Corazzini (corsie di ospedali, monachelle, fiori finti, animali imbalsamati, amori adolescenziali).L'assenza di un programma poetico unico spiega la diversità degli atteggiamenti dell'uno e dell'altro dei crepuscolari (Sergio Corazzini, Giudo Gozzano, Marino Moretti, Carlo Chiaves, Corrado Govoni, Aldo Palazzesci...) e il passaggio di alcuni di essi ad esperienze d'arte di altro tipo, per esempio al futurismo o all'ermetismo. Le loro composizioni sono accomunate da un tenue pessimismo, da una malinconia senza scosse e senza ribellioni, da una stanchezza di vivere che in alcuni, come Corazzini e Gozzano, è connessa con malattie fisiche.
La poesia crepuscolare afferma che la vita non è un’opera da plasmare con il gesto eroico, è uno spazio ristretto, angusto, da superare con l’arte, da far rivivere attraverso la mediazione della letteratura, cui l’esistenza comunica le sue tonalità, voci basse, gesti quotidiani e sommesse ironie.I crepuscolari negano alla poesia ogni ruolo sociale e civile, rifiutano il concetto di poeta vate, promotore del progresso della storia e considerano la tradizione e il Classicismo, cui si ispirarono in modi diversi Carducci, Pascoli e D’Annunzio, un’esperienza completamente conclusa.I poeti sono accomunati da una malinconica inquietudine che nasce dalla totale sfiducia in ogni ideale religioso, politico e sociale.Il silenzio dei crepuscolari se ha un significato non è quello di un rifiuto sdegnoso, ma piuttosto di un concreto appartarsi, fatto più di rinuncia e anche un po’ di pigra incomprensione, che di motivato giudizio morale e storico.
Futurismo.Il lato rabbioso dell'arte.
di Lisa Mariani
Ribellione, forza, velocità sono i nuovi valori da esaltare in arte.
Con la parola Futurismo si intende “l'arte del futuro”. Si tratta di una corrente artistico- letterario d'avanguardia, nata in Italia e fondata da Filippo Tommaso Marinetti attaverso la pubblicazione del famoso Manifesto del Futurismo sul quotidiano francese “Le Figaro”, nel 1909. A questo primo manifesto ne seguirono altri negli anni successivi riguardanti le varie arti: letteratura, teatro, pittura, scultura, architettura, musica. Il futurismo proclama la rottura completa col passato, la distruzione delle biblioteche, dei musei e delle accademie e la liberazione dell'Italia da professori, archeologi, antiquari. Al passato contrappone la moderna civiltà della macchina, la bellezza e l'ebbrezza della velocità. Si rifiuta perciò l'immobilità pensosa, l'estasi ed il sonno, del passato, e si esalta l'aggressività, l'insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo ed il pugno, la guerra (sola igiene del mondo), il patriottismo, il gesto distruttore dei libertari (anarchici) le belle idee per cui si muore e il disprezzo della donna (poiché considerata portatrice di valori deboli ed ispiratrice della poesia sentimentale).
I futuristi fecero impiego di tali idee per tutti gli usi, soprattutto in funzione antipassatista (contro il passato) e antiborghese. Questo spiega la simpatia che il Futurismo inizialmente trovò presso la classe operaia e l'avversione della borghesia. In Italia invece il Futurismo andò sempre più orientandosi verso destra in senso nazionalista e interventista, fino a sfociare, dopo la guerra nel Fascismo e a diventare l'arte ufficiale del regime. La poetica La poetica futurista è chiaramente indicata nel Manifesto tecnico della letteratura futurista. Essa, per quanto riguarda le forme, parte dall'idea che bisogna “liberare le parole…dalla prigione del periodo latino” che è lento, razionale, incapace si esprimere il dinamismo della vita contemporanea. Bisogna perciò distruggere la sintassi tradizionale; bisogna usare il verbo all'infinito pere rendere il senso della continuità della vita, abolire l'aggettivo, l'avverbio e la punteggiatura che rallentano il discorso, abolire la metrica.
Bisogna usare l'analogia, al posto della metafora, in grado di collegare cose apparentemente lontane, diverse e ostili fra loro, ma ravvicinate dall'intuizione (ogni sostantivo deve avere il suo doppio). La poesia deve cantare l'amore del pericolo, il coraggio, l'audacia, la ribellione, la macchina e la velocità, le città, le industrie; i futuristi esaltano la vita eroica, le macchine, le grandi metropoli e i toni violenti. Inoltre, mentre il Crepuscolarismo fu un movimento esclusivamente letterario, il Futurismo ebbe anche implicazioni politiche e sociali. Comunque entrambi sono espressione della crisi della civiltà romantica e positivistica, alla quale, rifiutando insieme il passato, contrappongo il progresso tecnico.
Con la parola Futurismo si intende “l'arte del futuro”. Si tratta di una corrente artistico- letterario d'avanguardia, nata in Italia e fondata da Filippo Tommaso Marinetti attaverso la pubblicazione del famoso Manifesto del Futurismo sul quotidiano francese “Le Figaro”, nel 1909. A questo primo manifesto ne seguirono altri negli anni successivi riguardanti le varie arti: letteratura, teatro, pittura, scultura, architettura, musica. Il futurismo proclama la rottura completa col passato, la distruzione delle biblioteche, dei musei e delle accademie e la liberazione dell'Italia da professori, archeologi, antiquari. Al passato contrappone la moderna civiltà della macchina, la bellezza e l'ebbrezza della velocità. Si rifiuta perciò l'immobilità pensosa, l'estasi ed il sonno, del passato, e si esalta l'aggressività, l'insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo ed il pugno, la guerra (sola igiene del mondo), il patriottismo, il gesto distruttore dei libertari (anarchici) le belle idee per cui si muore e il disprezzo della donna (poiché considerata portatrice di valori deboli ed ispiratrice della poesia sentimentale).
I futuristi fecero impiego di tali idee per tutti gli usi, soprattutto in funzione antipassatista (contro il passato) e antiborghese. Questo spiega la simpatia che il Futurismo inizialmente trovò presso la classe operaia e l'avversione della borghesia. In Italia invece il Futurismo andò sempre più orientandosi verso destra in senso nazionalista e interventista, fino a sfociare, dopo la guerra nel Fascismo e a diventare l'arte ufficiale del regime. La poetica La poetica futurista è chiaramente indicata nel Manifesto tecnico della letteratura futurista. Essa, per quanto riguarda le forme, parte dall'idea che bisogna “liberare le parole…dalla prigione del periodo latino” che è lento, razionale, incapace si esprimere il dinamismo della vita contemporanea. Bisogna perciò distruggere la sintassi tradizionale; bisogna usare il verbo all'infinito pere rendere il senso della continuità della vita, abolire l'aggettivo, l'avverbio e la punteggiatura che rallentano il discorso, abolire la metrica.
Bisogna usare l'analogia, al posto della metafora, in grado di collegare cose apparentemente lontane, diverse e ostili fra loro, ma ravvicinate dall'intuizione (ogni sostantivo deve avere il suo doppio). La poesia deve cantare l'amore del pericolo, il coraggio, l'audacia, la ribellione, la macchina e la velocità, le città, le industrie; i futuristi esaltano la vita eroica, le macchine, le grandi metropoli e i toni violenti. Inoltre, mentre il Crepuscolarismo fu un movimento esclusivamente letterario, il Futurismo ebbe anche implicazioni politiche e sociali. Comunque entrambi sono espressione della crisi della civiltà romantica e positivistica, alla quale, rifiutando insieme il passato, contrappongo il progresso tecnico.
Ermetismo.La poetica oscura e misteriosa.
di Lisa Mariani
La poesia pura coi suoi messaggi chiusi ed occulti.
Di sicuro una delle esperienze poetiche più intense e particolari del '900 fu quella dell'Ermetismo, una corrente letteraria che ha apportato modifiche e innovazioni sostanziali sia sul piano del linguaggio e dello stile che su quello dei contenuti. Il termine “ermetismo” deriva da Ermete (o Mercurio), dio delle scienze occulte e misteriose, ed è stato usato per la prima volta, in senso non certo positivo, dal critico Francesco Flora, che in uno scritto del 1936 intitolato “La poesia ermetica” che definì in senso critico la nuova poesia del ‘900 appunto come “ermetica”, ovvero come chiusa, oscura, misteriosa e di difficile interpretazione e codificazione. Nella storia della letteratura italiana il pubblico di lettori è diventato sempre più vario da un punto di vista sociale e culturale (composto non più di soli dotti ma anche di gente comune) e ha spostato il suo interesse sempre più verso la prosa anziché verso la poesia, anche perché non sempre era in grado di comprendere a fondo l’elaborazione formale da questa sottintesa. L'Ermentismo offre una poesia “blindata" in pochi e oscuri messaggi: essa diventa la voce di un individuo solitario ed assoluto, chiuso in se stesso anziché aperto alle novità del suo tempo, come le guerre o il regime fascista.
Questi eventi non vengono analizzati in chiave critica (non vengono, cioè, né esaltati né criticati dagli ermetici), ma solo descritti in base alla reazione del poeta ad essi (reazione di sgomento, di paura, di solitudine, di estraneità o indifferenza). Non esiste, cioè, altra realtà al di fuori di quella del loro animo. Il poeta ermetico non vive la realtà come qualcosa da raccontare oggettivamente nella sua opera, ma anzi come qualcosa entro cui proiettare la sua interiorità. Rappresentanti principali del movimento furono senza dubbio Giuseppe Ungaretti, Eugenio Montale e Salvatore Quasimodo, senza dimenticare altre notevoli personalità poetiche come Alfonso Gatto, Leonardo Sinisgalli e Mario Luzi. I poeti ermetici mirano a restituire alla parola poetica tutto il suo valore espressivo originario, banalizzato dall'uso comunicativo quotidiano o logorato dalla lunga tradizione letteraria.
Essi aspirano dunque a una "poesia pura", che si pone al di fuori di ogni dimensione spaziale e temporale e che si propone di evocare più che di comunicare, libera da ogni desiderio di trasmettere valori o insegnamenti che non siano quelli impliciti nella poesia stessa. Tale carattere evocativo della poesia si realizza soprattutto attraverso il ricorso alla tecnica dell'analogia, che instaura tra le immagini poetiche e la realtà che esse vogliono evocare un rapporto libero da legami di tipo logico e razionale. In tale modo, la poesia diviene l'espressione più autentica e diretta degli aspetti più profondi e spesso misteriosi della vita umana e del mondo sensibile.
Di sicuro una delle esperienze poetiche più intense e particolari del '900 fu quella dell'Ermetismo, una corrente letteraria che ha apportato modifiche e innovazioni sostanziali sia sul piano del linguaggio e dello stile che su quello dei contenuti. Il termine “ermetismo” deriva da Ermete (o Mercurio), dio delle scienze occulte e misteriose, ed è stato usato per la prima volta, in senso non certo positivo, dal critico Francesco Flora, che in uno scritto del 1936 intitolato “La poesia ermetica” che definì in senso critico la nuova poesia del ‘900 appunto come “ermetica”, ovvero come chiusa, oscura, misteriosa e di difficile interpretazione e codificazione. Nella storia della letteratura italiana il pubblico di lettori è diventato sempre più vario da un punto di vista sociale e culturale (composto non più di soli dotti ma anche di gente comune) e ha spostato il suo interesse sempre più verso la prosa anziché verso la poesia, anche perché non sempre era in grado di comprendere a fondo l’elaborazione formale da questa sottintesa. L'Ermentismo offre una poesia “blindata" in pochi e oscuri messaggi: essa diventa la voce di un individuo solitario ed assoluto, chiuso in se stesso anziché aperto alle novità del suo tempo, come le guerre o il regime fascista.
Questi eventi non vengono analizzati in chiave critica (non vengono, cioè, né esaltati né criticati dagli ermetici), ma solo descritti in base alla reazione del poeta ad essi (reazione di sgomento, di paura, di solitudine, di estraneità o indifferenza). Non esiste, cioè, altra realtà al di fuori di quella del loro animo. Il poeta ermetico non vive la realtà come qualcosa da raccontare oggettivamente nella sua opera, ma anzi come qualcosa entro cui proiettare la sua interiorità. Rappresentanti principali del movimento furono senza dubbio Giuseppe Ungaretti, Eugenio Montale e Salvatore Quasimodo, senza dimenticare altre notevoli personalità poetiche come Alfonso Gatto, Leonardo Sinisgalli e Mario Luzi. I poeti ermetici mirano a restituire alla parola poetica tutto il suo valore espressivo originario, banalizzato dall'uso comunicativo quotidiano o logorato dalla lunga tradizione letteraria.
Essi aspirano dunque a una "poesia pura", che si pone al di fuori di ogni dimensione spaziale e temporale e che si propone di evocare più che di comunicare, libera da ogni desiderio di trasmettere valori o insegnamenti che non siano quelli impliciti nella poesia stessa. Tale carattere evocativo della poesia si realizza soprattutto attraverso il ricorso alla tecnica dell'analogia, che instaura tra le immagini poetiche e la realtà che esse vogliono evocare un rapporto libero da legami di tipo logico e razionale. In tale modo, la poesia diviene l'espressione più autentica e diretta degli aspetti più profondi e spesso misteriosi della vita umana e del mondo sensibile.
Verismo.La grande ossessione per la verità.
di Lisa Mariani
Dal Naturalismo francese nasce una corrente puramente italiana.
Il Verismo e' un movimento letterario che si sviluppò in Italia nell'ultimo quindicennio del '800 fino ai primi del '900,il termine Verismo risalta la parola vero perchè secondo gli scrittori che aderirono a questo movimento loro compito principale era riprodurre la realta' in modo oggettivo e di far emergere la verita' senza esprimere giudizi ne' partecipare emotivamente. Il verismo da un punto di vista storico va collocato in un periodo in cui si afferma la borghesia industriale: in quegli anni si fanno grandi scoperte scientifiche, si inventano nuove macchine, come quella a vapore, c'e' un continuo progresso della tecnica. E' anche l'epoca in cui si sviluppa la “questione sociale”: le masse dei lavoratori prendono coscienza dei loro diritti e delle disuguaglianze sociali e crecano di lottare contro il capitalismo.
Il Verismo comunque è da tutti riconosciuto che affondò le sue radici nei concetti teorici del Positivismo e del Naturalismo. Il Naturalismo era una corrente letteraria francese, i cui maggiori autori furono Emile Zola e Guy de Maupassant: essa riteneva che il romanzo doveva essere un documento oggettivo della realta'. Percio il romanziere aveva l'obbligo di rappresentare tutti gli aspetti della realta', anche i piu' penosi e sgradevoli, nella maniera piu' fedele possibile. Tornando al Verismo uno deisuoi caretteri teorici principali fu senza dubbio l'accentuato regionalismo: gli scrittori veristi analizzano le realta' sociali tipiche di una regione. Furono proprio due intellettuali meridionali, Verga e Capuana, ad elaborare una nuova teoria e un nuovo linguaggio traendo spunto dalle opere di Zola. Entrambi,però, respingono la subordinazione della letteratura ad un impegno politico e sociale, e vengono influenzati dal Naturalismo solo nella tecnica, cioè nel modo in cui lo scrittore rappresenta la realtà. L’opera d’arte deve essere impersonale (sia per Capuana che per Verga). Il lettore deve avere l’impressione di assistere ai fatti in prima persona e per far ciò lo scrittore deve raccontare in modo reale, documentato e deve anche eclissarsi , cioè non deve interferire con le sue riflessioni o spiegazioni.
Questo può causare una certa confusione nelle prime pagine, però man mano che i personaggi si fanno conoscere con azioni e parole si crea “l’illusione della realtà”. Ad esempio Verga nelle sue opere si “eclissa”, non appare cioè come un narratore onniscente che interviene a raccontare gli artefatti o a spiegare la psicologia dei personaggi; la voce che racconta si colloca all’interno del mondo rappresentato, come se fosse un personaggio del romanzo, che però resta anonimo: il lettore riesce a trovarsi faccia a faccia con la realtà.Questo si nota per es. nei “Malavoglia” e nelle novelle, mentre diverso è il caso di “Mastro don Gesualdo”. Il narratore, dunque, è solo il mezzo attraverso cui l’opera si fa da sola. La prima novella verista di Verga è Rosso Malpelo dove è come se a narrare fossero dei minatori, i quali non informano né sulla storia dei personaggi, né sui luoghi (si pensi invece a Manzoni). I fatti non sono interpretati dalla visione colta dell’autore, né nei Malavoglia, né nelle novelle, ma da una visione popolare che deforma i fatti in base ai suoi principi.
Il Verismo e' un movimento letterario che si sviluppò in Italia nell'ultimo quindicennio del '800 fino ai primi del '900,il termine Verismo risalta la parola vero perchè secondo gli scrittori che aderirono a questo movimento loro compito principale era riprodurre la realta' in modo oggettivo e di far emergere la verita' senza esprimere giudizi ne' partecipare emotivamente. Il verismo da un punto di vista storico va collocato in un periodo in cui si afferma la borghesia industriale: in quegli anni si fanno grandi scoperte scientifiche, si inventano nuove macchine, come quella a vapore, c'e' un continuo progresso della tecnica. E' anche l'epoca in cui si sviluppa la “questione sociale”: le masse dei lavoratori prendono coscienza dei loro diritti e delle disuguaglianze sociali e crecano di lottare contro il capitalismo.
Il Verismo comunque è da tutti riconosciuto che affondò le sue radici nei concetti teorici del Positivismo e del Naturalismo. Il Naturalismo era una corrente letteraria francese, i cui maggiori autori furono Emile Zola e Guy de Maupassant: essa riteneva che il romanzo doveva essere un documento oggettivo della realta'. Percio il romanziere aveva l'obbligo di rappresentare tutti gli aspetti della realta', anche i piu' penosi e sgradevoli, nella maniera piu' fedele possibile. Tornando al Verismo uno deisuoi caretteri teorici principali fu senza dubbio l'accentuato regionalismo: gli scrittori veristi analizzano le realta' sociali tipiche di una regione. Furono proprio due intellettuali meridionali, Verga e Capuana, ad elaborare una nuova teoria e un nuovo linguaggio traendo spunto dalle opere di Zola. Entrambi,però, respingono la subordinazione della letteratura ad un impegno politico e sociale, e vengono influenzati dal Naturalismo solo nella tecnica, cioè nel modo in cui lo scrittore rappresenta la realtà. L’opera d’arte deve essere impersonale (sia per Capuana che per Verga). Il lettore deve avere l’impressione di assistere ai fatti in prima persona e per far ciò lo scrittore deve raccontare in modo reale, documentato e deve anche eclissarsi , cioè non deve interferire con le sue riflessioni o spiegazioni.
Questo può causare una certa confusione nelle prime pagine, però man mano che i personaggi si fanno conoscere con azioni e parole si crea “l’illusione della realtà”. Ad esempio Verga nelle sue opere si “eclissa”, non appare cioè come un narratore onniscente che interviene a raccontare gli artefatti o a spiegare la psicologia dei personaggi; la voce che racconta si colloca all’interno del mondo rappresentato, come se fosse un personaggio del romanzo, che però resta anonimo: il lettore riesce a trovarsi faccia a faccia con la realtà.Questo si nota per es. nei “Malavoglia” e nelle novelle, mentre diverso è il caso di “Mastro don Gesualdo”. Il narratore, dunque, è solo il mezzo attraverso cui l’opera si fa da sola. La prima novella verista di Verga è Rosso Malpelo dove è come se a narrare fossero dei minatori, i quali non informano né sulla storia dei personaggi, né sui luoghi (si pensi invece a Manzoni). I fatti non sono interpretati dalla visione colta dell’autore, né nei Malavoglia, né nelle novelle, ma da una visione popolare che deforma i fatti in base ai suoi principi.
Scapigliatura.Tra ribellione e anarchia.
di Lisa Mariani
Parte la lotta contro la tradizione e il concetto classico di arte.
Il movimento letterario ed artistico della Scapigliatura vide la luce nella città di Milano e si sviluppò essenzialmente nell'Italia settentrionale a partire dalla seconda metà dell' Ottocento. Il nome del movimento deriva dal titolo del romanzo di Cletto Arrighi (pseudonimo anagrammatico dello scrittore Carlo Righetti), La scapigliatura e il 6 febbraio (1861). Con tale termine si era soliti indicare un gruppo di scrittori e di artisti, contraddistinti dal programmatico ripudio della tradizione, da modi di vivere o scrivere o dipingere fuori da ogni regola. Il nome è anche la libera interpretazione del termine francese "bohème" (vita da zingari), riferedosi alla vita disordinata e anticonformista degli artisti parigini descritta nel romanzo di Henri Murger "Scénes de la vie de bohème".Si tende di solito ad inserire nel novero degli artisti appartenenti alla Scapigliatura personalità come Giuseppe Rovani, considerato il caposcuola, Cletto Arrighi, Vittorio Imbriani, Giovanni Camerana, Igino Ugo Tarchetti, Carlo Dossi, Arrigo Boito ed Emilio Praga. Nel campo dell'arte, invece, troviamo lo scultore Giuseppe Grandi e i pittori Tarquinio Cremona, Mosè Bianchi, Daniele Ronzoni.
Nella musica, lo stesso Boito (che fu compositore e librettista), Franco Faccio, Amilcare Ponchielli e un giovane Giacomo Puccini, che mosse i suoi primi passi all'interno del mondo della Scapigliatura. Tutti erano animati da uno spirito di ribellione nei confronti della cultura tradizionale e il buonsenso borghese. Uno dei primi obiettivi della loro battaglia fu il moderatismo della cultura ufficiale italiana, ma attaccarono anche il Romanticismo italiano (giudicato languido) che il provincialismo della cultura risorgimentale. Guardarono in modo diverso la realtà, cercando di individuare il nesso sottile che legava quella fisica a quella psichica. Di qui il fascino che il tema della malattia esercitò sulla loro poetica, spesso riflettendosi tragicamente sulla loro vita che, come quella dei bohémiens francesi, fu per lo più breve.
La filosofia del movimento della Scapigliatura - che non fu mai una scuola o un movimento organizzato alla stregua degli altri, con un manifesto - fece emergere per la prima volta in Italia il conflitto tra artista e società, tipico del Romanticismo europeo. Dopo l'Unità d'Italia gli intellettuali italiani, soprattutto quelli di stampo umanista, erano stati messi ai margini della società, così tra gli scapigliati si diffuse un sentimento di ribellione e di disprezzo radicale nei confronti delle norme morali e delle convinzioni correnti che ebbe però la conseguenza di creare il mito della vita dissoluta ed irregolare. Ed è sempre alla Scapigliatura che si deve la nascita di una specie di coscienza dualistica, che sottolinea l'aspro dissidio tra l'"ideale" che si vorrebbe raggiungere e il "vero", la cruda realtà, descritta in modo oggettivo e anatomico. Nel pensiero e nella storia culturale dell'Ottocento, la Scapigliatura appare come una sorta di crocevia intellettuale, attraverso cui filtrano correnti di pensiero, forme di letteratura straniera e temi letterari che contribuiscono a rinnovare e togliere l'alone di provincialismo dal clima culturale italiano.
Il movimento letterario ed artistico della Scapigliatura vide la luce nella città di Milano e si sviluppò essenzialmente nell'Italia settentrionale a partire dalla seconda metà dell' Ottocento. Il nome del movimento deriva dal titolo del romanzo di Cletto Arrighi (pseudonimo anagrammatico dello scrittore Carlo Righetti), La scapigliatura e il 6 febbraio (1861). Con tale termine si era soliti indicare un gruppo di scrittori e di artisti, contraddistinti dal programmatico ripudio della tradizione, da modi di vivere o scrivere o dipingere fuori da ogni regola. Il nome è anche la libera interpretazione del termine francese "bohème" (vita da zingari), riferedosi alla vita disordinata e anticonformista degli artisti parigini descritta nel romanzo di Henri Murger "Scénes de la vie de bohème".Si tende di solito ad inserire nel novero degli artisti appartenenti alla Scapigliatura personalità come Giuseppe Rovani, considerato il caposcuola, Cletto Arrighi, Vittorio Imbriani, Giovanni Camerana, Igino Ugo Tarchetti, Carlo Dossi, Arrigo Boito ed Emilio Praga. Nel campo dell'arte, invece, troviamo lo scultore Giuseppe Grandi e i pittori Tarquinio Cremona, Mosè Bianchi, Daniele Ronzoni.
Nella musica, lo stesso Boito (che fu compositore e librettista), Franco Faccio, Amilcare Ponchielli e un giovane Giacomo Puccini, che mosse i suoi primi passi all'interno del mondo della Scapigliatura. Tutti erano animati da uno spirito di ribellione nei confronti della cultura tradizionale e il buonsenso borghese. Uno dei primi obiettivi della loro battaglia fu il moderatismo della cultura ufficiale italiana, ma attaccarono anche il Romanticismo italiano (giudicato languido) che il provincialismo della cultura risorgimentale. Guardarono in modo diverso la realtà, cercando di individuare il nesso sottile che legava quella fisica a quella psichica. Di qui il fascino che il tema della malattia esercitò sulla loro poetica, spesso riflettendosi tragicamente sulla loro vita che, come quella dei bohémiens francesi, fu per lo più breve.
La filosofia del movimento della Scapigliatura - che non fu mai una scuola o un movimento organizzato alla stregua degli altri, con un manifesto - fece emergere per la prima volta in Italia il conflitto tra artista e società, tipico del Romanticismo europeo. Dopo l'Unità d'Italia gli intellettuali italiani, soprattutto quelli di stampo umanista, erano stati messi ai margini della società, così tra gli scapigliati si diffuse un sentimento di ribellione e di disprezzo radicale nei confronti delle norme morali e delle convinzioni correnti che ebbe però la conseguenza di creare il mito della vita dissoluta ed irregolare. Ed è sempre alla Scapigliatura che si deve la nascita di una specie di coscienza dualistica, che sottolinea l'aspro dissidio tra l'"ideale" che si vorrebbe raggiungere e il "vero", la cruda realtà, descritta in modo oggettivo e anatomico. Nel pensiero e nella storia culturale dell'Ottocento, la Scapigliatura appare come una sorta di crocevia intellettuale, attraverso cui filtrano correnti di pensiero, forme di letteratura straniera e temi letterari che contribuiscono a rinnovare e togliere l'alone di provincialismo dal clima culturale italiano.
Simbolismo.La parola nasconde altre verità.
di Lisa Mariani
Un movimento fortissimo da cui trae origine la poesia moderna.
Il Simbolismo è stata una corrente letteraria e artistica, fiorita in Francia nella seconda metà del XIX secolo, che in opposizione al realismo, cercava di comunicare idee, emozioni e atteggiamenti attraverso l'utilizzo di parole e immagini simboliche. Il Movimento letterario nacque in maniera ufficiale con il manifesto di Jean Moréas pubblicato sul Figaro il 18 settembre 1886. Si trattava di una corrente con radici assai lontane risalenti al romanticismo e alla poesia di Baudelaire, al quale appartiene anche la prima definizione poetica di simbolismo, contenuta nel sonetto Correspondances. In quel componimento davvero intenso la natura è rappresentata come una foresta di simboli tra loro "corrispondenti" che racchiudono le chiavi del significato dell'universo.
Secondo una concezione già romantica della funzione del poeta, suffragata dalla filosofia idealistica, a lui compete il ruolo di interprete della realtà, grazie a strumenti di conoscenza diversi e più penetranti di quelli del puro raziocinio. In modi diversi ma non discordanti, l'uno identificando il poeta nel veggente, l'altro assegnando alla musicalità del verso il potere di suggerire la realtà impalpabile, Rimbaud e Verlaine svilupparono la poetica baudelairiana fino a diventare i massimi rappresentanti della scuola simbolista, alla quale tuttavia non appartennero di fatto. Essa si forgiò invece intorno a una miriade di rivistine effimere, tra le quali emergono, con caratteristiche talora diverse dato il confuso fervore di iniziative di rottura antiparnassiane e antinaturalistiche dell'epoca.
Altri si raccolsero intorno ai "martedì letterari" di Mallarmé, riconoscendo in lui il massimo interprete della nuova poesia, depositaria del mistero assoluto dell'idea racchiuso nelle più ermetiche forme. E accanto a Mallarmé, con i Dujardin e i Régnier furono influenzati dal simbolismo o ne furono interpreti altissimi poeti e scrittori come P. Valéry, A. Gide e P. Claudel, il quale ispirò il suo teatro, fin dai primi drammi, a un simbolismo che continuò parallelamente alla conquista della fede, nel rispetto di una verità più alta accettata in totale dedizione, chiave per l'interpretazione di ogni cosa. Il merito della rottura con le forme della metrica classica non spetta tuttavia esclusivamente ai grandi, ma anche a tutti quei poeti "di scuola" che del "verso libero" fecero lo stendardo di guerra alla tradizione. La corrente simbolista è stata in seguito rivalutata da una visione critica che riconosce al simbolismo una matrice da cui è stata generata la poesia moderna; quella poesia cui è legato il modernismo della letteratura spagnola e ispano-americana, e che in Italia è rilevabile, sia pur in tono minore, in poeti che vanno da D'Annunzio a Pascoli, a Dino Campana, a Ungaretti, a Montale.
Il Simbolismo è stata una corrente letteraria e artistica, fiorita in Francia nella seconda metà del XIX secolo, che in opposizione al realismo, cercava di comunicare idee, emozioni e atteggiamenti attraverso l'utilizzo di parole e immagini simboliche. Il Movimento letterario nacque in maniera ufficiale con il manifesto di Jean Moréas pubblicato sul Figaro il 18 settembre 1886. Si trattava di una corrente con radici assai lontane risalenti al romanticismo e alla poesia di Baudelaire, al quale appartiene anche la prima definizione poetica di simbolismo, contenuta nel sonetto Correspondances. In quel componimento davvero intenso la natura è rappresentata come una foresta di simboli tra loro "corrispondenti" che racchiudono le chiavi del significato dell'universo.
Secondo una concezione già romantica della funzione del poeta, suffragata dalla filosofia idealistica, a lui compete il ruolo di interprete della realtà, grazie a strumenti di conoscenza diversi e più penetranti di quelli del puro raziocinio. In modi diversi ma non discordanti, l'uno identificando il poeta nel veggente, l'altro assegnando alla musicalità del verso il potere di suggerire la realtà impalpabile, Rimbaud e Verlaine svilupparono la poetica baudelairiana fino a diventare i massimi rappresentanti della scuola simbolista, alla quale tuttavia non appartennero di fatto. Essa si forgiò invece intorno a una miriade di rivistine effimere, tra le quali emergono, con caratteristiche talora diverse dato il confuso fervore di iniziative di rottura antiparnassiane e antinaturalistiche dell'epoca.
Altri si raccolsero intorno ai "martedì letterari" di Mallarmé, riconoscendo in lui il massimo interprete della nuova poesia, depositaria del mistero assoluto dell'idea racchiuso nelle più ermetiche forme. E accanto a Mallarmé, con i Dujardin e i Régnier furono influenzati dal simbolismo o ne furono interpreti altissimi poeti e scrittori come P. Valéry, A. Gide e P. Claudel, il quale ispirò il suo teatro, fin dai primi drammi, a un simbolismo che continuò parallelamente alla conquista della fede, nel rispetto di una verità più alta accettata in totale dedizione, chiave per l'interpretazione di ogni cosa. Il merito della rottura con le forme della metrica classica non spetta tuttavia esclusivamente ai grandi, ma anche a tutti quei poeti "di scuola" che del "verso libero" fecero lo stendardo di guerra alla tradizione. La corrente simbolista è stata in seguito rivalutata da una visione critica che riconosce al simbolismo una matrice da cui è stata generata la poesia moderna; quella poesia cui è legato il modernismo della letteratura spagnola e ispano-americana, e che in Italia è rilevabile, sia pur in tono minore, in poeti che vanno da D'Annunzio a Pascoli, a Dino Campana, a Ungaretti, a Montale.
Decadentismo.Nasce il pensiero estetico.
di Lisa Mariani
La borghesia è volgare e va eliminata con una vita basata sull'estetica.
Il movimento letterario dei Décadents (decadenti) si sviluppò all'inizio nella città di Parigi a partire dall'anno 1882 quando cioè apparve sulla rivista letteraria «Le Chat Noir» [Il gatto nero], uno splendido sonetto di Paul Verlaine. Esso iniziava con il verso «Je suis l’Empire à la fin de la décadence» (Io sono l’Impero alla fine della decadenza). Da tale componimento esplodeva in modo forte il concetto che la raffinatezza e l’eleganza sono proprie appunto delle epoche storiche di decadenza. E in effetti la nuova corrente porta ad estremizzare la sensazione di un eccesso di civiltà e dell’imminenza di una catastrofe e, nello stesso tempo, dall’orgogliosa rivendicazione del valore positivo dell’artificio e della raffinatezza tipici delle epoche al tramonto. Il movimento decadente avrà il suo organo ufficiale nella rivista «Le Décadent», diretta da Anatole Baju nel 1886. Ma già due anni prima, nel 1884, era uscito il discusso romanzo Controcorrente di un ex scrittore del Naturalismo, Joris-Karl Huysmans. Il libro, fondato sulla convinzione della superiorità di una vita basata sugli stimoli artificiali e sull’estetismo, divenne la bibbia del Decadentismo.
In esso l’aristocrazia dello spirito è polemicamente contrapposta alla volgarità della vita borghese. Come movimento organizzato, esso si esaurisce rapidamente, e può dirsi estinto già nel 1890, sostituito da un altro movimento, il Simbolismo, che era nato negli anni Ottanta dalla scissione di quello decadente. Alcuni dei tratti del Decadentismo come movimento confluiscono nel Decadentismo come civiltà culturale e artistica, che fiorisce in tutta Europa fra il 1890 e i primi anni del nuovo secolo. I tratti fondamentali del Decadentismo come fenomeno culturale e artistico sono i seguenti: a)Rifiuto del metodo scientifico e razionale e predisposizione ad atteggiamenti irrazionalistici, ispirati al sensualismo o al misticismo. b)Soggettivismo e individualismo. L’arte deve esprimere le sensazioni del soggetto, la sua vita interiore e sensuale. L’artista si presenta come un soggetto isolato ed eccezionale, dotato di valori aristocratici e raffinati che lo contrappongono alla prosaicità del mondo borghese, alla volgarità della borghesia e della vita quotidiana.
L’artista si trasforma in dandy, che disprezza la massa e ispira la propria vita al gusto della distinzione e dell’artificio. c)La scoperta dell’inconscio. L’arte tende a esprimere le associazioni profonde dell’io, la complessità dei pre-sentimenti, e a collegare il mistero dell’anima a quello della vita stessa dell’universo. d)Il ricorso al simbolismo, che è la poetica dominante del Decadentismo: di qui la prevalenza dei procedimenti analogici, la ricerca delle corrispondenze fra l’anima del soggetto e la vita dell’universo, il ricorso alla metafora e soprattutto alla sinestesia. e)L’estetismo e la religione dell’arte. I decadenti affermano non solo l’autonomia dell’arte, ma la sua superiorità. Per sostenerne l’autonomia, diffondono la teoria dell’arte per l’arte, già elaborata dai parnassiani in Francia e da Walter Pater in Inghilterra: l’arte deve obbedire solo a se stessa, liberandosi da qualsiasi criterio estrinseco di natura morale, politica o sociale. Per sostenerne la superiorità, promuovono il culto della forma come parte integrante del culto dell’arte, intesa come pura Bellezza, ragione di vita, e vera e propria religione. La vita stessa deve ispirarsi a criteri unicamente estetici, e deve risolversi in arte.
Il movimento letterario dei Décadents (decadenti) si sviluppò all'inizio nella città di Parigi a partire dall'anno 1882 quando cioè apparve sulla rivista letteraria «Le Chat Noir» [Il gatto nero], uno splendido sonetto di Paul Verlaine. Esso iniziava con il verso «Je suis l’Empire à la fin de la décadence» (Io sono l’Impero alla fine della decadenza). Da tale componimento esplodeva in modo forte il concetto che la raffinatezza e l’eleganza sono proprie appunto delle epoche storiche di decadenza. E in effetti la nuova corrente porta ad estremizzare la sensazione di un eccesso di civiltà e dell’imminenza di una catastrofe e, nello stesso tempo, dall’orgogliosa rivendicazione del valore positivo dell’artificio e della raffinatezza tipici delle epoche al tramonto. Il movimento decadente avrà il suo organo ufficiale nella rivista «Le Décadent», diretta da Anatole Baju nel 1886. Ma già due anni prima, nel 1884, era uscito il discusso romanzo Controcorrente di un ex scrittore del Naturalismo, Joris-Karl Huysmans. Il libro, fondato sulla convinzione della superiorità di una vita basata sugli stimoli artificiali e sull’estetismo, divenne la bibbia del Decadentismo.
In esso l’aristocrazia dello spirito è polemicamente contrapposta alla volgarità della vita borghese. Come movimento organizzato, esso si esaurisce rapidamente, e può dirsi estinto già nel 1890, sostituito da un altro movimento, il Simbolismo, che era nato negli anni Ottanta dalla scissione di quello decadente. Alcuni dei tratti del Decadentismo come movimento confluiscono nel Decadentismo come civiltà culturale e artistica, che fiorisce in tutta Europa fra il 1890 e i primi anni del nuovo secolo. I tratti fondamentali del Decadentismo come fenomeno culturale e artistico sono i seguenti: a)Rifiuto del metodo scientifico e razionale e predisposizione ad atteggiamenti irrazionalistici, ispirati al sensualismo o al misticismo. b)Soggettivismo e individualismo. L’arte deve esprimere le sensazioni del soggetto, la sua vita interiore e sensuale. L’artista si presenta come un soggetto isolato ed eccezionale, dotato di valori aristocratici e raffinati che lo contrappongono alla prosaicità del mondo borghese, alla volgarità della borghesia e della vita quotidiana.
L’artista si trasforma in dandy, che disprezza la massa e ispira la propria vita al gusto della distinzione e dell’artificio. c)La scoperta dell’inconscio. L’arte tende a esprimere le associazioni profonde dell’io, la complessità dei pre-sentimenti, e a collegare il mistero dell’anima a quello della vita stessa dell’universo. d)Il ricorso al simbolismo, che è la poetica dominante del Decadentismo: di qui la prevalenza dei procedimenti analogici, la ricerca delle corrispondenze fra l’anima del soggetto e la vita dell’universo, il ricorso alla metafora e soprattutto alla sinestesia. e)L’estetismo e la religione dell’arte. I decadenti affermano non solo l’autonomia dell’arte, ma la sua superiorità. Per sostenerne l’autonomia, diffondono la teoria dell’arte per l’arte, già elaborata dai parnassiani in Francia e da Walter Pater in Inghilterra: l’arte deve obbedire solo a se stessa, liberandosi da qualsiasi criterio estrinseco di natura morale, politica o sociale. Per sostenerne la superiorità, promuovono il culto della forma come parte integrante del culto dell’arte, intesa come pura Bellezza, ragione di vita, e vera e propria religione. La vita stessa deve ispirarsi a criteri unicamente estetici, e deve risolversi in arte.
Romanticismo.Un'epoca di forti passioni.
di Lisa Mariani
L'uomo abbandona la ragione e vive di emozioni ed interiorità.
Il Romanticismo è un movimento culturale che si sviluppa nell'800 quasi come reazione all'epoca della ragione dell'Illuminismo.Le varie rivoluzioni del '700 sia culturali che politiche non ebbero i frutti sperati e quindi anche sulla spinta storica della restaurazione si ebbe una sorta di ripiegamento delle energie e della volontà nell'interiorità dell'io individuale e del sentimento emozionale che divenne nuovo strumento. La borghesia è sempre espressione della maggioranza e decide di abbandonare il materialismo e il sensismo settecenteschi e il metodo scientifico affidandosi a princìpi più vaghi, idonei a evitare la radicalizzazione giacobina dei contrasti politici e sociali. I romantici, perciò, accrescono il dissidio tra il reale e l'ideale, creano un'atmosfera di pessimistica sfiducia intorno alla realtà e dai condizionamenti che il mondo esterno pone sono indotti a rinchiudersi nella consapevolezza dolorosa dell'esistenza e nella solitudine del mondo interiore e dei sogni, nell'«ideale».
Il valore del mondo esterno non è fatto derivare dalla conoscenza oggettiva ma dalla conoscenza che se ne ha attraverso la percezione intuitiva della sensibilità e del sentimento soggettivi. L'individuo è la scoperta dei romantici; esso, consapevole dei propri limiti, cerca le proprie certezze nella religione intesa come appagamento del desiderio di infinito.Il fenomeno romantico si svolge in modo diverso da nazione a nazione e diverse sono le colorazioni ideologiche che sopravvengono nel tempo, a seconda delle condizioni politiche e sociali sicché in Italia dopo la sconfitta di Napoleone abbiamo una risalita dell'aristocrazia che si appoggia ai governi assolutisti e al clero restauratore, seguita dalla diffusione del pensiero liberale nei vari strati sociali borghesi.In Inghilterra nel Settecento si erano chiamate romantiche la sensibilità e l'atmosfera dei romanzi mentre in Germania dopo la metà del Settecento una concezione filosofica, spiritualistica e idealistica opponendosi al razionalismo francese provoca in letteratura l'imitazione dei modelli classici e il sorgere di un'arte fondata sul sentimento e sulla libera espressione.
Questa scuola letteraria si chiamò Sturm und Drang (impeto e assalto) e nel 1797 fu detta «romantica» da Federico Schlegel la nuova poesia sorta nell'ambito della rivista «Athenaeum» e dei suoi intellettuali (Federico e Guglielmo Schlegel, Tieck, Novalis, Wackenroder). Manifesto del romanticismo italiano è considerato l'opuscolo del milanese Giovanni Berchet (1783-1851) Sul «Cacciatore feroce» e sulla «Leonora» di Bürger, in cui l'autore presentava una traduzione in prosa delle liriche di Bürger e alcune osservazioni sulla poesia. Berchet rifiuta le regole, l'imitazione dei classici e sostiene che la poesia deve essere dei «vivi» e non dei «morti», cioè moderna. Lo scrittore rifiuta anche gli aspetti più patetici del romanticismo straniero.
Il Romanticismo è un movimento culturale che si sviluppa nell'800 quasi come reazione all'epoca della ragione dell'Illuminismo.Le varie rivoluzioni del '700 sia culturali che politiche non ebbero i frutti sperati e quindi anche sulla spinta storica della restaurazione si ebbe una sorta di ripiegamento delle energie e della volontà nell'interiorità dell'io individuale e del sentimento emozionale che divenne nuovo strumento. La borghesia è sempre espressione della maggioranza e decide di abbandonare il materialismo e il sensismo settecenteschi e il metodo scientifico affidandosi a princìpi più vaghi, idonei a evitare la radicalizzazione giacobina dei contrasti politici e sociali. I romantici, perciò, accrescono il dissidio tra il reale e l'ideale, creano un'atmosfera di pessimistica sfiducia intorno alla realtà e dai condizionamenti che il mondo esterno pone sono indotti a rinchiudersi nella consapevolezza dolorosa dell'esistenza e nella solitudine del mondo interiore e dei sogni, nell'«ideale».
Il valore del mondo esterno non è fatto derivare dalla conoscenza oggettiva ma dalla conoscenza che se ne ha attraverso la percezione intuitiva della sensibilità e del sentimento soggettivi. L'individuo è la scoperta dei romantici; esso, consapevole dei propri limiti, cerca le proprie certezze nella religione intesa come appagamento del desiderio di infinito.Il fenomeno romantico si svolge in modo diverso da nazione a nazione e diverse sono le colorazioni ideologiche che sopravvengono nel tempo, a seconda delle condizioni politiche e sociali sicché in Italia dopo la sconfitta di Napoleone abbiamo una risalita dell'aristocrazia che si appoggia ai governi assolutisti e al clero restauratore, seguita dalla diffusione del pensiero liberale nei vari strati sociali borghesi.In Inghilterra nel Settecento si erano chiamate romantiche la sensibilità e l'atmosfera dei romanzi mentre in Germania dopo la metà del Settecento una concezione filosofica, spiritualistica e idealistica opponendosi al razionalismo francese provoca in letteratura l'imitazione dei modelli classici e il sorgere di un'arte fondata sul sentimento e sulla libera espressione.
Questa scuola letteraria si chiamò Sturm und Drang (impeto e assalto) e nel 1797 fu detta «romantica» da Federico Schlegel la nuova poesia sorta nell'ambito della rivista «Athenaeum» e dei suoi intellettuali (Federico e Guglielmo Schlegel, Tieck, Novalis, Wackenroder). Manifesto del romanticismo italiano è considerato l'opuscolo del milanese Giovanni Berchet (1783-1851) Sul «Cacciatore feroce» e sulla «Leonora» di Bürger, in cui l'autore presentava una traduzione in prosa delle liriche di Bürger e alcune osservazioni sulla poesia. Berchet rifiuta le regole, l'imitazione dei classici e sostiene che la poesia deve essere dei «vivi» e non dei «morti», cioè moderna. Lo scrittore rifiuta anche gli aspetti più patetici del romanticismo straniero.
Illuminismo.La ragione come unico dio.
di Lisa Mariani
Il secolo dei lumi che cambiò la storia dell'uomo.
Quando parliamo di Illuminosmo si intende l'enorme movimento culturale e filosofico che si sviluppò in Europa nel XVIII secolo. Sorto in Francia grazie a personaggi come Voltaire, Diderot, Montesquieu, esso poggia le sue radici nella cultura inglese della fine del Seicento e si diffonde poi in altri paesi europei, come la Germania e l'Italia. Il termine "Illuminismo", che traduce il tedesco Aufklarung (= rischiaramento), venne usato per intendere l'illuminazione intellettuale portata da questi autori dopo decenni di oscurantismo e di ignoranza; la luce della ragione rischiara il sentiero dell'essere umano consentendogli di fondare una società evoluta, basata sui principi di giustizia, di solidarietà, di autodeterminazione. L'Illuminismo da molti viene definito come la filosofia della classe borghese in ascesa e porta con sé anche una nuova concezione politica: a esso infatti si legheranno le due fondamentali esperienze politiche e sociali del secolo, la rivoluzione americana e quella francese.
Gli aspetti e i caratteri principali dell'Illuminismo posono essere così sintetizzati: l'esaltazione della ragione umana come strumento d'indagine e di conoscenza della realtà sensibile; il rifiuto del principio di autorità e della tradizione culturale, a favore del libero esercizio delle capacità critiche individuali; una nuova concezione della cultura, vista come diffusione di un sapere destinato all'umanità intera e non più riservato a un'élite: a questo principio si ispira l'opera più imponente della cultura illuministica, l'Enciclopedie francese; una nuova immagine dell'intellettuale che sia al servizio dell'educazione collettiva e del progresso della società umana nel suo insieme, secondo i principi di un cosmopolitismo che superi i confini nazionali; alla nuova cultura e al nuovo intellettuale corrisponde un allargamento del pubblico, anche grazie all'opera di circolazione delle idee attuata dalla stampa periodica. La letteratura dell'Illuminismo riflette i caratteri generali del movimento culturale, muovendo da esigenze di concretezza, razionalità, verità e moralità e servendosi di un linguaggio profondamente rinnovato, basato sulla chiarezza, la semplicità, la forza espressiva.Gli illuministi italiani furono delle punte avanzate, delle minoranze nei confronti della vecchia cultura rappresentata in tutti i centri da vecchi letterati, arcadi, eruditi, sostenitori resistentissimi di idee controriformistiche.
Questa cultura fu tenacissima nella conservazione della tradizione più logora accresciuta, come in altri paesi d'Europa, dalla grande paura della Rivoluzione francese che generò in quell'ambiente un riflusso reazionario, poi sanfedistico, borbonico, ostile nell'Ottocento allo sviluppo del Risorgimento. A Napoli la nuova generazione erede di Giannone e Vico sviluppa le proprie idee sotto il regno di Carlo III di Borbone (1738-59), riformatore assistito dal ministro Bernardo Tanucci, e di Ferdinando IV.Le opere principali del filosofo ed economista Antonio Genovesi (1712-69) di Castiglione (Salerno) nascono polemicamente nella consapevolezza delle contraddizioni strutturali del Regno.Gaetano Filangieri (1752-88) organizzò nella Scienza della legislazione (1780-85) le idee per una riforma della società servendosi di tutti i rami della scienza giuridica, politica, sociale e proponendo la necessità di una codificazione moderna. Il «Caffè» (1764-66), giornale dei fratelli Verri, costituì il punto di incontro di molti «philosophes» e della loro ideologia aperta alla cultura oltre confine e al miglioramento della società.
Quando parliamo di Illuminosmo si intende l'enorme movimento culturale e filosofico che si sviluppò in Europa nel XVIII secolo. Sorto in Francia grazie a personaggi come Voltaire, Diderot, Montesquieu, esso poggia le sue radici nella cultura inglese della fine del Seicento e si diffonde poi in altri paesi europei, come la Germania e l'Italia. Il termine "Illuminismo", che traduce il tedesco Aufklarung (= rischiaramento), venne usato per intendere l'illuminazione intellettuale portata da questi autori dopo decenni di oscurantismo e di ignoranza; la luce della ragione rischiara il sentiero dell'essere umano consentendogli di fondare una società evoluta, basata sui principi di giustizia, di solidarietà, di autodeterminazione. L'Illuminismo da molti viene definito come la filosofia della classe borghese in ascesa e porta con sé anche una nuova concezione politica: a esso infatti si legheranno le due fondamentali esperienze politiche e sociali del secolo, la rivoluzione americana e quella francese.
Gli aspetti e i caratteri principali dell'Illuminismo posono essere così sintetizzati: l'esaltazione della ragione umana come strumento d'indagine e di conoscenza della realtà sensibile; il rifiuto del principio di autorità e della tradizione culturale, a favore del libero esercizio delle capacità critiche individuali; una nuova concezione della cultura, vista come diffusione di un sapere destinato all'umanità intera e non più riservato a un'élite: a questo principio si ispira l'opera più imponente della cultura illuministica, l'Enciclopedie francese; una nuova immagine dell'intellettuale che sia al servizio dell'educazione collettiva e del progresso della società umana nel suo insieme, secondo i principi di un cosmopolitismo che superi i confini nazionali; alla nuova cultura e al nuovo intellettuale corrisponde un allargamento del pubblico, anche grazie all'opera di circolazione delle idee attuata dalla stampa periodica. La letteratura dell'Illuminismo riflette i caratteri generali del movimento culturale, muovendo da esigenze di concretezza, razionalità, verità e moralità e servendosi di un linguaggio profondamente rinnovato, basato sulla chiarezza, la semplicità, la forza espressiva.Gli illuministi italiani furono delle punte avanzate, delle minoranze nei confronti della vecchia cultura rappresentata in tutti i centri da vecchi letterati, arcadi, eruditi, sostenitori resistentissimi di idee controriformistiche.
Questa cultura fu tenacissima nella conservazione della tradizione più logora accresciuta, come in altri paesi d'Europa, dalla grande paura della Rivoluzione francese che generò in quell'ambiente un riflusso reazionario, poi sanfedistico, borbonico, ostile nell'Ottocento allo sviluppo del Risorgimento. A Napoli la nuova generazione erede di Giannone e Vico sviluppa le proprie idee sotto il regno di Carlo III di Borbone (1738-59), riformatore assistito dal ministro Bernardo Tanucci, e di Ferdinando IV.Le opere principali del filosofo ed economista Antonio Genovesi (1712-69) di Castiglione (Salerno) nascono polemicamente nella consapevolezza delle contraddizioni strutturali del Regno.Gaetano Filangieri (1752-88) organizzò nella Scienza della legislazione (1780-85) le idee per una riforma della società servendosi di tutti i rami della scienza giuridica, politica, sociale e proponendo la necessità di una codificazione moderna. Il «Caffè» (1764-66), giornale dei fratelli Verri, costituì il punto di incontro di molti «philosophes» e della loro ideologia aperta alla cultura oltre confine e al miglioramento della società.
Neoclassicismo.Eleganza in letteratura.
di Lisa Mariani
Le antiche forme di bellezza tornano a conquistare il pubblico.
Si definisce Neoclassicismo, in letteratura, la corrente artistico-letteraria che si sviluppò in Europa tra la metà del Settecento e il primo decennio dell'Ottocento, partendo da un forte orientamento del gusto e delle preferenze culturali verso la civiltà antica, soprattutto greca, che venne elevata a vero paradigma da imitare.Questa corrente partì prima come impulso visivo e scultoreo poi dopo il grande entusiasmo collegato ai ritrovamenti archeologici di Ercolano e Pompei, si diffuse in ogni ambito della vita artistica dell'epoca. L'imitazione dei modelli dell'antichità corrispose alla volontà di recuperare non soltanto le antiche forme di bellezza, ma anche la razionalità e l'equilibrio morale che quelle forme esprimevano, partecipando in questo degli ideali tipicamente illuministici.
La classicità, soprattutto greca, fu vista come una mitica età dell'oro, in cui l'umanità viveva in armonia con la natura ed il bene coincideva con la bellezza. Il neoclassicismo vagheggiò un "bello ideale" nitido, raffinato, lontano dalla passione. L'esigenza di creare un punto di riferimento e d'ordine fra i grandi sconvolgimenti dell'epoca, generò un neoclassicismo scenografico, di composta bellezza, largamente adottato in epoca napoleonica, che divenne moda e improntò anche l'architettura, l'arredamento, l'abbigliamento.Ritornando al tema letterario, il neoclassicismo si tradusse nel ricorso alla mitologia (ovvero nella vasta raccolta di racconti che spiegano l’origine del mondo ed espongono dettagliatamente la vita e le avventure di un gran numero di dei , eroi , mostri e altre creature mitologiche) e, se il riferimento era al presente, all'allegoria. La lingua, modellata su quella dei classici greci e latini, è artefatta, lontana da quella corrente. Fuori d'Italia, soprattutto in Francia con André de Chénier, i principi neoclassici si legarono al presente e, in particolare, alle istanze rivoluzionarie.
In Italia, centro del classicismo fu la capitale del Regno all'epoca di Napoleone, Milano, dove lavorava lo scultore Antonio Canova e dove fu avviata l'edizione della Collezione dei classici italiani (1802-1814), che raccoglieva gli autori maggiori della tradizione italiana fornendo un canone ben preciso di letterarietà.I generi letterari più coltivati furono quelli tradizionali della classicità: Vittorio Alfieri fece rivivere la tragedia, ambientando le sue storie nel mondo antico. Il maggiore scrittore neoclassico italiano fu Vincenzo Monti, che tradusse in endecasillabi sciolti l'Iliade di Omero, completata nel 1810. In Italia Ugo Foscolo scrisse, oltre a un romanzo che manifestava una sensibilità preromantica come Le ultime lettere di Jacopo Ortis (1802), due odi allegoriche neoclassiche (A Luigi Pallavicini caduto da cavallo, del 1799, e All'amica risanata, del 1802) e, a conclusione della sua carriera poetica, le Grazie, poema rimasto frammentario, dedicato a tre divinità minori che secondo la mitologia classica sono al seguito di Venere. Nelle Prose e poesie campestri (1788 e 1817), Ippolito Pindemonte celebrò "piaceri eruditi e tranquilli" sullo sfondo di uno scenario campestre. L'autore ricorda la tradizione pastorale che risale a Teocrito, ma, invece del distacco neoclassico, compare una predominante vena melanconica.
Si definisce Neoclassicismo, in letteratura, la corrente artistico-letteraria che si sviluppò in Europa tra la metà del Settecento e il primo decennio dell'Ottocento, partendo da un forte orientamento del gusto e delle preferenze culturali verso la civiltà antica, soprattutto greca, che venne elevata a vero paradigma da imitare.Questa corrente partì prima come impulso visivo e scultoreo poi dopo il grande entusiasmo collegato ai ritrovamenti archeologici di Ercolano e Pompei, si diffuse in ogni ambito della vita artistica dell'epoca. L'imitazione dei modelli dell'antichità corrispose alla volontà di recuperare non soltanto le antiche forme di bellezza, ma anche la razionalità e l'equilibrio morale che quelle forme esprimevano, partecipando in questo degli ideali tipicamente illuministici.
La classicità, soprattutto greca, fu vista come una mitica età dell'oro, in cui l'umanità viveva in armonia con la natura ed il bene coincideva con la bellezza. Il neoclassicismo vagheggiò un "bello ideale" nitido, raffinato, lontano dalla passione. L'esigenza di creare un punto di riferimento e d'ordine fra i grandi sconvolgimenti dell'epoca, generò un neoclassicismo scenografico, di composta bellezza, largamente adottato in epoca napoleonica, che divenne moda e improntò anche l'architettura, l'arredamento, l'abbigliamento.Ritornando al tema letterario, il neoclassicismo si tradusse nel ricorso alla mitologia (ovvero nella vasta raccolta di racconti che spiegano l’origine del mondo ed espongono dettagliatamente la vita e le avventure di un gran numero di dei , eroi , mostri e altre creature mitologiche) e, se il riferimento era al presente, all'allegoria. La lingua, modellata su quella dei classici greci e latini, è artefatta, lontana da quella corrente. Fuori d'Italia, soprattutto in Francia con André de Chénier, i principi neoclassici si legarono al presente e, in particolare, alle istanze rivoluzionarie.
In Italia, centro del classicismo fu la capitale del Regno all'epoca di Napoleone, Milano, dove lavorava lo scultore Antonio Canova e dove fu avviata l'edizione della Collezione dei classici italiani (1802-1814), che raccoglieva gli autori maggiori della tradizione italiana fornendo un canone ben preciso di letterarietà.I generi letterari più coltivati furono quelli tradizionali della classicità: Vittorio Alfieri fece rivivere la tragedia, ambientando le sue storie nel mondo antico. Il maggiore scrittore neoclassico italiano fu Vincenzo Monti, che tradusse in endecasillabi sciolti l'Iliade di Omero, completata nel 1810. In Italia Ugo Foscolo scrisse, oltre a un romanzo che manifestava una sensibilità preromantica come Le ultime lettere di Jacopo Ortis (1802), due odi allegoriche neoclassiche (A Luigi Pallavicini caduto da cavallo, del 1799, e All'amica risanata, del 1802) e, a conclusione della sua carriera poetica, le Grazie, poema rimasto frammentario, dedicato a tre divinità minori che secondo la mitologia classica sono al seguito di Venere. Nelle Prose e poesie campestri (1788 e 1817), Ippolito Pindemonte celebrò "piaceri eruditi e tranquilli" sullo sfondo di uno scenario campestre. L'autore ricorda la tradizione pastorale che risale a Teocrito, ma, invece del distacco neoclassico, compare una predominante vena melanconica.
Arcadia.La poesia diventa purificazione.
di Lisa Mariani
Un movimento nuovo che spinge verso la semplicità poetica.
Quasi immediatamente dopo l'epoca Barocca quasi come reazione di opposizione si diffuse una nuova corrente letteraria che va sotto il nome di Arcadia.L'Accademia dell'Arcadia fu creata da un ristretto gruppo di 14 persone fra nobili, letterati ed artisti, che nel 1689 fondarono a Roma un circolo letterario,tra questi spiccavano G.V.Guarini, G.Crescimbeni coadiuvati nell'impresa anche dal torinese Paolo Coardi.La corrente si era prefissata lo scopo di salvare la poesia italiana da un certo manierismo artificioso dilagante nell'epoca barocca, per tentare di fare ritorno alla semplicità ed alla naturalezza del periodo classico. Gli iscritti all'Accademia prendevano l'appellativo di arcadi e nelle loro opere abbandonarono i grandi temi dell'enfatica letteratura barocca a favore di uno stile chiaro e immediato, che sottolineasse i puri sentimenti e gli affetti più intimi, più liricamente personali. Il genere verso cui si spinsero gli arcadi fu la lirica pastorale, che doveva possedere delle caratteristiche fondamentali costanti.
La poesia pastorale più celebre nella storia della letteratura dell'Arcadia fu Il Pastor fido (1585) di Giovan Battista Guarini, che ebbe fin dall'inizio innumerevoli adattamenti musicali e il cui titolo fu dato a tutta una serie di raccolte di madrigali: si conoscono più di 550 madrigali che ne riprendono alcuni passaggi. L'opera di Guarini ed altre pastorali italiane servirono come base letteraria per un nuovo genere, quello dell'Opera, che apparve durante l'ultimo decennio del XVI secolo, con l' Euridice di Jacopo Peri. La pastorale continuò di dominare nel genere lirico fino al 1630 quando fu soppiantata da un nuovo tipo di opera eroica drammatica, scritta su soggetti tragici o epici, che divenne rapidamente molto popolare, ma anche troppo complicata ed ampollosa. Fu proprio per iniziativa dei membri dell'Arcadia, che il genere pastorale conobbe la sua rinascita alla fine del XVII secolo.Rispetto all'opera eroica, quella pastorale era circa due volte più corta, non comportava che quattro o cinque personaggi e mancava di cori.
Inoltre, il suo stile musicale era condensato e semplice, e l'orchestra era composto generalmente unicamente di strumenti ad arco. Ben presto tuttavia l’omogeneità del mondo arcade si incrina per l’opposizione tra due diverse linee di poetica, l’una riconducibile a Gian Vincenzo Gravina, l’altra a Giovanni Crescimbeni. Il primo si fa promotore di un’idea di poesia come fonte di radicale rinnovamento culturale ed esistenziale, in quanto portatrice di verità profonde. Questa funzione della poesia, che per Gravina deve avere una ricaduta pratica anche sulla vita quotidiana e non esaurirsi negli sterili giochi formali dei “pastori”, ha come proprio modello di riferimento Omero e i classi greci. Dietro alle idee di Gravina c’è dunque un modello di cultura di ispirazione razionale e di impegno civile, che, più avanti, avrà in Pietro Metastasio (1698-1782) un proprio esempio di riferimento. All’opposto, le posizioni di Crescimbeni sono più moderate, ed impostate ad un classicismo più di forma che di sostanza: Crescimbeni predica la moderazione degli eccessi del barocco con l’eleganza della forma, che ha precedenza sul contentuto, secondo la lezione del petrarchismo. All’approccio didascalico e civile, Crescimbeni preferiva le tematiche d’evasione idillico-pastorale.
Quasi immediatamente dopo l'epoca Barocca quasi come reazione di opposizione si diffuse una nuova corrente letteraria che va sotto il nome di Arcadia.L'Accademia dell'Arcadia fu creata da un ristretto gruppo di 14 persone fra nobili, letterati ed artisti, che nel 1689 fondarono a Roma un circolo letterario,tra questi spiccavano G.V.Guarini, G.Crescimbeni coadiuvati nell'impresa anche dal torinese Paolo Coardi.La corrente si era prefissata lo scopo di salvare la poesia italiana da un certo manierismo artificioso dilagante nell'epoca barocca, per tentare di fare ritorno alla semplicità ed alla naturalezza del periodo classico. Gli iscritti all'Accademia prendevano l'appellativo di arcadi e nelle loro opere abbandonarono i grandi temi dell'enfatica letteratura barocca a favore di uno stile chiaro e immediato, che sottolineasse i puri sentimenti e gli affetti più intimi, più liricamente personali. Il genere verso cui si spinsero gli arcadi fu la lirica pastorale, che doveva possedere delle caratteristiche fondamentali costanti.
La poesia pastorale più celebre nella storia della letteratura dell'Arcadia fu Il Pastor fido (1585) di Giovan Battista Guarini, che ebbe fin dall'inizio innumerevoli adattamenti musicali e il cui titolo fu dato a tutta una serie di raccolte di madrigali: si conoscono più di 550 madrigali che ne riprendono alcuni passaggi. L'opera di Guarini ed altre pastorali italiane servirono come base letteraria per un nuovo genere, quello dell'Opera, che apparve durante l'ultimo decennio del XVI secolo, con l' Euridice di Jacopo Peri. La pastorale continuò di dominare nel genere lirico fino al 1630 quando fu soppiantata da un nuovo tipo di opera eroica drammatica, scritta su soggetti tragici o epici, che divenne rapidamente molto popolare, ma anche troppo complicata ed ampollosa. Fu proprio per iniziativa dei membri dell'Arcadia, che il genere pastorale conobbe la sua rinascita alla fine del XVII secolo.Rispetto all'opera eroica, quella pastorale era circa due volte più corta, non comportava che quattro o cinque personaggi e mancava di cori.
Inoltre, il suo stile musicale era condensato e semplice, e l'orchestra era composto generalmente unicamente di strumenti ad arco. Ben presto tuttavia l’omogeneità del mondo arcade si incrina per l’opposizione tra due diverse linee di poetica, l’una riconducibile a Gian Vincenzo Gravina, l’altra a Giovanni Crescimbeni. Il primo si fa promotore di un’idea di poesia come fonte di radicale rinnovamento culturale ed esistenziale, in quanto portatrice di verità profonde. Questa funzione della poesia, che per Gravina deve avere una ricaduta pratica anche sulla vita quotidiana e non esaurirsi negli sterili giochi formali dei “pastori”, ha come proprio modello di riferimento Omero e i classi greci. Dietro alle idee di Gravina c’è dunque un modello di cultura di ispirazione razionale e di impegno civile, che, più avanti, avrà in Pietro Metastasio (1698-1782) un proprio esempio di riferimento. All’opposto, le posizioni di Crescimbeni sono più moderate, ed impostate ad un classicismo più di forma che di sostanza: Crescimbeni predica la moderazione degli eccessi del barocco con l’eleganza della forma, che ha precedenza sul contentuto, secondo la lezione del petrarchismo. All’approccio didascalico e civile, Crescimbeni preferiva le tematiche d’evasione idillico-pastorale.
Barocco.Un'epoca di totale allegoria.
di Lisa Mariani
Un movimento nuovo che rivoluziona tutte le arti.
Il Barocco è una splendida epoca artistica e letteraria che pone le basi di un profonfo cambiamento nella sensibilità e nell'eleganza stilistica rivolta al passato. Si sviluppa nel periodo a cavallo del '600 e in paesi come Italia e Spagna tocca vertici di bellezza estrema ed elevatissimi.La rivoluzione Barocca riguarda tutte le arti creative e giunge a modificare il rapporto con la tradizione e ha influenza anche sul piano della società.Secondo alcuni studiosi il termine “ barocco” deriva dal portoghese “ barroco”, che sta ad indicare una perla irregolare e non sferica: tale attenzione per un elemento imperfetto ben si inserirebbe nell’ottica barocca, tutta tesa ad esaltare lo strano e l’eccezionale. Secondo altri critici la parola veniva invece usata nella filosofia scolastica, per riferirsi ad un particolare tipo di procedimento logico, apparentemente corretto ma danneggiato da una sottile debolezza interna.
La denominazione “ barocco” fu comunque usata per qualificare l’arte e la letteratura del ‘600 solo un secolo più tardi, col fine polemico di puntare il dito contro il suo amore per la bizzarria e l’artificio.Il ‘600 è un secolo di aspri conflitti e di profonde trasformazioni.Sul piano politico si assiste allo scontro tra l’Impero spagnolo e le potenze nazionali che si affacciano sull’Atlantico, ovvero Francia, Olanda e Inghilterra: la lenta ma inarrestabile decadenza dell’Impero Spagnolo ( quello su cui “ non tramonta il sole”) e l’emergere in Europa della Francia come potenza egemone non rappresenta un puro e semplice cambio della guardia, ma una trasformazione profonda del quadro geopolitico del mondo, della concezione del potere e dei rapporti tra l’individuo e l’organizzazione sociale e politica di cui fa parte. La vittoria della Francia e lo sviluppo di Inghilterra e Olanda sposta infatti il baricentro politico del continente dal Mediterraneo all’Atlantico, e dimostra la supremazia di nuovi modelli politici. Si impone lo stato moderno, che è assoluto e centrale ma fondamentalmente laico, al contrario della forte religiosità di cui era intriso l’impero spagnolo. Ai tumulti politici si aggiungono una terribile crisi economica che toccò le punte massime nel 1630 e fu diretta conseguenza delle continue e sanguinose guerre; pesanti carestie dovute alla scarsità di risorse alimentari e povertà diffusa e disastrose pestilenze che furono all’origine di lotte e rivolte popolari.
Tutto ciò porta alla consapevolezza della crisi dei modelli antichi, e alla necessità di elaborare proposte innovative e vitali che si esplicano sul piano letterario nel Barocco e su quello scientifico nella Scienza Nuova di Galileo Galilei. All’opposto dell’età rinascimentale, il Barocco è interessato non all’armonia e all’ordine della natura quanto piuttosto all’anomalia, all’eccezione e al difetto. Tale gusto è generato dalle recenti scoperte scientifiche, che avevano dimostrato che il mondo e la natura erano ben diverse da come una tradizione millenaria li aveva descritti: s’ apprende l’esistenza di nuovi continenti, s’ incontrano popoli e razze diversi dagli Europei, si scopre che la Terra gira intorno al Sole e non viceversa e che non è affatto al centro dell’Universo, e si nota che la Luna è geologicamente simile al nostro pianeta e non un elemento divino e distante. L’intero sistema conoscitivo entra in crisi e il vuoto viene colmato attraverso la ricerca e la sperimentazione, in un clima di tensione e dubbio che stimola la riflessione critica e cerca nuove basi per le certezze individuali e collettive. Il letterato esalta sempre più il proprio ingegno ed acutezza ed indulge talvolta nella formulazione di esercizi letterari leziosi, bizzarri, da alcuni definiti inutili e fine a se stessi che sono destinati ad essere ripudiati dal pubblico nell’arco di qualche decennio: spesso dunque l’attenzione alla tecnica di cui gli artisti barocchi danno prova tende a trasformarsi in un puro tecnicismo.Tra i principali esponenti della lirica barocca, è opportuno citare senza dubbio la figura di Giovan Battista Marino.
Il Barocco è una splendida epoca artistica e letteraria che pone le basi di un profonfo cambiamento nella sensibilità e nell'eleganza stilistica rivolta al passato. Si sviluppa nel periodo a cavallo del '600 e in paesi come Italia e Spagna tocca vertici di bellezza estrema ed elevatissimi.La rivoluzione Barocca riguarda tutte le arti creative e giunge a modificare il rapporto con la tradizione e ha influenza anche sul piano della società.Secondo alcuni studiosi il termine “ barocco” deriva dal portoghese “ barroco”, che sta ad indicare una perla irregolare e non sferica: tale attenzione per un elemento imperfetto ben si inserirebbe nell’ottica barocca, tutta tesa ad esaltare lo strano e l’eccezionale. Secondo altri critici la parola veniva invece usata nella filosofia scolastica, per riferirsi ad un particolare tipo di procedimento logico, apparentemente corretto ma danneggiato da una sottile debolezza interna.
La denominazione “ barocco” fu comunque usata per qualificare l’arte e la letteratura del ‘600 solo un secolo più tardi, col fine polemico di puntare il dito contro il suo amore per la bizzarria e l’artificio.Il ‘600 è un secolo di aspri conflitti e di profonde trasformazioni.Sul piano politico si assiste allo scontro tra l’Impero spagnolo e le potenze nazionali che si affacciano sull’Atlantico, ovvero Francia, Olanda e Inghilterra: la lenta ma inarrestabile decadenza dell’Impero Spagnolo ( quello su cui “ non tramonta il sole”) e l’emergere in Europa della Francia come potenza egemone non rappresenta un puro e semplice cambio della guardia, ma una trasformazione profonda del quadro geopolitico del mondo, della concezione del potere e dei rapporti tra l’individuo e l’organizzazione sociale e politica di cui fa parte. La vittoria della Francia e lo sviluppo di Inghilterra e Olanda sposta infatti il baricentro politico del continente dal Mediterraneo all’Atlantico, e dimostra la supremazia di nuovi modelli politici. Si impone lo stato moderno, che è assoluto e centrale ma fondamentalmente laico, al contrario della forte religiosità di cui era intriso l’impero spagnolo. Ai tumulti politici si aggiungono una terribile crisi economica che toccò le punte massime nel 1630 e fu diretta conseguenza delle continue e sanguinose guerre; pesanti carestie dovute alla scarsità di risorse alimentari e povertà diffusa e disastrose pestilenze che furono all’origine di lotte e rivolte popolari.
Tutto ciò porta alla consapevolezza della crisi dei modelli antichi, e alla necessità di elaborare proposte innovative e vitali che si esplicano sul piano letterario nel Barocco e su quello scientifico nella Scienza Nuova di Galileo Galilei. All’opposto dell’età rinascimentale, il Barocco è interessato non all’armonia e all’ordine della natura quanto piuttosto all’anomalia, all’eccezione e al difetto. Tale gusto è generato dalle recenti scoperte scientifiche, che avevano dimostrato che il mondo e la natura erano ben diverse da come una tradizione millenaria li aveva descritti: s’ apprende l’esistenza di nuovi continenti, s’ incontrano popoli e razze diversi dagli Europei, si scopre che la Terra gira intorno al Sole e non viceversa e che non è affatto al centro dell’Universo, e si nota che la Luna è geologicamente simile al nostro pianeta e non un elemento divino e distante. L’intero sistema conoscitivo entra in crisi e il vuoto viene colmato attraverso la ricerca e la sperimentazione, in un clima di tensione e dubbio che stimola la riflessione critica e cerca nuove basi per le certezze individuali e collettive. Il letterato esalta sempre più il proprio ingegno ed acutezza ed indulge talvolta nella formulazione di esercizi letterari leziosi, bizzarri, da alcuni definiti inutili e fine a se stessi che sono destinati ad essere ripudiati dal pubblico nell’arco di qualche decennio: spesso dunque l’attenzione alla tecnica di cui gli artisti barocchi danno prova tende a trasformarsi in un puro tecnicismo.Tra i principali esponenti della lirica barocca, è opportuno citare senza dubbio la figura di Giovan Battista Marino.
Rinascimento.Esplode l'amore per la vita.
di Lisa Mariani
Una nuova epoca con nuovi ideali culturali e letterari.
Il Rinascimento è un movimento culturale ed un periodo della Storia d'Europa, considerato comunemente come la fine del Medioevo e l'inizio dell'Età moderna. Come inizio del Rinascimento si stabilisce convenzionalmente il XV secolo in Italia ed il XVI secolo in Europa settentrionale. Lo storico svizzero Burckhardt, nel 1860,diede una definizione di Rinascimento,definendola come l'epoca in cui vennero alla luce l'umanità e la coscienza moderna dopo un lungo periodo di decadimento. Il termine è da considerare in opposizione a quello di Medioevo.Il rinnovamento culturale e scientifico iniziò nel XV secolo in Italia, dove uno dei centri principali fu Firenze, per poi diffondersi in tutta Europa. Nella scienza, teologia, letteratura nell'arte, il Rinascimento iniziò con la riscoperta di testi greci e latini conservati nell'Impero Bizantino e nei principali monasteri europei.
Il rinascimento vide l'affermarsi di un nuovo ideale di vita e il rifiorire degli studi umanistici e delle belle arti, con la fine di una società frammentata di tipo feudale basata soprattutto sull'economia agricola e su una vita intellettuale e culturale ispirata al pensiero religioso. Tale struttura politica decentralizzata si trasformò in una società fominata da istituzioni politiche controllate da una capitale, che privilegiavano un'economia di tipo urbano ed il patrocinio laico nell'arte e nella letteratura. Il Rinascimento italiano fu, come già accennato, essenzialmente un fenomeno urbano, un prodotto delle più ricche città italiane, quali Firenze, Roma, Napoli, Ferrara, Milano e Venezia. Fu proprio la ricchezza di queste città dovuta al periodo di grande espansione economica del XII e del XIII secolo, a rendere possibili le conquiste culturali di quest'epoca. I mercanti che operavano in tali città controllavano i flussi commerciali e finanziari di tutta Europa e ne favorirono perciò la fioritura. A questa società mercantile faceva da contrasto quella rurale ancora legata alle tradizioni dell'Europa medioevale.
L’originalità del Rinascimento si rifà ai concetti di realismo e di individualismo. Nelle opere d’arte medievali notiamo che è il particolare ad essere realistico, ma non la concezione dell’insieme, poiché per l’uomo medievale i destini degli uomini furono sempre determinati dalla volontà di Dio e, conseguentemente, l’artista operava per la gloria di Dio e mirava ad infondere nella propria opera un contenuto morale, mentre, l’artista del '500, convinto che, nei limiti dell’umanamente possibile, sia l’uomo stesso a forgiare il proprio destino.Una delle rotture più significative con la tradizione si produsse nel campo della storia.Gli storici, tra i quali furono insigni Flavio Biondo nel Quattrocento e Machiavelli e Guicciardini nel Cinquecento, abbandonarono la visione dei medioevali, legata a un concetto di tempo segnato dall'avvento di Cristo, per sviluppare un'analisi degli avvenimenti che ha origine da una concezione laica e dall'atteggiamento critico verso le fonti. La storia divenne una branca della letteratura e non più della teologia e si rifiutò la convenzionale divisione cristiana che doveva avere inizio con la Creazione, seguita dall'Incarnazione di Gesù Cristo e dal Giudizio Finale. La visione rinascimentale esalta invece il mondo greco-romano, condanna il Medioevo come un'era di barbarie e proclama la nuova epoca come era di luce e di rinascita del mondo classico.
Il Rinascimento è un movimento culturale ed un periodo della Storia d'Europa, considerato comunemente come la fine del Medioevo e l'inizio dell'Età moderna. Come inizio del Rinascimento si stabilisce convenzionalmente il XV secolo in Italia ed il XVI secolo in Europa settentrionale. Lo storico svizzero Burckhardt, nel 1860,diede una definizione di Rinascimento,definendola come l'epoca in cui vennero alla luce l'umanità e la coscienza moderna dopo un lungo periodo di decadimento. Il termine è da considerare in opposizione a quello di Medioevo.Il rinnovamento culturale e scientifico iniziò nel XV secolo in Italia, dove uno dei centri principali fu Firenze, per poi diffondersi in tutta Europa. Nella scienza, teologia, letteratura nell'arte, il Rinascimento iniziò con la riscoperta di testi greci e latini conservati nell'Impero Bizantino e nei principali monasteri europei.
Il rinascimento vide l'affermarsi di un nuovo ideale di vita e il rifiorire degli studi umanistici e delle belle arti, con la fine di una società frammentata di tipo feudale basata soprattutto sull'economia agricola e su una vita intellettuale e culturale ispirata al pensiero religioso. Tale struttura politica decentralizzata si trasformò in una società fominata da istituzioni politiche controllate da una capitale, che privilegiavano un'economia di tipo urbano ed il patrocinio laico nell'arte e nella letteratura. Il Rinascimento italiano fu, come già accennato, essenzialmente un fenomeno urbano, un prodotto delle più ricche città italiane, quali Firenze, Roma, Napoli, Ferrara, Milano e Venezia. Fu proprio la ricchezza di queste città dovuta al periodo di grande espansione economica del XII e del XIII secolo, a rendere possibili le conquiste culturali di quest'epoca. I mercanti che operavano in tali città controllavano i flussi commerciali e finanziari di tutta Europa e ne favorirono perciò la fioritura. A questa società mercantile faceva da contrasto quella rurale ancora legata alle tradizioni dell'Europa medioevale.
L’originalità del Rinascimento si rifà ai concetti di realismo e di individualismo. Nelle opere d’arte medievali notiamo che è il particolare ad essere realistico, ma non la concezione dell’insieme, poiché per l’uomo medievale i destini degli uomini furono sempre determinati dalla volontà di Dio e, conseguentemente, l’artista operava per la gloria di Dio e mirava ad infondere nella propria opera un contenuto morale, mentre, l’artista del '500, convinto che, nei limiti dell’umanamente possibile, sia l’uomo stesso a forgiare il proprio destino.Una delle rotture più significative con la tradizione si produsse nel campo della storia.Gli storici, tra i quali furono insigni Flavio Biondo nel Quattrocento e Machiavelli e Guicciardini nel Cinquecento, abbandonarono la visione dei medioevali, legata a un concetto di tempo segnato dall'avvento di Cristo, per sviluppare un'analisi degli avvenimenti che ha origine da una concezione laica e dall'atteggiamento critico verso le fonti. La storia divenne una branca della letteratura e non più della teologia e si rifiutò la convenzionale divisione cristiana che doveva avere inizio con la Creazione, seguita dall'Incarnazione di Gesù Cristo e dal Giudizio Finale. La visione rinascimentale esalta invece il mondo greco-romano, condanna il Medioevo come un'era di barbarie e proclama la nuova epoca come era di luce e di rinascita del mondo classico.
Umanesimo.L'uomo diventa centro di tutto.
di Lisa Mariani
Nasce l'Humanitas e l'uomo riscopre i classici antichi.
Con la parola Umanesimo si è soliti indicare un lungo periodo della letteratura italiana di rinascita e riscoperta delle humanae litterae. In particolare viene meno la concezione unitaria della cultura medievale e si iniziano ad esplorare nuovi campi del sapere, con un conetto base ovvero l’uomo come centro di interesse e con il predominio degli strumenti letterari, storici e filosofici. Elemento che accellerò questa corrente fu la riscoperta degli antichi testi; tra il 1414 e il 1417 l'erudita Poggio Bracciolini riportò alla luce, tra gli altri, il De rerum natura di Lucrezio, alcuni manoscritti di Quintiliano, alcune orazioni di Cicerone, le Argonautiche di Valerio Flacco, le Silvae di Stazio, le Punicae di Silio Italico, le Historiae di Ammiano Marcellino. Nasce quindi l'arte della filologia cioè una nuova modalità con cui si guarda ai testi; l’esempio più famoso è quello di Lorenzo Valla, che riuscì a dimostrare il falso storico della cosiddetta Donazione di Costantino.
Molti critici ritengono che l'Umanesimo si basi sul principio di imitazione; il massimo della cultura è stato raggiunto dai classici, che quindi vanno imitati poiché nulla può essere migliore di loro.I testi classici vanno considerati quindi dei modelli su cui innestare la propria particolare situazione personale, le proprie esigenze (o quelle del committente, o quelle della città) e svilupparle attraverso la creatività. Il rapporto con il classico è dunque molto più attivo rispetto a quello concepito dalla cultura medievale; è stato giustamente osservato che, proprio mentre si recupera la dimensione propria dei classici, si riconosce che quella è un’epoca definitivamente perduta e che non può più essere recuperata.Centro della corrente fu Firenze dove erano presenti importanti uomini di cultura, quali Coluccio Salutati e Leonardo Bruni. Il clima di apertura al nuovo e la volontà di partecipare alla vita politica permettono di parlare di una caratteristica peculiare dell’Umanesimo fiorentino, che può quindi essere definito “civile”. L’intellettuale svolge delle professioni diverse, di solito legate alla vita politica della città, e discute delle sue idee nelle sue opere, spesso di tematica civile.
Una figura fondamentale da ricordare all’interno dell’Umanesimo è Angelo Poliziano, che seppe unire al diletto estetico e alla produzione di evasione (Stanze per la giostra, Favola di Orfeo) il rigore filologico e la profonda conoscenza dei classici nella sua Miscellanea, ossia appunti sui testi su cui stava lavorando. Poliziano occupò anche la cattedra di Eloquenza latina e greca presso lo studio fiorentino; era un ottimo conoscitore di entrambe le lingue, tanto da riuscire a scrivere agevolmente per diletto ed esercizio. In questo rapporto si vede la differenza con il Medioevo; Dante Alighieri non conosceva il greco e si accontentava, come era nella mentalità del suo tempo, di accedere in modo del tutto provvisorio e approssimativo ai testi di quella cultura. Un ultimo esempio di intellettuale è quello ancora legato alla Chiesa, che può essere considerato molto più indipendente rispetto all’intellettuale cittadino. La figura massima in questo caso è costituita da Enea Silvio Piccolomini, papa Pio II, che cercò anche di integrare la letteratura alle altre arti, in particolare architettura e urbanistica.
Con la parola Umanesimo si è soliti indicare un lungo periodo della letteratura italiana di rinascita e riscoperta delle humanae litterae. In particolare viene meno la concezione unitaria della cultura medievale e si iniziano ad esplorare nuovi campi del sapere, con un conetto base ovvero l’uomo come centro di interesse e con il predominio degli strumenti letterari, storici e filosofici. Elemento che accellerò questa corrente fu la riscoperta degli antichi testi; tra il 1414 e il 1417 l'erudita Poggio Bracciolini riportò alla luce, tra gli altri, il De rerum natura di Lucrezio, alcuni manoscritti di Quintiliano, alcune orazioni di Cicerone, le Argonautiche di Valerio Flacco, le Silvae di Stazio, le Punicae di Silio Italico, le Historiae di Ammiano Marcellino. Nasce quindi l'arte della filologia cioè una nuova modalità con cui si guarda ai testi; l’esempio più famoso è quello di Lorenzo Valla, che riuscì a dimostrare il falso storico della cosiddetta Donazione di Costantino.
Molti critici ritengono che l'Umanesimo si basi sul principio di imitazione; il massimo della cultura è stato raggiunto dai classici, che quindi vanno imitati poiché nulla può essere migliore di loro.I testi classici vanno considerati quindi dei modelli su cui innestare la propria particolare situazione personale, le proprie esigenze (o quelle del committente, o quelle della città) e svilupparle attraverso la creatività. Il rapporto con il classico è dunque molto più attivo rispetto a quello concepito dalla cultura medievale; è stato giustamente osservato che, proprio mentre si recupera la dimensione propria dei classici, si riconosce che quella è un’epoca definitivamente perduta e che non può più essere recuperata.Centro della corrente fu Firenze dove erano presenti importanti uomini di cultura, quali Coluccio Salutati e Leonardo Bruni. Il clima di apertura al nuovo e la volontà di partecipare alla vita politica permettono di parlare di una caratteristica peculiare dell’Umanesimo fiorentino, che può quindi essere definito “civile”. L’intellettuale svolge delle professioni diverse, di solito legate alla vita politica della città, e discute delle sue idee nelle sue opere, spesso di tematica civile.
Una figura fondamentale da ricordare all’interno dell’Umanesimo è Angelo Poliziano, che seppe unire al diletto estetico e alla produzione di evasione (Stanze per la giostra, Favola di Orfeo) il rigore filologico e la profonda conoscenza dei classici nella sua Miscellanea, ossia appunti sui testi su cui stava lavorando. Poliziano occupò anche la cattedra di Eloquenza latina e greca presso lo studio fiorentino; era un ottimo conoscitore di entrambe le lingue, tanto da riuscire a scrivere agevolmente per diletto ed esercizio. In questo rapporto si vede la differenza con il Medioevo; Dante Alighieri non conosceva il greco e si accontentava, come era nella mentalità del suo tempo, di accedere in modo del tutto provvisorio e approssimativo ai testi di quella cultura. Un ultimo esempio di intellettuale è quello ancora legato alla Chiesa, che può essere considerato molto più indipendente rispetto all’intellettuale cittadino. La figura massima in questo caso è costituita da Enea Silvio Piccolomini, papa Pio II, che cercò anche di integrare la letteratura alle altre arti, in particolare architettura e urbanistica.
Boccaccio e la grandezza del Decameron.
di Lisa Mariani
L'opera che segna la svolta della Letteratura Italiana.
Boccaccio può essere considerato il padre della letteratura comica e farsesca.La sua opera di maggior splendore è senza dubbio il Decameron (iniziato nel 1349 e terminato nel 1351).Si tratta di una particolare raccolta di cento novelle inserite in una cornice narrativa comune che prende spunto da un reale e drammatico fatto realmente accaduto.Nel 1348 infatti la città di Firenze era infestata dalla peste,allora un gruppetto di ragazzi e ragazze per allontanarsi dal pericolo della malattia si rifugiano nelle campagne fuori le mura.Sette donne e tre uomini trascorrono dieci giornate (da cui il titolo dell'opera) passando il tempo ad oziare e raccontandosi a vicenda una serie di racconti narrati a turno.I personaggi hanno nomi allusivi: Panfilo è l'amante fortunato, Lauretta è la gelosa, Filostrato è l'uomo che soffre pene d'amore, e così via. Gli argomenti narrati sono variegati si raccontano ad esempio avventure a lieto fine, amori infelici, avventure per la propria donna.
Ma non c'è solo l'argomento sentimentale.Si narrano anche fatti farseschi, scherzi e beffe. In questi racconti si alternano numerosissimi personaggi, di svariata estrazione sociale (nobili, "borghesi", popolani), laici e religiosi, figure di tutte le età.Si tratta di un reale affresco che trae ispirazione dalla realtà soprattutto toscana e fiorentina del tempo,anche se alcuni racconti sono anche ambientati in altre città,soprattutto Napoli, senza limitazioni nè di carattere morale, nè culturale. L'opera pullula di gente varia,c'è il nobile,il mascalzone truffaldino, gli amanti ingegnosi e gli uomini poveri di spirito, le donne fedeli e quelle di facili costumi,ma anche personaggi storici e di invenzione. Senza dubbio il Decameron deve essere considerato il primo capolavoro in prosa della letterarura italiana, contraddistinto dalla grande ricchezza e varietà degli episodi,per la dinamicità della lingua e per la splendida analisi dell'animo umano che se ne deduce.Il livello stilistico prevede una prosa molto elaborata che diede il via alla cosiddetta tecnica di scrittura certaldese,alludendo proprio alla struttura spesso molto articolata delle frasi ispirata anche alla sintassi latina. Una prosa che però si dimostra particolarmente duttile, poichè rende con notevole efficacia il pathos delle varie novelle,sia tragiche che beffarde.Per realizzare il Decameron Boccaccio affermò di essersi ispirato a molte fonti,non solo ai classici greci e latini, ma anche alle favole provenzali e alla letteratura popolare ricca di fiabe tradizionali compresa l'opera araba Le Mille e Una Notte.
Alla base, però, il Decameron pone la realtà contemporanea toscana,dando una nuova concezione dell'uomo non più indirizzato esclusivamente dalla grazia divina ma inteso come artefice del proprio destino, un concetto che certamente anticipa le teorie antrocentriche dell'Umanesimo nel '400.Anche per tale motivazione il Decameron è da considerare come un'opera rivoluzionaria per quei tempi,una vera svolta letteraria rispetto alle tradizioni consolidate del Medioevo. L'opera è senza dubbio una fotografia fedele della civiltà mercantile borghese, della società comunale italica nel suo pieno sviluppo, ma in cui si avvertono sintomi di crisi. Una realtà di traffici, di lotta per sopravvivere, di conquista e violenza, di ingegno industrioso e abile. Boccaccio dipinge un affresco splendido,sottolineando luci ed ombre e rappresentando la paura per il futuro.Il Decameron realizza i suoi scopi attraverso una magica prosa,con strutture variabili,lavorate a più livelli. Solenne e serena ma anche veloce e secca a seconda dei momenti.Ricca di periodi estrosi,mordenti e vivacissimi. Molti critici del '600 amarono molto l'opera elavandola a modello di stile, la censura cattolica invece la bocciò per i temi trattati considerati troppo spinti.Nell'800 i romantici ne amarono invece il forte valore umano alla sua base definendola appunto la Commedia Umana da contrapporre alla Commedia Divina di Dante.
Boccaccio può essere considerato il padre della letteratura comica e farsesca.La sua opera di maggior splendore è senza dubbio il Decameron (iniziato nel 1349 e terminato nel 1351).Si tratta di una particolare raccolta di cento novelle inserite in una cornice narrativa comune che prende spunto da un reale e drammatico fatto realmente accaduto.Nel 1348 infatti la città di Firenze era infestata dalla peste,allora un gruppetto di ragazzi e ragazze per allontanarsi dal pericolo della malattia si rifugiano nelle campagne fuori le mura.Sette donne e tre uomini trascorrono dieci giornate (da cui il titolo dell'opera) passando il tempo ad oziare e raccontandosi a vicenda una serie di racconti narrati a turno.I personaggi hanno nomi allusivi: Panfilo è l'amante fortunato, Lauretta è la gelosa, Filostrato è l'uomo che soffre pene d'amore, e così via. Gli argomenti narrati sono variegati si raccontano ad esempio avventure a lieto fine, amori infelici, avventure per la propria donna.
Ma non c'è solo l'argomento sentimentale.Si narrano anche fatti farseschi, scherzi e beffe. In questi racconti si alternano numerosissimi personaggi, di svariata estrazione sociale (nobili, "borghesi", popolani), laici e religiosi, figure di tutte le età.Si tratta di un reale affresco che trae ispirazione dalla realtà soprattutto toscana e fiorentina del tempo,anche se alcuni racconti sono anche ambientati in altre città,soprattutto Napoli, senza limitazioni nè di carattere morale, nè culturale. L'opera pullula di gente varia,c'è il nobile,il mascalzone truffaldino, gli amanti ingegnosi e gli uomini poveri di spirito, le donne fedeli e quelle di facili costumi,ma anche personaggi storici e di invenzione. Senza dubbio il Decameron deve essere considerato il primo capolavoro in prosa della letterarura italiana, contraddistinto dalla grande ricchezza e varietà degli episodi,per la dinamicità della lingua e per la splendida analisi dell'animo umano che se ne deduce.Il livello stilistico prevede una prosa molto elaborata che diede il via alla cosiddetta tecnica di scrittura certaldese,alludendo proprio alla struttura spesso molto articolata delle frasi ispirata anche alla sintassi latina. Una prosa che però si dimostra particolarmente duttile, poichè rende con notevole efficacia il pathos delle varie novelle,sia tragiche che beffarde.Per realizzare il Decameron Boccaccio affermò di essersi ispirato a molte fonti,non solo ai classici greci e latini, ma anche alle favole provenzali e alla letteratura popolare ricca di fiabe tradizionali compresa l'opera araba Le Mille e Una Notte.
Alla base, però, il Decameron pone la realtà contemporanea toscana,dando una nuova concezione dell'uomo non più indirizzato esclusivamente dalla grazia divina ma inteso come artefice del proprio destino, un concetto che certamente anticipa le teorie antrocentriche dell'Umanesimo nel '400.Anche per tale motivazione il Decameron è da considerare come un'opera rivoluzionaria per quei tempi,una vera svolta letteraria rispetto alle tradizioni consolidate del Medioevo. L'opera è senza dubbio una fotografia fedele della civiltà mercantile borghese, della società comunale italica nel suo pieno sviluppo, ma in cui si avvertono sintomi di crisi. Una realtà di traffici, di lotta per sopravvivere, di conquista e violenza, di ingegno industrioso e abile. Boccaccio dipinge un affresco splendido,sottolineando luci ed ombre e rappresentando la paura per il futuro.Il Decameron realizza i suoi scopi attraverso una magica prosa,con strutture variabili,lavorate a più livelli. Solenne e serena ma anche veloce e secca a seconda dei momenti.Ricca di periodi estrosi,mordenti e vivacissimi. Molti critici del '600 amarono molto l'opera elavandola a modello di stile, la censura cattolica invece la bocciò per i temi trattati considerati troppo spinti.Nell'800 i romantici ne amarono invece il forte valore umano alla sua base definendola appunto la Commedia Umana da contrapporre alla Commedia Divina di Dante.
Petrarchismo.Simbolo di verità e bellezza.
di Lisa Mariani
Una corrente letteraria alla perenne ricerca della perfezione.
Francesco Petrarca fu un poeta di tale grandezza e talento da dare vita ad un vero movimento letterario che trae forma dal suo stile e dai suoi concetti di intendere la poetica.Il Petrarchismo è infatti un fenomeno di imitazione della poesia di Petrarca che dall'Italia si irradiò in tutta Europa assumendo il significato di una posizione intellettuale e artistica presente fino ai nostri giorni.I riferimenti a questa corrente letteraria iniziarono nel '500 ad opera delle teorizzazioni del Bembo e delle regole fissate negli Asolani e nelle Prose della volgar lingua e dureranno per tutto il Rinascimento e anche fino alle soglie del romanticismo. I valori formali, squisitamente letterari si strutturano secondo i temi della retorica classica filtrati attraverso le arditezze della poesia provenzale, di cui Petrarca è spesso considerato epigono caratteristico, se non unico. Nel Petrarchismo l'anima umanista e quella religiosa (nella meditazione dei problemi sulla moralità del cristiano e sulla salvezza dell'anima) si fondono allo spirito letterato teso nella ricerca di un'efficace espressione.Proprio nel '500 iniziarono le diatribe tra sciola italiana e francese e misero in evidenza come Petrarca fosse divenuto emblema vero (più ancora di Dante) del valore dell'Alma Poesia nella società e ne assicurasse la vera indefettibile funzione nei confronti dei potenti, si tratti di Chiese o di Stati. Anticipando un sogno che fu dell'Umanesimo.
Nel Quattrocento a dire il vero l'imitazione fedele della poetica di Petrarca si ebbe a partire dai poeti cortigiani, quali Il Cariteo, Tebaldeo, l'Aquilano; ma fu soprattutto con le opere amorose di Boiardo che il Petrarchismo,anche se in modo non perfetto,ebbe la sua massima espressione in Italia finalizzata ad una ricerca di grazia tutta “lombarda” (e non solo toscana, a cominciare dalla lingua) e, insieme, un'eleganza umanistica basata sull'armonia formale.Si può parlare di Petrarchismo anche in molte opere giovanili di Ariosto soprattutto nell'uso del volgare nei famosi Carmina.Allora la fama di Petrarca si diffuse dove non era giunta quella di Dante e dove Boccaccio, con le opere facete e anche con quelle dottrinarie, aveva da tempo la palma. Nell'ambito del petrarchismo italiano del Cinquecento numerosi poeti e poetesse si rifanno a Petrarca e alla sua esperienza amorosa (oltre che culturale, sia civile, sia religiosa): e non è di minor pregio la purezza di una lingua stilizzata che unisce tutta Italia almeno fino al romanticismo.
in Francia esempi lamnpanti si fanno nella Pléiade nonostante contrarie affermazioni programmatiche di Ronsard e di Du Bellary; in Spagna nelle opere di poeti come Herrera, Garcilaso e Góngora e nel Portogallo con Camões, traduttore e rivale di sonetti delle Rime.In Inghilterra una celebra testimonianza del petrarchismo si ha in molti sonetti dello splendido Shakespeare. Quando poi si passerà all'epoca del puto Manierismo il nome di Petrarca diventa un simbolo per la ricerca di una bellezza eterna, legata alla creazione di una forma poetica. Il petrarchismo divenne quindi in breve tempo lo strumento che racchiudeva in sé verità e bellezza, dottrina e genio inventivo; il metodo con cui la lucidità della forma e il distacco dagli stessi argomenti mondani (amore e patria compresi) permettono di trovare la vera universalità nell'espressione creatrice.
Francesco Petrarca fu un poeta di tale grandezza e talento da dare vita ad un vero movimento letterario che trae forma dal suo stile e dai suoi concetti di intendere la poetica.Il Petrarchismo è infatti un fenomeno di imitazione della poesia di Petrarca che dall'Italia si irradiò in tutta Europa assumendo il significato di una posizione intellettuale e artistica presente fino ai nostri giorni.I riferimenti a questa corrente letteraria iniziarono nel '500 ad opera delle teorizzazioni del Bembo e delle regole fissate negli Asolani e nelle Prose della volgar lingua e dureranno per tutto il Rinascimento e anche fino alle soglie del romanticismo. I valori formali, squisitamente letterari si strutturano secondo i temi della retorica classica filtrati attraverso le arditezze della poesia provenzale, di cui Petrarca è spesso considerato epigono caratteristico, se non unico. Nel Petrarchismo l'anima umanista e quella religiosa (nella meditazione dei problemi sulla moralità del cristiano e sulla salvezza dell'anima) si fondono allo spirito letterato teso nella ricerca di un'efficace espressione.Proprio nel '500 iniziarono le diatribe tra sciola italiana e francese e misero in evidenza come Petrarca fosse divenuto emblema vero (più ancora di Dante) del valore dell'Alma Poesia nella società e ne assicurasse la vera indefettibile funzione nei confronti dei potenti, si tratti di Chiese o di Stati. Anticipando un sogno che fu dell'Umanesimo.
Nel Quattrocento a dire il vero l'imitazione fedele della poetica di Petrarca si ebbe a partire dai poeti cortigiani, quali Il Cariteo, Tebaldeo, l'Aquilano; ma fu soprattutto con le opere amorose di Boiardo che il Petrarchismo,anche se in modo non perfetto,ebbe la sua massima espressione in Italia finalizzata ad una ricerca di grazia tutta “lombarda” (e non solo toscana, a cominciare dalla lingua) e, insieme, un'eleganza umanistica basata sull'armonia formale.Si può parlare di Petrarchismo anche in molte opere giovanili di Ariosto soprattutto nell'uso del volgare nei famosi Carmina.Allora la fama di Petrarca si diffuse dove non era giunta quella di Dante e dove Boccaccio, con le opere facete e anche con quelle dottrinarie, aveva da tempo la palma. Nell'ambito del petrarchismo italiano del Cinquecento numerosi poeti e poetesse si rifanno a Petrarca e alla sua esperienza amorosa (oltre che culturale, sia civile, sia religiosa): e non è di minor pregio la purezza di una lingua stilizzata che unisce tutta Italia almeno fino al romanticismo.
in Francia esempi lamnpanti si fanno nella Pléiade nonostante contrarie affermazioni programmatiche di Ronsard e di Du Bellary; in Spagna nelle opere di poeti come Herrera, Garcilaso e Góngora e nel Portogallo con Camões, traduttore e rivale di sonetti delle Rime.In Inghilterra una celebra testimonianza del petrarchismo si ha in molti sonetti dello splendido Shakespeare. Quando poi si passerà all'epoca del puto Manierismo il nome di Petrarca diventa un simbolo per la ricerca di una bellezza eterna, legata alla creazione di una forma poetica. Il petrarchismo divenne quindi in breve tempo lo strumento che racchiudeva in sé verità e bellezza, dottrina e genio inventivo; il metodo con cui la lucidità della forma e il distacco dagli stessi argomenti mondani (amore e patria compresi) permettono di trovare la vera universalità nell'espressione creatrice.
Petrarca - Chiare,fresche e dolci...
Chiare, fresche et dolci acque, ove le belle membra pose colei che sola a me par donna; gentil ramo ove piacque (con sospir mi rimembra) a lei di fare al bel fianco colonna; erba e fior che la gonna leggiadra ricoverse co l'angelico seno; aere sacro, sereno, ove Amor co' begli occhi il cor m'aperse....... |
Boiardo - Orlando Innamorato
Il sol girando in su quel celo adorno Passa volando e nostra vita lassa, La qual non sembra pur durar un giorno A cui senza diletto la trapassa; Ond’io pur chieggio a voi che sete intorno, Che ciascun ponga ogni sua noia in cassa, Ed ogni affanno ed ogni pensier grave Dentro ve chiuda, e poi perda la chiave. |
Shakespeare - Sonetto 116
Non sia mai ch'io ponga impedimenti all'unione di anime fedeli; Amore non e' Amore se muta quando scopre un mutamento o tende a svanire quando l'altro s'allontana.Oh no! Amore e' un faro sempre fisso che sovrasta la tempesta e non vacilla mai.... |
La Divina Commedia - Viaggio interiore.
di Lisa Mariani
Capolavoro unico ed immortale base della letteratura italiana.
Dante Alighieri è senza ombra di dubbio il più affascinante poeta italiano che nonostante l'enorme divario temporale dai nostri giorni ancora suscita ammirazione e voglia di conoscenza tanto da essere definito anche un vero padre della nostra letteratura. Il noto semiologo Umberto Eco lo definisce un grande classico che anche a distanza di secoli, non cessa mai di trasmettere un messaggio sempre nuovo ai posteri. La poetica di Dante Alighieri è connessa strettamente con lo sperimentalismo, cioè la tendenza a superare le mode culturali tipiche della cultura dell'inizio Trecento per tentare strade nuove. Infatti la sua opera principale,la Commedia, è allo stesso tempo antica e nuova, una sorta di "summa" dell'intera e variegata cultura medievale. La Divina Commedia ebbe una storia compositiva molto complessa e lunga, che si sviluppa a partire dall'anno 1304 fino a giungere al 1321, quando venne ultimata l'ultima cantica ovvero, il Paradiso. Il tema centrale dell'opera è il viaggio nell'oltretomba,un tema non certo nuovissimo ma molto adoperato nella letteratura del medioevo, soprattutto in quella dominata da un forte senso di religiosità. Dante Alighieri porta alla massima espressione questa tradizione e riesce a dare corpo e anima ad un poema ricco di significati simbolici. Il viaggio immaginario di Dante nell'oltretomba secondo molti studiosi parte il giovedì santo del 1300, anno del primo giubileo della storia della Chiesa e si concluderebbe una settimana dopo; in questo tormentato percorso Dante visita i tre regni dell'oltretomba (Inferno, Paradiso e Purgatorio) accompagnato da tre importanti guide:
Dante Alighieri è senza ombra di dubbio il più affascinante poeta italiano che nonostante l'enorme divario temporale dai nostri giorni ancora suscita ammirazione e voglia di conoscenza tanto da essere definito anche un vero padre della nostra letteratura. Il noto semiologo Umberto Eco lo definisce un grande classico che anche a distanza di secoli, non cessa mai di trasmettere un messaggio sempre nuovo ai posteri. La poetica di Dante Alighieri è connessa strettamente con lo sperimentalismo, cioè la tendenza a superare le mode culturali tipiche della cultura dell'inizio Trecento per tentare strade nuove. Infatti la sua opera principale,la Commedia, è allo stesso tempo antica e nuova, una sorta di "summa" dell'intera e variegata cultura medievale. La Divina Commedia ebbe una storia compositiva molto complessa e lunga, che si sviluppa a partire dall'anno 1304 fino a giungere al 1321, quando venne ultimata l'ultima cantica ovvero, il Paradiso. Il tema centrale dell'opera è il viaggio nell'oltretomba,un tema non certo nuovissimo ma molto adoperato nella letteratura del medioevo, soprattutto in quella dominata da un forte senso di religiosità. Dante Alighieri porta alla massima espressione questa tradizione e riesce a dare corpo e anima ad un poema ricco di significati simbolici. Il viaggio immaginario di Dante nell'oltretomba secondo molti studiosi parte il giovedì santo del 1300, anno del primo giubileo della storia della Chiesa e si concluderebbe una settimana dopo; in questo tormentato percorso Dante visita i tre regni dell'oltretomba (Inferno, Paradiso e Purgatorio) accompagnato da tre importanti guide:
- 1)
Il poeta antico Virgilio, che rappresenta la ragione, e che guida il
poeta per tutto l'Inferno e nel Purgatorio:il compito di Virgilio è
quello di permettere a Dante di acquisire coscienza della natura
perversa del peccato, che non solo ci porta lontano da Dio ma fa anche
perdere il senso della vita, come è perfettamente simboleggiato dallo
stato di forte smarrimento in cui si trova Dante nella celebre "selva
oscura".
- 2)
Beatrice, la donna amata da Dante e personaggio centrale dell'opera
precedente La Vita Nuova,è il simbolo della teologia che ci permette di
raggiungere direttamente la conoscenza di Dio: la donna guida il poeta
nel Paradiso fino all'Empireo.
- 3)
San Bernardo, il monaco creatore del movimento del monachesimo
cluniacense, che accompagna Dante fino alla contemplazione di Dio.
DOLCE STIL NOVO - L'Amore diventa virtù.
di Lisa Mariani
La donna si eleva a salvezza dell'uomo.
Col nome di Dolce Stil Novo si indica il movimento poetico sorto e sviluppatosi in Italia nelle corti dell'Emilia e della Toscana tra la fine del '200 e l'inizio del '300.Questa corrente prende il nome da una precisa espressione di Dante Alighieri in un canto del Purgatorio. Gli esponenti massimi furono Guido Guinizzelli, Guido Cavalcanti, Dante Alighieri, Lapo Gianni e Cino da Pistoia. Tali autori erano tutti membri attivi della borghesia cittadina ed esercitavano quasi tutti un'attività lavorativa principale,ad esempio notai,avvocati e uomini politici. Accanto a tali professioni quindi si interessavano di poesia con opere che si ricollegavano all’attualità e che prendevano in considerazione anche la tematica amorosa. Il movimento del Dolce Stil Novo si allinea in generale a specifici modelli della poesia d’amore in particolare alla poetica provenzale e alla stessa scuola siciliana di Federico II.Analizzando le caratteristiche degli stilnovisti sono da sottolineare importanti novità contenutistiche e formali. Sul piano dei contenuti gli elementi specifici di cambiamento sono essenzialmente tre:
Col nome di Dolce Stil Novo si indica il movimento poetico sorto e sviluppatosi in Italia nelle corti dell'Emilia e della Toscana tra la fine del '200 e l'inizio del '300.Questa corrente prende il nome da una precisa espressione di Dante Alighieri in un canto del Purgatorio. Gli esponenti massimi furono Guido Guinizzelli, Guido Cavalcanti, Dante Alighieri, Lapo Gianni e Cino da Pistoia. Tali autori erano tutti membri attivi della borghesia cittadina ed esercitavano quasi tutti un'attività lavorativa principale,ad esempio notai,avvocati e uomini politici. Accanto a tali professioni quindi si interessavano di poesia con opere che si ricollegavano all’attualità e che prendevano in considerazione anche la tematica amorosa. Il movimento del Dolce Stil Novo si allinea in generale a specifici modelli della poesia d’amore in particolare alla poetica provenzale e alla stessa scuola siciliana di Federico II.Analizzando le caratteristiche degli stilnovisti sono da sottolineare importanti novità contenutistiche e formali. Sul piano dei contenuti gli elementi specifici di cambiamento sono essenzialmente tre:
- • Il concetto dell’amore inteso come virtù ovvero inteso come strumento come mezzo di elevazione spirituale, mezzo di riscatto dal peccato e di salvezza dell’anima (nelle scuole precedenti l’amore era inteso come strumento di riabilitazione sociale e morale).
- • La figura della donna angelo. Per questi poeti la donna è intermediario tra l’uomo e Dio, dispensatrici di virtù e quindi capace di nobilitare un sentimento terreno come l’amore.
- • Lo stretto rapporto tra amore e cuore gentile cioè nobile. Questi poeti sostenevano che l’amore può avere sede in un cuore nobile. La nobiltà di cui parlano gli Stilnovisti non è legata alla nascita ma è piuttosto una perfezione morale, un insieme di dati spirituali che predispongono l’uomo al bene e lo rendono degno di accogliere in sé l’amore .
Dante Alighieri - Tanto gentil e tanto onesta pare
Tanto gentile e tanto onesta pare la donna mia quand’ella altrui saluta, ch’ogne lingua deven tremando muta, e li occhi no l’ardiscon di guardare. Ella si va, sentendosi laudare, benignamente d’umiltà vestuta; e par che sia una cosa venuta da cielo in terra a miracol mostrare. Mostrasi sì piacente a chi la mira, che dà per li occhi una dolcezza al core, che ‘ntender non la può chi no la prova; e par che de la sua labbia si mova che va dicendo a l’anima: Sospira. |
G.Cavalcanti - Chi è questa che vèn
Chi è questa che vèn, ch’ogn’om la mira, che fa tremar di chiaritate l’âre e mena seco Amor, sì che parlare null’omo pote, ma ciascun sospira? O Deo, che sembra quando li occhi gira, dical’Amor, ch’i’ nol savria contare: cotanto d’umiltà donna mi pare, ch’ogn’altra ver’ di lei i’ la chiam’ira. Non si poria contar la sua piagenza, ch’a le’ s’inchin’ogni gentil vertute, e la beltate per sua dea la mostra. Non fu sì alta già la mente nostra e non si pose ’n noi tanta salute, che propiamente n’aviàn conoscenza. |